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Orizzonti di gloria, di Stanley Kubrick
(Paths of glory, USA, 1955)

"Paths of glory lead but to the grave"
(Thomas Grey)

Kirk DouglasFrancia 1916, gli eserciti francese e tedesco si fronteggiano su chilometri e chilometri di trincee sparse, senza soluzione di continuità, tra la Svizzera e la Manica. La guerra di movimento si è da tempo mutata in una guerra di trincea e di logoramento che caratterizzerà le due grandi guerre del secolo rispetto a quelle precedenti. La tattica tradizionale non trova più spazio negli immensi scenari di battaglia non più osservabili nella loro totalità; il nemico ammucchia sacchi di sabbia, scava fosse per nascondersi agli sguardi degli avversari, per difendersi dai proiettili sempre più a lunga gittata, sempre più precisi e micidiali. Il nemico non fronteggia più, non avanza con la sciabola sguainata (Barry Lyndon, per esempio, e il progetto a lungo cullato da Kubrick di un film su Napoleone) ma vive nascosto sotto terra, in cima alla collina detta "Formicaio", e manifesta la propria presenza lanciando urla sibilanti di mortaio, alzando polveri e detriti che si spargono al suolo attorno ai crateri di un paesaggio lunare. Sono i dardi, è il moderno fragore di tuono di un dio arroccato e invisibile, inavvicinabile.
La ricostruzione al solito è realistica fin nei minimi particolari, il fatto narrato -tratto dal romanzo di Humphrey Cobb, letto in gioventù- realmente accaduto, ma ai dati di partenza Kubrick sovrappone una lettura allegorica di tutta la vicenda. Dei Titani vogliono oltrepassare i limiti/trincee imposti loro e, attraverso lo spazio aereo (caratterizzato com'è in senso sonoro e dall'uso di una "volatile" macchina da presa in mano allo stesso Kubrick) della "terra di nessuno", raggiungere le trincee aldilà, quelle occupate dal Dio-Nemico. Ma la loro hybris si infrange contro un "fuoco di sbarramento" che, a conti fatti, è soprattutto (ancora) sonoro: il colonnello Dax fa avanzare le sue truppe dirigendole dietro a sé col suono del suo fischietto finché, sopraffatto dal fragore delle detonazioni, non troverà più nessuno intorno e sarà costretto a tornare indietro. Umiltà e realismo mancano invece ai Superiori, ché l'impresa di scalzare Dio dal suo Empireo può venire solo a chi, per smisurata tracotanza, voglia a Lui sostituirsi, dimenticando le propria natura: il risultato non è l'acquisizione di caratteristiche divine, ma la perdita di quelle umane. E' questo ciò che accade all'impulsivo generale Mireau, accecato dal luccicare della stella (un astro) promessagli dal diabolico Broulard che, con ironia e sagacia, mette subito allo scoperto la di lui sconfinata ambizione ridicolmente camuffata da sentimenti filantropici per i "suoi" uomini. Quegli uomini -dei quali controlla i destini- diventano prima cifre percentuali, poi perdite calcolate, poi perdite "mancate" alle quali ovviare con una scarica di mitragliatrice autoinferta. La sete di vendetta, di un sacrificio che valga a risarcire la sua hybris frustrata, si applica infine su tre vittime simboliche sulle quali non pesano più i termini della innocenza e della colpevolezza, ma attraverso le quali si esercita l'umanità "da compiangere" di Dax.
In Orizzonti di Gloria, dato "il pacifismo e l'antimilitarismo come una irrinunciabile premessa, un lemma e non un teorema di cui dimostrare l'utilità" (Andrea Martini, Marsilio, 1999), è chiaro insomma, anche se non banalmente indicato come nel precedente Fear and Desire (dove soldati ammazzano nemici che hanno i loro stessi volti), che il nemico è invisibile perché semplicemente non esiste se non come conflitto interiore, primordiale, dell'individuo. Un nemico necessario a saggiare (per non dimenticare) i propri limiti. Per Kubrick: "Sebbene un certo grado di ipocrisia permanga a questo proposito, ciascuno è affascinato dalla violenza. Dopo tutto l'uomo è l'assassino più privo di rimorsi che sia apparso sulla terra. L'attrazione che la violenza esercita su di noi rivela, in parte, che nel nostro subcosciente noi ci differenziamo poco dai nostri primi antenati". Martini: "Lo schema di guerra si applica all'interno di un solo campo. La partita che si gioca tra i generali Broulard e Mireau e il colonnello Dax si svolge entro il perimetro del castello dalle architetture rococò". La dimensione ludica è connaturata a questo stile architettonico e ad essa partecipa il pavimento a scacchiera dell'ufficio del generale. Fissa kubrickiana il gioco degli scacchi, il risiko per eccellenza. Gioco e guerra vi si compenetrano assimilandosi in una logica ferrea nella quale il computo delle vittime esclude qualsiasi riferimento morale, vòlto com'è al semplice raggiungimento dello scopo finale. Non immoralità, ma a-moralità del gioco alla quale corrisponde quella dei partecipanti (il folle superomismo dei generali). Ma in un confronto senza avversari, in cui il Re mangia i propri pedoni, il meccanismo non può che cortocircuitare, svelare il proprio procedimento automatico (il "baco" che disumanizza il "troppo umano" Hall in 2001: Odissea nello spazio). Tutto il film procede con la logica binaria causa-effetto di un incalzante, inesorabile, gigantesco ingranaggio: l'ordine militare lo rivela nella parodia che sembra fare di se stesso (i macchinosi movimenti dei soldati per mantenere l'etichetta durante il processo e l'esecuzione). Mentre gli avversari si fronteggiano verbalmente, con dialoghi puntuali e concreti, che sfruttano tutte le carte della retorica (altro sintomo di "cortocircuito" del senso che si rivelerà platealmente durante il processo-farsa); oppure plasticamente, diversamente attraversando uno spazio "ottuso" che li accoglie alla stessa maniera (i lunghi, speculari carrelli del generale Mireau e del colonnello Dax nel budello di carne della trincea).
A esecuzione avvenuta, il piano del generale Broulard si svela a tutti i protagonisti della sfida e rivela la sua logica ferrea, inumana (una "trappola di gioco"): convincere il generale Mireau a compiere la folle impresa del Formicaio per potersi sbarazzare di lui, rivale scomodo presso lo Stato Maggiore. Ma nel confronto con Dax, la logica delle mosse di Broulard si scontra con un elemento inatteso, l'eccezione che conferma ancora una volta la regola matematica che sottende tutto il film: "Colonnello Dax, lei e una delusione per me, lei ha rovinato l'acume della sua mente guazzando nel sentimentalismo". Kubrick: "A prescindere dal suo orrore, la guerra è una forma drammatica pura, è una delle poche situazioni che ancora restano nelle quali gli uomini prendono apertamente posizione a favore di quelli che essi credono i loro principi. Il criminale e il soldato hanno almeno il pregio di essere a favore o contro qualche cosa, in un mondo nel quale molta gente ha accettato una specie di nulla grigio adottando una serie di comportamenti illusori che tuttavia considera normali."

