Lo sguardo killer del mare
di Umberto Fasolato
Senza titoli di testa ci viene presentato subito un enigma da
sciogliere: il pesce infilzato blu contro fondo rosso. Credo sia
difficile attendere una soluzione, nel frattempo però
possiamo notare che l'immagine ruota in senso antiorario e inizia
da un piccolo particolare delle squame per mostrarci alla fine
del giro l'intero simbolo di morte che apre Sonatine.
Nella minuscola squama ingigantita notiamo la scrittura del mare,
delle microscopiche onde che contrassegnano il pesce, ma il
fluido in cui si trova immerso è rosso, i due colori si
rafforzano a vicenda proprio contrastandosi.
Siamo già vicini al mare, anche se la storia
ripartirà da Tokyo. Il pesce non tarderà ad essere
la figura del protagonista, il preannuncio della sua fine, ma in
ogni film gangster conosciamo già il destino delle figure
che lo popolano, specialmente dei protagonisti; quando affermano
di "volersi tirare fuori", significa che devono
morire. In questo aspetto fondamentale del genere Kitano non
introduce nulla di nuovo, anzi adatta perfettamente le sue figure
a questo "sfondo"; del resto, solo a questa
condizione, solo a patto di osservare figure e non personaggi,
possiamo condividere la sorte della banda yakuza di Kitano,
crudele ed efferata: indicando in ogni loro gesto "l'essere
gangster" e non un personaggio gangster mimato, ci
consentono di assistere al lavoro della morte.
Più che separare l'attore dal personaggio e dalla
rappresentazione, si tratta di straniare il personaggio da se
stesso, disporre la sua "anima" nel "corpo
cinematografico", trasformandolo così in figura;
unendo strettamente il corpo e l'anima cade il primato
della seconda sul primo, la marionetta si trova immersa in un
reale di cui dobbiamo distinguere i fili, i legami che stringono
inesorabilmente le figure allo sfondo.
Queste figure non affidano alla parola il compito di spiegare
lo stato della coscienza, ricostruendo così un'area
"protetta", separata dal reale messo in scena. Le
personae di Kitano dialogano pochissimo e sembrano sempre
contraddire le nostre attese "psicologiche" in ogni
inquadratura: i volti non si piegano alla nostra indagine delle
passioni, come autentici specchi accolgono tutto e tutto lasciano
andare, nulla trattengono, impassibili e fragili, come una carta
che mostri solo le proprie fibre "naturali" e attenda
di essere scritta dalla morte.
I protagonisti del film di Kitano agiscono senza esitare. Il
gesto è la loro parola nel reale e non più in una
rappresentazione. Simmetricamente non c'è uno sfondo alle
azioni, uno spazio "diverso" dal personaggio e per
questo controllabile, descrivibile, "attendibile", un
contenitore delle azioni, una prova per tutte di questa
situazione è la spiaggia dove i gangster finiscono la loro
corsa.
E' un ambiente completamente estraneo al genere e alle
attese dello spettatore, che riconosce soprattutto lo spazio
cittadino dell'incipit di Sonatine come luogo ideale per
un gangster film. Il rilievo assunto dalle "scene al
mare" condivide questo straniamento e la manifestazione del
reale mortifero; così i gangster non muoiono al posto
nostro sullo schermo, ma ad essere impietosamente distrutta
è la nostra illusione di assistere ad una
rappresentazione, un'immagine che risolva l'enigma della morte;
invece l'enigma ci è offerto, attraverso l'immagine
cinematografica e la sua composizione, allo stato puro e
insolubile. E' la morte che agisce, in maniera dichiarata,
diretta e sottile, ma evidente nella composizione dell'immagine,
morte dell'illusione offerta dalla rappresentazione e per questo
simbolo misterioso del reale.
Il pesce infilzato ci sembra meno misterioso, forse anche un
comico gioco di parole e figure; una manipolazione che prende
alla lettera, concretizza in un'immagine il nome
dell'animale, potrebbe trattarsi di un pesce balestra,
forse di un balestra pagliaccio delle barrire coralline
pacifiche. Questa "arma", costruita grazie ad un
procedimento comico, punta qualcosa, forse ruota per indicare il
gesto d'osservare con attenzione.
