Francesco De Napoli, Del mito, del simbolo e d’altro. Cesare Pavese e il suo tempo (Cassino, Libreria Editrice Garigliano, 2000) 

Concludendo il suo ricco excursus sulla poetica del mito di Cesare Pavese, scrive Francesco De Napoli: «Fondamentale sarà, per qualsiasi tipo di approccio, focalizzare bene l’attenzione sul ruolo assolutamente pionieristico svolto dallo scrittore di Santo Stefano Belbo, il quale, nella più totale solitudine, inaugurò e svelò in Italia nuove prospettive e dimensioni di indagine in campo linguistico e semantico, aprendo anche i primi spiragli in direzione della disciplina oggi più in auge: la moderna semiotica». Questo originale saggio, pubblicato quasi a suggello delle celebrazioni per il Cinquantenario della tragica scomparsa del Poeta, si fregia d’una rara testimonianza umana e critica della nipote di Pavese, Maria Luisa Sini, la quale in una lettera all’autore scrive: «Mi trovo pienamente d’accordo con Lei su molte conclusioni alle quali è giunto, in contrasto con quelle un po’ superficiali e semplicistiche di taluni critici». E invero, il libro di De Napoli si presenta polemico riguardo alle tesi ufficiali e ormai accettate dalla maggior parte degli studiosi: il ritratto di Pavese generalmente offerto ai lettori è quello di un uomo «cupo, scostante e laconico».

               Lo scrittore cassinate dimostra al contrario come, dietro quella patina di malessere esistenziale, si celasse un’indole estremamente volitiva, decisa ed energica. Solo così è possibile spiegare le lunghe e dure battaglie – non solo culturali, ma anche umane – sostenute da Pavese nella sua tacita azione di «rinnovatore del panorama letterario italiano», come confermò Italo Calvino nella Prefazione all’opera postuma di Pavese “La letteratura americana e altri saggi”. Non solo: se Pavese fosse stato un debole, o peggio, un misantropo e un vile – come molti affermano – non avrebbe potuto svolgere quel ruolo così difficile e delicato di direttore della casa editrice Einaudi, che lo tenne impegnato proprio negli anni caotici e convulsi del dopoguerra. De Napoli illustra con grande acume e chiarezza la concezione mitica pavesiana, che non era assolutamente in contrasto con la conoscenza del ‘contingente reale’, come tentò di spiegare – inutilmente, pare, ai suoi contemporanei – lo stesso Pavese in una serie di interventi pubblicati su l’Unità e su altre riviste dell’epoca. Ancor oggi il pensiero di Pavese stenta ad essere compreso, come traspare dalle recenti dichiarazioni di illustri cattedratici riportate nel saggio: citiamo Asor Rosa, Cesare Cases, Roberto Cerati, Lorenzo Mondo ed altri. Da ciò emerge la necessità – ne deduce De Napoli – di una «corretta, imparziale e seria interpretazione della sua inimitabile lezione. Una serena rivisitazione che consentirà di rileggere con maggiore precisione e nettezza un’intera epoca».

                              Elio Paolucci