La Rappresentazione de “I Mesi”
Presentatore

 

O signore mie gentili e cortesi miei signori,
con non troppo adorno stile ma con vero sincero ardore,
questa maschera presento,
per darvi divertimento.

Un’antica tradizione questa maschera tramanda,
che con versi e con canzoni va giungendo in ogni landa,
vita dando ad ogni mese,
come fosse un uom cortese.

Riso gaio fan buon sangue:
perciò tutti rideranno.
E, se tristezza langue,
scorderete i vostri affanni,
per far sì che ogni giorno sia per voi di gioia adorno.

Visto avete i pulcinella che,
per far sgombrar le vie,
con bei lazzi e con stornelli,
suscitando l’allegria,
hanno disposto vostra mente a sta maschera possente.

Sentirete il nonno prima far la storia di famiglia ed il padre,
in gentil rima,
far la storia dei figli.
Ogni mese sentirete e,

son certo,

riderete.

Poi vedrete le stagioni presentarsi tutte adorne,
e con versi e con canzoni,
sfoggiando le loro forme,
vi diranno quanto vale questo nostro carnevale.

Un direttore,
fiero nell’aspetto,
dirigerà strumenti,
artisti ed orchestra,
che ancor se piccola,
è di buon effetto,
perché asseconda di ciascuno l’estro.

Ora qui basta,
e solo questo aggiungo:
signori miei,
l’orchestra vi presento.

(L’orchestra esegue il “marcione” )

 

Direttore

Son direttore antico, alto di fusto, un po’ scarnito;
comando, però, con diligenza archi, coristi, tenori, soprani, strumenti.
Un’arca di scienza in me troverete, fatta di prose, poesie e stornellate.
Di questo prova ve ne darò con l’orchestra nella quale canterò; né un Tito,
né un Caruso al par di me si misurò.

La mia orchestra, sempre pronta al suo direttore, farà vedere, ora, il suo valore.

 

CANTO

Questo piccolo concerto che in coro vuol cantar,
per far sì che la musica risuoni in terra e mar.

Esaltiam, esaltiam chi la inventò.

Siam giovanotti, siam giovanotti,
freschi aitanti e belli….
E tutti quanti e tutti quanti salutiam; il carneval!

 

Il mandolino

Di questa orchestra son componente,
al direttor pronto col mio strumento;
se pur la sua sagoma non è novella,
ricorda sempre l’arte più bella.
Ricorda la musica che in un tempo remoto,
ereditar dalla Grecia l’Italia ebbe modo.
Non sono poeta e neppur musicista,
ma t’amo o strumento come t’ama un artista.
E se permettete un modesto argomento,
di un musicista son pur discendente che,
per don di natura,
fin da bambino,
amava la musica e suonava il clarino;
perciò,
amici cari,
io non son preparato,
ma è puro sentimento dal sangue portato.
Rallegra la primavera il canto dell’uccellino,
rallegra l’universo il dolce suono del mandolino.
E con le sue note:
sol, mi, re, fa,
diamo un saluto a chi ascolto ci dà.
E con la chitarra e la fisarmonica in do,
viva sempre la musica e chi la inventò.

 

La chitarra

La chitarra è uno strumento,
fa piacere a chi la sente;
chi la suona dolcemente fa ben presto addormentar.
Ho deciso di prender moglie,
prederò una moglie racchia,
purché tenga la chitarra e la sappia arpeggiar.
Oh chitarra fortunata!
Saprò mai chi ti godrà?
Piccolo di statura ma grande di cervello,
son suonatore di chitarrella.
Con uno strappo in sol ed uno in fa,
diamo un saluto al carneval.

