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Abitare il volo

di Umberto Fasolato

 

Fin dalle prime sequenze di Luna papa è il paesaggio a dominare la scena, le pianure ondulate di color ocra, le piatte e mobili superfici dei laghi che assomigliano a mari, e i fiumi, di cui non scorgiamo la riva opposta, c'impediscono di stabilire una misura del paesaggio, subito intuiamo che oltrepasseranno costantemente i limiti del quadro e insieme saranno sempre presenti per rimandare il limite della visione oltre le nostre capacità e le nostre proporzioni. Terre come mari, acque di fiumi e di laghi come oceani che mutano continuamente aspetto, colore, tonalità luminosa e raccontano lo stato d'animo dei personaggi.Il lago
Più che entrare nel quadro, il paesaggio di Luna papa lo eccede continuamente, cosicché l'ambiente esotico, orientale, tartaro (Samarcanda) e nomade in cui si svolgono le peregrinazioni della famiglia di Mamlakat si presenta come aperto, illimitato e indeterminato.
La prima di queste tre caratteristiche rende i margini del quadro continuamente attraversabili, da ogni parte entrano ed escono aerei, automobili, carri armati, treni, nessuna dimensione od orientamento dello spazio è risparmiato. L'inquadratura accoglie le traiettorie di schegge impazzite, che, scontrandosi, rilanciano il proprio movimento anziché arrestarsi, proprio come il nodo di un tappeto rilancia la sua tessitura. In verità, le figure che percorrono inesauste questa superficie sembrano dissolversi, volatilizzarsi dopo l'impatto oppure continuare il loro girovagare senza meta.Le sfrenate corse
Uno spazio illimitato, senza confini presenta un ulteriore sfumatura del concetto di aperto: in un ambiente del genere ogni traiettoria non presenta né inizio né fine, si presenta come un cerchio, dove il punto d'inizio è identico a quello terminale, proprio come i viaggi alla ricerca del padre del bambino di Mamlakat.
L'aggettivo indeterminato si può intendere con lo stesso senso degli sfondi leonardeschi, materia che mostra il proprio dinamismo grazie alla luce e al colore; orizzonte caotico, dove le forme si confondono, ma anche strato da cui prendono forma i protagonisti assorti nella contemplazione. Paesaggio lirico, manifestazione dell'interiorità dei personaggi, soprattutto di Mamlakat. Natura in continuo movimento, indicazione di un cosmo caotico ma vivo, un caos generativo, paesaggio come testimone di una condizione interiore e individuale che trascorre nel dinamismo della Natura.
Questa fusione richiede al soggetto contemplante un superamento dei propri angusti limiti individuali e Mamlakat è la figura maggiormente disposta all'estasi.
Così accade la notte della sua seduzione, lontano dal centro abitato, in un luogo in cui la natura prende il sopravvento sulle regole, le sistemazioni e le costruzioni del villaggio, in un punto da cui si può osservare il lago in tutta la sua smisurata estensione, Mamlakat scivola lungo il pendio; dalla descrizione della notte raccontata poi all'amica, ricaviamo non solo l'estasi erotica che la renderà agli occhi del villaggio "dissoluta", ma anche l'indicazione di una completa fusione con l'ambiente circostante, un'esplosione nella natura anticipata dalla descrizione del vestito bianco che aveva trasformato Mamlakat in una "nuvola", nell'idea di un corpo che ha dissolto la propria individualità in una dimensione superiore, più estesa, informe e soggetta a continue trasformazioni.
E' il volo che concretizza l'immagine di questa fusione, scivolare lungo il pendio non è altro che un "sinonimo" dello staccarsi da terra, del vincere la regola della gravità per mostrare una partecipazione completa e problematica alla vita del paesaggio, della natura che si manifesta come ordine cosmico.
Scivolare, slittare, perdere il contatto con la dimensione terrena diventa un punto d'accesso alla forma nascosta della Natura, al suo segreto principio creativo, generativo e insieme distruttivo, è un atto che allude al mondo soprannaturale dei morti soprattutto nelle forme di racconto mitico conservate nella cultura russa; Khudojnazarov utilizza costantemente queste immagini inverosimili e incongrue per articolare il senso del suo racconto. Non sono superstizioni orientali utilizzate per "colorare" il racconto, ma indicazioni chiare di un senso riposto oltre il semplice succedersi dei fatti che possono sembrare pretestuosi, fantasiosi e addirittura arbitrari.
Restando ancora nella notte della seduzione dobbiamo ricordare che tutto ciò si svolge alla luce della luna piena, simbolo femminile di fertilità, ma fertilità assoluta, fine a se stessa, fertilità come crescita pura che riproduce soltanto se stessa e nient'altro, Mamlakat accoglie in sé questo elemento dionisiaco del concepimento, un aspetto che produrrà segni necessariamente soprannaturali o sarebbe meglio dire contrari a qualsiasi regola e forza sociale; il concepimento di Mamlakat è "sregolato", puro e semplice, senza alcuna altra finalità, vita per la vita, vita che conserva se stessa anarchicamente e questo le costerà l'esilio e poi l'espulsione da qualsiasi contesto sociale, soprattutto quello rappresentato dal villaggio.
