Misticismo e liricità nella poesia di Maria Santina Venditti (Nulla scalfirà l’anima, Pagine, Roma 2001) 

Maria Santina Venditti, maestra di scuola materna e poetessa romana, ha iniziato a comporre fin da bambina, ma solo più tardi è riuscita ad esprimere quel sentimento di «adesione con la natura e con l’infinito» in cui riesce a immedesimarsi nei momenti di solitudine. Il titolo della silloge “Nulla scalfirà l’anima” è indicativo di una complessa e precisa situazione interiore: quella di una donna che sa porsi davanti ai problemi quotidiani, alle situazioni sociali e alla natura in una maniera che corre dal misticismo alla liricità. Elemento conduttore comunque è certamente una soffusa religiosità, così come bene evidenzia Santino Spartà nella prefazione al volume. «Maria Santina Venditti snoda le proprie vicende, attraverso sequenze di semplicità spirituale… aspira con nobile passione a “tessere una unione spirituale”… Nel frattempo sosta, per sentirsi sicura, accanto al Cuore divino, mentre “sfilano sulla passerella della vita / le brutalità, le paure, gli orrori”». Se l’aspetto religioso e mistico nella poetessa romana ha un ruolo determinante, come si può dedurre, ad esempio, dalle liriche “Dio dell’universo”, “Padre nostro”, “Madre amorosa”, “Dimmi o Dio”, “Mani congiunte”, “Carità”, “Beati martiri”, è spesso l’estasi, che si prova di fronte agli elementi naturali o cosmici, ad avvicinare maggiormente a Dio. I termini cielo, infinito, stella, incanto, cuore, esprimono una profonda sensibilità religiosa e nel contempo mistica. Ma si tratta di un misticismo quasi laico che, attraverso la contemplazione della natura, quale espressione e manifestazione di Dio, porta alla pace interiore. Emblematica, in questo senso, mi sembra la poesia “Lembi di cielo” in cui «Lembi di cielo / rendono irreale / la grotta di foglie... Il coro di bimbi / nella chiesetta silente / si inserisce». Oppure  “Spiragli di cielo” dove la contemplazione giunge a «sfrondare l’udibile, il tangibile / liberare l’anima dall’attingere / dall’esteriore / ancora Cenacolo con essi». Gli elementi naturali non appaiono così in Maria Santina Venditti a sé stanti, ma espressione di una spiritualità interiore, e manifestazione dell’incontro con Dio. «L’anima non viene neppure afflitta dai desideri della speranza, perché soddisfatta com’è, nei limiti di questa vita, dall’unione con Dio, nulla di terreno le resta da sperare, e nulla di spirituale le resta da desiderare, vedendosi e sentendosi colma delle ricchezze di Dio» scrive Giovanni della Croce nel “Cantico spirituale”. Attraverso questa visione si possono allora volgere gli occhi al cielo. Il cielo materiale e metaforico è la speranza ultima dell’umanità. «Volgi gli occhi al cielo / la luce è fusione di diamanti / è arcobaleno su gocce / che la rugiada ha donato / è l’immenso» scrive Maria Santina Venditti. Versi che, credo, possano evidenziare bene la fusione tra materia e spirito, tra misticismo e contemplazione, tra liricità e religione; e nella loro linearità e musicalità sanno coinvolgere il lettore attratto dal fascino della parola. In effetti la poesia della Venditti, come evidenzia Santino Spartà, «sfugge a parentele artistiche del mondo contemporaneo e si astiene, per balenamenti intuitivi, da quelle impennate rivoluzionarie di certi poeti». Proprio questi moduli stilistici rendono piacevole la lettura di queste liriche che spaziano dai temi dell’altruismo e della solidarietà umana (“Solidarietà”), agli affetti familiari (“Padre” o “Sorridi mamma”) in cui si evidenziano i valori tradizionali della famiglia, ai grandi problemi dell’umanità: guerra, dolore, sofferenza (“Kossovo”). Ma il tutto è detto con grazia e pudore, con semplicità disarmante ed elevatezza lirica ed espressiva, per fissare l’attenzione su tematiche universali, come evidenzia Anna Iozzino: l’origine dell’universo e dell’uomo, la lotta tra il bene e il male, il dolore come riscatto, il pathos della vita e della morte, il  nostro finale destino.

               Angelo Manitta