La Sicilia nella poesia di Nico Coniglione (Ripicuniannu, Edizioni “le vele”) 

È la Sicilia che emerge dalla poesia dell’ultima silloge, dal titolo “Ripicuniannu”, di Nico Coniglione, poeta siciliano di Mascalucia in provincia di Catania, giunto alla sua terza pubblicazione, dopo “Svigghiati” del 1977 e “Picuniannu” del 1981. La poesia di Coniglione, fonde tradizione e sentimento, riflessione e descrizione naturalistica. Ad ogni parola e ad ogni espressione emerge una Sicilia che vuole riscattarsi attraverso le proprie tradizioni e la propria cultura. Ma la poesia del Nostro sa spaziare nel sentire umano e, pur servendosi del dialetto, questo assume valore di universalità, forse perché si serve di una koiné accessibile ad ogni lettore siciliano. «Egli usa il linguaggio dei ricordi, dell’infanzia, del padre con la stessa spontaneità con cui usa la lingua parlata, compresi i termini stranieri che vanno oggi così di moda» evidenzia Lia Mauceri nella prefazione. Mentre Enrico Barbagallo scrive: «Nella mente di Coniglione lampeggiano… le impressioni, le vibrazioni e le emozioni di uno stato d’animo e nello stesso tempo la nostalgica e rassegnata rievocazione della sua fanciullezza, quale punto originario della sua esistenza». Dopo un’accorata invocazione alla musa, che riporta a stilemi classici, si può notare la suddivisione della silloge in quattro parti: “Nanareddi a la voria”, “‘Ncuttuni”, “Mala”, “A corda longa”. Nella prima parte, essenziali sono le descrizioni di un ambiente tipicamente siciliano pieno di luce, di calore, di forza naturale. Emblematiche sono le poesie “Rosa di marzu”, “Ntra lu ventu” e “Nuvuli”. Quest’ultima recita: «Li nuvuli d’acqua / s’affuattunu / attornu la Muntagna…// A lu chianu / li sbrizzi di na nuvulidda spersa / mancu vagnunu». Dalla descrizione naturalistica però scaturisce quasi un’amarezza: l’amarezza del contadino costretto a lavorare con grande fatica la propria terra (“Amarizza”). Caratteristica della seconda parte è la poesia “La giustizia”, dove vengono evidenziate invece le lungaggini dei processi e soprattutto i soprusi fatti nei confronti degli innocenti. Nella terza parte è spesso il popolo ad emergere con le sue riflessioni e i suoi sentimenti. Nella stessa sezione compare la poesia “Lava”. L’Etna non poteva mancare in un poeta siciliano e del catanese soprattutto. L’Etna è la gran madre, all’ombra della quale vengono nutriti i suoi figli. Essa, che genera paura, genera anche vita perché l’uomo dell’Etna sa convivere con essa, tanto che «ammeri li fàuri di la lava / nu zappaturi e lu figghiolu / cu lena / surchijavunu la terra / e azziccavunu chiantimi».

                             Angelo Manitta