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Lo sguardo killer del mare

di Umberto Fasolato

 

Senza titoli di testa ci viene presentato subito un enigma da sciogliere: il pesce infilzato blu contro fondo rosso. Credo sia difficile attendere una soluzione, nel frattempo però possiamo notare che l'immagine ruota in senso antiorario e inizia da un piccolo particolare delle squame per mostrarci alla fine del giro l'intero simbolo di morte che apre Sonatine. Nella minuscola squama ingigantita notiamo la scrittura del mare, delle microscopiche onde che contrassegnano il pesce, ma il fluido in cui si trova immerso è rosso, i due colori si rafforzano a vicenda proprio contrastandosi.
Siamo già vicini al mare, anche se la storia ripartirà da Tokyo. Il pesce non tarderà ad essere la figura del protagonista, il preannuncio della sua fine, ma in ogni film gangster conosciamo già il destino delle figure che lo popolano, specialmente dei protagonisti; quando affermano di "volersi tirare fuori", significa che devono morire. In questo aspetto fondamentale del genere Kitano non introduce nulla di nuovo, anzi adatta perfettamente le sue figure a questo "sfondo"; del resto, solo a questa condizione, solo a patto di osservare figure e non personaggi, possiamo condividere la sorte della banda yakuza di Kitano, crudele ed efferata: indicando in ogni loro gesto "l'essere gangster" e non un personaggio gangster mimato, ci consentono di assistere al lavoro della morte.
Più che separare l'attore dal personaggio e dalla rappresentazione, si tratta di straniare il personaggio da se stesso, disporre la sua "anima" nel "corpo cinematografico", trasformandolo così in figura; unendo strettamente il corpo e l'anima cade il primato della seconda sul primo, la marionetta si trova immersa in un reale di cui dobbiamo distinguere i fili, i legami che stringono inesorabilmente le figure allo sfondo.
Queste figure non affidano alla parola il compito di spiegare lo stato della coscienza, ricostruendo così un'area "protetta", separata dal reale messo in scena. Le personae di Kitano dialogano pochissimo e sembrano sempre contraddire le nostre attese "psicologiche" in ogni inquadratura: i volti non si piegano alla nostra indagine delle passioni, come autentici specchi accolgono tutto e tutto lasciano andare, nulla trattengono, impassibili e fragili, come una carta che mostri solo le proprie fibre "naturali" e attenda di essere scritta dalla morte.
I protagonisti del film di Kitano agiscono senza esitare. Il gesto è la loro parola nel reale e non più in una rappresentazione. Simmetricamente non c'è uno sfondo alle azioni, uno spazio "diverso" dal personaggio e per questo controllabile, descrivibile, "attendibile", un contenitore delle azioni, una prova per tutte di questa situazione è la spiaggia dove i gangster finiscono la loro corsa.
E' un ambiente completamente estraneo al genere e alle attese dello spettatore, che riconosce soprattutto lo spazio cittadino dell'incipit di Sonatine come luogo ideale per un gangster film. Il rilievo assunto dalle "scene al mare" condivide questo straniamento e la manifestazione del reale mortifero; così i gangster non muoiono al posto nostro sullo schermo, ma ad essere impietosamente distrutta è la nostra illusione di assistere ad una rappresentazione, un'immagine che risolva l'enigma della morte; invece l'enigma ci è offerto, attraverso l'immagine cinematografica e la sua composizione, allo stato puro e insolubile. E' la morte che agisce, in maniera dichiarata, diretta e sottile, ma evidente nella composizione dell'immagine, morte dell'illusione offerta dalla rappresentazione e per questo simbolo misterioso del reale.

Il pesce infilzato ci sembra meno misterioso, forse anche un comico gioco di parole e figure; una manipolazione che prende alla lettera, concretizza in un'immagine il nome dell'animale, potrebbe trattarsi di un pesce balestra, forse di un balestra pagliaccio delle barrire coralline pacifiche. Questa "arma", costruita grazie ad un procedimento comico, punta qualcosa, forse ruota per indicare il gesto d'osservare con attenzione.