Il serbatoio del senso non è ancora esaurito: giocando
sulla grafica del titolo, Sonatine è una serie di
fiocine nuovamente puntate verso l'alto, naturalmente armi rosso
sangue. Poi, ricordando didascalie godardiane, la parola, dotata
di significato, si "decompone" in una successione di
lettere, di suoni; in un successivo passaggio, grazie ad
un'altra eliminazione, una filtrazione, appare il termine
"san", padrone, signore in giapponese. Da un contesto
visivo e fonetico, ai nostri occhi indeterminato per quanto
riguarda il significato, incontriamo una parola, che subito ci
attrae, ma senza esitare, Kitano ci nasconde ancora delle lettere
lasciando solo la "a" e di seguito la prima parte del
film. Il significato affiora da una ricombinazione, da
un'anagramma che ci ricorda Godard, soprattutto quello di
Pierrot le fou. Affiora l'insistente, ma
"discreta" indicazione di un lavoro di composizione,
di scrittura cinematografica che coinvolge ogni elemento
dell'immagine, anche la parola del titolo è solo un punto
della circolazione del senso, non raccoglie il significato
dell'opera ma ne rilancia l'interpretazione, indicando per
esempio una forma complessiva di tipo musicale.
Una sonata, una sonatina, un esercizio per un solo strumento
musicale e comunque non per il canto, la parola non entra nella
composizione. La sonata è tripartita (esposizione,
sviluppo, ripresa), ma unitaria e porta alla luce un contrasto,
una drammatica opposizione che deve essere risolta. Così
per noi sembrano distinguersi le vicende in città, a
Tokyo, quelle sulla spiaggia e infine la ripresa, la vendetta che
diventa punto terminale, una catarsi, la chiusa in crescendo
dell'opera della morte.
Un pesce "complicato", un segno che ci invita a
continue interpretazioni senza trattenerne una, non possiamo
abbandonarlo senza aver prima considerato che la rotazione della
freccia è accompagnata da un passaggio dalla microscopica
squama all'intero pesce infilzato. E' un "gesto"
inerente all'immagine, compiuto spesso da Kitano in punti
cruciali dei suoi film.
Immaginiamo un pennello nell'atto di tracciare un ideogramma:
le differenti pressioni del polso saranno raccolte dalla carta e
il segno si farà testimone del movimento, del gesto che
l'ha prodotto, grazie ai differenti spessori della linea che lo
determina, che l'ha portato alla luce. La profondità
è una pressione, non la misura di una distanza; il segno
indica, significa questa forma vuota dello spazio che lo
accoglie. Allo stesso modo lo spazio nell'immagine di Kitano
è vuoto e tra i segni che ci indicano questa unità
strutturale compare proprio il colore, soprattutto il colore del
mare e della sabbia nelle spiagge oceaniche.
L'improvviso cambio dimensionale, dall'astratta squama
romboidale, tatuata dalle onde, all'intero pesce, immerso in un
mare di sangue, diventa il segno di una pressione che varia nel
tempo, si direbbe che la zoomata all'indietro sia un sollevamento
del pennello dalle fibre della carta. E' una pressione che
non distrugge, non perfora il supporto della scrittura;
quest'ultimo, invece, si frantumerà sotto i nostri
occhi come un vetro fragile, lasciando il posto al fondo nero del
titolo rosso.
Kitano è molto parco nell'uso dello zoom, non ricordo
nel film un altro esempio così vistoso, ma in
Hana-bi ritornano zoomate all'indietro nei quadri iniziali,
ma quella più vistosa dà forma allo sguardo del
pittore Horibe che osserva il suo "stare tra i
ciliegi", una delle sue tele naïf dove il contemplante
guarda nel vuoto davanti a sé, mentre è la natura
primaverile a vegliare su di lui.
Lo zoom, ovvero lo sguardo che si posa su una superficie o da
questa si solleva, comunque la lascia intatta, non la attraversa,
non si spinge oltre, una pressione particolare,
"sensibile" nello svolgimento dell'immagine, si
direbbe un passaggio da superficie a superficie, dalla
microscopica squama al mare di rosso sangue passando per il blu
intenso della copertura del pesce pagliaccio. Un occhio dalla
sensibilità superficiale, volutamente tattile: dietro
c'è soltanto il nero su cui si dipinge il titolo nei
caratteri e nei modi che abbiamo già analizzato.
Il segno su cui insiste Kitano in questo incipit è la
superficie: la squama, i colori in contrasto a campiture uniformi
(blu e rosso), l'immagine come superficie vetrificata che si
frantuma, il titolo e la sua lettura come un anagramma giocato
sull'apparenza delle lettere, la zoomata all'indietro che cambia
la nostra percezione delle superfici (cambia i colori); ogni
elemento sembra suggerire la presenza attiva di uno sguardo a
diretto contatto con l'immagine la cui apparenza è giocata
dalla superficie e dalla possibilità che l'occhio la
esplori come tale.
