Tra tempo ed eterno: la comunicazione nella poesia di Salvatore Lagravanese (La luna, il pioppo, il ragno e… la favola di Nicholas Green, Casal di Principe-CE) 

La funzione fantastica o immaginifica dell’arte provoca un rapporto biunivoco tra l’immagine e la realtà da una parte e la vita e l’idealità dall’altra. L’uomo, infatti, è portato ad immaginare, partendo dal reale. La funzione fantastica, di cui abbiamo grandi esempi ne “Le avventure di Pinocchio” di Collodi o ne “Le avventure del barone di Münchausen” di Raspe, la troviamo anche in Salvatore Lagravanese, poeta di Casal di Principe (CE) e autore, tra l’altro di una silloge di poesie dal titolo “La luna, il pioppo, il ragno e… la favola di Nicholas Green”. La favola, che evidenzia come si possa passare dalla realtà alla fantasia, trae spunto da un fatto di cronaca. La narrazione inizia con «Molti anni or sono», come dire «C’era una volta». Gli elementi favolistici ci sono tutti: il re, la regina, il principe e la principessa. Una fata trasporta il ragazzo, dopo la morte, nel mondo dei sogni. La narrazione sfiora spesso la poesia. Alcune sue espressioni e descrizioni riportano alle liriche della silloge. «Si avverte nell’alterno diario di vita e di morte che queste poesie propongono, la presenza di una dimensione altra, nella quale la vita ritrova la sua piena coscienza e ragione dell’essere» scrive nella breve premessa Francesco D’Episcopo. In effetti la poesia diventa una favola, una narrazione accattivante. La presenza degli elementi naturali è costante, come viene evidenziato già dal titolo. Da questo stretto contatto con la natura scaturisce la gioia della vita, espressa a volte dai colori vivaci, ma soprattutto dagli effetti di luce. Anche l’idea della negatività nasce come espressione del positivo. Auschwitz, infatti, diventa il luogo «dove la luna è ancora prigioniera / d’incubi perenni». L’uomo ha sete di eternità, l’uomo vuole fondersi con l’infinito. Il sentimento dell’eterno assume in Lagravanese una sensibilità religiosa e un valore simbolico. Il tempo è la contingenza, l’eterno è l’assoluto. In questa dicotomia si pone la ricerca della poesia. «Cosa cerchi poeta / nei tramonti / accesi dal pianto…? Forse è passata la morte… forse ritorna la vita». Il tempo assume così un valore primario, scandito da immagini religiose, soffuse anche da una sottile ironia, che costellano l’intera silloge. Il conflitto perenne tra immanenza e contingenza viene evidenziato dal conflitto tra anima e corpo, tra razionalità e sentimento. «Cos’è quel buco / dove entrano secoli / ed escono attimi?». La massima espressione lirica e concettuale di questa formula è certo la poesia  “Ho visto Dio”, dove l’uomo riesce a comunicare con il soprannaturale attraverso una conversazione davvero familiare. «Ho visto Dio dal buco della serratura, / era uguale a dodici anni fa / ma un po’ più alto e con la barba più lunga…». In questa visione passato, presente e futuro si intrecciano, diventano tutt’uno e l’uomo diventa il centro e la misura di ogni cosa, quale essere che comunica con l’eterno, con il Nulla, con la natura, con gli uomini e con Dio. Questo è il messaggio e il profondo significato della poesia di Salvatore Lagravanese.

Angelo Manitta