Il serbatoio del senso non è ancora esaurito: giocando sulla grafica del titolo, Sonatine è una serie di fiocine nuovamente puntate verso l'alto, naturalmente armi rosso sangue. Poi, ricordando didascalie  godardiane, la parola, dotata di significato, si "decompone" in una successione di lettere, di suoni; in un successivo passaggio, grazie ad un'altra eliminazione, una filtrazione, appare il termine "san", padrone, signore in giapponese. Da un contesto visivo e fonetico, ai nostri occhi indeterminato per quanto riguarda il significato, incontriamo una parola, che subito ci attrae, ma senza esitare, Kitano ci nasconde ancora delle lettere lasciando solo la "a" e di seguito la prima parte del film. Il significato affiora da una ricombinazione, da un'anagramma che ci ricorda Godard, soprattutto quello di Pierrot le fou. Affiora l'insistente, ma "discreta" indicazione di un lavoro di composizione, di scrittura cinematografica che coinvolge ogni elemento dell'immagine, anche la parola del titolo è solo un punto della circolazione del senso, non raccoglie il significato dell'opera ma ne rilancia l'interpretazione, indicando per esempio una forma complessiva di tipo musicale.
Una sonata, una sonatina, un esercizio per un solo strumento musicale e comunque non per il canto, la parola non entra nella composizione. La sonata è tripartita (esposizione, sviluppo, ripresa), ma unitaria e porta alla luce un contrasto, una drammatica opposizione che deve essere risolta. Così per noi sembrano distinguersi le vicende in città, a Tokyo, quelle sulla spiaggia e infine la ripresa, la vendetta che diventa punto terminale, una catarsi, la chiusa in crescendo dell'opera della morte.
Un pesce "complicato", un segno che ci invita a continue interpretazioni senza trattenerne una, non possiamo abbandonarlo senza aver prima considerato che la rotazione della freccia è accompagnata da un passaggio dalla microscopica squama all'intero pesce infilzato. E' un "gesto" inerente all'immagine, compiuto spesso da Kitano in punti cruciali dei suoi film.
Immaginiamo un pennello nell'atto di tracciare un ideogramma: le differenti pressioni del polso saranno raccolte dalla carta e il segno si farà testimone del movimento, del gesto che l'ha prodotto, grazie ai differenti spessori della linea che lo determina, che l'ha portato alla luce. La profondità è una pressione, non la misura di una distanza; il segno indica, significa questa forma vuota dello spazio che lo accoglie. Allo stesso modo lo spazio nell'immagine di Kitano è vuoto e tra i segni che ci indicano questa unità strutturale compare proprio il colore, soprattutto il colore del mare e della sabbia nelle spiagge oceaniche.
L'improvviso cambio dimensionale, dall'astratta squama romboidale, tatuata dalle onde, all'intero pesce, immerso in un mare di sangue, diventa il segno di una pressione che varia nel tempo, si direbbe che la zoomata all'indietro sia un sollevamento del pennello dalle fibre della carta. E' una pressione che non distrugge, non perfora il supporto della scrittura; quest'ultimo, invece, si frantumerà sotto i nostri occhi come un vetro fragile, lasciando il posto al fondo nero del titolo rosso.
Kitano è molto parco nell'uso dello zoom, non ricordo nel film un altro esempio così vistoso, ma in Hana-bi ritornano zoomate all'indietro nei quadri iniziali, ma quella più vistosa dà forma allo sguardo del pittore Horibe che osserva il suo "stare tra i ciliegi", una delle sue tele naïf dove il contemplante guarda nel vuoto davanti a sé, mentre è la natura primaverile a vegliare su di lui.
Lo zoom, ovvero lo sguardo che si posa su una superficie o da questa si solleva, comunque la lascia intatta, non la attraversa, non si spinge oltre, una pressione particolare, "sensibile" nello svolgimento dell'immagine, si direbbe un passaggio da superficie a superficie, dalla microscopica squama al mare di rosso sangue passando per il blu intenso della copertura del pesce pagliaccio. Un occhio dalla sensibilità superficiale, volutamente tattile: dietro c'è soltanto il nero su cui si dipinge il titolo nei caratteri e nei modi che abbiamo già analizzato.
Il segno su cui insiste Kitano in questo incipit è la superficie: la squama, i colori in contrasto a campiture uniformi (blu e rosso), l'immagine come superficie vetrificata che si frantuma, il titolo e la sua lettura come un anagramma giocato sull'apparenza delle lettere, la zoomata all'indietro che cambia la nostra percezione delle superfici (cambia i colori); ogni elemento sembra suggerire la presenza attiva di uno sguardo a diretto contatto con l'immagine la cui apparenza è giocata dalla superficie e dalla possibilità che l'occhio la esplori come tale.
