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Aprile dolce scoprire!

Aprile di Nanni Moretti

di Luca Giuliani

 

Aprile dolce scoprire!
Si può forse dire che il senso di Aprile si trova nella dupliceNanni Moretti in 'Aprile' relazione che intrattiene con Caro Diario, un evidente legame di continuità stilistica e un’altrettanto palese diversità di risultati. Detto questo non ci si unisce al coro che vede in Aprile un filmetto di chi, tradito dalla politica, si rifugia nelle gioie della paternità; o con chi si chiede com’è il vero Moretti e perché indulge nel mostrare le sue vanità. Significherebbe, tra le altre, affermare che chi non lo conosce di persona non è in grado di apprezzare il film. Crediamo piuttosto che Moretti non avesse bisogno di aspettare davvero la nascita di suo figlio per manifestare il proprio lato vanesio e neppure due anni di governo di centro-sinistra per constatarne un certo grado di continuità politica con la tradizione governativa italiana. Le cose ci sembrano un poco più complesse.
Con Aprile prosegue la verifica delle particolari forme di racconto che sotto l’aspetto delle annotazioni da diario portano a una felice commistione di realtà e finzione. Nel contempo allarga il campo delle sue riflessioni allo stesso procedimento del fare cinema rendendo ancora più radicali le proprie esitazioni. La differenza che Aprile porta con sè, una certa farraginosità rispetto alla levità di Caro Diario, sta nell’entrata in scena dello stesso dispositivo cinematografico, ovvero della macchina da presa e della sua troupe tecnica. Dopo molto tempo (non solo per Moretti) Aprile è un film che racconta di qualcuno che sta realizzando un film e questo, da sempre, moltiplica le articolazioni del racconto e rende la storia complessa.
Nanni Moretti in 'Aprile'Con Caro Diario il superamento del personaggio alter-ego Michele Apicella sembrava definitivo ma con Aprile si assiste ad una sorta di rentreé camuffata: non è Apicella a rientrare dalla finestra ma un film, o meglio, il simulacro di quel film che Moretti dice di voler fare, il musical del pasticcere trotzkista.
In altre parole, una volta trovata la forma del diario come modalità di racconto, Moretti allarga la propria riflessione alla tecnica e ai mezzi con cui filmare questo suo diario.
Si inabissa sempre più nella complessità delle proprie riflessioni e proprio dando forma ai dubbi si avvicina progressivamente alla fase di realizzazione di un’opera: dalla travagliata gestazione della sceneggiatura raccontata in Caro Diario, si passa con Aprile a girare una sequenza del tormentato musical con Silvio Orlando.
Moretti non mette in discussione il mezzo cinematografico (da subito pensa al cinema per girare il documentario sull’Italia) ma tenta di metterne in cortocircuito gli automatismi per riconsiderarne funzioni e parti. Il film si gioca in una zona che in realtà non esiste ma che virtualmente fa procedere il racconto: in campo abbiamo sia la troupe tecnica con la mdp che sta girando, sia Moretti che la dirige. Quando però Moretti, rivolgendosi all’operatore in campo, ferma la ripresa (come avviene durante l’intervista a Corrado Stajano) noi vediamo sullo schermo ciò che di solito vede solo l’operatore mentre guarda nell’oculare della mdp: il momentaneo oscuramento delle immagini dovuto all’arrestarsi dell’otturatore. Il pubblico in quel momento si trova dietro la troupe (perché la vede in campo) ma in realtà è al posto dell’operatore perché vede gli effetti della fine della ripresa che in seguito vengono tagliati in fase di montaggio.
Nanni Moretti in 'Aprile'L’autore è chiaro nell’indicarci che questa zona virtuale, questo luogo i cui confini oscillano tra lo spazio della finzione e quello della realtà è l’oggetto della sua indagine. Nella sequenza del musical, ad esempio, il pubblico si vede inquadrato dall’operatore della mdp in campo che, a tempo di mambo (e non l’avremmo mai detto di una persona schiva come Beppe Lanci), lo fronteggia come fosse una delle due ali del movimento coreografico.
Lo stallo provocato dalla simulazione della mdp in campo per un attimo ci fa credere di essere parte del corpo di ballo senza più capire se stiamo guardando come spettatori o se siamo ripresi come ballerini.
Si procede dunque per cortocircuiti per rivelare quella zona virtuale di commistione e di ambiguità in cui il cinema non è più o non soltanto un mezzo per raccontare una storia. Questa zona narrativa trova il proprio contraltare nell’oggetto del racconto, la condizione di confusione tipica della società in cui viviamo e il cui fenomeno principale è rappresentato dai media cui Moretti dedica il primo è più corposo capitolo del diario. Il film prende lo spunto da un’indagine sul giornalismo italiano in occasione delle elezioni politiche del 1994 e finisce per constatare i limiti e i confini di una professione spesso apparentata con il mondo dello spettacolo, con quello della politica e con il privato degli stessi protagonisti.
Con le sequenze televisive all’inizio di Aprile, ci viene suggerito un confronto tra quella zona di commistione di reale e finzione, caratteristica del diario cinematografico, e quell’ingannevole ambiguità di ruoli a cui la televisione ci ha abituati da tempo.
