Palcoscenico
di Simona Trevisani
 
Una luce nella piazza ai margini
della metropoli oltre la porta
all’ombra
della casa bianca
s’illumina il calabrone verde
che svolazza tra la rosa gialla
ed un fiore di cactus.
È parcheggiata da un paese lontano
un’auto con un foro nel parabrezza,
lo specchio retrovisore
riflette la spiaggia vuota.
Squilla al tramonto
lo specchio scuro degli occhiali
nasconde due lacrime
che sulle labbra rosse scendono.
Una corsa sul prato verso
l’ultima riva dei ricordi
i giorni del vino
e delle rose racchiuse
ora in un pugno di polvere.
Su e giù per le scale,
la testa fra le nuvole,
l’anima e il corpo si sentono
una rondine senza nido.
Prendo l’ultimo treno della notte
attraverso le lunghe colline
con in braccio il cane di paglia,
la mia terra è lontana ormai.
Sul lago dorato il piccolo porto
è ancora
un piccolo mondo antico.
Ora dalla pazza folla sono
per trovare una ragione
per vivere
e una per morire ma da scordare.