Un occhio sensibile più che "conoscitivo", viene dato maggior risalto al primo aspetto mentre il secondo è messo alla prova dagli strati di senso di cui si compone l'inquadratura. Questo primato della superficie evidenzia anche un fattore "sinestetico": la zoomata diventa il segno di un occhio che tocca le superfici registrando diverse "pressioni", mostrando vari spessori. Uno sguardo che legge l'immagine "senza vedere", ma anzi riceve dall'immagine stessa gli impulsi per costruirla e comprenderla. Un punto cieco della visione, un aspetto "sotterraneo" che indica un legame sensibile con le cose osservate, un indice dell'origine della visione nascosto nella struttura del quadro.
"Solo un'immagine", senza illusioni, un'immagine dal significato non facilmente afferrabile, anche restando alla semplice interpretazione delle cose che si vedono, senza addentrarsi nel "come si vede". Il pesce balestra-pagliaccio dipinto da Kitano in questo incipit potrebbe essere anche un velato omaggio al film "I clown" di Fellini, autore seguito con molta attenzione dal nostro regista, ma credo si tratti soprattutto di un indice del protagonista, che sulla spiaggia si comporterà proprio come in un'arena del circo, dove i pagliacci cambiano ininterrottamente senso all'agire umano, segnandone così l'irrimediabile frustrazione.
Se siamo spinti dalla curiosità "ittica" suscitata da quest'immagine iniziale, possiamo "documentarci scientificamente" e aggiungere che potrebbe trattarsi di un pesce della barriera corallina molto rissoso e dal comportamento territoriale, un vero yakuza che difende e comanda il proprio territorio, come Murakawa. A parte queste note, che intendono essere soprattutto provocatorie e paradossali, non dobbiamo dimenticare l'importanza cruciale dell'incipit, che spesso è affidato a singoli quadri o disegni di Kitano, "elaborati cinematograficamente" per suggerire ed estendere il senso del film, come accade ne L'estate di Kikuijro e in Hana-bi.
Murakawa è il capo settore di una famiglia yakuza in un'area di Tokyo particolarmente ricca, in questo ambiente egli è il "centro", quando si muove disegna la traiettoria di un centro in movimento, cioè un asse attorno a cui si struttura lo spazio. Questo accade nelle due panoramiche laterali che comprendono la parte di presentazione del protagonista nel prologo: Murakawa è il perno di ogni spostamento in atto e tutto si ordina intorno a lui.
L'essere centro, che corrisponde all'essere capo, al controllare una zona, è ribadito dal modo con cui Kitano svolge i vari episodi intorno a questa figura: le tre vicende principali (lo strozzinaggio "mortale" alla casa da gioco, il cameriere punk e la decisione di partire per aiutare una "famiglia" in difficoltà) si svolgono concentricamente intorno a Murakawa, costruendo quasi delle cornici al personaggio, cornici al suo ritratto.
A rompere questa simmetria si insinua la volontà di Murakawa di farsi da parte, di uscire dalla vita attiva degli yakuza; letta attraverso la nostra lente "strutturalista", questa volontà corrisponde ad un decentramento, un abbandono della cornice e dello spazio in cui il protagonista riconosceva la propria identità. Il viaggio a Okinawa svolge proprio quest'aspetto sotterraneo del prologo, appena accennato dal protagonista in auto con il proprio braccio destro; la volontà di uscire di scena diventa un confronto diretto con la morte, la scomparsa della figura, l'emergere dello sfondo, la prevalenza dello sguardo sulla cornice stabilita dalla visione: Kitano dispone trappole visive, sonore e narrative ovunque per far "morire" le nostre attese, in particolare quella che aspetta la rappresentazione della morte grazie ai gangster. Lo svolgimento della sonata si oppone dialetticamente al codice, al tema strutturale che riconosciamo nel prologo, ma conserva inalterata, anzi esaspera e mette a nudo la tensione dell'intera struttura giocando sulla comprensione dell'immagine; tracce di questa volontà estrema sono proprio i giochi dei clown sulla spiaggia, i loro gesti, apparentemente restituiti ad un'umana quotidianità (lavarsi, vestirsi, divertirsi), rivestono invece il compito particolare di mostrare una messa in scena in atto, la creazione di un'immagine e nient'altro.
