padre perchè
intensamente figlio
In memoria di Enzo Piccinini
La notte del 26 maggio scorso
è morto in un incidente stradale
Enzo Piccinini,
amico carissimo,
stimatissimo chirurgo e
uno dei principali responsabili del movimento.
Lascia la moglie Fiorisa e i figli Chiara, Maria, Pietro e Annarita.
Appena appresa la notizia, don Giussani ha inviato un
messaggio a tutte le comunità di Cl in Italia e nel mondo
Promessa e
certezza
L'omelia dell'Arcivescovo di Bologna
nella Basilica di San Petronio a Bologna, durante il funerale
DI GIACOMO BIFFI
"La mia anima è turbata" (Gv 12,27). Sono le parole di
Gesù al pensiero dell'"ora" tremenda che avrebbe tra poco concluso la sua
avventura terrena. Sono parole che sentiamo anche nostre in quest'ora penosa e inattesa
che stiamo vivendo.
Di fronte al mistero della morte non è mai
possibile - per noi, povere creature gettate nell'enigma dell'esistenza - vincere lo
sgomento. Del resto, non è stato possibile neppure per il Figlio di Dio. Di fronte a ogni
morte si fa più pungente in noi la consapevolezza di quanto sia tormentoso e
impenetrabile il nostro destino di uomini, esseri desiderosi di gioia, di pace, di vita
che invece siamo fatalmente chiamati alla sofferenza, all'ansia, alla fine che sembra
travolgere tutto.
Ma soprattutto siamo sgomenti di fronte a questo nostro fratello carissimo, ghermito
improvvisamente da una sorte impietosa che di colpo ha reciso una vita preziosa e intensa,
annullando in un istante un patrimonio di straordinaria umanità, di ricchezza spirituale,
di donazione senza riserve, di progetti, di alti propositi.
Anche la mia anima è turbata e soffre per la perdita di un amico: l'amico dei giorni
riposati e sereni, e dei giorni operosi e impegnati; dei giorni animati e consolati dallo
stesso ideale di fattiva testimonianza a Cristo e dalla comune appartenenza ecclesiale, e
dei giorni intenti e protesi al miglior servizio possibile al Regno di Dio mistericamente
presente nella storia.
L'anima di tutti noi è turbata; e al Signore, che pur ci ha detto di voler venire
talvolta in modo repentino e improvviso come un ladro, ci viene spontaneo domandar conto
di questa morte come di un furto; una rapina che ha lacerato affetti tenaci e profondi,
che ha creato vuoti incolmabili, che ha gettato molti in un dolore che non si quieta.
Ci viene
dunque naturale e istintivo chiedere: perché?, anche se sappiamo già che è una domanda
senza una risposta umanamente persuasiva.
In momenti come questi, alla parola di Dio, alla preghiera, al sacrificio di salvezza che
ci apprestiamo a rinnovare, imploriamo solo un po' di luce superiore e un po' di conforto.
Imploriamo che sia data a Fiorisa, ai figli, ai familiari tutti la grazia di soffrire
senza smarrirsi e di riprendere con coraggio, nel ricordo di Enzo e col suo esempio, il
cammino della vita. Imploriamo perché a tutti noi siano ravvivate da questa celebrazione
le ragioni della sola speranza che non può andare delusa. A tutti noi: a don Giussani,
che ha trovato e riconosciuto in Enzo un interprete intelligente e un continuatore
appassionato della sua forte e originale proposta di adesione al Signore Gesù, unico
senso plausibile e supremo dell'intera nostra vicenda; alla Fraternità e a tutto il
movimento di Comunione e Liberazione, che piange e rimpiange uno dei suoi più efficaci
animatori; a quanti hanno avuto modo di apprezzarne le doti professionali e lo spirito di
dedizione del medico e del chirurgo.
Non chiediamo di capire, perché ci sono certe doloranti oscurità che nessuno è in grado
di dissiparci finché siamo quaggiù.
Però dalla parola di Dio che è stata proclamata in questo rito, dalla orazione che
eleviamo al Padre in questo tempio, dal sacrificio di Cristo che ci viene ripresentato -
cioè dall'immolazione di quel Figlio di Dio che non è stato risparmiato ed è stato
sottoposto anche lui alla morsa del dolore e alla legge della morte - noi raccogliamo un
messaggio di vittoria finale, un annunzio di risurrezione, una promessa di vita eterna che
cambia tutto e che nessuna disgrazia può vanificare o alterare.
