Necessità di un sistema che garantisca l'effettiva
uniformità risarcitoria del danno alla persona

Dr. Massimo Francescangeli*

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La valutazione e la quantificazione del danno non reddituale alla persona costituiscono da tempo un problema che investe
ambiti sempre più ampi della realtà giuridica ed economica del Paese.
 L’opera della giurisprudenza ha avuto il merito di aver colmato, attraverso la creazione della figura del tutto originale del danno biologico, un vuoto normativo difficilmente giustificabile, sia in termini giuridici che extragiuridici, assicurando alla persona quella tutela “integrale” che, lungi dal considerarla come mera fonte di guadagno (“homo economicus”), la pone al centro dell’attenzione quale soggetto nella sua integrità fisica e psichica. 
 Con il riconoscimento e la sistemazione concettuale della nuova figura del danno biologico la giurisprudenza, dando effettiva concretezza al dettato costituzionale che riconosce dignità e tutela al bene “salute” (art. 32 Cost.), ha altresì posto le basi per l’affermazione di un principio di eguaglianza sostanziale di tutti i soggetti rispetto al diritto fondamentale all propria integrità fisiopsichica, che spetta ad ognuno a prescindere dalla capacità di guadagno e dal livello reddituale. 
 Tale novità nata dal diritto vivente è stata tuttavia ridimensionata nella sua applicazione pratica da nuove disuguaglianze e differenziazioni di trattamento fra soggetti. 
 Superata infatti la fase dell’affermazione teorica del concetto di danno alla salute e della tendenziale “reductio ad unitatem” delle varie figure di danno, in precedenza liquidate in via autonoma dalla giurisprudenza, l’attuale periodo storico risulta caratterizzato da una “criticità” di ordine pratico, ossia dell’assenza di criteri di valutazione e quantificazione del danno non reddituale alla persona, certi ed uniformi sull’intero territorio nazionale. 
 Superato ormai il criterio, in passato imperante, del triplo della pensione sociale, si è assistito negli ultimi anni al deciso affermarsi del criterio del calcolo a punto variabile, la cui ulteriore specificazione ha determinato la nascita e la progressiva espansione del cosiddetto metodo tabellare, positiva espressione dello sforzo della giurisprudenza di ricercare, dopo “l’anarchia” liquidatoria degli anni ‘80, un modello ricostruttivo di autoregolamentazione, in grado di assicurare una certa uniformità risarcitoria, sia pure nell’ambito del singolo organo giudicante. 
 Il sistema tabellare è di per sé apprezzabile in quanto attribuisce rilevanza a criteri di carattere generale del tutto svincolanti da influenze di tipo reddituale (età e grado di invalidità) che, in un contesto reso più razionale, possono condurre ad un'effettiva uniformità risarcitoria di base. 
 D’altra parte il limite del sistema attuale è noto a tutti.
 Ciascun organo giudiziario tende ad adottare una propria tabella, costruita sulla base dei precedenti giudiziari propri di una certa realtà socio-economica ed ispirata soprattutto a diverse scelte di fondo, che portano talune sedi giudiziarie a privilegiare determinate fasce d’invalidità a discapito di altre, o comunque a far proprie differenti opzioni, con inevitabili ripercussioni negative sull'uniformità ed omogeneità degli importi risarcitori percepiti dai soggetti danneggiati. 
 L’analisi condotta dall’Istituto sulle tabelle in uso più significative sul territorio rileva differenziazioni importanti che conducono ad altrettante diversificazioni nei valori dei risarcimenti. Infatti anche se i parametri generalmente utilizzati nella costruzione delle tabelle sono quelli dell’età del leso e del grado d’invalidità accertato in sede medica, esistono tuttavia eccezioni significative. 
 Taluni Tribunali, assumendo ancora come metodo di liquidazione il triplo della pensione sociale, prevedono infatti una crescita del valore del punto esclusivamente in relazione all’età ed al sesso del danneggiato. 
 Altre Corti di merito adottano tabelle che non considerano il fattore età, essendo costruite sulla base di “range” diversificati unicamente per fasce percentuali di invalidità. 
 Anche nell’ambito dei Tribunali che pongono alla base della tabella sia il fattore età che il grado d’invalidità, la diversificazione è data dalle differenti modalità di crescita del valore del punto.
 Si passa infatti dalla crescita del punto continua, con l’aumentare della percentuale d’invalidità (e in tale ambito occorre distinguere tra crescita lineare, più che proporzionale, ecc.) alla crescita “a scalino” per fasce percentuali, fasce che possono a loro volta essere variabili a seconda del grado d’invalidità ovvero costanti.