Ad essere rovesciate sono le premesse della rappresentazione, le leggi del codice gangster, ma la tensione passa all'immagine, alla sua composizione grazie alle figure che popolano la spiaggia, e alla presenza attiva ed inquietante del mare. Al di là della sensazione soggettiva di malinconia ed inquietudine che gli spettacoli sulla spiaggia riescono a produrre, è proprio il ruolo attivo dello sfondo, non più semplicemente descrittivo, contenitore dell'azione, che ci coglie di sorpresa.
Non più sfondo ma paesaggio, l'elemento che sta tra le figure e ci riconsegna l'unità dell'immagine sotto forma di una tensione inalterata rispetto alle premesse del genere gangster, anzi, acuita, perché inscritta nel corpo sensibile dell'immagine e non solo nel suo significato, nei suoi elementi rappresentativi.
Primato del paesaggio nel dramma dell'immagine e non più semplicemente della rappresentazione; i segni di questo inarrestabile spostamento sono già presenti nella "gita ad Okinawa", che dovrebbe essere una missione quasi di guerra tra famiglie, un aiuto per una vendetta. Ancora più significativa è l'azione con la bomba, quasi un gesto da football americano o una corsa alla base in una partita di baseball, come ci conferma l'inquadratura successiva di questa sequenza: in attesa di essere ricevuti dal capo clan ospite, Murakawa e i suoi ascoltano una partita di baseball e lo stesso Murakawa, insieme al fido braccio destro, mima la posizione accovacciata di un ricevitore in base.
Un'immagine si giustappone ad un'altra ma non più seguendo una necessità narrativa che ne metta in primo piano la consequenzialità, anzi, da un 'immagine ne scaturisce un'altra che segnala un'imprevista unità tematica tra le due: il tentativo di portare una bomba nel covo avversario allude ad un gesto sportivo a metà tra il baseball e il football americano. Il gioco si infiltra nei codici della rappresentazione tipici del genere e mostra l'immagine come punto critico della rappresentazione stessa, ne mostra i limiti e superandoli si avventura in un territorio dove il senso non è più translitterabile perfettamente eppure rimane sempre evidente nel suo procedere, indicato da segni che abbiamo il compito di scovare.
Seguiamo allora i giochi, i "momenti quotidiani" dei gangster sbarcati sulla spiaggia deserta, che rappresentano le fratture più significative inferte al genere. La presenza del mare in Sonatine non è naturalistica, l'inquadratura, la scelta della luce meridiana, la distanza da cui è ripreso e trasformato in uno strato di colore, l'evidenza della linea dell'orizzonte costituiscono alcuni dei segni con cui prende forma l'immagine dominate del paesaggio dove s'inseriscono le figure dei killer. Il mare costituisce il principio unitario che informa l'immagine, i gangster sono soltanto parti di questa unità; se il mare rappresenta l'Aperto, l'assenza di confini, l'indeterminato che accoglie ogni traiettoria come orizzonte estremo e sempre mobile, dovremo identificare il modo con cui interagisce coi protagonisti, la pressione che esercita costantemente su di loro e che spesso è testimoniata dai loro gesti, ricordiamo soltanto la processione in fila indiana per spostarsi in una parte di spiaggia dove giocare a freesby.
Mare, vacanza e gioco sono termini che si richiamano tutti ad uno stesso campo semantico, ma la nostra impressione è che il gioco sia l'ultimo strumento per allontanare la morte, per prendere tempo, per prepararsi al suo avvento dopo aver trascorso un'intera esistenza sentendola incombente, come aveva detto Murakawa all'inizio del film. Vacanza di Murakawa dal "trono" ambito dai rivali e quindi allusione diretta alla morte, se si desidera rientrare nell'alveo del genere gangster, ma conviene non seguire troppo da vicino la vicenda narrata proprio nel punto in cui la storia, la successione dei fatti, si "dilata", quasi al punto di perdersi, l'elemento più importante rimane la persistenza della tensione, acuita dall'inazione, dai giochi inventati da Murakawa.
Di fronte al mare osserviamo una sfida aperta alla morte con il preciso scopo di allontanarne l'avvento incombente.