Più che un film di guerra, Orizzonti di Gloria è un film sul meccanismo di guerra, e parallelamente sul meccanismo dei film di guerra. "In coerenza con un metodo costantemente seguito nel tempo, Kubrick parte anche questa volta da un testo letterario destinato nelle sue mani a costituire un apriori puramente formale. Altrettanto avverrà per Nabokov e Burgess, per King e Clarke. Testi differenti per stile e raffinatezza ma comuni nel destino di pretesti -al limite- ininfluenti rispetto alle elaborate costruzioni che, in seguito, vi vengono coraggiosamente soprapposte" (Martini). Ancora, dunque, un confronto di Kubrick con un genere, una "forma drammatica pura", per lavorarla al suo interno, evidenziarne la struttura sottraendole il "peso" fondamentale di una sua figura caratteristica: il Nemico (farà lo stesso anche in Full Metal Jacket). Un'altra conferma nel finale, presso la fureria. L'oste promette un'incantevole attrazione, e trascina sulla grezza pedana di assi una spaurita ragazza: eccolo il "nemico", la manifestazione di quella tonitruante furia. Come nella favola, il mago di Oz è senza sipario, e la sua manifestazione, ancora acustica, fa ora intenerire i soldati. La prigioniera tedesca, in lacrime, canta ai soldati francesi una canzoncina sull'eroismo dei soldati prussiani: "Perversione del regista di fronte all'assurdità umana: i soldati piangono per una canzone che esalta il soldato nemico, eco sferzante alla scena del ricevimento presso il generale Broulard, dove gli invitati francesi danzano un valzer viennese" (Yann Tobin, Positif, n.464). Non sfugga l'ironia: la rappacificazione avviene ancora una volta con l'assimilazione dell'Identico, scambiato/spacciato per Altro. Il gioco si sposta sul set: non solo un palazzo bavarese come quartier generale francese, ma anche soldati francesi che sono in realtà figuranti tedeschi che capiscono benissimo quello che canta loro Susanne Cristian, cioè la futura signora Kubrick. E così, tra i titoli di testa e quelli di coda, la Marseillaise si trasforma in Der Trauer Husar.

Manlio Piva

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