Danno psichico: diagnosi, nesso causale, transitorietà e permanenza, quantificazione. Una rassegna casistica

Dr. Raffaele Castiglioni*

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1. Premessa
 La presentazione di casi concreti è veramente utile ed esauriente solo in occasione di riunioni didattiche o di seminari in cui sia possibile esaminare gli interi fascicoli di causa - atti giudiziari, documentazione clinica, relazioni e memorie tecniche - di modo che i partecipanti, pur non avendo osservato direttamente i casi, possano discuterne su basi documentali fondate.
 Fuori dalla suddetta sede, un'esposizione di casi, soprattutto se troppo riassuntiva o frammentaria, rischia di scadere nello schematismo aneddotico.
 In questa relazione faremo pertanto riferimento a una casistica con il limitato fine di illustrare come, in concreto, nella pratica medico-legale, sono stati affrontati alcuni tentativi di risoluzione dei peculiari problemi-scoglio che connotano l'accertamento del danno psichico.
 Precisiamo che si tratta di quarantatré casi, trattati in parte in corso di causa (ventiquattro casi) e in parte in sede stragiudiziale (diciassette casi)[1].


2. Danno neurologico e danno psichico
 Va, innanzitutto, rammentata la fondamentale distinzione, fra danno neurologico e danno psichico.
 Sono, entrambi, species del più vasto genus del danno biologico. Il danno neurologico colpisce il sistema nervoso, ossia l'apparato costituito da encefalo, midollo spinale, organi di senso e nervi periferici, entità anatomiche ben individuabili, ciascuna su un atlante di anatomia.
 Il danno psichico colpisce la psiche, o mente che dir si voglia, costituita, secondo la psicopatologia classica, da tre fondamentali facoltà o sfere: conoscitiva, affettivo-istintiva, volitiva. Né la psiche, né le facoltà che la compongono sono individuabili negli atlanti di anatomia.
 Il danno neurologico si accerta con l'esame obiettivo neurologico mercé l'ausilio di martelletto, diapason, provetta calda e fredda, oftalmoscopio ecc., nonché con esami strumentali più complessi come l'elettroencefalogramma, l'angiografia, la scintigrafia, la tomografia, la risonanza magnetica. Questi mezzi consentono di raccogliere precisi dati obiettivi e di definire il quadro clinico in cui consiste il danno.
 Il danno psichico si accerta con l'esame obiettivo psichico, mercé l'osservazione e il colloquio, che saggiano i cinque parametri fondamentali: vigilanza-coscienza, percezione, ideazione, affettività, comportamento, che definiscono i quadri psichici. Si tratta di un vero e proprio esame obiettivo, atto, pur esso, a raccogliere precisi dati obiettivi, ancorché con qualche margine di soggettività, essendo, appunto, fondato sulle facoltà psichiche dell’osservatore che valutano le facoltà psichiche dell'esaminando, senza l'ausilio di strumenti fisici.
 I test psicodiagnostici integrano l'esame clinico, ma non lo sostituiscono. E’ pertanto errato e illusorio pensare che, stante la loro obiettività, siano l'equivalente degli esami strumentali della neurologia e delle altre discipline mediche.
 La maggior parte dei casi di danno neurologico non pone problemi. Talvolta il danno neurologico si esprime con una sintomatologia di tipo psichico. Pur traendo origine da pregresse lesioni cranio-encefaliche non si esprime, cioè, con sindromi riconducibili a precisi centri encefalici. Si tratta, per lo più, di difficoltà di concentrazione, di dismnesie, di deterioramenti modesti, di alterazioni di carattere (casi 1-5-7-10-18-2543), sovente riscontrabili anche in casi di danno psichico, senza pregresse lesioni cranio-encefaliche.
 Talvolta i dubbi possono essere fugati con test psicometrici e neuropsicologici, talaltra i dubbi rimangono.
 Più agevole risulta, invece, la valutazione di quadri francamente demenziali (casi 11 e 12).


3. Danno psichico: nuova “moda” o maggior sensibilità?
 La nostra casistica riflette un fenomeno che sembra essere percepito da altri colleghi medici legali, nonché da avvocati e giudici: il notevole aumento dei casi di danno psichico. Non certo perché prima non ci fossero postumi di carattere psichico, ma perché molti di più ne giungono a osservazione. La maggioranza dei casi da noi osservati - trentaquattro - va dal 1990 ad oggi. Solo un’esigua minoranza - otto - risale agli anni Ottanta. Di questa minoranza i casi di danno neurologico - tre - sono stati definiti e risarciti. Dei soggetti con sintomatologia ascrivibile ad alterazioni primariamente psichiche, uno (caso 7) è stato sconsigliato, in sede stragiudiziale, che avventurarsi in una causa per resistere al Rifiuto di risarcimento da parte della Compagnia; a tre soggetti (2-3-9) non è stato riconosciuto il nesso causale, con argomentazioni oggi non più accettabili (infra, § 7); un soggetto (4) ha, "vinto" invece, dopo una lunga causa e un supplemento di C.T.U. - invero peggiorativo nella quantificazione - svolto nel 1992.
 Degli altri trentaquattro casi, osservati dal 1990 ad oggi, cinque riguardano il danno neurologico, ventinove il danno psichico. Di questi ultimi, alcuni sono stati definiti mentre altri sono ancora in corso. Di certo è mutata la metodologia di accertamento (infra, § 7), indicativa di maggior attenzione e sensibilità verso il problema.
 E’ lecito, pertanto, supporre che il più felice esito dei casi di danno psichico, rispetto ai casi "pilota" degli anni Ottanta, abbia incoraggiato un maggior numero di soggetti ad agire in giudizio.


4. Tipologia dell’evento lesivo 
 Fino a qualche anno fa la valutazione dei danni di carattere psichico si poneva, quale questione per lo più aggiuntiva, nell'ambito di una più ampia valutazione di danni fisici cagionati da incidenti del traffico.
 La crescente sensibilità per il problema dell'integrità psichica e le conseguenti maggiori esigenze di tutela, hanno condotto alla nostra osservazione anche quadri psichici dipendenti da cause lesive assai diverse: traversie lavorative cagionate da illeciti comportamenti dì organi gerarchicamente superiori (casi 26-35-36-42); stress da inquinamento acustico (14-31); maltrattamenti in famiglia (3738); scorrette cure mediche (20-30).
 Da ultimo sono comparsi i casi di danno psichico da morte di congiunti (39-40-41).


