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Visione senza sguardo
 
SUL DISPOSITIVO NEL CINEMA DI ATOM EGOYAN

 
di Manlio Piva

Family viewingBanalmente, la prima cosa che salta agli occhi di fronte ai film di Atom Egoyan (e mi riferisco alla sua produzione da Family Viewing a The sweet hereafter) è il loro carattere quotidiano, familiare. Non tanto -non solo- per il fatto che per lo più si tratti di "romanzi familiari" nell’accezione freudiana, ma soprattutto per la tipologia del dispositivo messo in atto per dispiegarli. Prima di tutto: il Cinema si confronta, assume alcune caratteristiche tipiche della sua fruizione domestica.
Egoyan: "La TV è il mio background"
Da Family Viewing - Van sta guardando verso di noi. Si alza, si avvicina e inizia a cambiare canale. Fra i fischi di un pubblico inesistente compaiono uno ad uno i protagonisti di Family Viewing come si trattasse della sigla di un telefilm, inframezzandosi al volto di Van che continua a ‘cercare un canale’. La TV ha incarnato prima l’obiettivo della macchina da presa, poi lo schermo cinematografico, poi di volta in volta entrambi.
In Family Viewing non c’è ambiente in cui non sia presente uno schermo televisivo o un suo surrogato (videocitofono, monitor ecc.). La presenza video è anzi ossessiva, è il punto di vista più ricorrente (a fare lo Viewing, cioé l’esame, l’osservazione della famiglia è l’elettrodomestico per eccellenza); addirittura empatica al ‘mondo degli umani’: commenta quanto accade intorno attraverso i documentari di altri animali, e così Armen che graffia il suocero è come un falco predatore; la madre di Aline, morta per overdose di farmaci nel suo letto d’ospizio, come un pesante orso anestetizzato.
E lo schermo cinematografico diverrà poi a sua volta monitor TV quando, pochi minuti dopo i titoli di testa, il dialogo ‘in superlativi’ fra Van e l’amante del padre subirà la "censura" del fermo immagine e un comando di indietro-veloce riprendendo poi con una scena diversa: come se stessimo assistendo al montaggio del film alla moviola o meglio a un suo passaggio sul videoregistratore.
Comunque sia ci è negata con diversi artifizi la fruizione classica del film, l’immedesimazione diretta con i personaggi. Egoyan inserisce degli elementi di disturbo volti soprattutto a sottolineare la ‘costruzione’ dell’immagine cinematografica: "Ai miei occhi, l’atto di filmare è inseparabile dall’idea che qualcuno filma l’immagine". Il padre di Van, rappresentante di una ditta di attrezzature video, "ha sempre registrato tutto"; la memoria-video di Van, la sua infanzia, trapassa senza preavviso dal videoregistratore allo schermo, indebolendone la definizione fotografica, inframmezzandosi alle perversioni del padre con la moglie e poi con l’amante, attraverso continui salti d’immagine, formicolii, vuoti. Questa consustanziazione di immagine video e fotografica ha il medesimo scopo demistificante. Egoyan: "L’immagine è un processo meccanico di proiezione, e gli spettatori prendono coscienza di questo processo vedendo le immagini video integrate all’immagine filmica". Alla natura ‘casalinga’, quotidiana dell’immagine video, alla sua bassa definizione, alla sua stessa precarietà e fragilità è legato un realismo maggiore di quello ‘spettacolare’ dell’immagine cinematografica, regno della fiction. Ma a sottolineare la ‘costruzione’ dell’immagine cinematografica è la stessa mis-en-abime del dispositivo. La camera da letto di Stan si presenta come il set di un film porno del quale egli è regista e interprete principale: videocamera, spot e TV sono rivolti verso il letto a documentare in diretta i suoi rituali erotici con l’amante.
Dunque fermo immagine, avanti-indietro veloce, commistione di supporti, mis-en-abime del dispositivo: la natura ‘mediata’, oggettivizzata dell’immagine egoyaniana è ribadita con tutti i mezzi. Da un lato, come si è detto, per togliere all’immagine il suo potere mistificante, dall’altro per ‘inaugurare’ (mi si passi il termine, seppur non rispondente al vero) un tipo di fruizione dell’immagine più matura, da parte di uno spettatore ormai capace di supplire da sé agli intervalli di senso. Egoyan: "Penso che è ormai possibile raggiungere il medesimo grado di emozione e di trascendenza attraverso una identificazione alle immagini cinematografiche comprese come qualcosa di ‘oggettificato’"
La presenza della pornografia nei film di Egoyan va nella medesima direzione, e lo stesso regista lucidamente lo spiega: "Quello che la visione pornografica ha di particolarmente suggestivo -e che la riallaccia all’immagine video- è che essa fa immediatamente allusione alla persona che ha fabbricato l’immagine... Nei miei film, noi siamo a volte testimoni di una reazione sessuale via immagine video. Penso che ne accentuo l’oscenità perché mi servo di un gesto che era supposto dimorare intimo e spontaneo, che gli conferisco una funzione supplementare e cosi facendo rubo a quel gesto una certa dignità. Rendo gli spettatori coscienti del fatto che vedono svolgersi qualche cosa che non era direttamente destinato ai loro occhi e, nello stesso tempo, riduco anche la possibilità di una reazione ‘voyeurista’, perché suggerisco che ‘io’, in quanto regista, ho già privato lo sguardo su tale immagine del suo lato voyeuristico. Riproiettandola, non permetto allo spettatore di sentire che è qualcosa che ha lui stesso scoperto. Io l’ho già scoperta per lui."