L'abbiamo ascoltato da quanto ci ha detto san Paolo: "Siamo convinti che colui che ha
risuscitato il Signore Gesù, risusciterà anche noi con Gesù e ci porrà accanto a lui
insieme con voi. Tutto infatti è per voi, perché la grazia, ancora più abbondante ad
opera di un maggior numero, moltiplichi l'inno di lode alla Gloria di Dio" (2Cor 4,
14-15). Solo questo messaggio, questo annunzio, questa promessa sanno dare qualche
sollievo a quanti oggi piangono; e invochiamo, davanti a questa prova, un supplemento di
pace vera e di forza interiore.
Una parola di Gesù ci ha fatto intravedere la logica del nostro Dio - che è il Padre del
Crocifisso del Golgota - e così ci aiuta a guardare in avanti con cuore fiducioso e con
occhio rasserenato: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo, se
invece muore, produce molto frutto" (Gv 12,24).
Dio conosce le strade che portano la vita dei suoi a una più ampia e decisiva fecondità,
e trasformano le nostre pene in energia redentrice a vantaggio di tutti i fratelli. Con
questa persuasione l'apostolo Paolo può scrivere arditamente: "Completo nella mia
carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la
Chiesa" (Col 1,24).
Noi deponiamo oggi nei solchi di questa terra emiliana il corpo mortale del nostro amico
Enzo. Lo deponiamo come un seme; cioè come una promessa e una certezza di rinvigorita e
dilatata vitalità per le aggregazioni di Comunione e Liberazione, per tutto questo nostro
popolo, per l'intera famiglia umana.
Una
amicizia eterna
Venticinque anni di storia insieme.
Seguendo don Giussani e condividendo tutto dell'esistenza. "I pesi della vita erano
molti, ma lui era sempre davanti, mai dietro a spingere"
DI GIANCARLO CESANA
Enzo. L'ho incontrato per la
prima volta più di 25 anni fa. Non mi ricordo quel che mi ha detto. Mi ricordo però il
tono. Io ero già uno dei responsabili di Cl in università a livello nazionale, lui era
il capo della nascente comunità universitaria di Modena. Aveva le sue idee, non chiedeva
consigli, suggeriva come si dovesse fare. L'ho presente come se fosse oggi, era un tipo
tosto. Poi non l'ho più visto: probabilmente era preso dalle mille iniziative della
comunità di Reggio Emilia (ed eran veramente mille). Lo rividi qualche anno dopo. Io ero
stato invitato a Bologna. Lì c'era una delle più grandi comunità universitarie di
Comunione e Liberazione. Erano un po' bloccati dalle problematiche culturali, nel senso di
un enorme complesso di inferiorità nei confronti della modernità, marxista in
particolare. Non avevo una grande audience. Per cui, ricordandomi di quel tipo tosto, che,
avevo saputo, aveva cominciato a lavorare a Bologna, lo rintracciai e lo invitai a
partecipare al gruppo dei responsabili. Lui resistette un poco. I Cattolici popolari,
quelli di Cl e altri, impegnati nella politica universitaria, gli avevano fatto un
volantino contro per una questione di esami di chirurgia. Lui mi raccontò che li aveva
arringati in pubblico e che faceva molta fatica a partecipare alla diaconia universitaria
di Cl. Però venne. Si sedeva sempre in fondo. Alla fine di assemblee piuttosto ottuse io
gli chiedevo di intervenire. Valorizzavo quel che diceva e concludevo, senza alcun
successo. Uscivamo insieme, fino all'ultimo bar di Strada Maggiore, dove bevevamo
qualcosa, poi ci avviavamo, ricordo la nebbia, io verso Milano, lui a Modena o Reggio,
dove la notte era appena cominciata. Nessuno ci invitava a cena, e per immaturità e
perché evidentemente non era il caso. Lui aveva una Peugeot Diesel, la più bassa di
cilindrata e la più economica, con cui già macinava i milioni di chilometri che avrebbe
compiuto in seguito.