Khudojnazarov, con sapiente ironia dispone nella notte di luna piena la presenza di Dioniso grazie al teatro di attori ambulanti e decide per il seduttore l'assenza di volto, solo una voce suadente e nient'altro. Al di là del fatto che questa mancata identificazione innescherà i viaggi della famiglia, la via dell'esilio dalla comunità come presupposto narrativo, è importante rilevare fin d'ora come il padre del bambino sarà rifiutato da Mamlakat proprio quando svelerà la propria identità alla ragazza con l'intento dichiarato ed esplicito di "sistemarsi", di sposarsi per creare una famiglia in seno al villaggio, un orizzonte futuro intollerabile per Mamlakat che difende la propria pura vitalità, quella che porta in seno e che si è manifestata proprio nella notte della sua dissoluzione. Mamlakat difende il suo essere corpo della Natura, consapevole ormai che per difendere il proprio bambino deve evitare qualsiasi radicamento debole e inautentico, soprattutto la radice rappresentata dai padri.
Mamlakat è affascinata dagli attori girovaghi, dai truffatori dell'ambulanza, da tutti quelli che possiedono e sanno cambiare abilmente la propria identità, ma soprattutto da tutti gli uomini che sono condannati al nomadismo per vivere e nascondono però nel loro intimo il desiderio di porre fine a questa vita stabilendosi in una casa, un villaggio, in una famiglia, desiderio che, è bene ripeterlo, li condurrà a morte.
In ogni caso si tratta di individui marginali, proprio come Mamlakat che parla incessantemente con la madre morta, raccontandole la cronaca della propria vita, senza rispettare i tempi e i modi sociali di questa inconsueta comunicazione.Mamlakat presso il tumuloMamlakat, affascinata dal teatro e dal tumultuoso Shakespeare, è anch'essa un attrice nello sgangherato teatrino di paese che mette in scena proprio la fertilità primaverile come un racconto per bambini. Con queste connotazioni comiche e ironiche insieme, Khudojnazarov continua ad indicare la condizione particolare e nascosta della sua protagonista.Mamlakat vestita da frutto
Marginale è anche il fratello ritornato idiota dalla guerra, l'unico in grado di comprendere il segreto della sorella; lo zio del nascituro è un aereo, abita il cielo che distrugge e si accanisce contro la terra abitata e spartita del villaggio. "Crede che tutto sia vivo", così lo apostrofa l'amica della sorella, dice che i pesci volano e non ha poi tutti i torti, dato che l'acqua attenua e quasi cancella la forza di gravità. Nei voli sfrenati attraverso il villaggio, Nasreddìn è accompagnato dalla sorella e sarà proprio lo zio a inventare il tappeto volante, ad intuire l'unica via di fuga "reale" per Mamlakat, mentre il paese è in tumulto contro di lei.Mamlakat sul lettino del ginecologo
Su tutte le figure paterne, cade impietosa una giustizia celeste che poi si concretizza in avvenimenti assurdi, al limite della credibilità ma indicativi di uno svolgimento del racconto che scorre lontano dalla concatenazione dei fatti e si articola vicinissimo ad eventi paradossali dal sapore mitico. Il mito cancella i padri, rei di preoccuparsi non tanto per la sorte e la condizione della figlia, quanto per la trasgressione delle regole del villaggio.
Il segno tangibile di questa emarginazione non poteva essere che l'obbligo alla ricerca incessante del responsabile del "misfatto"; il villaggio e le sue leggi, cui però Mamalakat non appartiene, e nemmeno il suo bambino, impongono il nomadismo alla famiglia. A ben vedere si tratta dello stesso modo di percorrere una superficie illimitata, aperta e indeterminata compiuto dagli attori, dai soldati, dai treni: è un viaggiare senza meta, uno spostamento che si riproduce identico città dopo città senza aver mai fine. Gli attori si esibiscono teatro dopo teatro, Mamlakat, il padre e il fratello cercano un volto che nemmeno conoscono, seguono le peregrinazioni degli attori, distruggono teatri, ma non possono in nessun modo riconoscere il colpevole. Sono condannati ad un vagabondaggio senza fine, al puro e semplice viaggiare con uno scopo irraggiungibile, su questa tensione distruttiva si gioca anche il destino del nascituro, la sua figura concepita grazie al volo non si può radicare in nessun contesto sociale e insieme sembra condannata ad un movimento caotico, senza alcun orientamento e per di più interminabile.Mamlakat abbandonata
Le figure paterne vengono annientate, due dal toro caduto dal cielo e una, la principale, dalla rabbia "soprannaturale" di Mamlakat; quando ormai la storia sembra avviarsi ad un tradizionale lieto fine è la stessa protagonista a regolare i conti col proprio seduttore e alla fine con l'intero villaggio che vorrebbe obbligarla, secondo le regole, a sposarlo, ormai è ridotto a un vegetale.
Allontanandoci dalla successione dei fatti, e fermando la nostra attenzione sugli aspetti apparentemente incongrui della vicenda, quelli che potremmo definire "intrisi di superstizione", possiamo chiarire il senso della vicenda, raccontato proprio da questi nuclei incomprensibili.
