La teologia della parola nella poesia di Ferdinando Banchini (Convergenze, Luigi Pellegrini Editore) 

Il titolo del recente volume di poesie, intercalato da alcuni brani in prosa, di Ferdinando Banchini, dal titolo “Convergenze”, si presenta diviso in quattro parti: “Parola”, “Prima direzione”, “Seconda direzione” e infine “Diversione polemica”. Nella silloge si congiungono e si compongono, secondo quanto scrive lo stesso autore nella brevissima presentazione, «abbandono e consapevolezza, incanto e conoscenza, smarrimento ed elevazione, limite e vastità, ricerca e approdo, fuga e incontro». La poesia di Banchini si presenta così come una varietà di vedute e di concezioni, poggiando la sua forza sulla parola, come evidenzia il sottotitolo della prima parte, dove la parola assume una valenza mitica. Il mito è l’ideale che si congiunge alla poesia cui l’uomo aspira. La poesia stessa diventa mito dell’esistenza e della fantasia: «Parola inventata dall’uomo, / modellata / modulata / rabescata / senza fine parola / che inventa l’uomo e lo suscita e lo illumina». La parola diventa elemento essenziale e filo conduttore del pensiero. Si tratta quasi di una teologia del Verbo, che «un nulla muta in segni sviliti, corrode, frantuma, disperde». Lo stesso concetto viene ripreso anche nel racconto “Il cerchio di luce”, dove la parola-luce si tramuta in mistero che avvolge l’umanità. La luce è vita, come la parola è comunicazione. Essa si dilata «tra passato e futuro, si accompagna al mutare delle cose, al lungo fluire di idee e di forme». La parola quindi, oltre alla funzione mitica, assume anche la funzione comunicativa, permette l’incontro tra gli esseri umani. Ad essa si intreccia la funzione di tempo, «un tempo che è vertigine lontana, / che è parola smorzata senza un’eco». Il mito diventa tempo. Il tempo si fa solitudine e pietra, divora tutto e assomiglia ad un insonne viandante che corre veloce. Il tempo è protagonista nel racconto “Un calendario”, dove l’idea è quella di abbattere il tempo per conquistare l’eternità. In questo ambito si inserisce anche la creazione dell’universo, quale creazione del tempo ma anche della parola. L’uomo, sta quasi in bilico tra tempo e parola, tra tempo e creazione. Dio è il protagonista della terza parte della silloge. Dio è mito, parola, eternità. La teologia della parola, vista in positivo, diventa teologia del negativo. La parola si mostra ancora una volta quale elemento salvifico, diventa vita attraverso una moralità intensa e una responsabilità personale.

                              Enza Conti