- La salvezza degli infedeli nel
pensiero di Dante
Alighieri
- di
Santino
Spartà
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- Roma e la sua missione (cap.I)
- Roma, nella sublimazione dantesca, non
si esaurisce in una cronologia di imprese gloriose, anche se le
procurano “imperio sanza fine”(1), non si circoscrive entro
quelle potenti mura pur “degne di reverenzia”(2); il fascino
classico e l’equilibrio pratico “che fe’ i Romani al mondo
reverenti”(3), può comunicare un incantato stupore di
ammirazione, ma non l’intima
trascendenza, il mistico significato della sua missione. Gli
avvenimenti storici e le virtù dei Grandi, che in Roma si
intrecciano e si maturano, sembrano perdere quasi la loro
individuale dialettica per qualche cosa di inedito, non avvertibile
nel dinamismo delle conquiste e poi nell’unità politica.
- Per Dante più che la grandezza, la
completezza della missione di Roma sta proprio in questo mistero. La
città dei Cesari con l’impero
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fu stabilita per lo loco santo
-
u’ siede il successor del maggior Piero(4).
- Se il poeta ne rievoca con commossa
apoteosi la luce e la civiltà, lo farà perché
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l’alta provedenza… con Scipio
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difese a Roma la gloria del Mondo(5),
- e ciò è segno tangibile che Dio ha
inserito “la sua opera salvifica in terra nella storia di
Roma”(6).
- Anche la civiltà antica, nell’espressione più alta dei
suoi nobili rappresentanti con la perfezione delle loro virtù e
l’altezza del loro ingegno, è ordinata dalla Provvidenza a
preparare il ritorno della pace e della giustizia. Non si
spiegherebbe altrimenti come l’ “orrevol gente” del nobile
castello ha “cotanta onranza” che “grazia acquista nel ciel
che sì li avanza”(7), in Roma però si incentra il valore di tale
missione allegoricamente riconosciuto nel Limbo da quella voce
“sola” ma idealmente sinfonica, nell’onorare Virgilio
“altissimo poeta”. Dante non potendo accordare per ragioni
dogmatiche la beatitudine soprannaturale alla Roma pagana che,
grazie ad Enea padre dell’impero(8), rappresenta tutte le stirpi
in quanto è congiunta all’Asia con Assaraco e con Creusa,
all’Europa con Dardano, all’Africa con Elettra e all’Italia
con Lavinia, le affida un mistico impegno “dispositio mundi”(9)
per l’ora messianica.
- Convinto della sacralità di tale missione descrive nel Paradiso il
volo vittorioso dell’Aquila attraverso il tempo e lo spazio. La
dimora del “santo uccello”(10) è stata ad Alba «per trecento
anni e oltre infino al fine»(11) che i tre Curiazi albani contro i
tre Orazi romani combatterono per avere «‘l segno del mondo e
de’ suoi duci(12). In una densa sintesi storica che va “dal mal
de le Sabine / al dolor di Lucrezia” ricorda lo sforzo glorioso
dei sette re che “vincendo intorno le genti vicine”(13) furono i
tutori della fanciullezza (14). La vittoria su Brenno (15), su Pirro
(16), e “li altri principi e collegi” la disfatta
-
de li Arabi
-
che di retro ad Annibale passaro
-
l’alpestre rocce(17),
- i trionfi di Scipione e di Pompeo(18)
danno a Roma una egemonia incontrastata e un’aureola di gloria.
Celebra i meriti di quanti diedero luce al sacrosanto impero:
Pallante, “che morì per darli regno”(19), il giusto
Torquato(20), la severa povertà di Cincinnato(21), il valore dei
Deci e dai Fabi(22), l’eroismo di Clelia(23), l’austera virtù
di Cornelia(24), la saggia diplomazia di Augusto(25) che “puose il
mondo in tanta pace / fu serrato a Iano il suo delubro”(26) la
bontà di Tito, che
-
con l’aiuto del sommo rege vendicò le fora
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onde uscì il sangue per Giuda venduto(27),
- e finalmente la forza di Carlo Magno
con la quale Roma risorge nel suo genuino spirito universale(28).