Un occhio sensibile più che "conoscitivo",
viene dato maggior risalto al primo aspetto mentre il secondo
è messo alla prova dagli strati di senso di cui si compone
l'inquadratura. Questo primato della superficie evidenzia anche
un fattore "sinestetico": la zoomata diventa il segno
di un occhio che tocca le superfici registrando diverse
"pressioni", mostrando vari spessori. Uno sguardo che
legge l'immagine "senza vedere", ma anzi riceve
dall'immagine stessa gli impulsi per costruirla e
comprenderla. Un punto cieco della visione, un aspetto
"sotterraneo" che indica un legame sensibile con le
cose osservate, un indice dell'origine della visione nascosto
nella struttura del quadro.
"Solo un'immagine", senza illusioni, un'immagine
dal significato non facilmente afferrabile, anche restando alla
semplice interpretazione delle cose che si vedono, senza
addentrarsi nel "come si vede". Il pesce
balestra-pagliaccio dipinto da Kitano in questo incipit potrebbe
essere anche un velato omaggio al film "I clown" di
Fellini, autore seguito con molta attenzione dal nostro regista,
ma credo si tratti soprattutto di un indice del protagonista, che
sulla spiaggia si comporterà proprio come in un'arena del
circo, dove i pagliacci cambiano ininterrottamente senso
all'agire umano, segnandone così l'irrimediabile
frustrazione.
Se siamo spinti dalla curiosità "ittica"
suscitata da quest'immagine iniziale, possiamo
"documentarci scientificamente" e aggiungere che
potrebbe trattarsi di un pesce della barriera corallina molto
rissoso e dal comportamento territoriale, un vero yakuza che
difende e comanda il proprio territorio, come Murakawa. A parte
queste note, che intendono essere soprattutto provocatorie e
paradossali, non dobbiamo dimenticare l'importanza cruciale
dell'incipit, che spesso è affidato a singoli quadri
o disegni di Kitano, "elaborati cinematograficamente"
per suggerire ed estendere il senso del film, come accade ne
L'estate di Kikuijro e in Hana-bi.
Murakawa è il capo settore di una famiglia yakuza in
un'area di Tokyo particolarmente ricca, in questo ambiente egli
è il "centro", quando si muove disegna la
traiettoria di un centro in movimento, cioè un asse
attorno a cui si struttura lo spazio. Questo accade nelle due
panoramiche laterali che comprendono la parte di presentazione
del protagonista nel prologo: Murakawa è il perno di ogni
spostamento in atto e tutto si ordina intorno a lui.
L'essere centro, che corrisponde all'essere capo, al
controllare una zona, è ribadito dal modo con cui Kitano
svolge i vari episodi intorno a questa figura: le tre vicende
principali (lo strozzinaggio "mortale" alla casa da
gioco, il cameriere punk e la decisione di partire per aiutare
una "famiglia" in difficoltà) si svolgono
concentricamente intorno a Murakawa, costruendo quasi delle
cornici al personaggio, cornici al suo ritratto.
A rompere questa simmetria si insinua la volontà di
Murakawa di farsi da parte, di uscire dalla vita attiva degli
yakuza; letta attraverso la nostra lente
"strutturalista", questa volontà corrisponde
ad un decentramento, un abbandono della cornice e dello spazio in
cui il protagonista riconosceva la propria identità. Il
viaggio a Okinawa svolge proprio quest'aspetto sotterraneo del
prologo, appena accennato dal protagonista in auto con il proprio
braccio destro; la volontà di uscire di scena diventa un
confronto diretto con la morte, la scomparsa della figura,
l'emergere dello sfondo, la prevalenza dello sguardo sulla
cornice stabilita dalla visione: Kitano dispone trappole visive,
sonore e narrative ovunque per far "morire" le nostre
attese, in particolare quella che aspetta la rappresentazione
della morte grazie ai gangster. Lo svolgimento della sonata si
oppone dialetticamente al codice, al tema strutturale che
riconosciamo nel prologo, ma conserva inalterata, anzi esaspera e
mette a nudo la tensione dell'intera struttura giocando sulla
comprensione dell'immagine; tracce di questa volontà
estrema sono proprio i giochi dei clown sulla spiaggia, i loro
gesti, apparentemente restituiti ad un'umana quotidianità
(lavarsi, vestirsi, divertirsi), rivestono invece il compito
particolare di mostrare una messa in scena in atto, la creazione
di un'immagine e nient'altro.