Giunto sull'isola dei morti, il gangster non trova di meglio che giocare, iniziando di fronte all'Aperto che ci colpisce per la linea perfetta dell'orizzonte imposta al nostro sguardo. Mare, morte, Aperto e sguardo, Kitano-Murakawa comprende l'impossibilità del rifugio nella coscienza, la morte lo sopravanza, il gangster prende tempo per il corpo, per la figura potremo dire, che deve comprendere un legame con il mondo di cui l'oceano, l'Aperto sono testimoni. Il gioco per prendere tempo, oppure la scrittura della vita per allontanare la morte, la dissoluzione come in Pierrot le fou di Godard, un'opera osservata con molta attenzione da Kitano.
Che cosa significa il gioco sulla spiaggia delle figure di Kitano o la scrittura malinconica e disperata di Pierrot in Godard? Il fine l'abbiamo individuato, ma il senso del loro agire, l'unità sottesa ai loro gesti indica un legame inaccessibile a un significato preciso. Lo sguardo del mare materializza il sicario e indica spietatamente questo legame la cui caratteristica fondamentale sembra essere proprio l'inafferrabilità, il suo essere incomprensibile, ma non per questo assente.
Non ci resta che analizzare la sequenza dell'arrivo del killer sulla spiaggia per esplicitare il problema appena suggerito. Innanzi tutto è l'unica sequenza dove viene adoperato esplicitamente un punto di vista "tra le onde", la macchina da presa inizia la sequenza partendo dal mare e non da terra come aveva sempre fatto finora. Il primo campo totale della spiaggia indica l'arrivo del sicario e la presenza effettiva della morte, anche se non ancora percepita dai protagonisti intenti ai loro giochi.
Senza seguire passo dopo passo la sequenza, diremo che la morte stampa i suoi effetti sul volto di Murakawa sacrificando la figura di un suo compagno. Il capo e la sua donna sono protetti dalla barca, il killer dopotutto è l'alfiere della visione, colpisce infallibilmente un bersaglio a portata della sua arma, una vera e propria estensione della sua volontà e del suo occhio. Ma quel che ci interessa è il volto di Murakawa, la sua impassibilità e insieme la sua fragilità di fronte alla morte al lavoro. Che tutto ciò non sia semplicemente una rappresentazione, lo testimonia proprio la posizione di Murakawa al vertice di un triangolo orientato verso il basso, dove la sequenza si "apre", dove il contro campo non è possibile: Murakawa è l'unico che non può vedere e deve subire la presenza inafferrabile e incontrastabile della morte, non si può voltare, disarmato deve subire l'azione della morte sulla figura del compagno e percepirne la presenza incombente. La barca abbandonata sulla spiaggia è un rifugio fortuito, ma è anche un oggetto "didattico", un ostacolo alla visione precisa e infallibile del killer, che svela lo sguardo della morte prontamente riflesso dal volto di Kitano-Murakawa. Sguardo inafferrabile, incombente, sguardo a cui non si può replicare con un contro campo, così resta una tensione caricata sul volto.
Visivamente il mare appare come uno strato pennellato in un'immagine ostinatamente bidimensionale, senza la pretesa di riempire una superficie; le strisce del cielo e della sabbia completano l'intero quadro su cui prendono vita le figure dei gangster. Come spiegare tanto accanimento per una camicia vistosa (rossa) se non in rapporto allo "sfondo"? Se dare importanza al cambio dei vestiti diventa un'evidente dilatazione rispetto a i canoni del genere, essa è comunque sempre mirata, rientra nella linea dell'orizzonte sottile ma ben tesa del paesaggio. Il racconto passa attraverso il gioco dei colori, senza fermarsi al loro valore simbolico.
Sono gli elementi dell'immagine a produrre il dramma, mentre la storia, la successione dei fatti, è passata in secondo piano. Questo tipo di racconto tende la storia fin quasi a distruggerla, quasi sospesa è la narrazione, ma non il dramma che si consuma "internamente" all'immagine.
L'evidenza del mare è poi sempre giocata "audiovisivamente", moltiplicando gli stimoli che la rendono un'immagine limite; l'oceano non è soltanto la striscia che vediamo dipinta tra le figure, ma è anche l'ininterrotto rumore sordo della risacca, dove si perdono e vengono assorbiti tutti i suoni.
