Oriana Fallaci
di Bruna Tamburrini

Ho sempre ammirato la scrittrice, la giornalista e soprattutto la donna Oriana Fallaci. Leggere i suoi libri, i suoi romanzi è stato per me imparare una tecnica di scrittura nuova, moderna, ma è stato soprattutto un momento importante per penetrare nei pensieri, negli abissi dell’animo e ciò mi ha fatto sempre riflettere creandomi spazi ulteriori su cui meditare.

Ora sono qui a tentare di parlare di lei, della giornalista-scrittrice che in un certo senso ha rotto i canoni tradizionali della scrittura e ha saputo sempre trascinare il lettore all’interno di un mondo a volte anche fantastico, ma con alla base sempre la realtà, un mondo storico, vivo e attuale, ricco di fermenti vitali, di problematiche aperte.

Non sappiamo molto della sua biografia, si sa che è fiorentina e che una sua seconda patria è New York. In qualità di giornalista e corrispondente di guerra ha seguito i più grandi conflitti del nostro tempo, dal Vietnam al Medioriente. Le sue interviste, alcune raccolte nel libro “Intervista con la storia”, mettono a nudo gli animi dei personaggi più famosi che ci appaiono per quello che realmente sono. In questo libro c’è anche la parte ultima riguardante l’intervista ad Alessandro Panagulis, l’eroe della resistenza greca, il suo grande amore. La leggo di nuovo e ritrovo le stesse emozioni che provai la prima volta, sono emozioni che mi riconducono col pensiero al grande capolavoro “Un Uomo” (Rizzoli, ‘79). Così inizia la descrizione di Panagulis: «Quel giorno aveva il volto di un Gesù crocifisso dieci volte e sembrava più vecchio dei suoi 34 anni. Sulle guance pallide si affondavano già alcune rughe, tra i suoi capelli neri spiccavano già ciuffi bianchi, e i suoi occhi erano pozze di malinconia…»

La forza di quest’uomo che seduceva con la voce e parlando “fumava la pipa” si avverte nella scrittura della Fallaci, nei tratti descrittivi precisi e ricchi di sfaccettature, di pensieri e considerazioni. La bellezza della sua anima rende bello lo stesso personaggio che aveva una vena poetica e non a caso ripeteva spesso: «La politica è un dovere, la poesia un bisogno».

A mio avviso il capolavoro “Un Uomo” nasce da questa intervista, è come voler evidenziare l’esistenza di una persona diversa da tutti ed è come voler sottolineare l’importanza di un uomo nella storia di tutti noi. Parlando di lui la scrittrice, in un’intervista ad un giornalista americano, così afferma: «Aveva compreso tutto di me, in un modo spietato, in un modo che mi irritava, Alekos metteva a nudo l’anima».

Poi ecco arrivare la notte del maggio 1976 ad Atene, una notte di morte in cui Panagulis viene ucciso e per la scrittrice ci sarà un periodo di assenza, ci saranno anni di meditazione per arrivare infine alla stesura di “Un Uomo” nel quale c’è il ricordo delle parole di Alekos: «Morirò e scriverai un libro su di me…morirò e allora sì che mi amerai per sempre». La morte di Alekos, una morte di certo rifiutata con le espressioni: «Alekos vive, vive, vive!» lascia una cicatrice profonda nell’animo della scrittrice tanto da farle affermare: «Quando si è provato un dolore non si è più gli stessi. La morte non è come tutti gli altri dolori, è irreparabile». In questo caso si riferisce anche alla morte della madre alla quale era molto legata. La Fallaci afferma che “ Un Uomo”, il suo libro, il suo romanzo ideologico, è costruito come una fiaba, in quanto il racconto segue la struttura classica della fiaba che è sempre la stessa, sia nel mito greco che nelle leggende e nei racconti popolari di ogni tempo: «Iniziazione, periodo delle grandi prove, ritorno al villaggio, la sfida finale, la morte e/o apoteosi. Cioè: la bomba o attentato a Papadopulos, l’arresto, le torture, il processo, la condanna a morte, l’esilio e il ritorno in patria, dopo la caduta della dittatura, la cattura dei documenti, la morte e i grandi funerali». Nel romanzo i funerali dell’eroe vengono presentati subito al lettore, poi c’è un flash-back  e il racconto inizia con la parte prima.

Tralasciamo per un attimo di occuparci di questo romanzo per analizzare i personaggi delle opere della scrittrice e forse si può notare un filo conduttore: i personaggi appartengono alla cronaca quotidiana anche quando sono inventati e a volte si elevano nella sfera dell’immaginazione per evidenziare, comunque e sempre, un’ideologia, per significare un aspetto particolare della realtà.

Nel romanzo “Se il sole muore” (Rizzoli ‘65) la scrittrice affronta con i suoi personaggi il tema del contrasto-abisso tra due generazioni: i vecchi ancora legati alla terra e al passato e i giovani rivolti verso orizzonti tecnologici nuovi e la sua diviene un’arringa in difesa del futuro. Nel romanzo “Insciallah” (Rizzoli ‘90) la scrittrice afferma che la narrazione prende forma piano piano nella sua mente e «come un feto privo di lineamenti precisi all’inizio chiude in sé una miniera di ipotesi: tiene in serbo una miriade di sorprese buone o cattive». Così nasce questo romanzo e la realtà viene reinventata, ricreata con tutti i personaggi che si affollano come in un palcoscenico.

Diversi personaggi di O. Fallaci hanno a che fare con la morte, una morte che può venire dalla guerra, da un complotto, dal destino, ma anche dal fatto che qualcuno ti impedisce di nascere, da qui il titolo di un altro suo romanzo di successo: “Lettera a un bambino mai nato” (Rizzoli ‘75). Si affronta, dunque, in questo libro un altro tema altrettanto importante nella società degli anni settanta: nascere o non nascere e quindi l’aborto. È un monologo-dialogo di una donna che guarda alla maternità non come un dovere, ma come una scelta personale.