Ad essere rovesciate sono le premesse della rappresentazione,
le leggi del codice gangster, ma la tensione passa all'immagine,
alla sua composizione grazie alle figure che popolano la
spiaggia, e alla presenza attiva ed inquietante del mare. Al di
là della sensazione soggettiva di malinconia ed
inquietudine che gli spettacoli sulla spiaggia riescono a
produrre, è proprio il ruolo attivo dello sfondo, non
più semplicemente descrittivo, contenitore dell'azione,
che ci coglie di sorpresa.
Non più sfondo ma paesaggio, l'elemento che sta tra le
figure e ci riconsegna l'unità dell'immagine sotto forma
di una tensione inalterata rispetto alle premesse del genere
gangster, anzi, acuita, perché inscritta nel corpo
sensibile dell'immagine e non solo nel suo significato, nei suoi
elementi rappresentativi.
Primato del paesaggio nel dramma dell'immagine e non
più semplicemente della rappresentazione; i segni di
questo inarrestabile spostamento sono già presenti nella
"gita ad Okinawa", che dovrebbe essere una missione
quasi di guerra tra famiglie, un aiuto per una vendetta. Ancora
più significativa è l'azione con la bomba, quasi un
gesto da football americano o una corsa alla base in una partita
di baseball, come ci conferma l'inquadratura successiva di questa
sequenza: in attesa di essere ricevuti dal capo clan ospite,
Murakawa e i suoi ascoltano una partita di baseball e lo stesso
Murakawa, insieme al fido braccio destro, mima la posizione
accovacciata di un ricevitore in base.
Un'immagine si giustappone ad un'altra ma non più
seguendo una necessità narrativa che ne metta in primo
piano la consequenzialità, anzi, da un 'immagine ne
scaturisce un'altra che segnala un'imprevista unità
tematica tra le due: il tentativo di portare una bomba nel covo
avversario allude ad un gesto sportivo a metà tra il
baseball e il football americano. Il gioco si infiltra nei codici
della rappresentazione tipici del genere e mostra l'immagine come
punto critico della rappresentazione stessa, ne mostra i limiti e
superandoli si avventura in un territorio dove il senso non
è più translitterabile perfettamente eppure rimane
sempre evidente nel suo procedere, indicato da segni che abbiamo
il compito di scovare.
Seguiamo allora i giochi, i "momenti quotidiani"
dei gangster sbarcati sulla spiaggia deserta, che rappresentano
le fratture più significative inferte al genere. La
presenza del mare in Sonatine non è naturalistica,
l'inquadratura, la scelta della luce meridiana, la distanza
da cui è ripreso e trasformato in uno strato di colore,
l'evidenza della linea dell'orizzonte costituiscono
alcuni dei segni con cui prende forma l'immagine dominate
del paesaggio dove s'inseriscono le figure dei killer. Il
mare costituisce il principio unitario che informa
l'immagine, i gangster sono soltanto parti di questa
unità; se il mare rappresenta l'Aperto,
l'assenza di confini, l'indeterminato che accoglie
ogni traiettoria come orizzonte estremo e sempre mobile, dovremo
identificare il modo con cui interagisce coi protagonisti, la
pressione che esercita costantemente su di loro e che spesso
è testimoniata dai loro gesti, ricordiamo soltanto la
processione in fila indiana per spostarsi in una parte di
spiaggia dove giocare a freesby.
Mare, vacanza e gioco sono termini che si richiamano tutti ad
uno stesso campo semantico, ma la nostra impressione è che
il gioco sia l'ultimo strumento per allontanare la morte,
per prendere tempo, per prepararsi al suo avvento dopo aver
trascorso un'intera esistenza sentendola incombente, come
aveva detto Murakawa all'inizio del film. Vacanza di
Murakawa dal "trono" ambito dai rivali e quindi
allusione diretta alla morte, se si desidera rientrare
nell'alveo del genere gangster, ma conviene non seguire
troppo da vicino la vicenda narrata proprio nel punto in cui la
storia, la successione dei fatti, si "dilata", quasi
al punto di perdersi, l'elemento più importante
rimane la persistenza della tensione, acuita dall'inazione,
dai giochi inventati da Murakawa.
Di fronte al mare osserviamo una sfida aperta alla morte con
il preciso scopo di allontanarne l'avvento incombente.
