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IVAN E "IL CERCHIO CHE APRE"
 
di Umberto Fasolato

 

"Sarebbe molto interessante, per esempio, stabilire dove, quando e come l'azione del film passa dal comportamento (la recitazione) all'inquadratura (la messa in forma plastica): tra gli elementi di un dramma audiovisivo, infatti, esiste un nesso altrettanto sottile di quello che si riscontra nell'azione congiunta di parola e musica in un dramma musicale."
(S.M. Ejzenstejn, La natura non indifferente)
 
 

Seguendo il suggerimento dell'autore di "Ivan il Terribile", analizziamo il rapporto tra lo spazio e il corpo dei personaggi che si alternano nella sequenza.
Per evidenziare queste relazioni ho riprodotto alcune inquadrature con dei disegni, scoprendo che la linea rivela il dinamismo del quadro e le trasformazioni cui viene sottoposto lo spazio a partire al movimento dei protagonisti.
Nei disegni ho cercato di catturare la durata dei quadri, rappresentando simultaneamente le pose successive degli attori: i movimenti ordinati da Ejzenstejn a Cerkasov sviluppano lo spazio con la continuità della linea segnata dal profilo e dalla famosa barba appuntita e ricurva dello zar. Benché sia possibile segmentare in istantanee congelate la durata del quadro, è fondamentale osservare la costante ricerca plastica sviluppata dalle curve che imbrigliano lo zar.
Sul feretro di Anastasija si abbassa una carrellata, inquadrando la bara bianco luminosa che si proietta nell'oscura profondità della cattedrale, fino a bloccarsi su Ivan, steso con le ginocchia a terra e aggrappato al drappo che scende dal baldacchino.
Il p.d.v è rivolto verso il basso, l'inquadratura trascorre senza soluzione di continuità dal corpo disteso e luminescente della zarina a quello contratto e scuro dello zar.
I movimenti di macchina sono assai rari nel film, la scelta di una carrellata, di un fluido movimento unitario condensa nel quadro le disposizioni e le condizioni opposte dei protagonisti, segnalate dal differente "colore".
Il bianco e nero, considerato come una coppia organica di colori, marca la distanza tra lo zar e la compagna morta, rilevandone la progressiva comunanza coi nemici. Al termine di questa sequenza e nei seguenti episodi dell'opera completa, anche gli alleati vestiranno il costume nero dell'isolamento e della inarrestabile malinconia dello zar; tra questi spicca la figura di Fedor Basmanov, il giovane chiamato e offerto a sostituire la zarina a fianco di Ivan.
Durante lo svolgimento del movimento di macchina, seguiamo un'immaginaria linea verticale dilatata e riprodotta nello spazio della messa in scena dai ceri che circondano la bara. Essi rappresentano la luce eterna, che protegge la zarina, ma diventano sbarre inamovibili intorno ad Ivan abbattuto, fino alla decisiva rivolta. La base dei candelabri sancisce la separazione tra l'alto e il basso, corrispondendo al confine plastico tra le due zone contrapposte di colore.
La sequenza si apre con il canto di un coro invisibile che intona un lamento funereo, caratterizzato da un basso continuo. All'inizio dell'opera abbiamo assistito all'incoronazione dello zar; eravamo all'interno della stessa cattedrale mentre un sacerdote, nel momento del supremo trionfo dello zar, intonava con voce di basso (a giudizio di Ejzenstejn era il basso migliore di tutta la Russia) la benedizione al nuovo sovrano, che nello stesso istante "voltava" le spalle al pope, preparandosi a sfidare i propri nemici esterni, ma soprattutto quelli interni.
Quando il movimento si arresta sullo zar, una voce fuori campo recita il primo verso del salmo 69 della Bibbia, che sancisce la durata dell'inquadratura e "intitola" l'intera sequenza.
La fonte della voce rimane nascosta allo spettatore; appartiene all’oscurità luttuosa della cattedrale, è "dislocata" nel buio e sembra rafforzare il basso come una voce solista in un primo piano sonoro. Il "Lamento" è un’invocazione della pietà divina da parte dello sconfitto.
Con due drastici stacchi di montaggio, lo spettatore si trova a contemplare, separati e contrapposti, i volti di Anastasija e Ivan.