5. Tipologia delle lesioni 
 In origine mera appendice nell'ambito di più vaste questioni valutative, la questione sul danno psichico soleva essere per lo più proposta in caso di traumi del capo (2-3-6-8).
 Ciò era, con tutta evidenza, retaggio del pregiudizio di considerare importante il binomio capo-psiche. Perciò, con l'accessoria indagine sull’eventuale danno psichico, si andava a vedere se, per ventura, una "botta" in testa, magari anche lieve, non avesse poi cagionato qualche risentimento psichico.
 L'attenta analisi dei casi dimostra che non c'è alcuna necessità di lesioni traumatiche del capo, perché residui poi un danno psichico.
 Talvolta, infatti, alla base del danno psichico non c'è alcun trauma fisico, ma un puro shock emotivo, come nei casi del camionista (4) e dell’automobilista (29), impressionati dalla morte, e non per loro colpa, di terzi nell’incidente in cui sono stati coinvolti.
 Talvolta si tratta, addirittura, di stress emotivi, non istantanei, bensì protratti nel corso di mesi o anni. Sono i casi di difficoltà lavorative (26-35-36-42), di forti dissapori familiari (37-38), di sottoposizione a rumore (14-31), di sofferenza per morte di congiunti (6-39-40-41).
 In qualche caso lesioni fisiche ce ne sono, ma ben diverse da quelle conseguenti a traumi cranici: fratture multiple (27), morsi di cane al viso (1 3), esiti di scorretto intervento chirurgico (20) o odontoiatrico (30). Eppure, l'innesco di complessi meccanismi psicologici - per esempio di autosvalutazione della propria immagine, si è poi determinato in un vero e proprio danno psichico.
 Queste dinamiche intrapsichiche stanno sovente alla base di danno psichico anche in casi dove ci fu, sì, un trauma del capo, ma il cui ruolo fu poi pressoché nullo nella genesi del quadro psicopatologico riconosciuto come danno (15-16-19-21-22-23-2832-33).
 La valorizzazione dei cennati meccanismi attiene però già al capitolo del nesso causale (infra, § 7).


6. Tipologia delle menomazioni psichiche 
 Accade ancora di sentir chiedere quale specifico tipo di "disturbo", vedremo tra poco il significato di questo termine, configura un danno psichico. In realtà, qualsiasi tipo di disturbo può essere conseguenza degli eventi lesivi poc'anzi visti.
 In un gran numero di casi si usano le generiche "etichette" diagnostiche "ansia" e "depressione", ossia manifestazioni, generali e primarie, di perturbamento emotivo (2-6-8-9-15-16-17-22-26-2729-31-32-33-34-37-38-39).
 In questi casi, in associazione ad “ansia” e “depressione”, si indicano “disturbi” più strutturati, ossia “fobie” (3-4-22-28-32) e “somatizzazioni” (4-9).
 In parecchi casi si riportano diagnosi secondo il D.&M III-R (Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali",
universalmente in uso nella pratica psichiatrica): "Disamina" (13); "Fobia Sociale" (23-42); “Disturbo d’ansia Generalizzata" (36); “Disturbo d'Ansia N.A.S. " (24); "Disturbo dell'Adattamento con Ansia" (35); “Disturbo di Personalità" (14-21-33-30-36); “Disturbo Post-Traumatico da Stress" (21-2 8).
 A proposito di quest'ultimo "disturbo", rammentiamo che si tratta di uno specifico quadro post-traumatico in senso lato, e non limitato ai traumi del capo, conseguente, come avverte il D.S.M. III-R, a "un evento stressante riconoscibile, che evocherebbe significativi sintomi di malessere in quasi tutti gli individui". Comunque sia, non è certo il "disturbo" post-traumatico per eccellenza, giacché, come s'è visto, che la maggior parte delle sindromi psicopatologiche configuranti un danno psichico sono 'inquadrabili in un ventaglio ben più ampio di categorie diagnostiche.

 Nel codice ricorrono per lo più i termini "malattia " e "infermità". Ciò è comprensibile, sia in considerazione della necessaria genericità e astrattezza della legge, sia, soprattutto, per il fatto che testi normativi risalenti al 1930 e al 1942, quando ancora imperava la psichiatria organicistica, non potevano certo modulare la loro terminologia su acquisizioni scientifiche di molto più recenti.
 La decisione della Corte Costituzionale n. 372/94 conclude che: "il danno alla salute è qui il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell'equilibrio psichico, che sostanzia il danno morale soggettivo, e che, in persone predisposte da particolari condizioni (debolezza cardiaca, fragilità nervosa), anziché esaurirsi in un patema d'animo o in uno stato d'angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente".
 A prescindere dalla sostanza dei concetti espressi, non si può non osservare come la forma risenta ancora di una terminologia arcaica e organicistica.
 Il concetto di “malattia” oggi perso consistenza m psichiatria, non tanto perché non esistano vere e proprie infermità di mente, quanto piuttosto perché in tutti quegli stati, e sono la maggioranza compresi fra i limiti estremi della malattia e della sanità, pur essa relativa, si preferisce oggi usare altre espressioni, quale "disturbo , "disagio". "malessere". ecc. Ciò non per mero eufemismo, ma perché siffatti termini meglio si adattano ai contorni sfumati dei numerosi stati intermedi.
 Non per niente uno degli strumenti diagnostico più in uso nella pratica psichiatrica è il già citato D.S.M III-R, appunto Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali.
 A proposito di tali "disturbi" il D.SM III-R avverte che “non esiste una definizione soddisfacente che specifichi i precisi confini del concetto” e si limita poi a puntualizzare che essi sono da considerare "come una sindrome o una modalità comportamentale o psicologica clinicamente significativa che si manifesta in un individuo, e che sia tipicamente associata a un malessere attuale, o con una menomazione (alterazione funzionale di una o più aree di funzionamento), o con un rischio significativamente aumentato ad andare incontro a morte, dolore, invalidità o ad una importante perdita di libertà".
 Sulla scorta dei suddetti principi è ora agevole comprendere perché, pur in assenza di franca "infermità" psichica o,
comunque, di un ben delimitato quadro psicopatologico, non si possa, con semplicistico automatismo, concludere che non c'è danno.
 Infatti, il danno potrebbe consistere in un più sfumato “disturbo" o "disagio ".
 Ciò è di tanto più attuale evidenza nei casi di danno psichico da morte di congiunti dove al "disturbo" dei singoli familiari superstiti, si associa sovente un "disturbo", una "disfunzione" delle dinamiche familiari nel loro complesso (39-40-4 1).