 

Il nonno

Nonno sono io e ben mi vedete;
dal capo al piè mi scorgete.
Prima di venire alla conclusione,
voglio spiegarvi “la mia ragione”.
Erede di un ricco pescecane,
frutto del cervello e della mano,
scialacquai,
con furore,
denari e stabili sparsi al sole.
Alla volta di Francia mi recai,
col cuore ansante e il bastone in mano.
La prima donna che accalappiai,
fu donna Susanna di Boulevard.
Grazie a Dio ed al mio valore,
misi al mondo un bel maschione.
Gli fu posto nome Cecco,
perché nacque nerbuto e secco.
A cent’anni or sono arrivato,
la santissima Trinitade sia lodata.
Mio figlio ben dodici ne ha procreati,
ed a questo stimabile pubblico li ha presentati.
Ma con ciò non crediate che morto io sia,
perché al par di me è difficile che vi si arrivi.
Pensate che donne,
tabacco e vino,
mantengono il cuore mio sollevato più di prima!

 

Il padre

Signori garbatissimi,
a voi fin troppo è noto,
che carneval desideri divertimenti e onore.
Padre sono io di dodici figli,
e ciascuno di loro ha trenta figlioli,
sbaragliati come rose e gigli e pur di viole.
Io non so a chi rassomiglino:
chi è rosso,
chi è bianco,
chi è verde,
chi è nero,
e sono tutti, tutti immortali…
Udite, udite, o signori, se il nome di ciascuno sia uguale…….
A te Gennaio.

 

GENNAIO

Io son Gennaio,
con una buona entratura;
sto in questione con i pecorai,
e a cacciar occhi con i loro padroni.
Loro col vento io col “riflusso”,
aret’ aret’ m’ magn’ l’arrust’.
E son Gennaio ancora,
cane delle creature,
non le fo campare un’ora,
e le mando in sepoltura.

 

FEBBRAIO

Ed io son Febbraio,
e febbre venga a chi Febbraio mi chiama.
Che fine debbono fare questi 28 giorni,
se all’orto mio c’è andata la secca?
Pregherò il mese di Marzo che mi presti quattro giorni,
vado io con la mia “baiocca”,
e vi farò vedere il mese di Febbraio come fiocca.

 

MARZO

(Canto)
Che ciel, che cielo grigio! Alta la neve è già.
Or si prepara un’altra nevicata: oh quando oh quando finirà!
Fa tanto freddo, fa tanto freddo: appena appena a respirar!
Ci vuol con questa bizza la tramontana; ci vuol un gran giudizio nel camminare.
Oh quando, oh quando finirà.

(Recita)
Verdi campi,
fiorite colline,
grigi rupi,
spelonche romite,
salutate quell’aure gradite che rimena l’amica stagione.
Più non s’ode,
nell’alta foresta,
la tempesta che i giorni percuote,
ma di canti e di armoniche note,
gode il giorno un dolcissimo suono.
Io sono Marzo,
con la mia zappetta,
mangio porri e zappo alla digiuna;
il pecoraio questo mese aspetta,
per gettar casacche e pelliccioni.
Ma non vi fidate della mia formetta,
perché faccio le volate della luna;
non vi fidate del mio sorrisetto,
perché vi farò venire il mal di petto.
Marzo sono io e pur non mi credete,
sincerità in me non troverete;
credetemi soltanto appena appena,
quando morto sarò io,
il ciel si rasserena?
Ci vorrebbe del miglior vino un barile,
per salutar con brindisi: l’Aprile.

 

PRIMAVERA

(Canto)
In primavera fioriscono le rose,
le verdi siepi,
mia donna gentile!
Con le tue mani bianche e pietose,
porgi le rose,
ad un giovin d’Aprile.

(Recita)
Se ne vien la primavera,
mille fiori a schiera a schiera,
par che sorgano dai prati gli uccelletti a svolazzar.
Gode Iddio che li ha creati,
par che sorgano a cantar.
Io son la  primavera,
che rallegra ogni donzella,
e do a vecchi e a pastor,
ognor vita novella.
Se ci fosse qualche donzelletta,
che s’innamorasse del Maggio mio,
rispetti la primavera che sono io.

 

APRILE

(Canto)
E’ pure Aprile il mese dei fiori.
Tutti ne godono il gradito profumo.
Cantano gli uccelli,
con dolce armonia:
Viva l’Aprile,
l’Aprile dei fior.