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Anastasija e Ivan

Il primo, coronato di bianco, si stacca dal fondo nero della cattedrale, il secondo sprofonda nel nero drappo che pende dalla bara.
Ejzenstejn crea continui enjambement: la voce fuori campo recita il salmo mentre lo stacco sposta la nostra attenzione su tutte le figure del dramma. La durata di ogni inquadratura è così contraddistinta da una parte del salmo appositamente scelta dal regista per far emergere la condizione del sovrano sconfitto, dell’omicidio e della pressione dei nemici.
Lo stacco sul volto di Anastasija non è un raccordo sullo sguardo. Il p.d.v. è ancora inclinato verso il basso e posizionato in una parte di spazio momentaneamente inaccessibile ad Ivan.
L'accento visivo della terza inquadratura è il movimento rotatorio della testa del sovrano, che dal profilo si mostra di fronte, con i segni evidenti del dolore nei tratti del viso. Il suo sguardo è perso nel vuoto, non "dialoga" con un personaggio o si rivolge ad un oggetto particolare; questo gesto, affidato al volto, si può definire come la contemplazione del nulla, dove il sovrano sembra specchiarsi prima di giungere alla scelta della vendetta che si configurerà come un'autodistruzione.
La serie d’inquadrature 3, 5 e 6
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Figure 3, 5 e 6

rappresenta lo stesso sguardo in due modi diversi: la rotazione del volto e il raccordo sull'asse. E' la linea dello sguardo ad alterarsi rispetto al profilo, così ho decentrato l'occhio destro dello zar in 3, mentre in 5 e 6 la fissità della posa è frantumata da un raccordo sull'asse in avanti. In 3 e 6 domina il volto, in 5 il corpo.
 
