La vita interpretata attraverso un misticismo impregnato di natura in Non siamo nati ancora di Sandro Angelucci (Sovera Editore, 2000) 

«Il poeta non deve avere, non ha altro fine… che quello di riconfondersi nella natura, donde uscì, lasciando in essa un accento, un raggio, un palpito nuovo, eterno, suo». Questa espressione del saggio sul “Fanciullino” di Giovanni Pascoli, posta a conclusione della silloge di poesie di Sandro Angelucci  “Non siamo nati ancora”, mi sembra che possa essere la chiave di lettura dell’intero volumetto. La poesia è certo una voce interiore. «La sento! È di nuovo vicina: / sussurra. Ecco che fugge. / Sembra avere paura / ch’io possa ascoltarla» scrive il poeta. Questa voce interiore è la forza della coscienza e della moralità, è la forza della poesia e della musicalità. Angelucci mira a questa interiorità, quasi fosse una teologia gnoseologica. «D’altra parte la parola è voce espressiva, senza nozione di tempo, - per dirla con Aristotele -  e nessun elemento di essa è significante per sé solo». Da ciò scaturisce la necessità di non usare parole banali ma polisemiche, le quali attraverso la metafora conducono ad una vasta gamma di interpretazioni. «Tutto (in Angelucci) è così essenziale, così filtrato nella parola semplice ed espressiva che si rimane presi dal candore e dalla problematicità al tempo stesso di questa silloge» scrive nella appropriata prefazione Aldo Onorati. La poesia assume così un aspetto solare e diventa espressione della bellezza interiore e naturale. Il sole acquisisce il valore di segno e simbolo di potenza e di forza, ma anche di luce e di calore, soprattutto di vita. La poesia però aerea e mistica di Angelucci, che spinge all’estasi e alla contemplazione, emana un che di nostalgia e di tristezza, attraverso toni crepuscolari. La malinconia è per così dire quasi un’illustre compagna del poeta, tanto che non sembra essere possibile per lui concepire una bellezza che non abbia anche in sé un pizzico di dolore. Scrive infatti nella poesia posta a conclusione della silloge: «Accogli il mio disagio, / allevia il mio tormento / con il canto: / non posso consegnarmi / a questo scempio / a questa folle corsa / contro il tempo, / non voglio / non posso allontanarmi / dai Tuoi passi / perdere le orme / il senso inesprimibile del bello». Alle parole accattivanti seguono le immagini, alle immagini i sogni. Il sogno spinge l’uomo alla favola ed alla visione. La visione è quella di un mondo dove elementi naturali (paesaggio, colline, piante, fiori, insetti) diventano espressione di sentimenti e di desideri. E che cos’è la poesia se non un profondo desiderio di pace? Cos’è la poesia se non un sogno? Se non una «favola bella che ieri t’illuse che oggi m’illude» parafrasando D’Annunzio? Di tutto questo Angelucci ne ha piena coscienza. Per lui «le poesie / sono creature innocenti / che solcano i cieli / in cerca d’amore».

               Angelo Manitta