La poesia di Vanni Speranza: dalla memoria all’interiorità (Graffiti sulla memoria, Centro ricerche poesie 1999) 

«Il tutto scorre sulla linea di un canto dove la natura e i suoi elementi interpretano il proprio ancestrale ruolo» scrive nella prefazione alla silloge di poesie di Vanni Speranza, “Graffiti sulla memoria”, il critico Angelo Scandurra. Il titolo, a mio avviso, è già indicativo. Il graffito, infatti, è l’impressione e l’effetto della durevolezza della creazione nel corso del tempo, mentre la memoria permette di rievocare e riafferrare i concetti, le espressioni e le azioni umane. Si tratta di una poesia “ermetica”, se oggi si può ancora parlare di ermetismo, così come si può evidenziare dagli autori delle numerose epigrafi che introducono le diverse sezioni: Pessoa, Ungaretti, Montale, Quasimodo, ma anche Garcia Lorca, Bo, Saba, Rimbaud, Cattafi, Tagore, Jimenez, Wells.

La poesia di Vanni Speranza è certo nutrita della migliore poesia contemporanea europea. Tutta cose e concetti, presenta un perfetto equilibrio tra avvincente musicalità e susseguirsi di affascinanti immagini. L’introspezione porta alla ricerca della verità. La metafora, non avulsa dal linguaggio quotidiano ma senza scadere nella quotidianità, ha una parte essenziale. La riflessione si intreccia al silenzio. Il silenzio diventa quale momento di intima conoscenza. Il problema dell’esistere si tramuta quasi in misticismo e si fonde spesso con l’amore, che lo Speranza tratta in maniera originale. Le immagini sono fresche ed esprimono un sincero sentimento, come ad esempio in “Primo bacio”: «Fu cascata di pioggia fresca / il tocco ingenuo delle labbra / sotto l’arancio in fiore. / Sparse le trecce tra le mani / assaporasti un cuore in fiamme / sorgiva ardente, fremente». Se nel contenuto potrebbe riportare alla poesia del Petrarca, senza scadere nel petrarchismo, dall’altra riporta al romanticismo di Manzoni. Infatti la poesia riprende uno dei noti stilemi del poeta milanese: «Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto…» con riferimento ad Ermengarda. L’amore non è un tema prosaico, ma al contrario offre vera poesia intrisa di emozioni attraverso la ricerca della parola adeguata, raffinata, melodica, ma soprattutto attraverso la ricerca di immagini aggraziate e avvincenti, tra cui predominante è la romantica luna. «Sedemmo sulle sponde / di fiumi e di mari / dove mimose transitano odori / nel vento di luna». O ancora: «All’improvviso / volano uccelli scuri / nei ritorni amletici della luna». La luna diventa così emblema di interiorità e di riflessione, ma soprattutto di dubbio: quasi l’«essere o non essere» di Amleto aspetti una risposta. Ne scaturisce però un magico sogno in un rapporto quasi spazio-temporale complesso e intricato, filtrato attraverso la memoria. «Non c’è alcuna differenza fra le dimensioni dello spazio e la dimensione del tempo, se non per il fatto che attraverso questa si muove la nostra coscienza» scrive Herbert George Wells. In questo spazio-tempo nasce l’illusione ed emerge il poeta che coi pennelli dell’anima dipinge sogni sul cuore, galleggia sui quaderni imbrattati della vita e tesse cattedrali di luce. La vita si tramuta allora in certezza, in immagini poetiche «dove annegare l’ansia d’essere / nell’apocalisse che porta al nulla».

              Angelo Manitta