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Figura 4

Con una violenta espansione dello spazio intorno al feretro, scopriamo nella quarta inquadratura l’identità della voce fuori campo che ha ritmato le durate dei quadri precedenti. E' il patriarca di Mosca, che appoggia ormai a viso aperto la causa dei boiardi e suggerisce ad Ivan la resa, di fronte alla morte della sua più potente alleata. La comunanza con i ribelli è suggerita dalla veste scura, che riprende il motivo del nero appartenente alla zia dello zar, l'avvelenatrice della sovrana legittima. Ma come abbiamo già suggerito, anche Ivan e il suo fido Maljuta vestono lunghi abiti neri, fin dalla decisiva sequenza dell'avvelenamento nella bianca stanza della zarina. Infatti il sovrano fonda la propria vendetta rendendosi complice "protetto" dell'avvelenamento, autore consapevole dell'omicidio e della trama che la Starickaja credeva di tessergli intorno, ma che invece le costerà la vita.
Il nero si adatta all'atmosfera della cattedrale che progressivamente si reifica sui corpi e sugli oggetti, definendo una contrapposizione sempre più netta con il nucleo bianco e luminoso del feretro, proiettato verso l'alto come le luci dei ceri.
Rispetto ai quadri precedenti, questo è il primo dove compare l'uso della profondità di campo. Ejzenstejn definisce questo tipo di organizzazione spaziale come "composizione di primo piano"; il quadro Þ articolato dalla presenza della figura a mezzo busto del lettore, essa occupa la metà sinistra dell'intero schermo. Il patriarca è addossato ad una colonna e risalta al nostro sguardo per la nitidezza della sua silhouette; Ivan, al contrario, è prostrato presso il feretro e risulta sfocato: questa scelta tecnica intende rilevare la distanza tra i due protagonisti (essi occupano piani differenti) nella stessa unità spaziale (la cattedrale, ma soprattutto la sezione definita dal quadro).
Il patriarca, concentrato nella recitazione del salmo, non si cura della presenza di Ivan, ma le sue parole, udite fin dall'inizio hanno raccordato tutte le inquadrature.
Il "primo piano" del patriarca segna anche l'inizio della "lettura" bidimensionale sulla superficie dello schermo, che si completa da sinistra verso destra grazie al feretro e al motivo ritmico della struttura architettonica, definita dai pilastri e dagli archi della cattedrale. Con una messa a fuoco selettiva, le strutture architettoniche, dotate di una loro oggettualità riconoscibile, mostrano un motivo ritmico e lineare.
La dislocazione dei piani è ottenuta con un espediente ottico, senza usufruire di parti della messa in scena che possano suggerire una profondità prospettica del quadro; allo spettatore è negata l’unità visiva suggerita dal pavimento o dalle volte della cattedrale.
Da finestre collocate nel fuori campo entra la luce che rischiara da parti opposte lo zar e il pope. Le uniche fonti visibili sono i sei candelabri che circondano la bara e propongono un accento continuo verso l'alto nella cupa atmosfera della cattedrale, sottolineata dal basso continuo del coro, che perdura invariato dalle inquadrature precedenti.
Anche la parola recitata e il canto differenziano la nostra percezione dello spazio: il coro costituisce la "tonica" di tutta la sequenza fino alla rivolta dello zar, il recitativo del patriarca è il "segnale", in altre parole un’unità prosodica distinguibile, rispetto alla tonica, con la nitidezza di un primo piano sonoro.
L’unità spaziale dell'intera sequenza, alla pari di quella delle singole inquadrature, è prodotta dal contrappunto degli elementi sonori appena descritti, combinati in un coro polifonico.
L'intera immagine è definita da "linee di forza", che stabiliscono un campo di opposte polarità: primo piano e piano lungo, tonica e segnale, bidimensionalità e profondità, bianco e nero, luce e oscurità. La luce e il buio si disputano gli oggetti e i corpi nella cattedrale, le parole del patriarca non dialogano con Ivana, ma si contrappuntano al basso del coro perennemente invisibile, allo stesso modo di una voce solista.
La profondità di campo non offre alcun appiglio ad un ordine narrativo dello sguardo: i personaggi non si muovono, non agiscono, ma entrano in relazione attraverso lo sguardo selettivo della m.d.p e la frammentazione praticata dal montaggio. Ogni movimento viene scomposto in una posa, concentrato in una posizione che lo evochi senza mostrarlo. La scelta delle posizioni sconcatena l’unità dello spazio e dell'azione, raccogliendo in singoli quadri, in singoli istanti cruciali, la crescente tensione interiore di Ivan.
Una delle caratteristiche fondamentali di questa sequenza è il continuo salto dimensionale dai piani medi, quasi del tutto privi d'azione e quindi assimilabili a dei primi piani, a piani lunghi o lunghissimi. A questa sistematica frantumazione dello spazio si contrappone la ripresa di punti di vista tra loro molto vicini che modulano un'immagine di partenza. La scelta del p.d.v e del numero dei piani da comprendere nell'inquadratura, concentra o dilata di volta in volta lo spazio intorno ad una figura principale. In questo modo il montaggio compone l'immagine per strati successivi, secondo uno sviluppo non necessariamente concatenato. La successione delle inquadrature giustappone e incastra le pose e i gesti che intrappolano i protagonisti, anziché raccontare la crisi del sovrano.
Svolgendo con questo sistema l'intera situazione, la settima inquadratura riprende il tema visivo
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Figure 3, 4, 5, 6, e 7


