Clelia Grillo di Mondragone e l'Accademia dei Vigilanti
di Pinella Musmeci
 

La storia dei costumi, delle idee, delle tendenze ideologiche e spirituali è fondamentale non solo per comprendere la storia letteraria, ma anche quella economica, politica ed amministrativa di una nazione; inoltre, secondo una massima dettata da Fénelon, non è possibile conoscere né la politica né la morale di un popolo se non si è osservato accuratamente quale posto vi tengono le donne. La massima citata, evidentemente, oggi è tenuta in pochissimo conto poiché se dovessimo valutare il popolo italiano secondo il metro suggerito dal pedagogista Fénelon (al secolo Francois De Salignac, Arcivescovo di Cambrai e Precettore del Duca di Borgogna, nipote di Luigi XIV) il nostro giudizio non potrebbe essere esaltante. Oltre a scrivere il “ Telemaco”,  l’Arcivescovo si occupò della questione femminile scrivendo un trattato su “L’educazione delle fanciulle” e prevenendo, già alla fine del XVII secolo, alcune posizioni di avanguardia a proposito della educazione femminile.

L’ Italia, dal XV al XVI secolo, aveva prodotto un grande numero di donne di fervido intelletto e di grande ascendente sociale, ma questo processo subì un brusco arresto con l’attuazione della Controriforma e con l’affermazione della legge del maggiorasco. Conventi e forme di oblazione casalinga fornirono rifugio o prigioni obbligate per moltissime donne capaci ed ingegnose; eppure  anche dalle  sedi di perpetua segregazione alcune di loro riuscirono a tramandare fino a noi un messaggio di abilità, di  fantasia e di umanità.

Il XVIII secolo concretizzò un vero e proprio rinnovamento per la figura femminile; una educazione più libera sostituì quella restrittiva e soprattutto “suasoria” dei conventi; il sussiego enfatico e nobiliare, il cicisbeismo, i costumi ipocriti e formalistici decaddero, suscitando, per reazione, il desiderio di ricostituzione della famiglia ed in questo contesto fu ripresa la questione degli studi femminili e dei diritti della donna.

               Fu in questo clima che l’Italia poté vantare alcune donne veramente insigni per virtù e per gentilezza di costumi che, con l’aggiunta di una grande dottrina, contribuirono e cooperarono degnamente all’istruzione e all’educazione nazionale.

Un segno tangibile di tale nuovo modo di procedere delle donne viene dalla fondazione delle Accademie e dalle Conversazioni nei salotti privati delle più importanti case signorili italiane.

A Napoli le Conversazioni della Duchessa di Carvizzano e di Donna Faustina di Colubrano; i ritrovi intellettuali della poetessa Angela Cimino, Marchesa della Petrella; a Roma le conversazioni dotte della principessa Teresa Grillo Panphilj, della contessa Prudenzia Gabrielli Capizucchi e della marchesa Paolini Massimi, tutte e tre poetesse. Ed il nostro elenco potrebbe continuare a lungo.

Degna di essere ricordata in modo particolare è la contessa Clelia del Grillo del ramo di Mondragone, nata a Genova nel 1684 e morta a Milano nel 1777. Ella sposò nel 1707 il conte Giovanni Benedetto Borromeo, divenendo così milanese di adozione. A lei fu intitolata l’Accademia milanese “Clelia dei Vigilanti”, sorta intorno al 1720 presso il palazzo dei Borromeo; gli iscritti si occupavano esclusivamente di studi scientifici e la nobildonna Clelia teneva lezioni di matematica, di meccanica e di scienze naturali. Dell’Accademia fece parte il medico naturalista Antonio Vallisnieri, che ne stese gli statuti ad imitazione delle XII Tavole romane; detti statuti possono essere consultati nell’opera di Giuseppe Antonio Sassi “Historia literario-tilypographica”.

Anche l’impresa dell’Associazione era ispirata alla sua protettrice e fondatrice: infatti era costituita da un Grillo (emblema della casata patrizia dei Mondragone) circondato dal motto “Diuque noctuque”. Clelia del Grillo, oltre a conoscere le discipline scientifiche, parlava ben sette lingue e precisamente greco, latino, italiano, spagnolo, arabo, francese e tedesco. Fu molto lodata dai contemporanei per la cultura, per la signorilità e la gentilezza dei modi e, non ultima, anche per la bellezza. Il Sassi la disse “fenice dell’Insubria” e “esimio decoro d’Italia”, mentre il Grandi (iscritto anch’egli all’Accademia dei Vigilanti) la chiamò “ornamento singolare del gentil sesso e del secolo”; il Vallisnieri la nominava semplicemente come “la sua eroina”, poiché l’opera della contessa Clelia non fu solo di animazione culturale, ma il suo salotto fu aperto, oltre che alle disquisizioni di carattere scientifico, anche al movimento politico antiasburgico, durante la Guerra di Successione austriaca. L’Imperatrice Maria Teresa nel 1746 fece mozzare il capo, con l’accusa di cospirazione, ad un frequentatore del salotto Grillo Borromeo, ma non poté colpire personalmente la Contessa per mancanza di prove. Nel 1740 Clelia fu costretta ad abbandonare Milano e si rifugiò a Bergamo. L’Imperatrice fece sequestrare tutti i suoi beni ingiungendole di recarsi a Gorizia e ivi risiedere, se avesse voluto ottenere la restituzione delle rendite.

La Contessa non volle cedere e si recò a Padova, ma in breve ridotta in miseria, fu costretta ad ubbidire e si recò dunque a Gorizia dove stette in esilio per ben quattro anni; ritornata nella città adottiva fu accolta dalla popolazione  festante sulla porta della città; fu portata in trionfo ed in suo onore fu coniata persino una medaglia. Così la sua figura divenne leggendaria. Abbiamo due descrizioni delle conversazioni scientifiche e dei costumi del suo salotto. Si tratta degli scritti del De Brosses (venuto a Milano nel 1739) e del Grosley (del 1760 circa); le due descrizioni raccolgono insieme alla data dell’Accademia (1720) la testimonianza di un’attività culturale durata ben quarant’anni.

E consideriamo che quarant’anni di attività scientifica e culturale in una medesima città costituiscono un traguardo veramente ragguardevole, ed il cui merito va ascritto all’opera di una donna eccezionale ma di cui la cultura ufficiale ha abraso il ricordo. Forse è giunto il momento di riscrivere la storia dell’umanità in modo completo.