Ciò che Egoyan propone è insomma una visione senza sguardo cioè desiderio. Togliere il potere mistificante all’immagine cinematografica attraverso la ‘banalità’ dell’immagine video e togliere il lato voyeuristico alla pornografia, significa togliere allo spettatore il suo simulacro, distruggere l’automa spirituale creato dal dispositivo (processo di identificazione), porlo a fare i conti con la natura meditativa -in quanto straniante- dell’immagine video (Egoyan: "A mio parere, è l’immagine video a essere più meditativa, perché bisogna fare uno sforzo cosciente per superare la natura banale, ‘quotidiana’ di questa immagine".
Egoyan cioé invita a fare tutto il contrario di quello che fanno, film dopo film, i suoi personaggi, i quali, in un mondo in cui le immagini proliferano incontrollate, faticano a costruire, se non la perdono, una loro identità. I loro rapporti con la realtà diventano sempre più precari; i loro comportamenti vacillano fra intenzioni reali e modelli assunti da un immaginario mostruoso e divorante. Realtà e allucinazione diventano sempre più difficili da distinguere; la coscienza delle conseguenze delle proprie azioni si perde in un processo di de-responsabilizzazione dell’individuo che vive come all’interno di uno zapping continuo da un’immagine all’altra, da un programma all’altro, da un supporto all’altro. Un’intrusione cibernetica (bionica) delle immagini, dei videotapes nell’individuo: a sostituirne i processi mnemonici, ad allucinarne e simularne la realtà; fino a formare un vero e proprio automa spirituale.
Le ‘installazioni video’ messe in atto da Egoyan operano in tal senso. I suoi personaggi non sembrano possedere una memoria propria, essa è sostituita dai videotapes, che ne dovrebbero essere la sua estensione, ma più spesso la sua facile soppressione: dimenticare diventa tanto facile quanto ripassare su un nastro registrato (G. Pevere: "Identity becomes as erasable as videotape and as ephemeral as battery power"). In Family Viewing Stan, il padre di Van, "ha sempre registrato tutto", ossia tutti quegli atti tradizionalmente al di fuori della visibilità, appartenenti alla sfera privata: le scenette del piccolo Van in compagnia della nonna e della madre come le proprie perversioni sessuali. E a questa spoliazione dell’universo privato corrisponde la sua inflazione, la sua perdita di valore, la sua facile sostituzione: "gli piace registrare" - "e cancellare, lui preferisce cancellare". Per Van, dunque, salvare la propria identità significa sottrarre le videocassette al padre prima che la propria infanzia venga del tutto sporcata, sostituita dai rituali erotici di Stan con l’amante.
Speaking PartsIn Speaking Parts, "...[un film] sulla sostituzione, proiezione e individui che vivono con altri individui come con immagini e che sono capaci di vendere e scambiare queste immagini" (Egoyan), il desiderio dei personaggi passa sempre attraverso il filtro dell’immagine: Lisa ama Vance guardando instancabilmente i film nei quali recita nel semplice ruolo di comparsa; Clara e Vance ‘fanno l’amore’ masturbandosi in videoconferenza; Clara riattualizza il proprio amore per il fratello attraverso il filmino mortuario che lei stessa ha girato e attraverso il simulacro del film autobiografico per il quale ha trovato in Vance un sosia perfetto.
La macchina da presa partecipa a questo processo di creazione del simulacro, non solo in quanto presente nelle varie scene in cui qualcuno riprende qualcun altro, ma incarnandone la presenza. Si fa intrigante, segue i corpi e vi aleggia intorno (Egoyan: "Per me la macchina da presa è qualcosa di implicato nella storia, che può definire i personaggi" - "Muoversi nello spazio è il gesto più provocatorio che puoi fare, perché vuol dire che la macchina da presa c’è ed è curiosa"). Funziona da memoria, si fa oracolo, personaggio muto, testimone dei drammi umani ai quali assiste, alla maniera del Coro nella tragedia greca (Egoyan: "Forse l’obiettivo della macchina da presa diviene una ridefinizione del coro della Grecia antica... l’istanza che commenta i fatti degli attori principali... L’obiettivo diviene il nostro oracolo.").