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Figure 8 e 9

della quarta, dopo che abbiamo "modulato" la prostrazione di Ivan in 3,5 e 6.
Fino alla trentesima inquadratura non vedremo il pavimento della cattedrale e per tutta la sequenza le volte rimarranno celate nel fuori campo. La mancanza di limiti alla "scatola" architettonica è una delle prime caratteristiche che richiama la struttura dello spazio articolata nelle Carceri del Piranesi, un soggetto molto caro ad Ejzenstejn, che dedica all'argomento un capitolo fondamentale nel testo La natura non indifferente.
Non solo il taglio e lo scorcio dell'inquadratura attivano lo spazio intorno ai protagonisti, ma anche il vertiginoso spostamento del p.d.v, eseguito dal montaggio sul modello del raccordo sull'asse, decide la composizione delle linee di forza che stabiliscono le caratteristiche spaziali di ciascun quadro.
In questo modo gli oggetti e gli elementi architettonici non sono un corredo all'immagine, ma stabiliscono l'articolazione dello spazio intorno a ciascun personaggio. Così scrive Ejzenstejn nel capitolo intitolato Piranesi o la fluidità delle forme: "...La "scenografia come tale" per le mie inquadrature non esaurisce mai e in nessun caso l'autentico "luogo dell'azione".
Il più delle volte questa "scenografia come tale" è una specie di "macchina di fondo" che traspare attraverso il sistema dei primi piani disposti "a galleria", che le si parano davanti all'infinito e respingono sempre più in profondità la "scenografia come tale".
Nei miei film alla scenografia si accompagna inevitabilmente la superficie illimitata del pavimento davanti ad essa, che consente l'avanzamento all'infinito dei singoli dettagli di primo piano; e i dettagli sono, in particolare, i seguenti: pilastri mobili, parti di volte, stufe, tratti di parete, oggetti d'uso.
Il punto estremo lungo questa via è generalmente il primo piano dell'attore, già portato al di là di tutti i limiti immaginabili, dietro la cui spalla si colloca tutto lo spazio che può essere definito dalla scenografia con tutte le sue combinazioni, e la cui nuca nasconde quella parte dell'atelier che non può essere imprigionata nella morsa dei dettagli del "luogo d'azione".
Questo metodo "estatico" di costruire le scenografie secondo lo schema del...telescopio non si limita alla sfera dell'elemento visibile e dell'elemento plastico."
La messa in scena non ricopia i modelli scenici inventati dal Piranesi, ma è l'immagine cinematografica che manifesta il principio di costruzione dello "spazio estatico", individuato nell'opera dell'architetto italiano dalla prassi critica di Ejzenstejn.
Maljuta entra in una nuova cellula spaziale, definita dalla presenza della bara e dalla linea dei ceri. Il p.d.v è diretto dal basso verso l'alto e il nostro sguardo attraversa in diagonale l'angolo che ho tentato di delimitare con la descrizione dell'arredo sacro per la zarina morta. Da questa posizione le arcate della cattedrale sovrastano i personaggi; i ceri sviluppano la verticalità dell'inquadratura insieme ai massicci pilastri della chiesa.
"L'occhio dello Zar" acquista un'imponenza pari al ruolo che riveste presso il sovrano grazie ad un raccordo sull'asse e l'uso di un grandangolo (8-9).
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Figure 8 e 9