Moretti è seduto al tavolo accanto alla madre mentre guarda i primi commenti alla vittoria elettorale del centro-destra nel 1994: quando il TG4 intervista Berlusconi sentiamo l’uomo politico raccontare il divertimento del padre di famiglia nello spiegare ai propri figli il suo prossimo impegno da presidente del Consiglio dei ministri. In altre parole un personaggio pubblico attraverso la propria televisione privata fa politica raccontando di sè e della propria famiglia. E’ questo l’inizio del secondo diario: l’esibizione del privato da parte di un personaggio che si trova contemporaneamente davanti e dietro la telecamera. Non rimane che una strada: fumare per la prima volta uno spinello.
Nanni MorettiAl di là dell’aspetto provocatorio, l’accostamento tra cinema e televisione imposta alcuni punti fermi della poetica morettiana. Qual’è il posto per le storie raccontate al cinema quando ormai anche la cronaca e le vicende private fanno parte della finzione televisiva? C’è ancora un posto per raccontare l’avventura di certe banalità quotidiane senza che debba per forza diventare lacrimevole occasione di pubblica compassione televisiva o essere sommersa da una frenetica moltitudine di improbabili pericoli mortali come nel cinema degli effetti speciali?
L’omologazione spettacolare della realtà mostrata in televisione rappresenta l’incubo prodotto dalla confusione di ruoli e dall’accostamento di narrazioni diverse (informazione, pubblicità, intrattenimento). Sotto questo aspetto Aprile ribadisce la necessità di affermare la natura finzionale della storia raccontata esibendo senza remore lo stesso apparato produttivo e affermando, attraverso le forme del diario, l’assoluta soggettività del racconto. Non esiste confusione tra chi sa, chi mostra e ciò che viene raccontato, ma viene problematizzato quello spazio tra il sè-regista e il sè-attore il cui movimento pendolare di attraversamento tra essere in scena ed esserne fuori, genera quella zona virtuale che trascende la dimensione narrativa.
Un ulteriore tormento in Aprile è lo spreco e il ridondante accumularsi delle parole e dei commenti sempre uguali e spesso inutili che vengono identificati con quelli della carta stampata e della produzione cinematografica. Moretti mostra l’immenso collage della stampa dove più delle idee contano i titoli cubitali, più della linea editoriale le copertine ammiccanti. Ciò che ne risulta è un rumore di fondo continuo e indistinguibile, un patchwork in cui si può dire tutto e il contrario di tutto tanto il progetto culturale è completato nel momento in cui è reso visibile.
Si tratta di un’operazione di promozione non diversa da quella che accompagna l’uscita dei film nelle sale. Moretti legge sulla pagina degli spettacoli di un quotidiano una lunga serie di titoli di film che per distinguersi uno dall’altro necessitano di un merchandising agiografico sulla vita privata delle star protagoniste. Dei film poi spesso non rimangono altro che gli incubi notturni causati dai dialoghi tristi e inverosimili: quelli di Strange Days rappresentano un esempio impareggiabile.
Contro tutto ciò, Moretti, per raccontare le proprie storie, cerca e sperimenta uno spazio diverso. Anzi, come lui stesso afferma, "non contro ma accanto" alla affollata confusione della televisione e alla ostentata presenza della stampa, Aprile propone modi diversi di raccontare. Lo spinello e il musical del pasticcere trotzkista in fondo sono due aspetti dello stesso "mettersi in parte" di Moretti. Non sono una fuga o un ritorno al privato dopo le delusioni della vita pubblica, ma esprimono il desiderio verso un atteggiamento diverso meno addosso alle cose ma più intimamente sentito. Rappresentano due direzioni del racconto di Moretti una a escludere e l’altro ad alleggerire. I frequenti movimenti dello zoom, insistiti nel loro percorso a chiudere da un campo totale al primo piano del protagonista, dicono del processo di introiezione, o quanto meno di esclusione, con cui il personaggio Moretti assimila il malessere e il disagio provocati da ciò che lo circonda, e si contrappongono ai movimenti di zoom adottati nelle regie televisive. In queste, il particolare e l’individuale si allargano a comprendere quanto più possibile del campo totale e innescano il processo di generalizzazione indistinta. Non ci sorprende una simile attenzione agli effetti della ripresa con lo zoom da parte di un regista che ha scelto, ormai da anni, come prorpio operatore quel Beppe Lanci che in Nostalghia ha impiegato in modo decisivo le tecniche dello zoom per disegnare le relazioni tra i particolari del volto e la totalità del paesaggio. Relazioni nelle quali Tarkovsky riconosce uno degli elementi cruciali della propria poetica. Che si possa vedere negli zoom di Aprile un caso di collaborazione concreta e tengibile tra regista e operatore, al di là delle fanfare con cui si promuovono certi autori della fotografia?