7. Nesso di causa 
 La questione della causalità è, nella psichiatria clinica e quindi, nell'accertamento medico-legale del danno psichico, tra le più controverse.
 Nessuno, oggi, crede più che alla base di "malattie" e "disturbi" mentali ci sia un'unica causa.
 Siffatta concezione poteva reggere, forse, all'epoca della psichiatria organicistica, di derivazione neurologica, secondo cui la "malattia" psichica, si parlava allora di vera e propria "malattia", era causata da lesioni cerebrali, ossia da fattori organici.
 Le teorie psicoanalitiche e, da ultimo, le teorie sociologiche hanno spostato l'attenzione sui fattori psicologici e ambientali.
 Di là da posizioni estremistiche e ideologiche, invero rare, nessuno oggi, attribuisce la causa dei "disturbi" mentali ad uno solo dei suddetti fattori: biologico, psicologico, annientale. E’, piuttosto, l'interazione fra tutti i fattori in una variabilità di proporzioni pressoché infinita da individuo a individuo che determina l'insorgenza del "disturbo".
 Ne consegue un importante principio, vero e proprio assioma: in tema di danno psichico non ha senso parlare di "causa", ma si deve discutere solo di "concause".
 In questo campo assume perciò fondamentale importanza il concetto di “preesistenza", in altre parole il trauma si inserisce su un preesistente substrato psichico, strutturato mercé la concorrenza, in varia e pressoché indeterminabile proporzione, di influenze biologiche, psicologiche, familiari e ambientali.
 Quanto sopra non è scevro di rilevanti conseguenze sul piano medico-legale.
 Infatti, sulla scorta dei principi testé enunciati, il problema del nesso di causa fra un "trauma", nel senso più ampio del termine e il danno psichico - rectius, il "disturbo" che viene allegato come danno - può essere risolto in due modi diametralmente opposti che qui, in sintesi, è doveroso illustrare.
 Primo modo di soluzione. Valorizzando l'indiscutibile preesistenza, talora dimostrata nei suoi contorni, talaltra genericamente presunta, si conclude che questa prevale sul "trauma", massimo se questo è lieve (2-3-9-17) o se, pur grave, consiste in un evento naturale, quali, ad esempio, difficoltà lavorative o morte di congiunti.
 Per sopportare questa conclusione si ricorre sovente al confuso concetto di "causa occasionale" o "occasione” (2-3-24). La "causa occasionale" rappresenterebbe" la circostanza o il complesso delle circostanze che hanno favorito l'entrata in azione delle cause; l'occasione non è quindi indifferente nella produzione dell'evento, ma compartecipa chiaramente, se pure subordinatamente, a promuoverlo" anche se rimane “attore complementare”, non avente il valore di quella - condicio sine qua non- nella quale solitamente si riconosce la concausa". Del resto, "se possono sussistere differenze qualitative tra causa e concausa, non si vede perché non possa ammettersi una terza modalità causale, cioè l'occasione" (Palmieri e Zangani, “Medicina legale e delle assicurazioni”, Morano, Napoli, 1990).
 L'altro modo di risoluzione del problema del nesso causale in tema di danno psichico considera sì anche il substrato
"preesistente", ma rifiuta "concetti ambigui come quello di causa occasionale" e ritiene "da respingersi l'ipotesi della esclusione del risarcimento, come era invece un tempo la regola, quando i fattori preesistenti e favorenti si ritenevano avere una assoluta prevalenza nella psicopatogenesi" (G. Ponti, “Danno psichico e attuale percezione psichiatrica del disturbo mentale”, in Riv. It. Med. Leg., XIV, 1992) (13-14-19-20-21-22-23-27-3036-40-41).
 Il sottoscritto ha adottato, in passato, fino a qualche anno fa, la prima modalità di soluzione. Melius re perpensa, ha poi mutato opinione, e condivide ora il secondo punto di vista che è totalmente opposto (R. Castiglioni, “Eventi traumatici modesti e sequele psichiche: il problema del nesso causalità materiale”, in “Diritto ed economia dell'assicurazione”, 1992, pp. 419 e sgg.). Un’autocitazione sarà sicuramente perdonata, perché intende soltanto sottolineare che si tratta di un punto di vista del tutto personale.
 Tale convinzione si fonda su due ordini di motivi.
 In primo luogo, il concetto di "causa occasionale" è una mostruosità sul piano giuridico, in quanto non ha senso parlare di occasione che "favorisce" lo scompenso, ma che non è causa o concausa. Se un trauma "favorisce", anche in minima parte, e in interazione con fattori personologici, un evento, significa che è concausa . Non ha senso parlare di causa che è "poco" causa, tanto "poco" da non avere, 'm fin dei conti, alcuna dignità causale.
 La normativa sul nesso causale (artt. 40 e 41 c.p.) è, infatti, ispirata alla concezione condizionalistica, per cui ogni condizione sia pur minima - che contribuisce a determinate l'evento assume ruolo causale.
 Questa soluzione sembrerebbe meglio inserirsi in questa linea.
In secondo luogo ciascuno ha diritto all'integrità della propria salute fisiopsichica cosi com'è, sia che goda della proverbiale salute "di ferro", sia che soffra di più fragile equilibrio psichico.
 La scelta fra uno o l'altro dei due modelli di risoluzione del problema causale è, in ogni caso, in larga misura, un giudizio di valore , piuttosto che un giudizio "scientifico".
 Come s'è visto, far leva sulla "preesistenza" e qualificare l'evento traumatico come "modesto" o "naturale", equivale a negare - o, quanto meno, a radicalmente ridimensionare - l'idoneità lesiva dell'evento stesso.
 Se, per altro, notato (sopra, § 5) che non va considerato il trauma in sé e per sé, bensì la possibilità che il trauma inneschi dinamiche intrapsichiche atte a dar poi corpo a più franchi quadri psicopatologici.
 Ogni evento traumatico, dunque, ancorché "modesto" o naturale, è potenzialmente idoneo in tal senso, addirittura senza scomodare troppo la "preesistenza".
 Il D.S.M III-R prevede un apposito Asse - il IV - sul quale annotare gli Eventi Psicosociali Stressanti "che si siano verificati nell'anno precedente l'attuale valutazione e che possano avere contribuito ad una delle seguenti situazioni: 1) insorgenza di unnuovo disturbo mentale; 2) ricaduta di un disturbo mentale precedente; 3) esacerbazione di un disturbo mentale già esistente.
La valutazione della gravità degli Eventi "dovrebbe essere basata sulla valutazione dello stress che una persona media in condizioni simili e di simile contesto socioculturale subirebbe dal particolare evento stressante".
Quanto alla tipologia degli Eventi, il D.S.M III-R elenca, sia pure su scalini di gravità diversa, accanto a eventi di per sé comunemente considerati "gravi" - morte di congiunti, ospedalizzazione, malattie invalidanti, ecc. - anche eventi definibili, secondo il senso comune, "naturali" o "lievi" - dissapori in famiglia, separazione, disaccordi col principale, disoccupazione, minacce alla sicurezza personale, ecc..
 Questa impostazione rimette vieppiù in discussione l'antiquata concezione della "preesistenza" e della "causa occasionale", mercé questi rilevanti punti:

- la gravità dell'Evento Stressante è valutata obiettivamente, con riferimento alla persona media - e non alla persona "predisposta" - anche se si ammette, com'è ovvio, che un Evento può avere maggior impatto su soggetti, appunto, con una “preesistenza”;
- la prognosi - importante per il giudizio di temporaneità o di permanenza, nonché per la quantificazione - è più grave se il quadro è cagionato da un Evento obiettivamente lieve.