Mamlakat dimostra una forza medusea, soprannaturale, che immobilizza e istupidisce proprio il seduttore, colui che senza volto, senza individualità l'aveva trasformata in corpo della Natura. In un altro punto del film, durante la gravidanza, ci viene mostrato un super potere che la madre, nella sua nuova unità col bambino, esercita su uno specchio: lo frantuma a distanza, al punto che è necessario coprire tutte le superfici riflettenti.
Quando il padre del bambino si rivela alla ragazza e subisce la sorte che ormai conosciamo, gli specchi sono tutti coperti in segno di lutto per la morte di Safar...potremo pensare che il bambino, un essere soprannaturale che però condivide la natura umana, che si è incarnato in Mamlakat, alla pari dei morti, non gradisca la presenza degli specchi. Queste superfici sono coperte proprio perché l'anima del defunto raggiunga la condizione perfetta, soprannaturale e la sua immagine non si fermi nella casa, non venga catturata dallo specchio.
Dobbiamo allora completare le caratteristiche di questo bambino prodigioso per comprendere il destino della figura materna che forma con il nascituro un'unità ormai inscindibile. Riepiloghiamo brevemente ciò che abbiamo già ricavato finora: il bambino giustizia le figure paterne, nato grazie al volo con un toro volante si libera del nonno e del padre putativo, che lo vogliono riconsegnare all'autorità del villaggio. Grazie al bambino che porta in grembo Mamlakat si libera anche del padre autentico, che avanza le stesse pretese e volontà dei precedenti.
Mamlakat sembra però a questo punto condannata ad un nomadismo interminabile, all'espulsione dal villaggio perché non ne segue le leggi e le regole, ma soprattutto sembra condannata ad un disorientamento vicino alla follia.
A ben vedere però la sua gestazione, per quanto magica, è pur sempre umana e stabilisce un tempo biologico improrogabile; il bambino che porta dentro di sé orienta il tempo della sua vita che sembra condannata, ad un caos negativo e sterile anziché creativo, generativo. Il legame biologico tra le due figure della madre e del figlio sembra indicare una soluzione positiva, ma non meno problematica, per l'esistenza dei due esseri così intimamente congiunti.
Fin dall'inizio del film, quello che abbiamo definito "bambino prodigioso" conduce con interventi brevi e mirati la vicenda, descrive e commenta, ma anche agisce direttamente come un regista che osservi tutti gli avvenimenti dal di fuori: solo così può predisporre l'assassinio del ginecologo pronto all'aborto. Il suo concepimento porta i segni inequivocabili del volo e della compenetrazione totale tra natura e individuo, quando parla, la sua voce proviene dalle acque del lago o da una posizione aerea che domina dall'alto ogni avvenimento.
Insomma è insieme dentro la madre e fuori di lei, un essere estatico, che racconta osservando quella che afferma essere la sua nascita. Intanto la sua gestazione è misteriosa, carica di eventi inquietanti che possono dare adito a credenze superstiziose, incongruenze alla verosimiglianza che abbiamo imparato ad unire insieme per proporre un nuovo e più sottile quadro di tutta la vicenda.
Occhio onnipresente e insieme oggetto della narrazione, figlio del volo, possiamo considerarlo "sospeso" e osservante la superficie illimitata della terra come il feto di 2001: Odissea nello spazio. Non voglio paragonare e confrontare i due film e tanto meno i due autori, ma mi sembra decisivo fermare in immagine quello che Khudojnazarov sistema nella struttura narrativa della vicenda che diventa il racconto di un già nato-nascente, che si libera dei padri, una figura che sembra uscita dai racconti mitici sulla genesi del Tempo. Bambino dai super poteri, il Tempo è il segreto protagonista del film e forse anche l'odissea kubrickiana potrebbe essere illuminata dall'idea espressa nell'immagine del volo, così come viene concepita dal pensiero russo i cui segni sono così evidenti nel nostro film.
Il tetto in voloPer noi, questo feto sospeso in un volo che esplicita una tensione estatica, un desiderio di congiungimento universale e cosmico, al di là di qualsiasi legge e regola puro segno della vitalità della Natura, manifestazione del Cosmo, diventa il punto di riferimento per la vicenda materna, la fine del suo vagabondaggio, del suo nomadismo informe, senza scopo, né meta: un nuovo volo, stavolta diretto verso l'alto e non solo uno scivolamento, non diventa semplicemente la fuga dal villaggio ostile, ma una vera e propria nascita, un ricongiungimento con la propria forma originaria, quella stessa forma vitale comune alla natura e insieme interna a Mamlakat.
Solo con un nuovo distacco da terra poteva chiudersi la vicenda di Mamlakat, il suo nomadismo ora manifesta l'aspetto orientato del volo che diventa una nuova e definitiva congiunzione con la natura concepita come Cosmo. Così, nella forma del ricongiungimento, la nascita riacquista tutta la propria organicità, l'essere parte di un tutto che preesiste ad ogni suo elemento e che in ogni elemento si manifesta e si differenzia, proprio come un embrione.

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