La donna, sola, indipendente, senza nome, spiega al bambino quali sono le realtà da affrontare entrando in un mondo dove «la sopravvivenza è violenza, la libertà è un sogno, la giustizia un imbroglio, il domani uno ieri, l’amore una parola dal significato non chiaro». Il dilemma si snoda attraverso altri personaggi senza nome, ma che assumono un ruolo sociale ed il tutto finisce nel creare un rapporto psicologico tra se stessa e il figlio che alla fine rifiuta la vita.

Significative sono le parole sulla vita-morte: «La vita non può andarsene se non si vuole: qui non muore nessuno, nemmeno te, perché sei già morto. Morto senza sapere cosa significa essere vivo: senza sapere cosa sono i colori, i sapori, gli odori, i suoni, i sentimenti, il pensiero. Mi dispiace per te e per me». E ancora: «Dovevi combattere, vincere. Hai ceduto troppo presto, ti sei rassegnato troppo alla svelta: non eri fatto per la vita». Il verdetto finale condanna la donna a pagare e il desiderio di vedere il suo bambino diventare UOMO (ritorna spesso questa parola nelle opere della Fallaci) si perde in un bicchiere di alcool dove «galleggia qualcosa che non volle diventare uomo». Alla fine c’è una morte letteraria o reale della donna “Forse muoio anch’io”, ma poi il concetto della morte viene vinto, superato con l’ultima frase: «Ma non conta. Perché la vita non muore».

In questo dualismo vita-morte si colloca quasi tutta la narrativa dell’autrice ed è un desiderio di vincere la morte stessa: «Alekos vive, vive, vive!» è un dualismo che si completa con l’altro contrasto potere-forza incapacità-impossibilità. Gli uomini forti vincono e sono capaci di vivere ancora, anche dopo la morte e la vita stessa è una lotta. Chi è troppo debole non può lottare e allora gli altri (senza nome) prendono il sopravvento e ti bloccano fino ad ucciderti o a non farti nascere.  A volte si può avere anche la “nostalgia della morte” ed accade quando un uomo vive aspettando la morte come Alekos e la morte stessa diventerà una seconda pelle e quasi un destino innato.

Un altro tema importante che ho trovato in molti suoi scritti è il concetto di Dio. Nell’intervista a Panagulis alla domanda: «Sei religioso Alekos?» c’è questa risposta: «Io no, …non credo in Dio. Se mi parli di Dio ti rispondo con la risposta di Einstein: credo nel Dio di Spinoza. Chiamalo panteismo… se mi parli di Gesù Cristo rispondo che non lo considero figlio di Dio, ma figlio degli uomini… Il solo fatto che la sua vita sia stata ispirata dalla volontà di alleviare il dolore umano… mi basta a considerarlo grande».

               In “Lettera a un bambino mai nato”  il concetto di Dio viene inteso come una tentazione che denuncia stanchezza: «Dio è un punto esclamativo con cui si incollano tutti i cocci rotti: se uno ci crede vuol dire che è stanco, che non ce la fa più a cavarsela da sé». Ma poi ritroviamo nel capitolo primo della parte seconda di “Un Uomo” queste parole: «L’amara scoperta che Dio non esiste ha ucciso la parola destino. Ma negare il destino è arroganza, affermare che noi siamo gli artefici della nostra esistenza è follia…» e Dio viene invocato ogni volta che si ha paura «Oh Theòs, Theòs mu! Oh Dio! Dio mio!». C’è, a mio avviso, una religiosità sempre ricercata, ma mai posseduta, una religiosità legata al desiderio, all’irrazionale, quasi un’aspirazione, ma poi viene bloccata dalla razionalità, dalla realtà. Il concetto di libertà si inserisce in quello più ampio della vita e della morte in quanto la libertà è la capacità di essere artefici del proprio destino, è il desiderio di imporre un’individualità diversa, capace di essere autonoma e indipendente, è un sogno, è anche un dovere. La libertà è, inoltre, una difficile conquista, perché la società, con le guerre, con i pregiudizi, con la violenza, non permette la piena realizzazione della personalità. Allora si può non nascere, oppure si può morire in un mondo che ti vuole imporre la sua logica e le sue regole.

Il tema della donna fa da cornice a tutti gli altri temi, in quanto la donna va in cerca della propria libertà, è una “Penelope alla guerra” (prima opera della scrittrice- Rizzoli ‘62) ed avverte i limiti imposti dagli schemi esterni in una società maschilista. Il concetto dell’autonomia della donna si completa nel romanzo “Lettera a un bambino mai nato”.

La Fallaci usa diverse tecniche di narrazione che vanno dall’intervista, in cui appaiono ritratti di uomini, alla narrazione volta a scoprire e penetrare l’intimo dei valori per giungere infine al racconto-dialogo in seconda persona, dove c’è una ricerca costante di temi interiori. Il tutto si amalgama con una scrittura accattivante, ricca di immagini e soprattutto chiara.

È difficile per me trarre una conclusione da questa analisi, perché il pensiero e l’anima dell’autrice non hanno conclusioni e la ricerca è continua, infinita con tanti risvolti, io ho semplicemente analizzato alcune tematiche che potranno senza dubbio essere ampliate o arricchite. Le opere della Fallaci non avranno mai fine, perché sono esse stesse la vita degli uomini, delle cose, dei valori,  sono rappresentative di  una battaglia contro il nulla, contro la meschinità, la mediocrità  e questa lotta contro un mondo diverso  si completerà  sempre  con  l’immagine emblematica di Dio e del destino: Insciallah – Come Dio vuole!