8. Transitorietà e permanenza 
 Tanto spiccata è la plasticità della psiche, che anche i "disturbi" psichici, lungi dall'essere staticamente strutturati, presentano, nel tempo, notevole mutevolezza. Perfino le malattie mentali più gravi sogliono modificarsi, possono migliorare, talvolta financo guarire, sia pure con qualche defettualità.
 Difficile, dunque, può essere la distinzione fra "temporaneità" e "permanenza" del "disturbo".
 Nulla quaestio, se, al momento dell'indagine medico-legale, il disturbo psichico si è risolto e rimane un mero dato obiettivo.
'Nulla quaestio". però, solo circa l'insussistenza di un danno permanente.
Per quanto riguarda il "disturbo" progresso, si tratta di "transeunte turbamento psicologico", di "patema d'animo" - ossia di danno morale - oppure di "turbamento" o "patema", che, ancorché transitori - giacché si sono risolti - sono da considerare "malattia" e, quindi, da valutare nell'ambito della cosiddetta "temporanea".
 Qual' è il criterio discriminante?
 In ultima analisi, la risposta dipende da quale estensione si attribuisce al concetto di "malattia" (in senso generale, medico legale, e non limitatamente al campo psichiatrico).
 Se "malattia" è qualsiasi alterazione, anatomica o funzionale, dell'organismo, ossia qualsiasi disfunzione, sia pur lievissima, dell'integrità fisiopsichica personale, allora ogni sia pur minima alterazione è "malattia" (34) e le argomentazioni per distinguere, ad esempio, in un lutto, tristezza "normale" e depressione "patologica” sono inutili arabeschi.
 Se, di contro, si tiene conto del solo fatto che un calo di tono dell'umore - si pensi al comune detto "essere giù di morale" - in caso di morte di una persona cara, è una reazione "normale", “psicologica" e non "psicopatologica" (ma ha senso la distinzione?), allora si tratta di puro e semplice danno morale (6).
 In realtà, anche questa valutazione ha ben poco di "scientifico", e finisce con l'essere un altro giudizio "di valore". A seconda che si privilegi il concetto di "malattia", ovvero di "normalità" di una reazione, si perviene all'una o all'altra soluzione del quesito.
 Altri problemi sorgono quando il quadro psicopatologico è ancora in atto al momento dell'osservazione peritale, a distanza di notevole tempo, magari anni, dal trauma.
 In qualche caso la questione è stata risolta ricorrendo alla “preesistenza”.
 Vale a dire che, dimostrata una personalità premorbosa predisposta allo scompenso, pur ritenuta la probabilità di un nesso di causa fra un evento traumatico modesto e un quadro psicopatologico rilevante, si è poi negato che il disturbo psichico attuale fosse da considerarsi danno conseguente al trauma e si è ammesso solo un periodo di malattia assai più dilatato rispetto alla "norma" (15-16-17-24).
 Ma, così operando, si torna al già veduto giudizio “di valore” circa il nesso di causalità.


9. Quantificazione del danno psichico 
 Accertata la sussistenza del danno, si dovrebbe procedere alla sua quantificazione in termini percentuali.
 Perfino in casi di alterazioni psichiche ascrivibili a lesioni neurologiche (sopra, § 2), possono sorgere problemi di esatta quantificazione, soprattutto nei casi più sfumati (I-10-19-20). Si tratta, però, di problemi in genere risolvibili, magari con qualche discussione in più fra consulenti.
 Ben più grave, per non dire insolubile - il problema della quantificazione del danno puramente psichico.
In primo luogo non esistono né tabelle, né esperienza sufficientemente consolidata. Qualcuno propone di far riferimento alle tabelle usate per l'accertamento degli stati d'invalidità civile, pur tenendo conto delle differenti finalità fra la valutazione di tal stato e dei postumi risarcibili dovuti a fatto illecito.
 Proposta interessante, ma con un grave limite: le tabelle per l’invalidità civile, oltre ad essere sommarie si attengono al criterio nosologico, e indicano sindromi ben definite. Rimane in ombra la sterminata area dei "disturbi" che vere e proprie "infermità" non sono.
 Secondo grave problema è, ancora una volta, la "preesistenza", cioè lo stato anteriore che rende il soggetto più vulnerabile e lo "predispone", pertanto, al "disturbo" psichico.
 Qualcuno propone di tenerne minutamente conto e di ricorrere alla formula di Gabrielli (27).
 Proposta non insensata, che suscita, però, perplessità. Infatti, con quale criterio si stabilisce la percentuale di preesistente "menomazione" data da un assetto personologico più vulnerabile?
 Qualcuno propone perciò una sorta di "tara" forfetaria del 10% e ima quantificazione del danno sul restante 90%.
 E', in ogni caso, ineliminabile un grave interrogativo di fondo.
 E' senz'altro doveroso tener conto della preesistente menomazione, ad esempio, di un organo o di un arto, già compromessi a cagione di progresso infortunio o malattia. Ma è lecito considerare la "psiche" alla stregua di un organo?
 La "psiche" è, in fin dei conti, espressione peculiare dell'individuo e l'eventuale maggior vulnerabilità non è effetto di un precedente infortunio, bensì risultato - come si diceva - della naturale interazione di molteplici e multiformi fattori. Ogni assetto psichico, ogni personalità, oggi equilibrio, sia pure precario è, a ben riflettere, uno degl'infiniti "modi di essere" dell'individuo. Perché, dunque, non considerare la validità di ogni "stato" psichico preesistente al trauma pari al 100 %, come per ogni "organo"sano?
 In realtà, tutto ciò che è psichico sfugge, per sua natura, a qualsiasi tentativo di obiettiva quantificazione numerica.
Del resto, l'ordinamento, dell'art. 1226 c.c., prevede proprio casi in cui il danno non possa essere provato nel suo preciso ammontare.


10. I compiti del CTU
 Non c'è dubbio circa la necessità che le indagini in tema di danno psichico siano affidate a medici legali con formazione anche psichiatrica, o a psichiatri anche con formazione medico legale e forense, ovvero a un collegio.
 Mai come in questo tipo di accento - dove, sovente, i giudizi sono più di "valore" che non "scientifici" - il C.T.U. deve ricordare di essere mero ausiliario del giudice, al quale non può e non deve sostituirsi, e al quale deve limitarsi a fornire elementi tecnici che gli rendano possibile una più equa decisione.
 Il C.T.U. dovrà pertanto rendere edotto il giudice dei fondamentali problemi - testé passati in rassegna - insiti in questo particolare tipo di indagine:

- l'impalpabilità dei confini tra "malattia", "disturbo" o "disagio" e l'idoneità di questi ultimi "modi di essere" a configurare, a pieno titolo, un danno;
- la possibilità di risolvere il nodo del nesso causale secondo i due fondamentali e antitetici modelli, ossia a seconda di come si considera la le preesistenza";
- l'incertezza fra temporaneità e permanenza e - perché no? - la labilità di confini fra danno morale e malattia transitoria;
l'impossibilità di fornire pseudo-quantificazioni con cervellotiche cifre percentuali (40).