(Recita)
Forier di primavera,
il tuo sorriso aspetto,
il grato “cefaretto” che scherza tra l’erba e i fior.
Io sono Aprile col dolce dormire,
gli uccelli a cantare e gli alberi a fiorire.
Ogni uccello canta il suo versetto:
a te, Maggio,
dono questo ramaglietto.

 

MAGGIO

(Canto)
Non è la morte la fin dell’amore,
anche le tombe son templi d’amore.
Chiedi all’amante,
l’amante che muore.
Porgi ricordi e ghirlande di fiori.

(Recita)
Di mirabil vita aprimi l’ampio tuo sen…..
Là dove le mille forme dell’ignoto pensiero,
del vero conte il trepido affetto,
l’uomo contempla e ama.
Ecco l’alba, il tramonto, il folgorio,
ecco il soave trepidar della terra,
delle verzure,
mentre per i cieli vanno divini sguardi,
a scoter di testa,
seguendo il volo della bellezza vaga,
che non ha parole.
Io sono Maggio,
conte reale,
la mia corona è sparsa nella compagnia.
Filippo e Blasio furono i miei primi fiori,
ed io sono Maggio,
re dei signori.
Son Maggio ancora,
maggiore di tutti gli armenti,
anche le donne e gli asini,
fo stare allegramente.

 

GIUGNO

Cinta la frante d’aure spighe,
torna l’estate con vivo ardor.
Ed invita alle aspre e dure fatiche,
ed ai dolci premi l’agricoltore.
Io sono Giugno col carro rotto,
e rotta me l’han fatta la maggese.
Preghiamo Iddio che non piova in questo mese,
se nò perdiamo la gaggia con tutte le spese.

 

ESTATE

(Canto)
E’ l’estate fervente di vampe,
ardenti l’aure,
i cieli sereni.
Porta il tuo sacco con preci con canti;
chiamami a nome,
amato mio ben.

(Recita)
Se ne vien l’estate aprica,
con le splendide giornate,
con le spighe tutte d’oro.
Ogni campo par che dica:
mietitori, su venite,
Dio per voi ci fecondò.
Benedite, benedite chi per voi ci maturò.

 

LUGLIO

Luglio mi chiamo,
pien di sudore,
sono la gioia dei mietitori.
Chi soffre il caldo nel mar si bagni,
chi soffre il caldo non mai si lagni.
Io sono Luglio,
con la mia varrecchia,
e mieto quando è piena la cicerchia.
Dentro una pignatta mi ci scarnecchio,
con la punta della falce alzo la coperchia,
e se ci trovo qualche donna vecchia,
le troncherò la testa con la mia sarrecchia.
E son Luglio ancora,
buon mietitore.
Signori miei,
non vi ammalate,
perché appresso porto il dottore.

 

AGOSTO

Rispettabilissimi signori,
prima di dirvi lo scopo della mia presenza,
permettete che qui mi presenti.
Io sono il famoso psichiatra-laringoiatra,

da tutti ben conosciuto.
La mia “fama” è enorme!
In un ramo richiamo la vostra attenzione,
poiché le malattie da me studiate sono numerose,
e lo dimostrano le mie innumerevoli lauree e medaglie,
conquistate ad honorem et ad bustarellam.
Ma la ristrettezza del tempo,
non mi permette di trattarle tutte,
come mia intenzione, e,
per non annoiarvi o per meglio dire,
per non scocciarvi,
mi limito a parlarvi di un male solo,
che senza dubbio è il più comune.
Ebbene, o signori miei,
chi di voi non ha mai sofferto il mal di pancia?
Tutti, vero?
Orbene voi non potete mai immaginare,
quale sia la causa di questo terribile male,
che si produce nel vostro canale di macinatoria.
La liquida, la solida, magnetica,
frenetica macinatoria,
della via dirigibilistica, missilistica, rotabile, automobilistica,
passa a quella ferrata e arrivando alla stazione di fermata,
battendo un pezzo contro l’altro,
provoca lo sfasciamento di questo materiale:
le terribili coliche!
I dolori di ventre!
Il sistema più conosciuto,
ed oltretutto il più efficace,
è quello di purgarvi,
o signori miei,
altrimenti la siringa ci pensa.
E pagate i vostri debiti,
clienti miei,
se no bestemmio il mondo e tutti i Dei.
Vi fece effetto o no quel sale inglese?
Certo che un buon purgante già l’avete preso.
Io sono Agosto,
medico reale,
e conosco bene anche la malattia delle donne,
e donde ne proviene:
loro tasto il polso,
loro osservo i reni,
ad esse ordino la mia medicina.
Se la mia medicina non fa operazione,
mi ci gioco tutta la mia ragione.
Se la mia medicina non fa effetto,
andate all’altro mondo,
che là vi aspettano.

