Semplice pathos di Antonio Conserva (edizioni Pugliese, 1999)

 

La silloge di Antonio Conserva “Semplice pathos” è un’opera emblematica della poesia contemporanea. Quello che scaturisce è un desiderio di libertà e di pace che trasforma il pathos in poesia, il tempo nello specchio crudele della vita. La parola, nella sua frammentaria valenza, si veste di purezza, traducendo la sensibilità dell’animo umano in diario poetico. Quindi l’Arte non diventa né illusione né imitazione, ma amore della parola che porta l’uomo a perdersi «nelle antiche sensazioni / nel baule dei ricordi della memoria / nei sogni di speranze». L’uomo in realtà è cieco: «La vita buia / è la tua forza», scrive il poeta, «hai un mondo interno / che crei con le tue sensazioni / con le tue ansie / con le tue emozioni», ma in verità «non avevamo capito / che eravamo morti». Quasi una condizione esistenziale in cui, come scrive Epicuro, la retta conoscenza che la morte per noi è nulla, cioè perdita delle sensazioni, rende piacevole che la vita sia mortale. Infatti lo stesso poeta si domanda: «Cosa posso aspettarmi / tra il vivere e il morire / fra la morte e la vita / se il nascere è la morte / o se la morte è il nascere»? Questo perché il perire dell’uomo è inarrestabile, il futuro è incerto, anche se «il mistero è dentro di noi / nell’enigma solitario / dell’esistenza». L’amore, però, è l’unica via di salvezza presente, la speranza in Dio l’unica via di redenzione che ognuno di noi ripone nel futuro, anche se nella vita, come afferma Friedrich Rückert, «speranze dietro speranze svaniscono, ma il cuore continua a sperare; un’onda dietro l’altra si rompe, ma il mare non si esaurisce. Che le onde si abbassino e si sollevino, è questa appunto la vita del mare; e che si speri di giorno in giorno, è così fatta la vicenda del cuore». Bisogna quindi combattere per la libertà! Questo è il messaggio della silloge, perché «le ali della libertà / non perdono mai le piume», benché questa libertà, nota Neruda, sia invisibile e proscritta.

                             Giuseppe Manitta