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BIRKENAU, SOLARIS - (Italia, Giugno 1992- Marzo 1995)

Sui riferimenti al sacro nell'opera dei Kirlian Camera.

di Franco Basso

La musica dei Kirlian Camera si affaccia sul sacro. E sebbene le modalità con cui esplora questo complesso simbolico siano sempre molto tormentose e non prive di una profonda diffidenza nei confronti degli esiti di questa esplorazione, sembra comunque necessario portare alla superficie almeno alcuni di quegli elementi che si possono stabilire con un certo grado di certezza.

In questo senso, nell'evolversi della loro discografia, Solaris assume un ruolo centrale, dopo che i temi del dolore e della morte, Schmerz, Todesengel, avevano già dichiarato, in via preliminare, le coordinate in cui si muoveranno i protagonisti (spesso disperati) di questa ricerca; un punto di snodo, l'apice di una parabola agghiacciata in cui le possibilità di salvezza sono drasticamente ridotte. Fin dal suo presentarsi come un viaggio ultraterreno (la loro è musica sacra molto semplicemente perché attinente alle cose divine).

Solaris si propone come la cronaca di un evento riconciliatorio mancato, di una possibilità sottratta al protagonista di adesione alla propria coscienza; il passato del mondo ("Com'è il passato, nella coscienza?") vi si frappone.

La scelta di adottare Solaris per questo viaggio ultraterreno è in questo senso quasi trasparente: il film, in modo particolare, che finisce su un'immagine di forse apparente riconciliazione. E' anche nella tradizione dei transiti per stazioni, di un avvicinamento, al termine del percorso, rivelatorio- (per rivelazioni):nella direzione di una luce che viene meno- la cui apparizione (di luce) è comunque alterante, (Pomeriggio notturno)- se non drogata.

La natura oltremondana dell'esperienza appare fuori discussione, rivelata almeno dall'enigmatica presenza dei cani sulle scale, ai quali fa riferimento un titolo; sono a custodia degli inferi. (Cerbero, che è il trifauce e implacabile custode dell'ingresso infernale.)E dall'angelo Enned, guardiano dell'ultimo corridoio.

Nelle note di copertina, Enned è identificato a destra, Satana a sinistra; e se il senso -la direzione- di lettura rinvia anche a un ordine temporale degli eventi, sembra allora chiaro che la destinazione finale vada sotto il segno di una punizione, perlomeno di un fallimento- Enned è anche il primo titolo, della serie di canzoni- che trova espressione significativamente nel dissolversi della speranza. La natura del suo ruolo (di Enned), stranamente, viene però rivelata con maggior chiarezza in una canzone che apparirebbe esclusa dall'ordine maggiore del lavoro; che è stato pubblicato in due formati. Nell'edizione più ampia della raccolta, si nota la presenza, nel secondo cd, di almeno due titoli che sembrerebbero far parte della narrazione principale, (di entrambi è riportato il testo) e che mancano nell'edizione più breve: Letter to my killer e The secret of the third communication. Nella seconda di queste due canzoni, l'angelo Enned &egrav e; caratterizzato con sufficiente precisione (il senso stesso del suo rifiuto) da fornire una traccia più che significativa: (viene facile tra l'altro la tentazione di associare il titolo alla famosa, e naturalmente segreta, terza rivelazione di Fatima) sta svuotando di senso, di proprietà, la morte, la fine del protagonista di questa discesa.

Dove per fine s'intende: l'aver trovato il proprio giudizio.

Il percorso compiuto appare svolgersi a ritroso, in una sorta di visione regressiva, in cui la Storia acquista un valore estremamente negativo- Krematorium, Birkenau: Non tanto la colpa del singolo individuo inquina il potenziale riconciliatorio della rivelazione, quanto l'inutile ricerca di un'ipotesi redentiva in un paesaggio oltremondano stravolto dalla manifestazione del male assoluto- (vedi: nazismo- vedi: Caino che uccide Abele)- Dove la proibizione di uccidere Caino (da parte di Dio) rappresenta anche un limite all'esercizio della giustizia (da parte dell'uomo), "La giustizia è mia", un limite alla rivelazione del bene, nella storia-

"Ma dov'è il passato, nella coscienza?"

"Nel bene che è rimasto impossibile"-

E infatti Solaris (soprattutto il film) è sostanzialmente un accesso al passato –tra l'altro apparente- che permette di scegliere di nuovo, e permette di scegliere correttamente- (Tarkovskij: "...Così in Solaris. L'astronauta, nonostante la sua scienza, è quasi un ometto, pieno di debolezze, ma alla fine, quando si trova faccia a faccia con la propria coscienza, non esita, sceglie le vie giuste...")

