L'Innominato
al cardinal Borromeo, nel capitolo XXIII de "I Promessi Sposi"
Ecco, dunque, come ragionavo: osservavo,
innanzitutto, che l’immagine della Divinità in cui confida il cristiano
è “diversa” da ogni altra, anche perché è quella di
un Dio che propone di credere in Lui.
Non è, questo, un Dio che impone
di aderire all’evidenza della Sua esistenza e della Sua azione nel mondo.
Per dirla con san Paolo stesso: finché
dura la nostra vita terrena, «vediamo come in uno specchio, in maniera
confusa». Solo quando il velo sarà squarciato dalla morte
«vedremo faccia a faccia» (1 Cor 13,12).
Il Dio cristiano, osservava Pascal, “ha
stabilito di dare abbastanza luce a chi vuol credere, ma di garantire abbastanza
ombra per chi non vuole credere”.
Un Dio, continua, che «ama il chiaroscuro»,
che vuoi farsi cercare dalle Sue creature, quasi giocando a rimpiattino
con loro: “Se si scoprisse interamente, non ci sarebbe alcun merito nell’adorarLo.
Se si celasse del tutto, sarebbe impossibile la fede...”.
Tanto che, come si sa, Pascal (basandosi,
peraltro, sull’esperienza concreta che ciascuno di noi fa ogni giorno,
«andando come tra ombre ed enigmi») ne traeva conseguenze drastiche
ma coerenti: «Ogni religione che non confessi per prima cosa che
Dio c’è, ma che è nascosto, non può essere vera».
Non potrebbe, dunque, essere «vero»
un cristianesimo che volesse trasformare in evidenza innegabile, da accettare
volente o nolente, quella Vèrità rivelata da Gesù
che deve si conservare il suo carattere di prospettiva sicura, ma, al contempo,
di scommessa.
Certezza e, insieme, rischio;
necessità
e, insieme, libertà.
È quest’ultima parola — libertà
— che può farci intuire il «piano» dì un Dio
«che ha messo in ogni verità un’apparenza contraria, perché
sia possibile credere in Lui e al contempo dubitarne». Solo un Dio
che si propone con tracce e impronte e che non si impone, apparendo sfolgorante
nella Sua gloria, può instaurare con le proprie creature un rapporto
libero e non una dipendenza necessaria.
Del resto, pure qui, tout se tient : se il
Dio cristiano è “amore”, per dirla con l’apostolo Giovanni,
è forse possibile corrisponderGli, se non nella libertà,
nella gratuità, nella volontarietà, nel «chiaro—scuro»
della fede?
«Voi siete
miei amici (...), non vi chiamo più servi (...), ma vi ho chiamati
amici » (Gv 15,14s): può, per caso, esistere un’amicizia
o, meno che mai, un amore dove l’uno si impone all’altro?
Libertà cristiana, dunque, davanti
a un Dio che, agli uomini, propone il Figlio come Signore, Redentore,
ma anche come «Amico».
Ma libertà, pure nel senso indicato
da Jean Guitton: «Per i cristiani, Dio è necessariamente
discreto. Ha posto un’apparenza di probabilità nei dubbi che investono
la Sua esistenza. Si è avvolto di ombre, per rendere la fede più
appassionata e, senza dubbio, anche per avere il diritto di perdonare il
nostro rifiuto. Occorre che la soluzione contraria alla fede conservi sempre
una sua credibile verosimiglianza, per lasciare completa libertà
d’azione alla Sua misericordia».
Tratto da :
Vittorio Messori, Il Miracolo, Milano, Rizzoli,
1999
Copyright 1999 Vittorio Messori
Torna alla pagina principale