Elsa Morante grande artista del nostro tempo.
di Flavia Buldrini
 

Elsa Morante (1912-1985), scrittrice di grande talento, è oggi quasi dimenticata. Eppure ciò che questa donna ha dato nelle sue pagine è insuperabile.

Quella per la scrittura è stata una passione che, si può dire, è nata con lei. Fin da bambina amava scrivere fiabe e verso i tredici anni cominciò a pubblicare storie e poesie su giornali per fanciulli. In particolare, “Le straordinarie avventure di Caterina”, la cui composizione risale ai tempi del Ginnasio, la fiaba pubblicata da Einaudi attesta questa sua produzione precoce. A diciotto anni, terminato il liceo, con una scelta coraggiosa, abbandona la famiglia “per curiosità della vita”(1) e vive un periodo di assenza dalla letteratura, in cui ricerca esperienze concrete. Nel 1936 conosce Alberto Moravia e tra i due nasce una relazione che sfocerà, nel 1941, nel matrimonio. I racconti del 1937 con cui collabora al “Meridiano di Roma” grazie alla presentazione di Giacomo Debenedetti, confluiranno nel 1941 ne “Il gioco segreto” e saranno raccolti poi ne “Lo scialle Andaluso” nel 1944. In essi prevalgono atmosfere kafkiane e la suggestione del fantastico che ci ammalierà nei successivi romanzi. Il primo di questi, “Menzogna e sortilegio”, cui la scrittrice ha lavorato dal 1943 al 1948, è la saga monumentale della famiglia di Elisa, ultima superstite di un male che ha travolto i suoi cari, e cioè la menzogna. Il linguaggio appare fiabesco, stregato, frutto di quel sortilegio che ha sedotto la narratrice stessa. Già si affaccia quella dialettica realtà-irrealtà che sarà centrale ne “La Storia” e ne “Il mondo salvato dai ragazzini”. Per la Morante la missione del poeta è, infatti, combattere il principale nemico dell’uomo, da lei identificato nell’irrealtà: «A tutti i mali che da sempre appartengono alla natura, oggi sovrasta l’infezione dell’irrealtà, che è contro natura, e porta necessariamente alla disintegrazione e alla vera morte»(2).  La sua  voce, così, si leva possente a denunciare i crimini della guerra ne “La storia” attraverso gli occhi di un bambino innocente, di un’umanità inerme, violata dagli abusi del potere, flagellata dal male universale, delle «cavie che non sanno il perché della loro morte»(3). Con questo libro la scrittrice ottiene un grande consenso presso il pubblico (con una prima tiratura di 100.000 copie), ma apre anche un dibattito polemico tra i critici, su un presunto populismo, dando adito a diverse strumentalizzazioni politiche. “Il mondo salvato dai ragazzini” (1968) è una protesta personale (la separazione da Moravia, il suicidio del suo amico Bill Morrow) e pubblica (contro la guerra, a favore della gioventù, sull’onda della rivolta sessantottesca), espressa in un tono ironico e provocatorio, dal linguaggio fortemente aggressivo. “L’isola di Arturo” (1957) è un’elegia dell’infanzia perduta («fuori del limbo non v’è eliso», sentenzia la Morante nella poesia posta ad epigrafe del romanzo), un addio al limbo dorato della fanciullezza declamato con straordinaria intensità lirica, accanto al gusto unico del racconto e all’inseparabile ironia. È anche uno struggente richiamo del sangue, una straziata ricerca della madre morta e del padre lontano e sfuggente, così come “Aracoeli” (1982) sarà un’accorata invocazione dell’immagine materna, ancora intatta prima del feroce massacro del male, attraverso un dialogo sofferto e uno stravolto visionarismo.

Se i romanzi sono, per così dire, la “specialità” della Morante, per la sua grazia del narrare, non vanno dimenticate le sue prove poetiche, in “Alibi” (1958), cariche di suggestione e di risonanze interiori, nonché l’acutezza e la profondità delle sue riflessioni nella raccolta di saggi “Pro o contro la bomba atomica” (1987). In tutte le sue opere ha manifestato una straordinaria finezza psicologica e un’attenta sensibilità ai problemi dell’uomo del suo tempo (in primis lo “scandalo” della guerra), ma soprattutto alla sua condizione universale, al suo eterno dilemma tra bene e male. Attraverso i suoi diari, specialmente Diario 1938, abbiamo avuto modo di conoscere, oltre alla brillante artista, lei, proprio Elsa Morante, nella sua sensibilità di donna. Abbiamo scoperto un’Elsa che soffre di solitudine, che ha paura della morte in un brivido cosmico: «ma io ho paura»(4), che invoca con struggimento la Madre celeste: «Madonna, dammi un po’ di pace»(5), che ama moltissimo gli animali, in particolare i gatti e specialmente quelli siamesi, con cui amava farsi fotografare. Ci commuove saperla indifesa e arresa di fronte alla sofferenza e alla morte, nel suo tentativo fallito di suicidio, nella lenta agonia della vecchiaia, fino a quel 25 novembre del 1985, che l’ha vista chiudere gli occhi per sempre. La vogliamo ricordare così, Elsa Morante, donna dalla forte personalità, che s’intenerisce di fronte ad un gattino, con il suo coraggio di guardare in faccia la realtà, la miseria umana, senza ritorcere inorridita lo sguardo, ma amandola fino in fondo, pagando di persona, con un dono generoso di sé. E la vogliamo ricordare, soprattutto, per l’incanto della sua parola che, passando indenne attraverso il logorio del tempo, cavalca lo sterminato deserto del silenzio e sboccia «fresca come una rosa» (6) nella nostra anima.

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(1) Dal testo autobiografico col titolo “Elsa Morante”, Cronologia, in E. Morante, Opere,  a cura di C. Cecchi e C. Garboli, vol. 1, Milano, Mondadori, 1988, XXVII. (2) Dalla nota introduttiva alla prima edizione Struzzi del Mondo salvato dai ragazzini, 1971. (3) Un sopravvissuto di Hiroscima, citazione posta ad epigrafe de La Storia: “Non c’è parola, in nessun linguaggio umano, capace di consolare le cavie che non sanno il perché della loro morte”. (4) E. Morante, Diario 1938, Torino, Einaudi, 1989, p.49. (5) Ibidem, p.53. (6) E. Morante, Pro o contro la bomba atomica, Opere, a cura di C. Cecchi e C. Garboli, vol. 2, Milano, Mondadori, 1990, p. 1516.