- A Cesare
specialmente dedica(29) nella contemplazione storica delle sue
imprese, le sei terzine che rievocano una stupenda concisione, la
sua potenza di Titano, ansioso di più colmi destini, e la
consapevolezza della missione imperiale.
- Qualche volta
l’amore per Roma assume i margini di una incontrollata esuberanza
una paradossale audacia e si conclude nella frammentarietà di
sporadici atteggiamenti psicologici.
- E per esser
vissuto di là quando
- visse Virgilio,
assentirei un sole
- più che un
deggio al mio uscir di bando(30)
- fa dire a Stazio in uno slancio
iperbolicamente ortodosso; l’equilibrio ritorna in dimensioni più
dinamiche e consapevoli nel canto XXIV del Paradiso. Trascendenza di
amore vibra in Paolo, la cui opera feconda “mise… Roma nel buon
filo”(31), ed in Giustiniano che nel Digesto
perpetuò l’unità spirituale dell’impero(32).
- La Roma dei
grandi monumenti non ha lasciato considerevoli tracce nelle sue
opere. Parla, è vero, del ponte Sant’Angelo, ma come termine di
paragone(33); ricorda la pina di San Pietro per dare quasi una
proporzione fisica della “faccia… lunga e grossa di Nembrotte”(34);
Il Tevere perde la sua romantica romanità per assurgere nella
sintetica potenza del verso al luogo di salvezza in opposizione
all’Acheronte(35). Il Laterano (36), il Gianicolo(37), Monte
Malo(38) vivono solamente per puri riferimenti storici. La Roma per
dire “fisica” anche se della “ardua sua opra / stupefaciensi”(39)
i barbari, scompare di fronte alla Roma ideale(40). Ad essa accorda
il favore divino. Il popolo romano che la fantasia dantesca
considera il più nobile della terra(41) “propia commoda
neglexisse videtur, ut publica pro salute humana generis procuraret”(42);
come tale è stato eletto alla dignità dell’impero(43). Nelle
lotte sostenute(44) che non si monopolizzano nella contingenza di un
determinato momento storico(45), e manifesta la protezione
dall’alto(46). La sede dell’impero è dovuta a Roma non solo per
strategia e per forza, causa strumentale(47), ma per volere di
Dio(48), e quindi a ragione fu scritto che “l’impero romano
nasce dal fonte della pietà”(49).
- Così Dante viene
a santificare la città pagana. Da questa concezione nasce il suo
odio per gli offensori della santità di Roma. Sdegno incontenibile
e monito rovente si abbattono contro i Fiesolani in figurazioni
umilianti, affinché non
- tocchin
la pianta,
- s’alcuna surge
ancora in loro letame
- in cui riviva la
semente santa
- di que’ Roman
che vi rimaser quando
- fu fatto il nido
di malizia tanta(50).
- Non esita a denunziare “di quanto
mal fu: madre… quella dote(51) fatta da Costantino a papa
Silvestro. Questa donazione “fè mal frutto”(52) in quanto nel
dono “si pretese di scorgere una rinunzia alla giurisdizione
imperiale e il conferimento alla Chiesa di una signoria terrena
super reges et regna”(53), sicché
-
la Chiesa di Roma,
-
per confondere in sé due reggimenti,
-
cade nel fango e sé brutta e la soma(54).
- Il tono diviene più concitato nel
canto VI del Purgatorio, che prorompe in una formidabile accusa
contro quella “gente” che dovrebbe “essere devota, / e lasciar
seder Cesare in sella”(55). Perfino nella III cantica in un alone
di silenzio liricamente musicale si orchestra una parentesi di
sdegno per “quelli
c’usurpa in terra il luogo”(56) santo di Roma, determinando
l’assurdità poeticamente stupenda di un cielo che si
“trascolora”.