Sul set di The AdjusterPer esempio il suo inseguire il padre di Van nel rocambolesco finale di Family Viewing; l’ondeggiare intorno Bubba che sale a fotografare la famiglia assopita di Noah Render in The Adjuster; le varie ‘spiate’ nella posizione sbilenca di una videocamera a circuito chiuso. In Speaking Parts, dopo un travelling lungo la tavola alla quale è riunita la produzione del film, la macchina da presa incrocia lo sguardo di Clara: al suo sorriso in macchina corrisponde quello dolce e struggente del fratello nel breve filmato che compone la sua spoglia mortuaria. Ma non solo, spesso la macchina da presa assume un punto di vista indecidibile, allucinatorio: compie movimenti all’interno di uno spazio che non li potrebbe contenere, come per esempio quelli a partire dall’inquadratura fissa di un videocitofono (Family Viewing), di una telecamera a circuito chiuso (Family Viewing e Speaking Parts). Lisa, in una scena-tributo al film che forse maggiormente ha influenzato Egoyan - ossia Videodrome di Cronenberg, allucina il suicidio della stanza 106, fino a interagire con le immagini che le provengono dallo schermo TV. Clara a sua volta allucina quello che è registrato nel colombarium e vi aggiunge un nuovo movimento, un nuovo sguardo: lei non solo ha filmato il fratello, ma ora si vede a sua volta mentre lo filma, occupa con lui lo stesso spazio (prefigura il proprio suicidio). Come si è scritto sopra, le immagini video prendono il posto della memoria, dei ricordi personali e com’essi hanno la capacità di non fossilizzarsi ma di mutare seguendo i moti dell’animo di chi li ha prodotti: "...i miei film trattano dei processi e della costruzione della memoria, della maniera in cui noi siamo capaci di manipolare il nostro proprio stato di coscienza, al fine di servire o di valorizzare le nostre relazioni con gli altri, di deformare queste relazioni.".
Camera-oracolo, memoria, personaggio... comunque a essa è affidato lo sguardo di chi non c’è. E c’è sempre un personaggio che manca nei film di Egoyan, la scomparsa del quale anticipa e fomenta il dramma vissuto ‘in diretta’ dai protagonisti: la madre di Van in Family Viewing; il fratello di Clara in Speaking Parts; la moglie del fotografo in Calendar; la figlia di Francis in Exotica ecc. Speaking PartsL’idea della perdita è connaturata al linguaggio fotografico che mummifica, inchioda le cose e le persone al tempo in cui sono state riprese, ed Egoyan ne è ben conscio: "Cinema is a great medium to explore ideas of loss". Un intero film (Calendar) descrive la perdita della persona amata man mano che essa viene filmata e del rituale messo in atto per ricomporre gli indizi della perdita. Ma le foto e i videotapes si rivelano inutili perché è nel fuoricampo che il ‘tradimento’ ha luogo: "E’ strano, ma il ricordo più forte che ho non ha niente a che vedere con le chiese. Era quando con la macchina finimmo in mezzo a quel gregge enorme che sembrava non finire mai. Prendesti la telecamera e mentre filmavi lui mise la sua mano sulla mia e io gliela strinsi..." confesserà alla fine la voce lontana della ex moglie del fotografo. Ma Calendar è anche il documento di una riconquista, quella delle origini armene del regista dopo un’infanzia e un’adolescenza di totale rifiuto. E l’Armenia è presente in tutti i film di Egoyan, sotto forma di indizi smozzicati: la nonna di Van che si chiama Armen; Hera, e la sorella Seta (The Adjuster) che brucia le foto ascoltando la stessa canzone che poi la guida armena suonerà con la chitarra (Calendar); la stessa colonna sonora di The Adjuster e di Calendar elaborata sulle note di un diduk armeno; la strage degli innocenti in The sweet hereafter vista da molti come metafora del genocidio armeno...
Con Calendar, a mio avviso, siamo già in qualche modo oltre la tematica orwelliana, videofobica (o videofilica a seconda dei punti di vista) dei primi film di Egoyan. L’immagine video ritorna ad essere uno strumento utile a documentare un fatto, a rintracciare degli indizi scomparsi nella memoria, a riallacciare un rapporto o ad archiviarlo definitivamente. L’immagine video non informa più la vita reale ma si pone à-côté di essa; o viceversa, ma è lo stesso, trapassa completamente nel dispositivo cinematografico: Calendar è allo stesso tempo il video privato di Egoyan in viaggio in Armenia con la moglie Arsinée Khanjian e il video privato del fotografo lasciato dalla moglie.
Nel complesso, nei film di Egoyan si attua un progressivo impossessarsi dello spazio cinematografico da parte dell’immagine video di pari passo col suo sostituirsi alla coscienza dei personaggi. Il culmine del processo si ha con The Adjuster (Egoyan: "I think that The Adjuster went about as far as you could go in rendering characters almost completely absurd because of their inability to define themselves"): il trapasso è avvenuto, il cliché (la mistificazione) ha preso il sopravvento anche sull’immagine video che non può che svanire assimilandosi a quella cinematografica (il rapporto fra la vita di Hera e quella di Noah). In Exotica e in The sweet hereafter la videocamera e l’immagine video ritornano a filmare una famiglia felice, a custodire i ricordi privati, a documentare i punti di cedimento di una carcassa di scuolabus.
 
(Estratto da: Solitudini troppo silenziose : il cinema di Atom Egoyan / edito a cura di Alberto Scandola ; Cierre Edizioni, 1999)

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