La presentazione di Maljuta è diversa da quella di Pimen: alla voce misteriosa ed inquietante del patriarca si contrappone l'entrata in scena del fido alleato. Il successivo raccordo sull'asse accentua la forza del personaggio, nonostante legga rapporti militari che sottolineano l'isolamento del sovrano.
La parte sonora di questa inquadratura è "intrecciata" a quella visiva come nei quadri precedenti: non si tratta di un dialogo tra i protagonisti (Ivan, Pimen e ora Maljuta), ma di un'alternanza di immagini pilotata e decisa dai "contendenti sonori" della sequenza: Pimen e Maljuta.
Le inquadrature che si succedono nella cattedrale non restituiscono l’unità dello spazio intorno ai protagonisti, anzi lo frammentano e sconcatenano come accade all'azione dei personaggi.
Il principio unitario che informa l'immagine sembra risiedere nel sonoro: il basso continuo del coro invisibile, che intona un canto funebre, attraversa ogni spazio rappresentato nei diversi quadri.
Il rilievo del fuori campo viene sottolineato sia dai raccordi di montaggio, che impediscono una sistematica concatenazione del visibile, sia dalla traccia sonora, che rappresenta il concetto di "unità di luogo" senza ricorrere alla visualizzazione di uno spazio unitario, di un contenitore dell'azione.
La frammentazione dei raccordi riattiva le potenzialità del fuori campo nella costruzione dell'immagine: lo spettatore deve concentrare la propria attenzione sulla durata interna di ogni quadro, valorizzando la parola, il gesto, l'accordo musicale, la posa, lo sguardo e la composizione dello spazio di tutta l'immagine. La durata dell'inquadratura è caratterizzata da questi elementi che ne interrompono lo svolgimento inerziale e trasparente. Quindi, una volta acquisito il carattere fondamentale del montaggio di Ejzenstejn, dobbiamo confrontarci con l'idea di "accento interno"; così scrive l'autore di "Ivan il Terribile": "Come abbiamo già mostrato (nel cinema muto) il baricentro dell'immagine fu "la giuntura tra i pezzi", cioè un elemento sostanzialmente "fuori" dell'immagine e spesso "estetizzato" oltre misura.
Con il passaggio al montaggio audiovisivo il baricentro fondamentale del montaggio della componente visiva si trasferisce all'"interno" del pezzo, "in elementi interni all'immagine". Non è più un elemento "posto tra" le inquadrature - la giuntura - ma un elemento interno all'inquadratura - "l'accento posto all'interno del pezzo", ovvero il sostegno costruttivo della composizione stessa dell'immagine. (...)
Possono fungere da accento all'interno dell'inquadratura la mutevole tonalità luminosa o l'avvicendarsi dei personaggi, un cambiamento dello stato emozionale dell'attore o un gesto inatteso che spezza il fluire della sequenza ecc. - cioè, in breve, qualsiasi cosa a condizione che, rompendo la forza d'inerzia che l'andamento della sequenza tende a stabilire, attiri con un nuovo slancio l'attenzione dello spettatore, imponendogli una nuova scansione.
Gli accenti dell'azione e del comportamento interni al pezzo si scontrano naturalmente con il diverso sistema di accentuazione attraverso cui passa il movimento musicale, intonazionale, o semplicemente sonoro (rumore) in ciascun fonogramma. (S.M. Ejzenstejn, La natura non indifferente, p.361-63).
L'antifonia, concertata da Maljuta e Pimen, è svolta visivamente da un'alternanza di primo piano e piano lungo (11-12).
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Figure 11 e 12

La contrapposizione del rapporto e del salmo intreccia in un enjambement audiovisivo le due figure. La nota più interessante è senza dubbio ancora il continuo movimento di espansione o contrazione dello spazio intorno al feretro della zarina, l'unico elemento costantemente presente nelle diverse inquadrature.
Pimen funziona come un punto d'ascolto, evidenziato dalla nitidezza della messa a fuoco, ma la profondità di campo riconosce la presenza della bara proprio nel centro di ogni inquadratura, nel punto nodale delle linee architettoniche selezionate dal quadro cinematografico.
Dal primo piano di Maljuta ricaviamo la prostrazione del sovrano, benché si trovi completamente fuori campo. L'inquadratura infatti staziona sul volto dell'alleato fissando i suoi sguardi interrogativi oltre i margini dello schermo. Nessuna risposta viene da Ivan, nemmeno una voce, e Maljuta si ritira dietro la bara per vegliare a distanza il suo sovrano.
Talvolta gli arredi sacri intorno al catafalco sembrano costruire uno spazio tridimensionale e non "estatico", secondo le intenzioni compositive di Ejzenstejn. Tuttavia la messa in scena svolge un ruolo attivo nella vicenda: segrega lo zar dal resto della cattedrale, oppresso dai nemici e dagli alleati separato. In alcuni appunti Ejzenstejn annota tra gli esempi di "macrocerchio" anche la cattedrale e la definisce come simbolo del Grembo materno. Tutto ciò che racchiude e isola diventa il simbolo di ogni sorta di asservimento e di violenza. In questa sequenza assistiamo alla gestazione della vendetta e alla sua esplosione, alla rottura del cerchio, disposto dai nemici intorno ad Ivan e rappresentato dagli oggetti della messa in scena, dal montaggio e dalla composizione del quadro.
Ogni sezione prodotta dall’inquadratura manifesta la possibilità di ricreare un fuori campo all’interno dell’immagine, grazie alla disposizione e alla forma degli oggetti. La bara è per Ivan un ostacolo insormontabile, la durata dell’inquadratura evidenzia gli inutili tentativi di levarsi in piedi per ricevere "l’illuminazione interiore" dal frutto dell’omicidio, dal corpo morto e quasi sorridente di Anastasija. Ivan non è ancora illuminato dalla duplicità terribile dell’avvelenamento cui ha partecipato attivamente; quando stabilirà la vendetta sormonterà il corpo di Anastasija, incurante della morte e della colpa, splendente dei fuochi popolari, pronto a ritorcere contro i boiari gli esiti di una lotta fratricida. La prostrazione del sovrano malinconico è accentuata dal tonfo della caduta presso la bara.
L’immagine esplode nella composizione di primo piano più ardita dell’intera sequenza: la testa di Pimen campeggia in piena luce e completamente a fuoco nella parte sinistra del quadro; il centro e la destra dell’inquadratura sono occupati dalla bara e da Ivan, completamente abbattuto e appena visibile sul pavimento della cattedrale.
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Figura 14