Nanni Moretti in 'Aprile'Escludere ed alleggerire si diceva. Il musical rappresenta la via alla leggerezza di toni e di modi e in particolare quello sul pasticcere trotzkista sembra coniugare la levità e l’immediatezza di Sette spose per sette fratelli con l’intensità dell’impegno politico maturato e frustrato in anni di lettere aperte ai giornali (della sera).
Moretti tenta di evitare l’impatto diretto frontale con la realtà che porterebbe altrimenti a ricalcare le forme retoriche di generi perfettamente riconoscibili e, per reazione, a rendere visibile anche le stesse forze messe in campo dal regista, l’intervento stilistico dell’autore. In Aprile i momenti di confronto diretto con la realtà da raccontare, in puro stile televisivo, ovvero le interviste a Stajano o agli albanesi sbarcati in Italia, denunciano il fallimento di questo modo di procedere reso vuoto e approssimativo dall’esigenza del tempo reale.
Moretti si mette in disparte e occupa uno spazio a lato dell’evento confidando anche sulla mancanza di sincronia del suo intervento con i tempi dell’avvenimento. Risale il Po mentre la flotta leghista lo discende verso la trionfale parata veneziana e, incrociandola, ne sorprende la tracotante normalità di una gita domenicale addobbata da ricorrenza storica. In Puglia attende inutilmente gli albanesi in un luogo in cui non sbarcheranno e questa situazione trasfigura lo stesso Moretti e la troupe sferzata dal vento sul molo, in quegli albanesi che, dall’altra parte dell’Adriatico, sotto lo stesso vento, pazientano in una attesa altrettanto vana.
A Venezia poi per l’arrivo della parata leghista, il regista è proprio da un’altra parte. Dove la retorica dell’avvenimento tocca punte inarrivabili può salvarsi solo l’immaginazione di chi non c’è o di chi non vede.
Quello di Moretti è uno spazio laterale, in qualche modo centrifugo rispetto al centro dell’azione. E’ una fuga sì, ma dalla ossessionante presenza del commento televisivo e dalla abbondanza di intervento di chi pensa che impegno voglia dire essere presenti sempre e comunque.
E’ una fuga che lo porta a pensare il suo film in luoghi lontani da quelli degli avvenimenti: dalla sala d’attesa dell’ospedale veniamo informati sui criteri di scelta dei comizi elettorali da riprendere e non vediamo nulla delle felici vicende private, se non gli effetti nevrotici sui comportamenti del novello padre.
Lo spazio che Moretti occupa è quello del pudore, della discrezione che porta la mdp, sebbene visibile in campo, a mimetizzarsi con l’ambiente circostante. Lo dice più di una volta: "vorrei non essere qui", "come fare l’intervista senza essere presente"; il suo anelito a scomparire non è certo una ragione esclusivamente politica. Cerca di essere presente in scena, standone fuori e di abitare quella zona virtuale in cui possa filmare senza essere visto. La conferma viene dalle sequenze che documentano la parata leghista a Venezia: è nel momento in cui si trova altrove, non visto, che Moretti si lancia nella sperimentazione delle "arditezze stilistiche", come lui stesso le definisce, e, per telefono, impartisce indicazioni su movimenti di macchina e aperture focali. Che sia ironia nei confronti delle elucubrazioni della critica o una velata affermazione di poetica rimane il fatto che gli elementi stilistici si evidenziano nel momento di vacanza del loro autore.
Nanni Moretti in 'Aprile'Questo spazio narrativo ricercato da Moretti, lontano dall’avvenimento e trasparente da commenti e contrappunti retorici, può a questo punto essere percorso da altre dimensioni, quelle temporali che legano un luogo ai suoi frequentatori e ne disegnano la memoria. Filmare senza darlo a vedere e senza essere visti può significare semplicemente tornare sui luoghi della memoria, girovagando senza meta in vespa. In questo senso rimane impareggiabile la sequenza della visita al luogo dove fu rinvenuto il cadavere di Pasolini a conclusione del primo racconto di Caro Diario. Moretti in vespa, ripreso da dietro, a intervalli distanzia la mdp che lo segue, e tende a scomparire dall’inquadratura per perdersi all’orizzonte. Questo svanire denuncia la natura di pretesto che Moretti ricopre (sia in scena sia fuori, sia come attore, sia come regista) per far scorrere "giusto delle immagini" che a loro volta si lasciano percorrere dalle emozioni di una musica che prende il sopravvento su ciò che si mostra e ci spinge nell’impazienza di scorgere ciò che è ancora fuori campo. Immediatezza e presenza vengono sostituiti da lontananza del ricordo e dai vuoti dell’elaborazione della memoria. Riempirli porta a evocare un fatto pubblico attraverso un ricordo privato; esprimere il silenzio e l’abbandono di fronte allo scarto tra un luogo e la sua memoria rende retorico qualsiasi altro intervento.
Per questo nel cinema di Moretti non ha senso distinguere tra pubblico e privato come è stato fatto per commentare improbabili fughe e capricciose vanità di Aprile. L’oscillazione tra i due termini può rendere la natura di ciò che non si distingue tra attività espressiva e vissuto; quel movimento di inerzia, mosso dalla necessità di raccontare e frenato dal pudore a mostrarsi, che le immagini di un film condividono con quelle di un diario: le si lasciano sulla carta perché rimangano invisibili.

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