 In fondo, è giusto che sia il giudice a esprimere giudizi "di valore", anche se il tecnico ben può esprimere opinioni personali, purché come tali le dichiari e non le faccia passare per verità "scientifiche" assolute.
 A ben riflettere, se si volge uno sguardo retrospettivo al sistema della responsabilità civile, si nota, ad esempio, come la responsabilità per rischio d'impresa si sia sviluppata proprio su base giurisprudenziale, ossia in base a giudizi "di valore", che hanno spostato, nel corso dei decenni, l’attenzione dalla colpa, alle finzioni di colpa alla responsabilità oggettiva, man mano che l'esigenza di tutela passava dall'interesse dell'impresa a quello dell'integrità dell'individuo.
 Mutatis mutandis, dovrà essere la giurisprudenza - e non i tecnici - a costruire il sistema di accertamento e di risarcimento del danno psichico, scegliendo, con giudizi, appunto, "di valore" fra le indicazioni proposte dai tecnici.


CASISTICA




1) B.C. 38 m CTU 9/81[2]
 Il 12 settembre 1989 infortunio sul lavoro: caduta da impalcatura dall'altezza di tre metri; primo ricovero in Iraq con diagnosi di "trauma cranico e coma superficiale" il 4 ottobre trasferimento in ospedale a Milano e rilievo di "apparente afasia e lieve iposteniaarto sup dx".
 Si dispone una prima CTU. B.C. lamenta notevole sintomatologia soggettiva; ai test psicometrici emerge pretestazione di incapacità intellettiva; si riconoscono postumi di trauma cranico commotivo nella misura del 10 %; inoltre, considerando la pretestazione, incerta nella sua reale entità, si eleva la quantificazione al 20 %, data l'incertezza sull'autenticità dell'eventuale componente nevrotica ... per eliminare a favore del lavoratore il rischio di errore”.
 Viene disposta un’altra C.T.U. che conferma le conclusioni della precedente.


2) MG.C. 37 f CTU 7/86
 Il 14 giugno 1983 incidente del traffico (collisione fra auto a un incrocio); ricovero all'ospedale di Desio per “trauma facciale con ferite lacero-contuse multiple al volto; frattura delle ossa nasali con disinserzione della piramide”
 Una prima CTU (aprile 1985) riconosce menomazioni estetiche consistenti in una cicatrice di 16 cm alla guancia dx e piccole cicatrici frontali, nonché menomazioni funzionali consistenti in deficit della pervietà della fossa nasale sin e in qualche disturbo soggettivo di tipo post-traumatico; riduzione della capacità lavorativa generica nella misura del 12 %.
 Avanza poi la pretesa di risarcimento di danno psichico consistente in uno stato depressivo tale da averne condizionato la totale incapacità lavorativa (si licenzia dal posto di lavoro) e da aver coinvolto marito e figli (il marito è “esaurito” e i figli registrano un calo di rendimento negli studi).
 In sede di seconda CTU, affidata a medico legale anche specialista psichiatra, non si riscontra stato depressivo, una solo “ideazione prevalente” concernente il danno estetico, ossia di “pensieri che, per la loro forte connotazione affettiva, assumono preponderanza rispetto a tutti gli albi; si tratta dell'insieme di idee intorno alle cicatrici al volto, al suo abbattimento psichico e alle conseguenze sulla famiglia”. Per quanto riguarda specificamente il nesso di causale “la nettissima sproporzione fra situazione obiettiva e opinione soggettiva della signora C. è il punto fermo delle nostre argomentazioni, quello, cioè, che fa escludere il ruolo causale, o anche solo concausale, del trauma; si potrà, dunque trattare di una pura e semplice occasione, del tutto priva di rilevanza giuridica. L'esperienza clinica insegna che, talvolta, la sfiducia e la bassa stima di sé, assai diffuse, allorché sono ben radicate nel profondo, possono facilmente rivelarsi in svariati frangenti, per esempio in occasione di ferite narcisistiche, anche minime, quale, appunto, una menomazione estetica di lieve entità; ciò non significa però che tra i due fenomeni ci sia un rapporto di causa-effetto. Indubbia è la fungibilità di siffatta occasione -di fungibilità non si potrebbe invece parlare a proposito di cause o di concause - in quanto la signora C avrebbe potuto senz'altro sviluppare disturbi psicopatologici anche in seguito ad altri eventi, obiettivamente poco rilevanti, ma per lei soggettivamente pregni di significato”.


3) T.V. 55 f CTU 1/87
 Il 27 aprile 1983 incidente da traffico (pedone investito da auto); ricovero con diagnosi di "trauma cranico non commotivo; ferita lacero-contusa parietale destra; contusioni e abrasioni multiple”.
 In sede di CTU lamenta usuale sintomatologia soggettiva; inoltre nevrosi d'ansia con manifestazioni agorafobiche;
riconoscimento di sindrome soggettiva post traumatica, con menomazione della capacità lavorativa generica nella misura del 3-4%, per contro, “non è prospettabile un nesso, né causale, né concausale, fra l'incidente e i disturbi, inquadrabili nell'ambito della nevrosi fobica",- data la preponderanza di una particolare fragilità psichica di base "il trauma progresso deve essere considerato come una mera occasione". Le specifiche argomentazioni ricalcano quelle del caso precedente.


4) F.C. 48 m CTU 5/88 e 7/93
 Il 4 maggio 1983, alla guida del suo autotreno, vede che una moto con due giovani a bordo, in un sorpasso azzardato, invade la sua corsia e si schianta contro l'abitacolo dell'autotreno. I due giovani rimangono uccisi sul colpo. Insorge nei mesi seguenti depressione reattiva con somatizzazioni gastriche e fobia della guida. Quando tenta di riprendere il lavoro diviene ansioso e gli sovviene l'immagine dell'incidente.
 Un parere di parte valuta queste manifestazioni in termini di danno psichico valutabile nella misura del 30 %.
 La prima CTU, nel maggio 1988, conclude: “La personalità di C., anche sotto la spinta di una caratterialità si è andata evolvendo nella ricezione di elementi psiconevrotici con somatizzazioni gastrointestinali. Questa situazione si è instaurata in rapporto stretto all'evento traumatico. Prima di questo C. aveva degli hobbies, era un buon lavoratore e nella sua cerchia di conoscenti era considerato un uomo privo di alterazioni psichiche. A un esame critico degli elementi psicodiagnostici incontrovertibile appare la diagnosi di reazione abnorme con nevrosi post-traumatica, postumo dell'entità del 15 %”.
 La causa prosegue per vari motivi di mento, indipendenti dal risarcimento; nel luglio 1993 si dispone un'altra CTU, per chiarire meglio alcuni aspetti lasciati in ombra dalla prima; si conclude che “la patologia psiconeurotica rilevata ... ha avuto come momento rivelatore un trauma emotivo' riconducibile all'incidente”; considerando, considerando, però, “che il quadro.... non è così grave come il prof. ...ha giudicato [nella prima CTU], si ritiene adeguato il riconoscimento di una IPP del 7% per danno biologico ripercuotentesi in eguale misura sulla resistenza alla guida di automezzi pesanti”.