Questa inquadratura chiude la serie 4, 7, 10, 11 articolata sulla presenza incombente del patriarca. Prima con la voce fuori campo, poi attraverso la profondità di campo, abbiamo letto la sfida a distanza tra i due rivali con l’intromissione di Maljuta. Pimen non ha mai mutatola propria posizione, la sua opposizione allo zar è stata sempre una "composizione di primo piano". In quest’ultimo quadro la scala dimensionale sembra esplosa in una contrapposizione al limite del trucco fotografico.
Mentre i nemici accerchiano lo zar, gli alleati corrono in suo aiuto, attraversano lo spazio emergendo dal buio della cattedrale.
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Figura 15

Così i Basmanov, padre e figlio, affiancano Maljuta impotente osservatore delle crisi di Ivan; essi avanzano verso la m.d.p, ma dai gesti di Maljuta comprendiamo di non essere presso lo zar, bensì in un punto imprecisato dietro il catafalco.
Il volto disperato di Ivan emerge da un p.d.v inatteso, non corrisponde né alla posizione degli alleati, né a quella dei nemici. La bara costruisce il fuori campo da dove affiora inaspettata la testa di Ivan,
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Figura 16

che rotola nuovamente verso il basso, dopo che il personaggio ha espresso il proprio dubbio amletico sull’azione appena compiuta.
Ivan interroga la zarina morta, riflesso diretto dell’azione contro i boiari, ma il montaggio ci offre uno sguardo semisoggettivo: Ivan ha il capo celato dal feretro, non può guardare la compagna, l’interrogazione della m.d.p è "in ritardo" rispetto agli occhi del sovrano. Questa connessione esprime l’evidenza della scrittura cinematografica e il senso di questa scelta: alludendo alla soggettiva, Ejzenstejn unisce Ivan ad Anastasija contrapponendoli alla Starickaja. Dalla linea degli sguardi ricaviamo una disposizione interessante: la zarina è chiusa nella "morsa"
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Figure 16, 17 e 18

stabilita dallo zar e dall’avvelenatrice. I due assassini non si guardano, ma si fronteggiano grazie al mon taggio, che esalta la presenza della principale nemica dello zar con un perfetto raccordo sull’asse all’indietro.
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Figure 18, 19 e 20

Il p.d.v è inclinato verso l’alto, come se la zia dello zar dominasse i due sovrani. L’arretramento della m.d.p consente l’apparizione di una parte della cattedrale dove un affresco rappresenta un dannato impiccato per i piedi. Non solo il destino della Starickaja è segnato da questa apparizione, ma in verità sono i nemici che si stanno rimpicciolendo difronte al riscatto dello zar.
Ci viene nascosto l'avvicinamento di Maljuta al sovrano: un raccordo sull'asse in avanti ritaglia il volto del re contro gli archivolti della cattedrale, facendo scomparire l'alleato inginocchiato ai suoi piedi. "L'occhio dello zar" comunica il tradimento di Kurbskij, il montaggio stacca sulla figura della zarina avvelenata, ribadendo il sospetto della complicità tra i due personaggi; per la prima volta Þ proprio lo sguardo di Ivan in piedi a cucire una soggettiva.
Poi l'inquadratura 24
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Figura 24