Giunto sull'isola dei morti, il gangster non trova di
meglio che giocare, iniziando di fronte all'Aperto che ci
colpisce per la linea perfetta dell'orizzonte imposta al
nostro sguardo. Mare, morte, Aperto e sguardo, Kitano-Murakawa
comprende l'impossibilità del rifugio nella
coscienza, la morte lo sopravanza, il gangster prende tempo per
il corpo, per la figura potremo dire, che deve comprendere un
legame con il mondo di cui l'oceano, l'Aperto sono
testimoni. Il gioco per prendere tempo, oppure la scrittura della
vita per allontanare la morte, la dissoluzione come in Pierrot
le fou di Godard, un'opera osservata con molta
attenzione da Kitano.
Che cosa significa il gioco sulla spiaggia delle figure di
Kitano o la scrittura malinconica e disperata di Pierrot in
Godard? Il fine l'abbiamo individuato, ma il senso del loro
agire, l'unità sottesa ai loro gesti indica un
legame inaccessibile a un significato preciso. Lo sguardo del
mare materializza il sicario e indica spietatamente questo legame
la cui caratteristica fondamentale sembra essere proprio
l'inafferrabilità, il suo essere incomprensibile, ma
non per questo assente.
Non ci resta che analizzare la sequenza dell'arrivo del
killer sulla spiaggia per esplicitare il problema appena
suggerito. Innanzi tutto è l'unica sequenza dove
viene adoperato esplicitamente un punto di vista "tra le
onde", la macchina da presa inizia la sequenza partendo dal
mare e non da terra come aveva sempre fatto finora. Il primo
campo totale della spiaggia indica l'arrivo del sicario e
la presenza effettiva della morte, anche se non ancora percepita
dai protagonisti intenti ai loro giochi.
Senza seguire passo dopo passo la sequenza, diremo che la
morte stampa i suoi effetti sul volto di Murakawa sacrificando la
figura di un suo compagno. Il capo e la sua donna sono protetti
dalla barca, il killer dopotutto è l'alfiere della
visione, colpisce infallibilmente un bersaglio a portata della
sua arma, una vera e propria estensione della sua volontà
e del suo occhio. Ma quel che ci interessa è il volto di
Murakawa, la sua impassibilità e insieme la sua
fragilità di fronte alla morte al lavoro. Che tutto
ciò non sia semplicemente una rappresentazione, lo
testimonia proprio la posizione di Murakawa al vertice di un
triangolo orientato verso il basso, dove la sequenza si
"apre", dove il contro campo non è possibile:
Murakawa è l'unico che non può vedere e deve
subire la presenza inafferrabile e incontrastabile della morte,
non si può voltare, disarmato deve subire l'azione
della morte sulla figura del compagno e percepirne la presenza
incombente. La barca abbandonata sulla spiaggia è un
rifugio fortuito, ma è anche un oggetto
"didattico", un ostacolo alla visione precisa e
infallibile del killer, che svela lo sguardo della morte
prontamente riflesso dal volto di Kitano-Murakawa. Sguardo
inafferrabile, incombente, sguardo a cui non si può
replicare con un contro campo, così resta una tensione
caricata sul volto.
Visivamente il mare appare come uno strato pennellato in
un'immagine ostinatamente bidimensionale, senza la pretesa di
riempire una superficie; le strisce del cielo e della sabbia
completano l'intero quadro su cui prendono vita le figure dei
gangster. Come spiegare tanto accanimento per una camicia vistosa
(rossa) se non in rapporto allo "sfondo"? Se dare
importanza al cambio dei vestiti diventa un'evidente
dilatazione rispetto a i canoni del genere, essa è
comunque sempre mirata, rientra nella linea dell'orizzonte
sottile ma ben tesa del paesaggio. Il racconto passa attraverso
il gioco dei colori, senza fermarsi al loro valore simbolico.
Sono gli elementi dell'immagine a produrre il dramma, mentre
la storia, la successione dei fatti, è passata in secondo
piano. Questo tipo di racconto tende la storia fin quasi a
distruggerla, quasi sospesa è la narrazione, ma non il
dramma che si consuma "internamente"
all'immagine.
L'evidenza del mare è poi sempre giocata
"audiovisivamente", moltiplicando gli stimoli che la
rendono un'immagine limite; l'oceano non è soltanto
la striscia che vediamo dipinta tra le figure, ma è anche
l'ininterrotto rumore sordo della risacca, dove si perdono e
vengono assorbiti tutti i suoni.