- Dante, che segue in parte(57) la filosofia storica di
Sant’Agostino e conosce che “causa magnitudinis Romani imperii
nec fortuita est nec fatalis”(58), ne ricerca appassionatamente le
radici. La Roma cristiana ha le sue origini ideali in David(59)
mentre quella pagana in Enea(60), l’una e l’altra fondate
contempo-raneamente(61), anche se con una vita storica totalmente
diversa, che si fonderà in una sola(62) nella maturità dei tempi,
per volere di Dio e per il sangue degli Apostoli.
- Per la stessa ragione di vedere contemporanea la preparazione
e nascita del papato e dell’impero nelle loro origini remote
chiama “santo” il popolo ebreo(63) e “santo e pio”(64) il
romano e così città santa Gerusalemme, simbolo della Gerusalemme
celeste(65), e santa Roma(66), simbolo della Roma celeste(67):
l’impero e la Chiesa per la loro diffusione avranno lo stesso
prodigio(68). I miracoli operati per il cristianesimo dimostrano la
sua divinità(69), concessi per l’impero ci assicurano che è
stato voluto da Dio(70).
- Come il martirio di San Pietro, di Lino, Cleto e i patimenti
di altri Papi rinvigoriranno la Chiesa(71), così le fatiche e i
sudori di Scipione e di altri illustri romani saranno ordinati ad
accrescere l’ordinamento dell’impero(72). All’indagine
meticolosa del poeta non sfuggono altri parallelismi che mirano a
formare sempre più un sistema ideologicamente massiccio. Nella
bolgia degli ipocriti Caifa è punito “crucifisso in terra con tre
pali”
-
attraversato e, nudo, è nella via,
-
come tu vedi, ed è mestier ch’ei senta
-
qualunque passa, come pesa, pria(73)
-
- perché perfidamente confidò ai
Farisei “che convenia / porre un uomo per lo popolo ai martiri”,
anche se con questo paradosso si affrettò la Redenzione; in
un’altra bolgia troviamo Curione “con la lingua tagliata ne la
strozza”(74), perché col “dir così ardito” non si prefiggeva
un nobile scopo ma fu “facella accenditrice di un’immane guerra
cittadina”(75). Pene più obbrobriose riserva ai traditori delle
due monarchie. Dei tre peccatori che Lucifero “maciulla” la
maggior pena è riservata a Giuda Iscariota “che il capo ha dentro
e fuor le gambe mena”(76) perché tradì Cristo il più grande dei
benefattori, il quale ha dato all’umanità una guida spirituale
nel Papato; mentre dalle bocche laterali con “il capo sotto” si
scalciano Bruto che si “storce e non fa motto” e Cassio “sì
membruto”(77), traditori di un altro benefattore, Cesare, “primo
principe sommo”(78) dell’impero, voluto da Dio per il bene
temporale dell’uomo.
- “Tradire la Chiesa e l’impero – osserva il Fallani –
è colpire l’ordinamento che Dio ha stabilito contro l’infermità
del peccato: il poeta che considera i due poteri, fuori della
simbologia, le realtà uniche da cui non è lecito astrarre per la
legittimità e la consistenza del vivere civile e religioso, pone a
segnacolo della vendetta divina contro il tradimento di Cristo e il
tradimento di Cesare, la più grave di tutte le punizioni incontrate
nell’inferno”(79).
- Le due monarchie trovano la loro ideale espressione di unità
nella città eterna. Difatti
-
solea Roma, che ‘l buon mondo feo
- due soli aver,
che l’una e l’altra strada
- facean veder, e
del mondo e di Deo(80).
- Il poeta che non riusciva ad
immaginare “Romam urbem… utroque lumine destitutam”(81) è
preso dallo sdegno e dall’amarezza, ed impreca contro “Alberto
tedesco” che abbandona l’Italia “indomita e selvaggia”,
mentre dovrebbe “inforcar li suoi arcioni”(82); veemenza che si
placa in un atteggiamento quasi affettivo.
