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Salute,
poesia e arte nelle liriche di Enrica
di Giorgi Lombardo (Il
portico di Esculapio, Lorenzo Editore, gennaio 2001)
«Persica,
poma, pyra, lac, caseus, et caro salsa, / et caro cervina, leporina,
caprina, bovina, haec melancholica sunt infirmis inimica» si legge
nella settima massima della “Regola sanitaria salernitana”, che
invita a non mangiare pesche, mele, pere, latte, formaggio e carne
salata, di cervo, di lepre, di capra, di bue perché sono cibi che
nuocciono gravemente alla salute. Iniziare una recensione con una tale
massima potrebbe dare l’impressione che si voglia recensire un libro
di medicina o di arte culinaria. Invece no. Si tratta dell’ultimo
originale volume di poesie della poetessa palermitana, residente a
Torino, Enrica Di Giorgi Lombardo. Il libro, dal titolo “Il porto di
Esculapio”, è diviso in tre parti. Nella prima, in forma poetica,
vengono descritte e presentate le pietanze che fanno più gola
all’uomo, in una vita godereccia che a tratti richiama autori
classici come Alceo, Orazio, Petronio. Nella seconda parte vengono
invece evidenziati gli aspetti che riguardano la salute. La terza
parte infine è quasi preludio di una completa guarigione. Presentato
così il volume potrebbe sembrare tutt’altro che un libro di poesia.
Invece, al contrario, la poetessa riesce a fondere poesia, esperienza
personale, descrizione vegetale e soprattutto espressività interiore,
quasi in maniera classica. Il volume si apre con una massima
salernitana, estremamente indicativa: «Ut sis nocte laevis sit tibi
coena brevis». E la prima parte porta proprio il titolo di “Sapori
e fantasie”. In questa sezione vengono proposti, scrive l’autrice
nella premessa, «componimenti che hanno tratto vita da immagini
esaltanti i colori, gli aromi, i sapori che rallegrano vista, olfatto,
gusto, in aloni di reale e di immaginario, tripudio di sensi e gioia
della mente». In effetti nelle liriche di questa sezione si ha come
un susseguirsi di tele che hanno come soggetto delle nature morte:
frutta, verdure e oggetti di uso domestico. «L’amaro del radicchio
e la saporosa / fragranza del cetriolo // l’acceso gusto della menta
/ il ruvido del ravanello / il sedano estasiante / e l’eccitato
solletico / del basilico in gola». La seconda parte ha come titolo
“Esculapio SOS”, e si apre con una massima di A. Dumas tratta dal
“Conte di Montecristo”. La citazione è emblematica: «Parlare dei
propri mali è già una consolazione». La terza parte è quasi il
superamento del materialismo e della contingenza: la poesia diventa
lirica. I colori dei frutti e delle pietanze si tramutano negli odori
e nei colori delle piante, nei suoni delicati della natura, nella
felicità che l’essere umano acquisisce dopo un lungo periodo di
convalescenza. La vita comincia a sorridere, e sorride in tutta la sua
pienezza. L’ultima parte della silloge infine, che è quasi una
lunga dedica agli amici più cari, si conclude proprio con
un’invocazione ad un amico, Silvio Bellezza: «Tu nei misteri del
Nulla o del Qualcosa / celi le tue sembianze / in pace duratura / e
fuggi a riguardare / non so quali confini / dove si eterna il canto /
nella nebbia dei giorni / e nei silenzi / degli occhi».
Questa
silloge di Enrica Di Giorgi mostra come con grande abilità si possono
fondere in un tutt’uno arte, cultura, poesia, sentimenti, lirismo e
scienza, e la cosa può essere certo ascritta ad onore della sua
autrice.