si concentra ancora sul volto dello zar, come in 22. Maljuta si alza ed entra dal basso nel quadro, annunciando le rivolte dei boiari. E’ il corpo nero di Ivan ad estrometterlo dal quadro con una rotazione sul fianco, che dispone la testa di profilo. Il movimento dello zar, l’ingresso e l’uscita dal basso del fido alleato hanno evidenziato l’arrivo del messaggio nello spazio mentale del sovrano.
Con il successivo raccordo sull’asse in avanti il volto resta prigioniero delle strutture e degli oggetti, la lunga agonia disegna il momento di massima crisi rovesciando verso l’alto le linee del profilo di Ivan.
Così si esprime Ejzenstejn in merito al volto di Ivan: "Un altro esempio dell’unità nella diversità lo potremmo individuare nel vivo del lavoro di produzione di Ivan il Terribile.
Si tratta dell’unità dello zar pur nell’evolvere del suo aspetto nel corso di tutto il film.
Ci sono qui due distinti livelli di lavoro: quello materiale, che riguarda la preparazione prescenica dell’aspetto dello zar, splendida opera di V. Gurjonov; e quello delle luci, ossia l’interpretazione ormai pienamente cinematografica di questo sembiante, di inquadratura in inquadratura, affidata alle magiche mani di A. Moskvin. (…)
Un giorno o l’altro capiremo quale antica icona sacra ispirò la forma degli occhi e il disegno dei capelli; attraverso quali peripezie fu trovata una curvatura delle sopracciglia che non somigliasse troppo a quella di Mefistofele o dello Zarevic Aleksej; quali percorsi furono compiuti per evitare la somiglianza con il Cristo, con Uriel Acosta o con Giuda nei contorni delle narici, nel profilo spezzato del naso, nella forma del cranio.
A tutto ciò fanno eco le lunghe e meticolose ricerche sugli scorci della testa e del volto in cui il Terribile fosse davvero Terribile.(…)
Ci fissammo mentalmente una sorta di "scheda" degli scorci ammissibili di Ivan, di modo che la ripresa dovesse rigorosamente passare per queste posizioni, scivolando velocemente, senza fermarsi, su quelle "zone pericolose" dove l’immagine deviava dal canone plastico del film stabilito una volta per tutte. (…)
Allo stesso modo, si finiva di raccontare tonalmente, con il film, il mutevole aspetto di Ivan grazie agli scorci della recitazione dell’attore, al taglio del fotogramma e soprattutto alla miracolosa fotografia tonale dell’operatore Moskvin.
Cercammo a lungo per il viso una penetrante formula di luce, (…) qualcosa come un "modellare con la luce". Su questa gamma di base intervengono di scena in scena, non solo le rettifiche delle luci in relazione al mutamento dell’aspetto del personaggio stesso, ma, in primo luogo e soprattutto, tutte quelle sfumature luminose che, da un episodio ad un altro, devono far eco sia all’atmosfera emotiva della scena che allo stato emotivo dello zar protagonista.
Qui ormai si ha bisogno non più di una stabile plastica luminosa scultorea dell’immagine, non solo della sua variabile interpretazione pittorica in base al mutare dell’atmosfera e dell’ambiente circostante (notte, giorno, penombra, sfondo piatto, profondità), ma di una più sottile sfumatura tonale, che definirei intonazione luminosa e che A. Moskvin destreggia alla perfezione.
C’è qui, nel ritratto, la stessa finissima musicalità luminosa del delicato paesaggio lirico realizzato da Eduard Tissé nelle nebbie del Potemkin, nella città di Pietroburgo di notte (Ottobre), o nel biancore delle distese ghiacciate del Nevskij, sotto la tetra volta delle nubi minacciose."
Le osservazioni di Ejzenstejn si concentrano sull’evidenza del lavoro di truccatura e ripresa del volto di Ivan. Tuttavia sul volto dell’attore N. Cerkasov, il regista non ha voluto sovrapporre una maschera, un sistema di segni codificato dalla tradizione pittorica delle icone o delle rappresentazioni di Ivan IV, che aveva raccolto in almeno due anni di ricerche documentarie. Per Ejzenstejn il volto diventa il luogo del "passaggio al significato", il luogo della genesi del senso e del segno, dove il lavoro cinematografico della luce, della recitazione dell’attore, del trucco e della scelta dell’inquadratura fossero sempre evidenti. Il volto, come il paesaggio, rende manifesta un’idea, uno stato interiore grazie alla giustapposizione di serie di elementi distinti e contrapposti, quasi si trattasse di un cerchio metaforico ottenuto dall’unità di forme contrapposte. (superfici e linee, parti in luce e parti in ombra, movimenti dell’attore e margini del quadro).
L’esplosione del sovrano è preparata dell’ultima rappresentazione della gabbia di ceri intorno al catafalco (inquadratura 26) e svolta da un primissimo piano di Ivan, che entra nello spazio ritagliato dall’inquadratura. Come nel momento più drammatico del tradimento dei boiari (25) il volto di Ivan scompariva parzialmente nel fuori campo, così adesso la forza della ribellione ai nemici è definita da un prepotente cambio dimensionale del quadro che non contiene del tutto il volto di Ivan (inquadratura 27).
Le spezzature definite dal montaggio diventano esplosioni dimensionali dello spazio e del quadro; dopo il volto di Ivan "l’onda d’urto dell’esplosione colpisce Pimen, che stringe il libro dei salmi, e la Starickaja, che allarga le braccia spaventata, quasi volesse volar via dall’ormai scomoda posizione. (29)
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Figura 29