Ma ne Kirlian Camera, nonostante l'emergere delle figure, nonostante Solaris le materializzi (e può farlo soltanto accedendo a informazioni nella coscienza), la riconciliazione fallisce; domina una sensazione di estraneità quasi fatalistica, percepibile con chiarezza in Letter to my killer e Solaris IV: "Verso casa!", grida in quest'ultima. La casa sarà deserta. La madre disperatamente cercata (ricordata) introvabile. L'oceano stesso, di ghiaccio, produce un gelido miracolo d'assenza. La richiesta che venga data la morte (al protagonista) perché il suo dolore finisca risuona nel vuoto. Ed è evidente il carattere rivelatorio di questa assenza.

La loro opera diventa un piccolo Libro dei morti che rivela un solo transito, consentito alla coscienza, che ha acquisito la consapevolezza, in assenza di perdono, del male, al quale non può sottrarsi individualmente, con l'affermare: me, dunque una possibilità individuale; perché il pianeta è penetrato più a fondo di quanto possa una sonda più esile, che inizia con il dire: "Io".

Non trova infatti soltanto una condanna, ma un'unica via percorribile.

Forse anche per questo, il progetto artistico di Bergamini rimane in qualche misura frammentario, non si compie nella sua interezza, assume personalità diverse; come se la speranza rimanesse dove il progetto si logora, o nel suo parziale disordine.

Le tessere non aderiscono perfettamente nel mosaico, la speranza diventa speranza di poter riscrivere, ridisegnare l'ordito.

Permette un passo ulteriore.

E infatti non sempre risulta agevole identificare storicamente le persone alle quali le canzoni si riferiscono; per esempio, i morti nel brano finale Fur immer, che attendono, dopo anni di martirio, una inutile resurrezione. Ma è abbastanza chiaro che i riferimenti al sacro nei successivi due lavori rimangano, seppure in modo diverso, molto marcati; ma, a dimostrazione che con il precedente è venuto meno un qualche equilibrio, una qualche tensione, il primo dei due (Pictures from eternity) è almeno apparentemente informato a una visione meno lacerante di Solaris. Vi troviamo subito un elemento molto immediato, un kirje; tanto spettrale, quanto intensamente (intenzionalmente?) nostalgico; e un brano, "I am the Light", il cui titolo rimanda a una metafora piuttosto comune, nel campo dell'emozione religiosa, e in cui si materializza un senso di autoconsapevolezza quasi del tutto estraneo, in Solaris.

"Pictures from eternity" rinnova la richiesta di salvezza (trova la via della preghiera) che Solaris aveva perlustrato senza successo, pervenendo a una rivelazione gelida, imprevista, forse incompresa.

"Ascension" e, in seguito, "Your face in the sun", propongono entrambi una presenza luminosa, una luce salvifica, che permette di oltrepassare un ostacolo- (dove spesso la luce si era dimostrata un elemento perturbante e persino sgradevole, in precedenza).

L'immagine di una pietà si estende a (quasi) tutte le pagine del libretto. Rimane però il fatto che la figura cristologica di "I am the light", con la sua emancipazione dal padre e dalla madre, sembra aver fatto dell'alterità (la luce appena cantata in "Ascension") il solo luogo possibile, "Si è liberato, ma è altro (da noi)", in cui trovare rifugio e salvezza. E ancora, in più di un'occasione, i toni si incupiscono.

Struggente e malinconico, questo disco non lascia del tutto presagire il mutamento di rotta che la più recente produzione, "The desert inside", permette di intuire fin dalla veste grafica. La copertina, infatti, quasi completamente bianca, assume il senso di una totale eliminazione di tutta la precedente iconografia (direi quasi idolatria, il farsi un cammino di immagini per materializzare l'invisibile, alla costante ricerca di un contatto che continua a sfuggire), per aprirsi una via alla desertificazione dei propri miti, venendo a privilegiare il percorso dei padri della spiritualità cristiana. Cioè, è in questo venir meno dell'incubo della storia, che l'individuo può proporsi una prospettiva di redenzione praticabile, in questo rifarsi chiarezza in tutto ciò che si era ingarbugliato. Guardare dal deserto, che è il luogo dell'assenza, guardare da un punto senza tempo; e in questo senso l'immagine interna del libretto è altrettanto pr ogrammatica. Quel che rimane, in questa affinità al sacro, è appunto il dolore, la possibilità di tracciare una nuova mappa, se occorre priva di coordinate piuttosto che allucinata, che si fa deserto per la preghiera, d'altra parte ancora non detta.

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