5) C.T. 20 f CTU 5/88 e 5/94
 Il 18 novembre 1984 incidente del traffico trasportata in motocicletta, catapultata sull'asfalto in seguito a uscita di strada in curva. In ospedale si riscontra “stato di coma profondo, ematoma sottodurale con vasta area lacero-contusiva dei lobi frontale e temporale; ematoma extradurale temporale destro”.
 C.T. chiede il risarcimento del danno consistente in sfumata emiparesi sinistra e ben più grave menomazione delle funzioni psichiche più complesse, ossia difficoltà di attenzione e di concentrazione, facile irritabilità con tensioni aggressive, appiattimento affettivo. La CTU disposta in primo grado accoglie la richiesta quantificando i postumi nella misura del 60 %.
 In grado d'appello parte attrice chiede il riconoscimento di un danno pari al 100%, in quanto si asserisce che C.T., è amnesica, disorientata, ha perso ogni autonomia e richiede continuo accudimento. La nuova CTU smentisce completamente l'assunto e conferma le conclusioni del primo accertamento del 1988.


6) D.T. 50 f CTU 9/88
 Il 19 agosto 1987 incidente del traffico: trasportata sull'auto guidata dal marito l'auto sbanda e si rovescia. Il marito muore sul colpo. Per D.T. in ospedale si diagnostica “trauma cranico”.D.T. chiede il risarcimento per i soliti disturbi soggettivi post-traumatici, nonché “per esaurimento nervoso” caratterizzato da stato depressivo per la morte del marito. 
La CTU ammette l’esistenza di “sindrome soggettiva”, ma esclude il nesso fra incidente ed “esaurimento”, da considerare danno morale e, quindi, non di pertinenza medico legale.


7) B.C. 32 m CTU 9/88
 Il 19 agosto 1987 incidente stradale in cui riporta "grave trauma cranico con frattura infossata del parietale destro; sofferenza globale del sistema nervoso centrale e prolungata alterazione dello stato di coscienza". Pretende il risarcimento di postumi consistenti in difficoltà di concentrazione, deficit di memoria, incapacità a svolgere le mansioni di prima come operaio specializzato; viene infatti adibito a mansioni semplici e ripetitive.
 La CTU rileva danno neurologico, evidenziabile essenzialmente non all'esame obiettivo, ma ai più fini tests neuropsicologici, che dimostrano estesa compromissione dell’emisfero cerebrale destro; quantificazione nella misura del 70 %.


8) ILC. 35 m strag 12/88
 Il 13 maggio 1988, mentre è alla guida della sua auto, viene violentemente tamponato. Non riceve cure ospedaliere. Il medico di base certifica "lieve trauma cranico con lipotimie e crisi cefalalgiche". Qualche settimana dopo L.C. lamenta imponente sintomatologia soggettiva, con crisi d’ansia acuta, che lo avrebbero costretto a una drastica contrazione della sua attività manageriale. Viene sconsigliato di agire in giudizio per pretendere il riconoscimento di postumi superiori a quelli compatibili con una usuale sindrome soggettiva post-traumatica.


9) LC. 60 f CTU 10/89
 Il 9 aprile 1987, mentre esce dal bagno, vede crollare pesanti calcinacci dal soffitto, proprio nel punto soprastante a quello in cui si trovava poco prima; non riporta lesioni fisiche.
 Agisce in giudizio allegando certificazioni genericamente attestanti sindrome ansioso.
 Il CTU nega il nesso causale fra trauma emotivo e sintomatologia allegata, rilevando innanzitutto una struttura personologica di base di tipo nevrotico e argomentando che i sintomi nevrotici somatici (tachicardia e ipertensione) sono, in genere, normali reazioni a un evento improvviso e inopinato; per quanto riguarda la sindrome ansioso-depressiva, si tratta di un quadro a genesi multifattoriale e può essere favorito da una strumento nevrotico di base, indipendentemente da “traumi o incidenti; non si tratta in ogni caso, di Disturbo Post-Traumatico da Stress secondo i criteri del DSM III-R .


10) G.G. 19 m CTU 3/90
 Il 16 settembre 1986, sedicenne, mentre attraversa la strada sulle strisce pedonali, viene investito da un furgoncino. In ospedale si riscontra "trauma cranico con contusione emorragica frontale sinistra”. Il decorso è favorevole e, dopo un mese e mezzo di degenza, viene dimesso.
 In corso di causa G.G. chiede il risarcimento del danno, consistente in un'imponente sintomatologia psicopatologica manifestatasi nei due anni successivi all’incidente e causa di ben sei ricoveri in reparti psichiatrici, con diagnosi di “sindrome dissociativa ".
 In sede di CTU si rileva, in effetti, oltre a sfumati segni obiettivi neurologici, anche una cospicua sintomatologia psichica. L'indagine neuropsicologica dimostra "deterioramento mentale post-traumatico con prevalenti elementi di tipo frontale”. Al test di Wechsler si osserva Q.I. pari a 74 e deterioramento del 36 %; per quanto riguarda il quadro psichico (con carattere di prevalente defettualità e qualche screzio delirante persecutorio), di per sé, potrebbe orientare verso una forma schizofrenica. Il fondamentale rilievo del deterioramento mentale, in perfetto accordo con il trauma frontale, indirizza però verso un nesso conclusale; i postumi vengono quantificati nella misura del 20%, con riferimento alla capacità lavorativa generica.


11) V.F. 65 m strag 4/90
 Il 13 luglio 1989, viene investito da un’auto e riporta "trauma cranico con stato di coma e focolai emorragici multipli”. Dopo lunghissima degenza viene dimesso in completo stato demenziale (disorientamento spazio-temporale, deficit di memoria, deficit del pensiero astratto e della capacità di giudizio, gravi alterazioni del carattere e perdita della benché minima autonomia); danno pari al 100 %.


12) G.C. 76 m CTU 7/90
 Il 30 settembre 1985, pedone, viene investito da mototaxi; in ospedale si riscontra frattura biossea di gamba destra; gli accertamenti neurologici (visita neurochirurgica e TAC) escludono lesioni in auto a carico del SNC.
 Dopo una settimana si manifestano disturbi dello stato di coscienza e grave agitazione psicomotoria. Trasferito in reparto di Neurochirurgia, si accerta la presenza di voluminoso igroma temporo-parietale sinistro, che viene prontamente evacuato. Dimesso il 12 dicembre 1985 viene poi, più volte, nuovamente ricoverato in ambienti specialistici neurologici e psichiatrici, per il manifestarsi di ingravescenti complicanze neurospichiatriche; in occasione dell'ultima dimissione si parla di “sindrome demenziale post-traumatica a predominanza frontale”.
 Nella CTU si rileva che il dato anamnestico "circa l'assunzione di una benzodiazepina (Tavor) e sull'uso abituale di bevande alcoliche non costituisce elemento significativo per un'ipotesi di preesistente patologia psichica"; la stessa considerazione vale per una modesta stenosi carotidea bilaterale, priva di patologico significato. Si conclude pertanto che "tale gravissima malattia neuropsichica appare in nesso causale con l'evento lesivo e a carattere permanente”. II danno consiste dunque "in un Disturbo Mentale Organico (DSM III-R) espresso da Delirium sovrapposto a demenza: si tratta in sostanza di un quadro di demenza avanzata, irreversibile ed ingravescente, che richiede e richiederà un'assistenza costante", quantificato nella misura del 100% dell'integrità psicofisica del soggetto.