Ora è lo spazio a raccogliere la rabbia di Ivan, per la prima volta osserviamo la cattedrale dall’alto e possiamo stabilire topograficamente la posizione dei contendenti, il pavimento è la scacchiera della contesa.
L’esplosione è stata interpretata dal montaggio e non semplicemente raccontata dall’azione dei personaggi. Ivan atterra i due candelabri, la gabbia è aperta, in due campi totali fuggono i nemici: la Starickaja imbocca un basso cunicolo scuro, proprio come accadrà prima della morte, Pimen si perde nella cattedrale, sovrastato dalle figure dipinte sui muri, annichilito dallo spazio solidale al trionfo di Ivan.
Al grido "Tu menti" cessa il basso continuo del coro e il contrappunto del salmo. Benché gli alleati si avvicinino alla bara, non possono entrare nello spazio definito dai gesti e dalle posture dello zar, ora marcatamente verticali, come se il protagonista fosse un cuneo tra le arcate. Anche i brevi dialoghi con Maljuta o coi Basmanov sono frammentati in declamazioni separate e distinte, come serie di suggerimenti o pensieri del sovrano e non come consigli tra alleati.
Nonostante la vittoria, Ivan resta isolato, spesso il suo sguardo cade in preda alle visioni, si appella al fuori campo come se vi attingesse la propria sicurezza interiore.
Quando Ivan "dialoga" con se stesso alla ricerca di una soluzione alla ribellione dei boiari, nessun personaggio entra nel suo campo visivo, nemmeno gli alleati possono accedere al spazio mentale del sovrano, se non dal basso, da una posizione "onirica". Il costante rinvio al fuori campo diventa il segno tangibile dell’isolamento di Ivan, una bestia pazza e feroce. L’abito nero da lutto rimarrà il segno distintivo di una redenzione impossibile che lo contrappone al bianco immacolato della zarina, assassinata ambiguamente dallo stesso zar per vendicare la ribellione dei boiari e garantire il proprio potere assoluto, scambiandolo con l’assoluto isolamento.
Lo sguardo folle nel vuoto si interrompe soltanto coll’approvazione del giovane Basmanov alla sollevazione del popolo contro i boiari. Subito il montaggio ci suggerisce il raccordo tra la figura di Aleksej e quella della zarina morta: il giovane alleato frequenterà il sovrano negli stessi luoghi dove abbiamo incontrato Anastasija.
Queste sono le ombre che si delineano nel trionfo sancito dal giuramento della "Terza Roma" sulla bara di Anastasija. Mentre i fuochi dei sostenitori dello zar invadono la cattedrale, la m.d.p ritorna nel punto d’inizio dell’intera sequenza da dove aveva gettato il primo sguardo sulla morte e sulla zarina assassinata.
 

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