Poi improvvisamente scoppiò l'amicizia, per l'intervento della Giandomenica di Ravenna e
per la cena nell'appartamento della Elena Ugolini. Io proposi di passare la mano: che il
responsabile della comunità universitaria di Bologna fosse Enzo Piccinini. Don Giussani
accettò di buon grado. Cominciò una grande stagione che dura tuttora. Enzo lo conobbi.
Aveva doti fantastiche, che non avevo io: l'impeto, l'immediatezza, la prestanza fisica.
Mi entusiasmai di lui e del gruppo bolognese. Una volta mi telefonò. Era successo il
terremoto in Irpinia, era già partito, con le scatole di medicine in macchina, i ferri e
quant'altro. Era presente. Aveva una "fissa", la base, il popolo, la gente. Mi
ricordo al Meeting di Rimini, quando venne il Papa. La partecipazione fu veramente enorme,
dentro e soprattutto fuori del salone principale, con la gente ammucchiata ovunque. Enzo
voleva stare con il popolo. Io ero con la dirigenza, me lo ricordo in fila per la mensa,
mentre ero al ristorante dei Vip (si fa per dire!). Mi diceva a bocca muta: "Io sono
con la base". Era un trascinatore, dovunque andava "tirava su" migliaia di
ragazzi, segno che quello che diceva era non solo entusiasmante, convincente.
Tra noi
parlavamo di tutto. Ci siamo visti praticamente tutte le settimane anche di più, per 20
anni, a Milano o a Bologna. Qui era un ospite fantastico: gli piaceva mangiar bene, mai
una volta che pagassi. Poi, un giorno sì e uno no mi telefonava, spesso dopo mezzanotte:
"Come va?". Immediatamente non sapevo cosa dirgli, perché, secondo me, andava
come la sera prima, ma poi parlavamo: c'era, c'è, sempre qualcosa che andava o non
andava. Quello che mi ha sempre impressionato di Enzo era il suo desiderio di confronto e
di paragone. Aveva doti personali magnifiche, ma desiderava essere corretto. Questo è un
segno di appartenenza, di servizio a un Altro. Tra noi discutevamo, a volte aspramente, di
tutto, perché certi di una paternità, don Giussani, per cui era chiaro, molto chiaro,
che l'ultimo giudizio non era nostro. Senza il rapporto personale, intenso con don
Giussani, Piccinini, la sua vita, non si capisce. Comunque l'hanno capito così gli
universitari, che hanno sentito la sua testimonianza agli ultimi Esercizi).
"Tirava" e questo verbo era una delle sue espressioni favorite, nel senso che i
pesi della vita erano molti, ma lui era sempre davanti, mai dietro "a spingere".
Era un amico e Iddio sa quanto. Avevamo più o meno la stessa età, i figli universitari,
con una certa vergogna a fare i leader. Appunto, per età e storia, senza altre pretese,
ci sentivamo padri dei ragazzi dell'università. Non poteva essere un gioco. Ci sentivamo,
sulla famiglia, sul lavoro, sul movimento, che non era fuori, ma dentro. Il problema non
era fare, ma essere. Quante persone piangevano al funerale e non "erano di noi".
Enzo era un incontro per tutti: pazienti, professori, gente comune, gli americani, i
francesi, gli inglesi e chissà quanti altri. Una dedizione totale, come ha detto don
Giussani, non solo e non tanto come impegno, ma come mentalità e intelligenza. Ogni tanto
ci vedevamo da soli, a pranzo o cena, per confrontarci sulla vita, non in termini
definitivi (sarebbe stato sbagliato! Il senso dell'autorità era chiaro), ma per chiarire.
L'ultima volta ci siamo visti a Piacenza. Siamo andati in un ristorante dove la padrona
era una fan di Enzo, abbiamo mangiato due primi tipici e bevuto la grappa, abbiamo parlato
di "noi", comprendendo tutto, poi ce ne siamo andati, ognuno per la strada
assegnata. Poi ci siamo visti ancora, insieme agli altri, sempre a discutere e a capire.
Adesso Enzo, come al solito, è andato avanti, "avantissimo". E io continuo a
correre, attendendo.
Alcuni dei numerosissimi messaggi
giunti alla famiglia di Enzo e a don Giussani.