 Le conseguenze in termini di differenziazioni nei valori dei risarcimenti percepiti dai danneggiati nelle diverse realtà territoriali
risultano talvolta eclatanti. 
 Nel caso di un’invalidità del 5% riportata da un soggetto di 30 anni, il valore assoluto del risarcimento oscilla da circa 6,3 milioni a 26 milioni; per un’invalidità del 30% riportata da un soggetto di 20 anni, si passa da circa 100 milioni a circa 170 milioni; per un’invalidità infine del 70% riportata da un soggetto di 20 anni, il risarcimento oscilla da 390 a 650 milioni. 
 Tale situazione incide dunque soprattutto sulle legittime esigenze di certezza giuridica e di perequazione risarcitoria di tutti i soggetti danneggiati, esposti a differenze di trattamento unicamente in ragione del luogo di decisione della controversia giudiziale o extragiudiziale.
 A tali conseguenze si assommano altrettante gravi conseguenze di ordine economico collegate al funzionamento ed alla tutela della gestione assicurativa che sta alla base del sistema della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli.  Il mercato ha fatto registrare, per l’esercizio 1997, un risultato tecnico negativo pari a 3.395 miliardi, non competenti dai rendimenti finanziari ormai in forte declino.
 I sinistri con danni alla persona hanno rappresentato, nel 1997, oltre il 15% del totale dei sinistri r.c. auto denunciati, con un aumento di oltre il 50% rispetto al 1990 mentre, in termini di importi liquidati, tale categoria di danni si sta avvicinando al 60% dell’ammontare totale dei risarcimenti, e la tendenza è senz’altro verso la crescita. 
 Il costo medio del sinistro con danni personali ha, d’altra parte, superato i 15 milioni con un incremento prossimo al 30% rispetto al 1993, posizionandosi tra i più elevati d’Europa. 
 Va inoltre evidenziato l’abnorme fenomeno, del tutto peculiare, della situazione italiana delle cosiddette micropermanenti che assorbono oltre il 90% dei casi di danni alla persona, con un’incidenza di circa il 60% sul totale del liquidato per danni fisici.
 Ebbene, la crescita del costo dei risarcimenti unita all'imprevedibilità del relativo andamento, a cagione della già evidenziata difformità e variabilità dei criteri risarcitori relativi alla quantificazione del danno biologico, amplia i margini di aleatorietà che caratterizzano la formazione della riserva sinistri, determinando la possibilità che abbiano luogo, pur in presenza di accantonamenti effettuati in base ad elementi obiettivi e con la dovuta “prudenza”, forti perdite in fase di smontamento della riserva sinistri inizialmente iscritta a bilancio; soprattutto a seguito delle recenti innovazioni legislative che hanno introdotto per le imprese l’applicazione obbligatoria del principio del costo per la valutazione della riserva sinistri. 
 L’Istituto di Vigilanza segue da tempo la problematica, avuto riguardo per entrambi i profili sopra accennati. I risultati degli approfondimenti svolti sono stati raccolti nel quaderno n. 4 dell’ISVAP dal titolo “Il Danno biologico: problemi e prospettive di riforma”.
 In considerazione della gravità della situazione sopra delineata, l’Istituto si è fatto promotore in particolare di una Commissione, composta da autorevoli studiosi della materia ed operatori del settore, che è pervenuta alla formulazione di un progetto di legge presentato, già da qualche tempo, alle competenti sedi istituzionali. 
Verranno di seguito indicate le linee essenziali della proposta rinviando, per un più approfondito esame, al testo della proposta ed alla relativa relazione illustrativa, contenute nel già ricordato Quaderno ISVAP. 
 Il progetto di legge intende disciplinare il danno alla persona, avuto riguardo alle componenti a carattere non reddituale del danno biologico e del danno morale, con riferimento all’intero ambito della responsabilità civile, evitando scelte settoriali (circolazione degli autoveicoli) che provocherebbero vistose disparità di trattamento fra fattispecie di danno aventi origine diversa e pur tuttavia ricomprese nel campo generale della responsabilità aquiliana. 
 In ordine alle voci di danno risarcibile il progetto mantiene, in linea con i dati dell’esperienza giurisprudenziale, la distinzione tra danno alla salute, danno morale e pregiudizi economici.
