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Ogni maledetta domenica
Regia di Oliver Stone con Al Pacino, Cameron Diaz, Dennis Quaid, James Woods, Jamie Foxx e LL Cool J - Usa 1999

di Michele Travagli

 

Il football americano come metafora della vita, della guerra, della morte. Questa in poche, pochissime parole potrebbe essere la sintesi dell'ultima fatica cinematografica di Oliver Stone. La trama è esile e facilmente descrivibile: è la storia di una squadra di football nelle ultime partite della stagione, la storia di un allenatore neo – romantico, interpretato da Al Pacino, di un presidente di società donna giovane e arrivista, di giovani leoni che chiedono spazio e di vecchi campioni che si infortunano, è una storia di centimetri da conquistare per vivere o da perdere per morire. Lo spogliatoio si trasforma in trincea (“…e nessuno è ateo in trincea…” ci ricorda il cappellano dei Miami Sharks) e il campo da gioco diviene scenario di battaglia, dove i giocatori possono vomitare, rompersi ossa, morire o perdere un occhio.
Stone è prodigo nell'inserire alcuni dei suoi temi preferiti: il rapporto con i mass – media, la guerra, l'economicismo esasperato ed esasperante dei nostri tempi e le sue scelte estetiche proseguono il lavoro che il regista aveva compiuto prima della digressione avvenuta con
“U – Turn”: un lavoro che porta ad un cinema urlato e nevrotico, nervoso e snervante, che mira a mostrare i nervi scoperti della nostra civiltà, ma che è inadatto a farlo in quanto di questa società ricalca gli schemi. Ma in certi momenti “Ogni maledetta domenica” si fa crepuscolare, forse ottenebrato dall'alcool bevuto dall'allenatore Tony D'Amato, forse per addolcire un film che può sembrare all'autore troppo duro. Ad ogni modo è il film più “tenero” di Oliver Stone, incapace di mordere la carne viva del suo paese come in passato, incapace di approfondire i problemi legati al tema trattato, riuscendo soltanto a sfiorarli, a tracciare solo in superficie i confini di quella che ormai sembra essere soltanto una morale paternalistica.
Il parallelo che si crea tra i giocatori di football e i gladiatori dell'antica Roma è mostrato in modo didascalico, se non addirittura puerile, in una scena in cui Al Pacino che sta guardando nella sua casa la ormai troppo citata corsa delle bighe dal film “Ben Hur”.
La pellicola si sviluppa su due coppie antagoniste che dipanano un conflitto generazionale: la giovane presidentessa Christina Pagniacci con il giovane talento Willie Beamen, contro il vecchio allenatore e il vecchio campione interpretato da Dennis Quaid. In un sostanziale lieto fine, ( lo sberleffo finale di Al Pacino non rappresenta niente più che una burla), tutto si armonizza e giovani e vecchi capiscono errori e limiti… e, cosa quasi unica nella cinematografia di Stone, si nota scorrere un filo di melassa, imperdonabile per un autore che della disarmonia aveva fatto, pur in opere imperfette, un suo cavallo di battaglia.
L'incipit del film è tecnicamente accattivante, le scene di gioco sono catturate da una macchina da presa che alterna rapide accelerazioni e repentini slow – motion, immagini a fuoco e sfocate, riprese su carrello o a spalla, inquadrature in dettaglio si susseguono a campi lunghi che mostrano il campo ed il pubblico. Nello svilupparsi della trama lo stile slitta verso un appiattimento di marca televisiva, nonostante la velocità della inquadrature rimanga la stessa ( nel film si possono contare addirittura 3700 stacchi) è la loro qualità a mancare di qualcosa, e la matrice televisiva ,che tanto aveva dato nell' iper – realismo di “Assassini Nati”, svilisce parte delle inquadrature a porzioni di video clip.
Ma a Stone bisogna riconoscere l'onestà e la magnifica passione che mette nei suoi film, anche in quelli che, a mio avviso, appaiono sbagliati. E questo film mi appare sbagliato nella fase di scrittura, in cui si privilegia un tono paternalista, e nella fase del montaggio, troppo serrato senza reale necessità espressiva. La fase della direzioni degli attori è ottima, con un Al Pacino che mi sembra in buona forma e che evita un'interpretazione che sarebbe potuta facilmente trascendere in barocchismi vari e recitazione di maniera. Cameron Diaz è brava e bella, il ruolo che interpreta è per lei una novità, e il piglio sobrio e calzante che dimostra possono far scommettere sul suo futuro di grande attrice…Nota a parte per Matthew Modine, insipido interprete della buona coscienza dei medici sportivi, ben lontano dalla pirotecnica interpretazione del soldato Joker in quell'ormai remoto “Full Metal Jacket”.

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