13) P.O. 34 f strag 10/90
 Il 14 marzo 1989 viene aggredita e azzannata al viso da un cane, riportando vasta ferita al labbro superiore con perdita di sostanza. Ricoverata in Chirurgia Plastica, viene sottoposta ad accurato intervento di sutura ed innesto cutaneo, riprende il lavoro dopo circa un mese e mezzo.
 Vista nell'ottobre 1990 accusa dolore puntuorio allo sfioramento, nonché sensazione di stiramento in sede di cicatrice al labbro superiore. Riferisce di non guardarsi più quasi allo specchio e di non lasciarsi fotografare; fatica a pronunciare lettere labiali e rifiuta di lasciarsi baciare dal marito e dal bimbo, perché il semplice contatto della parte lesa suscita intenso fastidio locale. La visita medico-legale evidenzia, in effetti, "complesso cicatriziale di cm 2 x 1 circa, retraente, lievemente cheloidea, ipocromica e rilevata rispetto ai piani mucosi labiali circostanti, ... sensibilissima allo sfioramento, la visita psichiatrica conclude che "l'insieme della fenomenologia psicopatologica contiene ... tutti i segni clinici di una distimia (DSM III-R) strettamente conseguente alle lesioni riportate ...sviluppata, aggravandola, su una organizzazione psichica di base, ovviamente preesistente", si propone una quantificazione globale dei postumi, fisici e psichici pari al 22-23 % della totale integrità psicofisica del soggetto (danno biologico).


14) C.M. 54 m CTU 2/91
 Nel 1983 nel magazzino sottostante l'appartamento di proprietà di C.M. viene installato uno studio di prova e di registrazione di musica rock. C.M., infastidito dai continui rumori si rivolge al Pretore. Una perizia fonica stabilisce che le emissioni rumorose sono superiori ai livelli consentiti; di tal che il magistrato ordina una sene di lavori nel locale per ridurre i suoni entro i limiti ammissibili.
 La vicenda giudiziaria si trascina per anni, finché, nel 1990 viene CTU, per accertare il danno psichico addotto da C.M., che, nel frattempo arriva a vagare ore e ore per la città, senza meta, paventando il rientro in casa.
 La CTU conclude che C.M. "ha utilizzato l'esperienza stressante alla quale è stato sottoposto per “appoggiarvi” sopra la struttura della propria personalità, che può definirsi, in concordanza con quanto è emerso dal test di Rorschach, di tipo istrionicoparanoide (DSM III-R), pertanto dall'insieme degli accertamenti non emergono dati sufficienti a stabilire che C.M abbia riportato un danno psichico in seguito alla vicenda in oggetto; ciò non toglie che egli abbia, per un lungo periodo, dovuto sopportare un'ingiusta esperienza nociva per la integrità psicofisica e di ciò non può non tenersi conto nelle valutazioni conclusive".


15) G.G. 52 m strag 3/91
 Il 24 agosto 1989, in seguito a incidente del traffico, riporta distorsione del rachide cervicale, contusione della spalla sinistra e del ginocchio destro.
 G.G- produce due pareri di parte: uno, neuropsichiatrico, riconosce una usuale sindrome cefalgica vertiginosa post-distorsiva e, in più, una sindrome ansioso-depressiva sorta dopo il trauma; propone per il danno neuropsichico una valutazione del 6-7 %; un altro parere, medico-legale, oltre a confermare quanto sopra, valuta anche i postumi alla spalla e al ginocchio; il tutto pari al 12-13 % di danno biologico.
 Il CTP della Compagnia, rilevata sia l'idoneità, di per sé, del lieve trauma a causare un quadro ansioso-depressivo tanto prolungato, sia la preesistenza di un altro antico episodio ansioso-depressivo, ammette tuttavia che un trauma, pur lieve, può, in qualche caso, stante una fragilità personologica di base, innescare reazioni abnormi; ritiene però che tali reazioni non siano permanenti e propone, pertanto, un periodo di malattia più lungo rispetto al "normale". La vicenda rimane in sede stragiudiziale e si conclude con transazione.


16) G.S. 17 m CTP 4/91
 Il 31 marzo 1989 incidente stradale con trauma cranico non commotivo e distorsione del rachide cervicale. Il CTP di G.S. riconosce postumi pemanenti costituiti sia dai soliti esiti di distorsione cervicale, sia da "nevrosi reattiva con note di depressione, insonnia, abulia, crisi di scoramento, angoscia, calo di rendimento scolastico, valutati nella misura dell'8-9%.
Il CTP della Compagnia, in redazione anche ad anomalie riscontrate all'esame otovestibolare, riconosce un danno biologico del 3-4 %; ammette inoltre “un ruolo concausale, almeno inizialmente, del trauma nella genesi del quadro psicopatologico", supponendo una personalità nevrotica di base; giudica congruo un periodo di inabilità temporanea più dilatato (due mesi al 100%, due al 50%, due al 25%), respingendo però l’ipotesi di danno permanete in misura superiore a quella usualmente ammessa per una sindrome post-distorsiva.