 Non si è ritenuto invece di intervenire rispetto alla figura del danno patrimoniale, già disciplinato dalle norme vigenti sulla base dell’ordinario criterio dell’onere probatorio.
 Si è ritenuto al contrario fondamentale attribuire al danno biologico, quale voce di danno prioritaria e sempre risarcibile, rilevanza normativa specifica, attraverso l’introduzione del “corpus” del codice civile di una normativa “ad Hoc” che definisca il danno di applicazione.
 Le diverse figure di danno, elaborate nel corso del tempo dalla giurisprudenza per garantire un risarcimento anche in assenza di un pregiudizio suscettibile di apprezzamento patrimoniale (danno alla vita di relazione, danno estetico, danno alla capacità sessuale, danno alla capacità lavorativa generica, ecc.), sono pertanto da ritenersi condotte ad unità nell’ambito del danno biologico. 
 Anche la condizione specifica inserita nella definizione per cui il danno biologico deve essere suscettibile di accertamento medico, tende a delimitare il danno risarcibile ai soli casi in cui il fatto illecito abbia determinato un’alterazione, temporanea o permanente, ma comunque medicalmente accertabile, dello “status” fisiopsichico del soggetto. 
 Nella stessa norma che contiene la definizione della vittima, il danno biologico della stessa subìto potrà essere risarcito avuto riguardi al solo periodo intercorrente tra l’evento dannoso e la morte. 
 In ordine al danno biologico da morte, come tale trasmissibile agli eredi della vittima “iure successionis”, è dato costante nella giurisprudenza di merito accanto alle decisioni nelle quali la valutazione del danno medesimo viene effettuata con riferimento al solo periodo di sopravvivenza della vittima, cioè allo “spatium temporis” fra fatto dannoso e decesso ed alcune decisioni nelle quali il danno biologico viene riconosciuto e quantificato come se l’evento morte non si fosse verificato. 
 La norma fornisce una significativa indicazione all’operatore. 
 In primo luogo esclude implicitamente la configurabilità di un danno alla salute qualora il decesso sia istantaneo ovvero segua immediatamente l’evento lesivo; in tale ipotesi, come ha avuto modo di precisare la Corte Costituzionale, il “vulunus” concerne il bene della vita, giuridicamente diverso dal bene salute. 
 Qualora invece la morte abbia luogo dopo un lasso temporale suscettibile di apprezzamento, spetterà agli eredi il risarcimento del danno biologico maturato dal "de cuius" durante il periodo di sopravvivenza, alla cui durata dovrà essere rapportato. 
 In ordine al danno morale, si è ritenuto opportuno superare il disposto del vigente art. 2059 c.c. che, come noto, limita la risarcibilità del danno morale ai casi previsti dalla legge e quindi, sostanzialmente, ad ogni effetto che integri gli estremi di un reato. 
 Senza alterare il carattere satisfattorio-punitivo della norma, si è ritenuto di svincolare la risarcibilità del danno morale dell’esistenza del reato collegandola invece alla gravità dell’offesa. 
 E’ stata inoltre espressamente prevista, coerentemente con un recentissimo indirizzo della Suprema Corte (Cass., III Sez. Civile 23 aprile 1998, n. 4186) la risarcibilità del danno morale subìto dai prossimi congiunti non solo in caso di morte del danneggiato, ma anche nel caso in cui il fatto dannoso abbia cagionato alla sua integrità psicofisica menomazioni di particolare gravità.
 Per quanto concerne gli aspetti valutativi del danno biologico e del danno morale il progetto rinvia al Governo, attraverso lo strumento della delega, la predisposizione di un sistema di tabellazione nazionale, sulla base di precisi criteri direttivi. 
 Per la quantificazione del danno biologico dovrà essere utilizzato il sistema del metodo tabellare, basato sul criterio del punto variabile in funzione dell’età e del grado di invalidità accertata. 
 In particolare il valore del punto decresce con l’avanzare dell’età del soggetto danneggiato sulla base di precise considerazioni di ordine scientifico: l’incidenza delle menomazioni sulle funzioni vitali e sociali del danneggiato è tanto più grave quanto più giovane è la sua età, considerato il maggior tempo per il quale il danneggiato dovrà sopportare il peso della menomazione della propria integrità psicofisica. 
 Il valore del punto aumenta in misura più che proporzionale rispetto all’aumento percentuale dei postumi. 