-
Vieni a veder la tua Roma che piagne
-
vedova e sola, e dì e notte chiama:
-
Cesare mio, perché non m’accompagne?(83).
- E scongiura i cardinali a
“combattere virilmente” affinché
la “sede della sposa” di Cristo sia restituita a Roma(84). Nella
riconquistata consapevolezza della missione di giustizia e di pace,
Dante sente che rivivranno idealmente “quei pagani i cui nomi sono
iscritti nella misteriosa storia precristiana di Roma”(85), e si
continuerà a dare nel sereno equilibrio del dramma quotidiano la
salvezza dell’umanità.
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- (1)
Convivio, IV, IV, 12.
- (2) Conv. IV, V, 20.
- (3) Paradiso, XIX, 102.
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(4) Inferno, II, 23.24.
- (5) Par. XXVII, 61-62.
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- (6) G. Fallani,
Poesia e Teologia nella Divina Commedia, Milano 1961, vol, II, pag.
102.
- (7)
Inf. IV, 78.
- (8) Inf. II, 20-21.
- (9) Monarchia. III, XVI, 12;
Conv. IV, V, 4.
- (10)
Par. XVII, 72.
- (11) Par. VI, 38.
- (12) Par. XX, 8.
- (13) Par.
VI, 40-42.
- (14) “Che se consideriamo li sette regi che prima la
governarono… che furono quasi biuli e tutori de la sua puerizia,
noi trovare potremo per le scritture de le romane istorie,
massimamente per Tito Livio, coloro essere stati di diverse nature,
secondo l’opportunitade del precedente tempo”. Conv. IV, V, 2.
- (15)
Mon. II, IV, 7; Par. VI, 44; Conv. IV, V, 18. (16)
Inf. XXVIII, 7-9; Par. VI, 44; Mon. II, X, 7.
- (17) Par. VI,
49; Epistole, XI, 21; Conv. IV, V, 19. “Scipione vero pro Italis,
Annibale pro Affricanis in forma duelli bellum gerentibus, Italis
Affricani succubuerunt” Mon. II,
X, 7.
- (18) Inf. XXXI,
115-117; Conv. IV,V, 19; Par. XXVII, 61-62. (19) Par. VI, 36.
- (20)
Conv. IV, V, 14; Par. VI, 46.
- (21) “Nonne Cincinnatus ille sanctum
nobis reliquit exemplum libere deponendi dignitatem in termino cum,
assumptus ab aratro, dictator factus est… et post vistoriam, post
triunphum, sceptro imperatorio restituto consulibus, sudaturus post
boves ad stivam libere reversus est?” Mon. II, V, 9; Par. XV,
129; Conv., IV, V, 14.
- (22)
Mon. II, V, 15; Par. VI, 47. (23) Mon. II, IV, 10.
- (24)
Par. XV, 129.
- (25) Conv. IV,
V, 8; Epist.. V, 24.
- (26) Par. VI, 80-81; Purg. XXIX,
116.
- (27) Purg. XXI, 82-84; cfr. Par. VI, 92-93.
- (28) Par.
VI, 94-96.
- (29) Par. VI, 53-72.
- (30)Purg. XXI, 102.
- (31)
Par. XXIV, 62.
- (32)Par. VI, 11.12.
- (33) Inf. XVIII, 28-33.
- (34)
Inf. XXXI, 58.
- (35) Purg. II,
101-105; cfr. Epist. IX,
10.
- (36) Par. XXXI, 35.
- (37)
Inf. XVIII, 33.
- (38) XV, 109.
- (39) Par. XXXI, 34.
- (40) G.
Capponi, Storia della repubblica di Firenze, l. II, C. VIII. (41)
Mon. II, III, 17.
- (42) Mon. II, 5.
- (43) “Romanus populus cunctis
athelizantibus pro imperio mundi prevaluit, quod erit manifestum si
consideretur athelete, si consideretur et bravium sive meta. Bravium
sive meta fuit omnibus preesse mortalibus: hoc enim ‘Imperium’
dicimus”. Mon. II, VIII, 2.