 

SETTEMBRE

Io sono Settembre,
con i fichi mosci;
l’uva muscatella mo  s’ fnisc’,
preparo i tini per piazzarci il mosto,
e sogno vin frizzante e buon arrosto.
Sono la fine di una bella estate,
con le giornate tutte arroventate.
Per non farvi sorprendere dal gelo,
non guardate se ancora è sereno il cielo.
Di buona legna fate una catasta,
mettendone più di quel che basti;
cappotti e ombrelli tenete apparecchiati,
per essere ai primi freddi preparati.
Se poi paura avete dei malanni,
di pura lana preparate i panni,
e se pur con questo avrete un raffreddore,
fate ricorso al mio dottore.
Io son Settembre ch’ la fica moscia,
tutte  lu muscatjiell mo z’ fnisc’.
Se ci fosse qualche donna che patiss’ d’ paposcia,
j teng’ na cosa longa, chiatta e passa liscia.

 

AUTUNNO

(Canto)
E’ l’Autunno una triste stagione,
vedrai dagli alberi le foglie cadere.
Chiedi al cipresso le brune corone,
porgi a ricordo del caro tuo ben.

(Recita)
Quando poi l’Autunno arriva,
oh che gioia, ancor più viva!
Ogni grappolo, ogni frutto,
ogni prato, ogni colle,
par che si scorga dappertutto,
la benefica sua man.

 

OTTOBRE

Ecco l’Ottobre,
dalle montagne il mesto autunno fa capolino.
Addio sorriso delle campagne,
addio bel manto d’ogni giardino!
Io sono Ottobre,
buon vendemmiatore,
le mie cantine le ho riempite tutte:
una botte di vino buono,
una di vino grottesco,
e mò mi manca moglie bella e letto fresco.

 

NOVEMBRE

Novembre io sono:
tristi giornate!
Non piacciono più le scampagnate.
La campagna è tutto un impero,
prepara il pane per l’anno intero.
Io sion Novembre,
buon seminatore,
le mie maggesi le ho seminate tutte:
un po’ per me,
un po’ per gli uccelli,
e un po’ per voi, signori,
signorine e donne belle.

 

DICEMBRE

Gelido e bianco è della neve il velo,
e si distende sul volto di natura.
La quercia annosa che disfida i cieli,
l’abete al monte,

il salice alla pianura,
mesti e rappresi per l’acuto gelo,
paiono ombre su vaste sepolture.
Quale immobile silenzio!
Una dura sorte forse l’ha colpita,
e la natura è morta.
Io son Dicembre,

l’ultimo di tutti i mesi,
se qualcuno non volesse sottostare ai miei comandi,
pregherò il fratello Agosto che mi presti 4 giorni….
E sapete perché?
Per far morire le pecore con tutti gli abitanti.

 

INVERNO

(Canto)
E’ l’inverno una fredda stagione,
tediar la terra di bianchissima neve.
Tu bella mia riscaldami coi baci,
stringimi al cuore dolcissimo amor.

(Recita)
Se ne vien l’inverno al fine,
portator di neve e brina;
il lavor di tutto l’anno,
tutti intenti a contemplar.
Tutti i mesi a gara fanno,
Iddio coi doni a celebrar.

 

 

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