La sua presenza durante la notte è affidata solo al suono delle onde, mentre un blu di Prussia oscura e rende indistinti tutti gli elementi dell'immagine, figure comprese. In questa rappresentazione dell'indefinito, dell'indeterminato notturno si infiltra un'indicazione singolare: le figure in azione sono rese "appena visibili" da una tenue luce che scambieremmo per quella lunare, se non disegnasse sul terreno il cerchio preciso di un faro. Kitano si dispone alla giusta distanza per mostrarci tutto ciò anche nel finale, quando la compagna di Murakawa ripete inutilmente i giochi notturni dei gangster sulla spiaggia deserta, nel circo abbandonato. Il blu cancella qualsiasi figura, salvo quelle che rientrano nel tenue occhio luminoso, che suggerisce il faro di un circo o più semplicemente la discreta presenza della luce che dà forma all'immagine cinematografica, sottraendola alla scomparsa; nello stesso tempo persiste comunque l'incombente presenza dell'indistinto, affidato al colore della notte, una tonalità più scura del blu oceanico.
Sulla spiaggia si era disegnato un circolo vuoto fin dall'arrivo dei sopravvissuti alla strage cittadina. Durante la roulette russa, trasformata in pura immagine della paura dal gioco di prestigio che sottrae i proiettili dal tamburo, la macchina da presa ruota intorno ai personaggi avvolgendoli nel paesaggio. Nessuno è nel mezzo, i tre fanno cerchio; ruotando, la macchina da presa dispone al centro e simultaneamente intorno alle figure il paesaggio. Il centro vuoto, non più occupato da Murakawa è ora il paesaggio, la spiaggia, il mare e il cielo.
Nel cerchio del sumo le azioni sono gesti rituali, pensiero che prende voce in posture del corpo, in pose che si disegnano sullo sfondo giallo di sabbia, ma di questa scrittura ci colpisce l'atto di metterla in scena. Le figure dei lottatori vengono "agite" come nel gioco le figurine di carta, le immagini di guerrieri. Kitano non ci mostra soltanto questa indicazione ma si spinge oltre: dopo questa messa in scena, Murakawa osserva il suo più fedele compagno mentre si interroga gesticolando su ciò che ha visto nel il cerchio; si domanda, ripetendo i gesti dei contendenti, come tutto ciò abbia potuto svolgersi. Il vice capo tenta di imitare il gioco delle marionette, di riprodurre lo scambio tra animato e inanimato che si legge nel gesto, nel rapporto tra figura e sfondo.
Chiudendo in questo modo la sequenza, Kitano mette ancora in risalto la fragilità dell'immagine, l'essere solo un immagine senza alcuna pretesa illusionistica e per questo suggerisce come limite il processo con cui è stata mesa in scena. Tra i segni che indicano i confini dell'immagine rientrano allora non solo le luci notturne, ma anche il gioco così come si è svolto sulla spiaggia e non solo: la vendetta di Murakawa diventa l'ingresso in una sala cinematografica dove le luci si spegneranno per dar vita allo spettacolo; l'unica fonte sarà il proiettore-fucile impugnato dal nostro protagonista.
  Poco prima, ancora sulla spiaggia insieme alla donna, avevamo assistito agli stessi bagliori riflessi sui volti e provenienti dal fucile mitragliatore. Nonostante l'immagine si offra a questa interpretazione che rasenta la metatestualità, senza però mai fermarsi a questo livello, la tensione rimane altissima; anzi, si avvia al punto di rottura senza che più nulla possa arrestarla.
Il suicidio era preannunciato dalla risposta di Murakawa alla compagna che diceva di amare gli uomini coraggiosi, quelli che sparano senza pietà. Non è il contenuto della sequenza finale a sorprenderci, ma la forma con cui lo osserviamo: per suicidarsi Murakawa sceglie di arrestare la macchina proprio sul punto di rendersi visibile all'amica che lo attende dall'altra parte del dosso. Rendere impossibile ogni controcampo, frantumare la linea di congiungimento della visione, la linea della salvezza, mostra la morte al lavoro più efficacemente di qualsiasi rappresentazione. Poco importa assistere al suicidio di Murakawa, il senso della morte, della scomparsa, della dissoluzione sta tutto in quello sguardo non ricomposto, il vero colpo esploso nella sequenza è il controcampo impossibile con la morte, il suo sguardo incombe alla pari della presenza del mare.  

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