- (44) Mon. II, 9.
- (45) Par. VI,
81.
- (46) Conv. IV, V 20; cfr. Mon. II, IV, 1. (47) Conv. IV,
IV, 12. (48) Mon. II, I, 7.
- (49) F. Di Capua, La concezione
mistica dell’impero romano in Dante, in Scritti minori, vol. II,
Roma-Parigi 1959, p. 372.
- (50)
Inf. XV, 74-78.
- (51) Inf. XIX,
115-116.
- (52) Par. XX, 56.
- (53) B. Nardi, “La donatio
Costantini e Dante”, in “Nel mondo di Dante”, Roma 1944, p.
148.
- (54)
Purg. XVI, 127-129.
- (55) Purg. VI, 91-92.
- (56) Par. XXVII, 19-26.
- (57) P.
Gerosa, “S. Agostino e l’imperialismo romano”, in
“Miscellanea agostiniana”, Roma 1931, vol. II, p. 977.
- (58) S.
Agostino, De civit. Dei, V, I.
- (59) “E tutto questo fu in uno
temporale, che David nacque e nacque Roma, cioè che Enea venne di
Troia in Italia che fu origine de la cittade romana sì come
testimoniano le scritture. Per che assai è manifesto la divina
elezione del romano imperio, per lo nascimento de la santa cittade
che fu contemporaneo a la radice de la progenie di Maria” Conv. IV,
V, 6.
- (60) “Divinus poeta noster Virgilius per totam Eneidem
gloriosissimum regem Enea patrem romani populi fuisse testatur in
memoriam sempiternam” Mon. II,
II, 6. Conv. Par. VI, III.
- (61) Per maggior prova cipiace
citare un passo del Convivio: “Oh ineffabile e incomprensibile
sapienza di Dio, che a un’ora per la tua venuta in Siria suso qua
in Italia tanto dianzi ti preparasti”. IV,
V, 9.
- (62) Epist. XI, 3.
- (63) Conv. IV, V, 5.
- (64)
Mon. II, V, 5.
- (65) Epist. II, 2; Par. XXV, 56. (66) Mon. II, V, 5.
- (67)
Purg. XXXII, 102.
- (68) Inf. II,
13-30.
- (69) Par. XXIV, 100.
- (70) “Illud quoque ad sui perfectionem
miraculorum suffragio iuvatus est a Deo volitum, et per consequens
de iure fit. Et quod ista sint vera patet, quia, sicut dicit Thomas
in Tertio suo “Contra Gentiles”, miraculum est quos praeter
ordinem in rebus comuniter institutum divinitus fit”. Mon. II, IV,
1.
- (71) Par. XXVII, 41.
- (72) Par. VI, 34. Idem, XXVII, 61;
Mon. II, 5.
- (73) Inf. XXIII, 111-120.
- (74)
XXVIII, 101.
- (75) Crescini, in “Lectura Dantis”, cit. nella
Divina Commedia commentata da C. Grabher, Milano-Messina 1951, Inf. XXVIII,
101, pag. 352.
- (76) Inf. XXXIV, 63.
- (77) Inf. XXXIV, 66-67.
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- (78)
“Se noi consideriamo poi (quella) per la maggiore adolescenza sua,
poiché da la reale tutoria fu emancipata da Bruto primo console
infino a Cesare, primo prencipe sommo, noi troveremo lei esaltata
non come umani cittadini, ma con divini, ne li quali non amore
umano, ma divino, era ispirato in amare lei” Conv. IV, V, 12. (79)
Poesia e Teologia della Divina Commedia, Milano 1959, vol. I, p.
100.
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- (80) Purg. XVI,
106-108.
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- (81) Epist. XI, 21.
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- (82)
Purg. VI, 96-99.
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- (83) Purg. VI, 112-114.
- (84) Epist. XI, 26; idem
VII. (85) G. Fallani, “Poesia e Teologia nella Divina Commedia”,
Milano 1959, vol. I, p. 49.
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