Realismo e corposità stilistica nella poesia dialettale di Alfredo Mariniello  (L’inferno buono, agosto 2000; Salute a nuje!,  Velardi editrice) 

Chi può mai dire che la poesia dialettale sia di un grado inferiore rispetto a quella scritta in lingua? La poesia è poesia! In effetti il dialetto non limita l’espressione poetica, ma se mai la vivifica e la trasferisce in una dimensione diversa. La lingua sotto l’aspetto poetico è neutra. Ecco perché, leggendo le poesie del napoletano Alfredo Mariniello, mi sono trovato coinvolto in un mondo popolare e realistico, un mondo cui personalmente mi sento vicino. Il mondo degli uomini comuni, degli umili, delle persone che vivono la loro quotidianità. La poesia di Mariniello è una poesia a scene, a piccoli squarci. Forse questo stile gli deriva dal suo essere anche pittore. Un effetti le situazioni da lui presentate sono squarci realistici, dove il dialogo coinvolge il lettore «con animo predisposto a gioire in quanto dai primi fino agli ultimi versi passerà attraverso molte emozioni che una bella anima partenopea, equilibrata, serena, forte può offrire» scrive Giacomo Migliore nella premessa.  Si tratta di una poesia che ricorda da vicino i poeti siciliani Giovanni Meli e Domenico Tempio, una poesia realistica che sa passare dal dialogo alla riflessione personale, dall’evidenziazione di un problema sociale alla descrizione paesaggistica. A volta la narrazione è affabulante, quasi assume un tono di favola con la immancabile morale. Bellissima in questo senso mi è apparsa la poesia “L’acqua e ‘o vino”, una metafora dell’amore tra l’uomo e la donna, quasi una fusione sentimentale completa. I sentimenti sono espressi nella loro genuinità, come ad esempio nella poesia “Bella”  quando recita: «Bella è ‘sta vocca toja rossa e carnale. /  Quanno me vasa, dànnome friscura,  / me fa vedé luntano tutt’ ’o male / e fa addeventà’ chiaro tutt’ ’o scuro». Anche nella più recente silloge “L’inferno buono”, lo spirito poetico è identico, accattivante e avvincente. Si tratta di un linguaggio corposo, che rifugge dalla parole vuote e retoriche e, come nella pittura, si ferma all’essenziale.

                             Angelo Manitta