La sua presenza durante la notte è affidata solo al
suono delle onde, mentre un blu di Prussia oscura e rende
indistinti tutti gli elementi dell'immagine, figure comprese. In
questa rappresentazione dell'indefinito, dell'indeterminato
notturno si infiltra un'indicazione singolare: le figure in
azione sono rese "appena visibili" da una tenue luce
che scambieremmo per quella lunare, se non disegnasse sul terreno
il cerchio preciso di un faro. Kitano si dispone alla giusta
distanza per mostrarci tutto ciò anche nel finale, quando
la compagna di Murakawa ripete inutilmente i giochi notturni dei
gangster sulla spiaggia deserta, nel circo abbandonato. Il blu
cancella qualsiasi figura, salvo quelle che rientrano nel tenue
occhio luminoso, che suggerisce il faro di un circo o più
semplicemente la discreta presenza della luce che dà forma
all'immagine cinematografica, sottraendola alla scomparsa; nello
stesso tempo persiste comunque l'incombente presenza
dell'indistinto, affidato al colore della notte, una
tonalità più scura del blu oceanico.
Sulla spiaggia si era disegnato un circolo vuoto fin
dall'arrivo dei sopravvissuti alla strage cittadina. Durante la
roulette russa, trasformata in pura immagine della paura dal
gioco di prestigio che sottrae i proiettili dal tamburo, la
macchina da presa ruota intorno ai personaggi avvolgendoli nel
paesaggio. Nessuno è nel mezzo, i tre fanno cerchio;
ruotando, la macchina da presa dispone al centro e
simultaneamente intorno alle figure il paesaggio. Il centro
vuoto, non più occupato da Murakawa è ora il
paesaggio, la spiaggia, il mare e il cielo.
Nel cerchio del sumo le azioni sono gesti rituali, pensiero
che prende voce in posture del corpo, in pose che si disegnano
sullo sfondo giallo di sabbia, ma di questa scrittura ci colpisce
l'atto di metterla in scena. Le figure dei lottatori vengono
"agite" come nel gioco le figurine di carta, le
immagini di guerrieri. Kitano non ci mostra soltanto questa
indicazione ma si spinge oltre: dopo questa messa in scena,
Murakawa osserva il suo più fedele compagno mentre si
interroga gesticolando su ciò che ha visto nel il cerchio;
si domanda, ripetendo i gesti dei contendenti, come tutto
ciò abbia potuto svolgersi. Il vice capo tenta di imitare
il gioco delle marionette, di riprodurre lo scambio tra animato e
inanimato che si legge nel gesto, nel rapporto tra figura e
sfondo.
Chiudendo in questo modo la sequenza, Kitano mette ancora in
risalto la fragilità dell'immagine, l'essere solo un
immagine senza alcuna pretesa illusionistica e per questo
suggerisce come limite il processo con cui è stata mesa in
scena. Tra i segni che indicano i confini dell'immagine rientrano
allora non solo le luci notturne, ma anche il gioco così
come si è svolto sulla spiaggia e non solo: la vendetta di
Murakawa diventa l'ingresso in una sala cinematografica dove le
luci si spegneranno per dar vita allo spettacolo; l'unica fonte
sarà il proiettore-fucile impugnato dal nostro
protagonista.
Poco prima, ancora sulla spiaggia insieme alla donna,
avevamo assistito agli stessi bagliori riflessi sui volti e
provenienti dal fucile mitragliatore. Nonostante l'immagine si
offra a questa interpretazione che rasenta la
metatestualità, senza però mai fermarsi a questo
livello, la tensione rimane altissima; anzi, si avvia al punto di
rottura senza che più nulla possa arrestarla.
Il suicidio era preannunciato dalla risposta di Murakawa alla
compagna che diceva di amare gli uomini coraggiosi, quelli che
sparano senza pietà. Non è il contenuto della
sequenza finale a sorprenderci, ma la forma con cui lo
osserviamo: per suicidarsi Murakawa sceglie di arrestare la
macchina proprio sul punto di rendersi visibile all'amica che lo
attende dall'altra parte del dosso. Rendere impossibile ogni
controcampo, frantumare la linea di congiungimento della visione,
la linea della salvezza, mostra la morte al lavoro più
efficacemente di qualsiasi rappresentazione. Poco importa
assistere al suicidio di Murakawa, il senso della morte, della
scomparsa, della dissoluzione sta tutto in quello sguardo non
ricomposto, il vero colpo esploso nella sequenza è il
controcampo impossibile con la morte, il suo sguardo incombe alla
pari della presenza del mare.
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