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Kinski Il mio nemico più caro
Regia di Werner Herzog - Germania 1999

di Michele Travagli

 

In questo documentario il regista tedesco Werner Herzog torna sui luoghi che lo hanno visto legarsi al grande attore tedesco Klaus Kinski…quei luoghi magici e impetuosi, dove il regista ha ambientato le sue maggiori fatiche fisiche, artistiche ed economiche. Ma non è all'autoreferenzialità che mira l'autore, quanto piuttosto a descrivere e rendere vivo il ricordo dell'amico Kinski, morto otto anni prima della realizzazione di questa opera. Il racconto si apre su una esibizione teatrale dell'attore tedesco, che mostra fin dal principio quel carattere folle che lo accompagnerà per sempre…il viso tirato, gli occhi che spuntano da un volto sempre sul punto di esplodere ed una voce capace di improvvise impennate e di repentini sussurri. Il film, se così può essere definito, prosegue nell'evocazione di quei luoghi della foresta amazzonica e del rapporto che sussiste tra il regista e l'attore. Il racconto ironico, malinconico, commosso di Herzog che ricorda il suo nemico, è inframmezzato da brani dei film nei quali i due hanno collaborato e da interviste realizzate dallo stesso autore a colleghi e amici di Kinski. I protagonisti sono dunque tre: Werner Herzog, Klaus Kinski e la natura, quella natura romantica, nel senso ottocentesco del termine, amata – odiata, che si cerca di controllare e le cui forze risultano sempre soverchiare chi la avvicina troppo. La nebbia, l'acqua impetuosa, le montagne e le rocce, la foresta pluviale scorrono attraverso gli anni e quei paesaggi che avevano fatto da sfondo ai grandi sogni di Aguirre e Fitzcarraldo, si rivedono oggi, immutati ed immutabili, e mentre ieri mostravano la grandezza delle azioni impossibili ma riscattate nonostante l'insuccesso dalla grandezza dell'arte, oggi colorano di velata nostalgia i ricordi di chi quelle azioni le ha tentate. Si, perché Herzog ha compiuto lo stesso sforzo fisico dei personaggi che ha raccontato, e accanto a lui, parimenti accecato dal titanismo di quelle imprese, stava Kinski, con la sua follia difficilmente controllabile, con un'interpretazione sempre tesa, violenta, spasmodica, confusa spesso con la realtà. Le interpretazioni sopra le righe, infatti, Kinski le serbava per la realtà, per quanto mostra il documentario; le sue memorabili sfuriate, più accese e infuocate di quanto facesse vedere al pubblico nei film, erano per lo staff della produzione e tra i suoi bersagli non era escluso Herzog, grande amico – nemico. Celebre è il fucile che li separava, impugnato dal regista e rivolto all'attore, durante le snervanti riprese di “Aguirre Il furore di Dio”, pronto a sparare se Kinski non avesse ritirato i propositi di abbandonare il film.
Questo lavoro di Herzog si sviluppa in un anti – climax, che vede scemare man mano la forza e la presenza della natura per dare spazio ai ricordi di chi ha conosciuto Kinski, e, parallelamente scende anche la violenza che l'attore imprimeva alla vita e alle interpretazioni mostrandolo in rilassati colloqui e momenti scherzosi con Herzog, fino ad arrivare ad un finale di rara poesia.
La ripresa sempre pulita, l'occhio della macchina da presa con la sua immobilità o i suoi movimenti lenti e precisi, il montaggio lineare concorrono a far considerare il documentario come opera oggettiva, che nulla vuole aggiungere al ricordo di un uomo che già di per se era portato all'eccesso.
Il ritratto di Kinski che emerge dalle interviste realizzate dall'autore a Eva Mattes e a Claudia Cardinale è quello di un uomo senza dubbio difficile, dotato di straordinarie capacità, ma anche di uomo dolce, capace di abbracciare un'attrice che piange alla fine della realizzazione di un film.
L'amico Herzog è ancora, a otto anni di distanza dalla morte, commosso e affascinato, e le parole che iniziano il film, descrivendo la grande vena interpretativa giovanile di Kinski agli attuali proprietari della casa dove loro avevano vissuto, lasciano lo spazio alle immagini di una sorta di balletto fatto da Kinski con una farfalla, ripreso da un occhio – macchina da presa – innamorato di lui, che mostrano tra primi piani e dettagli, un uomo completo e compiuto, oltre ad un attore che sembra essere una star del glam rock, quasi fosse una sorta di David Bowie del cinema.

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