 Quest’ultimo criterio di specificazione della crescita del valore del punto, trova fondamento in un accreditato indirizzo medico scientifico secondo il quale, al crescere della percentuale di invalidità i postumi che ciascun punto aggiuntivo riflette sono di peso crescente poiché vanno ad incidere su di un quadro clinico maggiormente compromesso. 
 L’utilizzo di tale criterio dovrebbe comportare una più decisa tutela risarcitoria delle invalidità gravi ed un ridimensionamento delle cosiddette microinvalidità, anche in considerazione delle potenzialità di riassorbimento proprie di tale categoria di menomazioni.
 L’esistenza di una tabellazione nazionale per la quantificazione del danno biologico dovrebbe assicurare quella uniformità pecuniaria di base più volte chiamata dal giudice costituzionale. 
 L’esigenza di assicurare la necessaria flessibilità nell’adeguamento al caso concreto dovrebbe essere garantita dal risarcimento di congrui ambiti di valutazione equitativa da parte del giudice, al quale pertanto consentito di correggere, secondo equità, l’importo del risarcimento risultante dalla tabella, in ragione comprovate peculiarità oggettive e soggettive della fattispecie concreta. 
 Nei casi di particolare gravità della menomazione, al giudice sarà consentito di discostarsi del tutto dalla tabella valutando il caso secondo il suo prudente apprezzamento. 
 Per quanto concerne la valutazione e la quantificazione del danno morale conseguente a lesione dell’integrità psicofisica, si riscontrano, allo stato, diversi indirizzi giurisprudenziali. 
 Si passa infatti dall’adozione “tout court” del criterio equitativo puro, a criteri intermedi che coniugano l’equità del caso concreto, a forme di percentualizzazione del danno morale al danno biologico, fino a criteri che rapportano automaticamente il danno morale ad un “quantun” dell’importo riconosciuto a titolo di danno alla salute. 
 Recentemente la Suprema Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulla questione dei rapporti fra liquidazione del danno morale e quella del danno biologico, affermando che l’orientamento, spesso accolto dai giudici di merito, di fissare il primo in una frazione del secondo non è di per sé illegittimo purché il giudice abbia tenuto conto delle peculiarità del caso concreto ed abbia apportato, di conseguenza, gli eventuali correttivi in aumento o in diminuzione (Cass. Sez. III Civ., n. 134/1998; Cass. Sez. III Civ., n. 5366/1998).
 Il progetto di legge prevede che, ai fini del risarcimento del danno morale conseguente ad una menomazione dell’integrità psicofisica, dovranno essere individuati diversi livelli di gravità dell’offesa, ai quali dovranno corrispondere altrettante percentuali differenziate, oscillanti fra un minimo ed un massimo, calcolate in relazione all’importo liquidato a titolo di danno biologico. 
 Il giudice dovrà pertanto, tenuto conto delle effettive sofferenze patite dall’offeso in relazione a tutti gli elementi oggettivi e soggettivi del fatto, enucleare il livello di gravità dell’offesa che meglio si adatta alle caratteristiche della fattispecie concreta. 
 Successivamente, ai fini della mera monetizzazione del danno, il giudice dovrà applicare la prevista percentualizzazione sulla base dell’importo già liquidato a titolo di danno biologico, a seconda del livello di gravità nel quale è stato sussunto il caso di specie.
 Si ritiene che la procedura prevista, se da un lato introduce essenziali elementi di certezza liquidativa e di perequazione risarcitoria, assicuri, dall’altro, una valutazione del “praetium doloris” che tenga debitamente conto delle circostanze specifiche evitando meri automatismi, in linea con le indicazioni della Suprema Corte. 
 In conclusione, appare indubbio che gli effetti benefici di una riforma legislativa della materia sarebbero molteplici. 
 In un primo luogo l’uniformità pecuniaria di base garantirebbe parità di trattamento a tutti i potenziali soggetti danneggiati nella propria integrità psicofisica.
 La certezza dei riferimenti normativi renderebbe inoltre più agevole e razionale l’attività della magistratura di merito con effetti positivi sulla riduzione e sullo snellimento del contenzioso giudiziario nonché, di riflesso, sui tempi e sulle modalità delle liquidazioni extragiudiziali.
 Infine, la certezza e la prevedibilità dei costi gravanti sulle imprese di assicurazione, consentendo una stima più puntuale degli esborsi futuri, costituirebbe il presupposto per una corretta tariffazione del rischio r.c. auto oltreché indispensabile fattore di stabilità del mercato, a vantaggio di tutta l’utenza assicurativa. 


*Dirigente ISVAP, Roma


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