L’Africa di Veltroni è solo           un falso mito

di padre Tommaso Toschi

Un ricordo lucido e pre­ciso. Nell’aprile ‘77 a Dakar, la ridente capi­tale del Senegal, si tenne un convegno mondiale sul tema: «L’Africa e Roma». Vi partecipai, assieme a un centinaio d’italiani. Non dimentico l’invito che, a conclusione dei lavori, rivolse il presidente Leopold Sedar Senghor, il più grande poeta, pensatore e politico africano moderno: «Non dimenticate, non abbandonate l’Africa». 

Il rischio più grave è che il grande continente sia emarginato dal resto del mondo.

Ben venga dunque ogni contributo da qualsiasi parte. Con tale spirito ho letto il recente libro del segretario dei Ds, Walter Veltroni, dal titolo 

(Forse Dio è malato) «Diario di un viaggio africano».

Mi ha attratto particolarmente il capitolo «Un viaggio nelle nostre responsabilità». Si poteva pensare che si trattasse di un esame di coscienza: dove e come il Pci e la sinistra italiana hanno sbagliato nei confronti dei popoli africani.

 Invece nulla.

 Chiacchiere al vento.

 Ecco alcune piste per un sereno esame che porti a un mea culpa delle sinistre. 

Le guerre di liberazione.

 Dal 1945 Russia, Cuba, Germania Est, Romania. Cina le hanno fomentate in diverse nazioni per ottenere l’indi­pendenza dalle potenze co­loniali. Erano il mezzo me­no adatto. Per motivi ovvii:

violenza chiama violenza. In più: l’ideologia marxista dichiaratamente atea che le ispirava, era completamen­te estranea alla mentalità e alle tradizioni africane, inscindibilmente  religiose. Bastava che prendesse il via una guerriglia o si instaurasse una dittatura so­cialista e subito le sinistre italiane     applaudivano. Quando dittatori africani. come Sekù-Turé, Samara Machel, Méngistu venivano a Roma, erano accolti e applauditi come liberatori del popolo. Nel 1979 il PCI accolse nella capitale Machel con onori trionfali. 

L’anno dopo mi recai in Mozambico e trovai un’ oppressione spaventosa ed un’economia in piena decadenza.

Indipendenza africana.

Nell’immediato dopoguerra il vento della libertà portava i popoli africani a prendere coscienza della loro dignità, del diritto alla libertà.

L’errore delle sinistre italiane è stato di spingere gli intellettuali africani, che avevano studiato prevalentemente a Mosca o in altre capitali europee, a volere tutto e subito, senza rendersi conto che un’indipendenza immediata, con popoli ancora in gran parte analfabeti, avrebbe condotto al disastro. Esempio classico, il Congo belga.

Ancora oggi le sinistre italiane giudicano l’Africa a partire dai cascami dell’ideologia marxista; le cause del sottosviluppo sono tutte esterne. Sfugge la mancata evoluzione delle culture e dei sistemi di vita verso la produttività, verso la democrazia e i diritti della donna. I missionari, che amano veramente quei popoli e che vivono con loro ogni giorno, sanno che le loro culture hanno bisogno di essere umanizzate attraverso il Vangelo. In più servono la loro causa in modo disinteressato e adeguato. Non costruiscono cattedrali nel deserto. Indro Montanelli, non sospetto di clericalismo, proponeva recentemente che tutti gli aiuti del Governo italiano al Terzo Mondo fossero messi nelle mani dei missionari.

Il muro di Berlino è caduto, le ideologie — a quanto si dice — 

sono finite, ma l’atteggiamento mentale delle sinistre

 resta immutato.

Il caso del libro di Veltroni insegna. 

E senza dubbio non sarà l’ultimo.

 

Articolo tratto da Il Giorno, 10/09/2000, Tutti i diritti riservati.


 

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