17) F.S. m 52 CTU 5/91
 Il 2 agosto 1987 trasportato in motociclo, viene sbalzato a terra e batte il capo contro il capo del guidatore, per cadere poi a terra. In ospedale si diagnostica “trauma cranico. distorsione del rachide cervicale, contusione ginocchio destro e spalla sinistra”.
 Un primo parere di parte, del gennaio 1988, sulla scorta di modeste alterazioni evidenziate dall'esame otovestibolare, valuta un danno dell'3-4% Un successivo parere - psichiatrico - del marzo 1988, comprende nei postumi permanento anche una persistente depressione reattiva a causa della quale F. S. è stato costretto a ridurre a zero la sua attività libero-professionale di grafico pubblicitario. Il CTP indica inoltre, quale spesa futura, la necessità di un trattamento psicoterapico, della presumibile durata di due anni e del costo di circa ventiquattro milioni.
 F.S. agisce in giudizio pretendendo il risarcimento per un’inabilità temporanea di 190 giorni, per un danno permanente del 9%, per un danno da lucro cessante relativo alla rinuncia a collaborazioni con varie società, nonché il danno emergente dato dal costo della psicoterapia.
 Una prima CTU, nel marzo 1989, riconosce gli usuali postumi soggettivi post-distorsivi e ammette però, che, in qualche caso, in soggetti con personalità premorbosa predisponente, può anche manifestarsi una reazione depressiva.
 Segue perciò un’altra CTU specialistica, nel febbraio 1991, imperniata più specificamente sul danno psichico; il CTU rileva, quale terreno predisponente, una personalità di base con tratti narcisistici, caratterizzata da perfezionismo ed efficientismo, che hanno effettivamente consentito a F.S. brillante successo professionale; in seguito al trauma F.S. è stato costretto, suo malgrado, ad astenersi forzatamente dal lavoro, sia pure per breve periodo; ciò ha prodotto in lui una sorta di smacco al suo orgoglio narcisistico e, inizialmente, un quadro ansioso-depressivo reattivo; al momento della visita non si rileva però alcun segno di depressione; in ogni caso, avverte il CTU che sarebbe inammissibile un nesso causale o concausale fra un trauma beve e un quadro depressivo della durata di ben tre anni; tanto più che una depressione "reattiva", proprio in quanto tale, suole risolversi; si ammette perciò un periodo di malattia di sei mesi e un danno biologico, per i soli postumi post-distorsivi, pari al 4 %.
 Il CTU nega infine che il trattamento psicoterapico si sia reso indispensabile in seguito al trauma, così argomentando: "E' ben vero che il dottor S. potrebbe, forse, trarre qualche giovamento da una psicoterapia. Questa potrebbe, infatti, forse, guarirlo (in senso latissimo e traslato) da certi tratti troppo rigidi ed esagerati della sua personalità narcisistica. La sottolineatura del forse è doverosa, giacché, sempre, gli esiti di un trattamento psicoterapico non sono ipotizzabili a priori. E' invece semplicistico asserire che la psicoterapia si è resa indispensabile dopo il trauma, per consentire al dottor S. di riprendere la sua attività professionale. 
 Utile gli sarebbe stata e forse ancor più) prima del trauma, in quanto soggetto con tratti marcatamente narcisistici. -Indispensabile la psicoterapia non lo è mai, massime quando si parte col piede sbagliato. E sbagliata sarebbe la partenza del dottor S., il quale, invece di chiedere alla psicoterapia di aiutarlo a ricercare, almeno in parte il ‘vero Sé’, spera gli serva per poi tornare in pompa magna al lavoro, ossa più narcisisticamente perfezionista ed efficientista di prima”.


18) D.R. f 51 CTU 3/91
 Il 26 marzo 1989, pedone, viene investita da un'auto. In ospedale si riscontra “trauma  cranico, focolaio lacero- contusivo temporo- frontale sinistro”.
 In sede di CTU si accerta emiparesi destra e marcatissimo deterioramento mentale correlabile con il pregresso trauma. D.R presenta inoltre intense crisi d’angoscia quando il marito si allontana per esempio per andare al lavoro. Il danno viene quantificato nella misura del 60 % sia in termini di danno biologico, sia con riferimento al lavoro di casalinga.


19) N.P. f 43 CTU 6/91
 Il 23 novembre 1987, alla guida della sua auto, viene a collisione frontale con un’altra autovettura. A Niguarda si riscontra “trauma cranico, ferite multiple al labbro superiore con avulsioni dentarie multiple, aspirazione denti nei bronchi bilateralmente, fratture costali multiple, frattura omero-olecrano sin., femore sin., frattura bimalleolare sin., frattura gamba dx, contusione con flc multiple agli arti" il 17 febbraio 1988 viene dimessa.
 Compare tosto stato depressivo, che, a distanza di sei mesi dal trauma, viene così descritto dal neurologo al quale si rivolge: “l’ideazione è sempre, in ogni momento della giornata, focalizzata su quanto accaduto la mattina del 23 novembre; si sono sovrapposti immotivati sensi di colpa al continuo rifiuto di quanto accaduto, spesso vissuto come un sogno, un incubo; la giornata è imperniata su un'ansia costante e tale da rendere difficile la normale attività lavorativa, così come qualunque tentativo di evasione e di relax, piange spesso e alterna pensieri sull'accaduto solo a proiezioni pessimistiche sul futuro, col timore costante di restare menomata e non poter riacquistare la completa funzionalità dell'arto superiore”.
 La depressione non recede e, nel dicembre 1989, N.P. viene ricoverata in una Casa di Cura psichiatrica, con la diagnosi di “depressione nevrotica (in postumi di grave politraumatismo)” e l'annotazione “da sorvegliare per tendenze autolesive “,- dimessa in discreto benessere, riprende a lavorare.
 Nel frattempo, in corso di causa, viene disposta CTU, N.P. viene vista nell'aprile 1990. Al test di WAIS emerge "un quadro di depressione maggiore su un'intelligenza medioinferiore",- il test di Rorschach "depone per una depressione con consistenti livelli di ansia e modalità infantili e regressive; ... grosse resistenze a qualsiasi tentativo di stimolare una mentalizzazione, con conseguente modesta possibilità di utilizzare una psicoterapia che non sia semplicemente di sostegno”.
 In corso di C.T.U. la sintomatologia depressiva si acuisce di nuovo e N.P. viene ricoverata; pochi giorni dopo il ricovero tenta il suicidio gettandosi da una finestra della clinica; si produce frattura del femore destro.
 Le operazioni peritali si concludono nel giugno 1991. Per quanto riguarda il danno biologico, al primo evento (incidente) è conseguito un danno “pari al 43-45% da attribuire con approssimazione nella misura di due terzi per la componente fisica in esclusivo nesso causa con l'incidente del traffico e di un terzo per quella psichica in concausalità di pari efficienza con lo stato psichico preesistente". Il danno verificato dopo il secondo evento "è da valutarsi nella misura del 60-62%, la differenza aritmetica - seppure assai poco accettabile sotto il profilo medico-legale, ma in questo caso necessaria per l’individuazione del nesso di causalità - è pari al 17% che, in via puramente indicativa è concausalmente da attribuirsi per circa un terzo ciascuno all'incidente del traffico, alla preesistenza psichica e alla Clinica XY [con ciò ipotizzando una responsabilità dei sanitari che avrebbero sottovalutato le tendenze suicidiarie” ]


20) ML.P. 23 f CTU 6/91
 Nel maggio 1989 ML.P., studentessa del quarto anno di economia e commercio, si sottopone a intervento odontoiatrico di avulsione dell'ultimo dente molare inferiore destro, completamente incluso, in anestesia tronculare. Il giorno dopo si riscontra ematoma in regione sottomandibolare destra; qualche giorno dopo si manifestano disturbi della sensibilità e del gusto nell'emilingua destra; la situazione rimane poi immutata.
 Nel corso dei mesi successivi ML.P. sviluppa un progressivo timore, quasi una fobia, quando deve sedersi a tavola, per il pericolo di sanguinamento della lingua, dovuto a inavvertita morsicatura. Diviene perciò riluttante ad accettare inviti e a contrarre nuove relazioni di lavoro, sia collettive, sia personali; si deprime, temendo che la futura professione possa risentirne.
 Decide perciò di chiedere il risarcimento del danno e, all'uopo, si procura parere di parte, nel cui ambito si sottopone anche a visite specialistiche. La visita neurologica accerta "anestesia tatto-dolorifica all'emilingua destra, con ageusia, da lesione del nervo linguale", al test di Rorschach UL.P. si rivela "soggetto di buona intelligenza, con note di insicurezza, di inibizione e di sensitività, che determinano la messa in atto di meccanismi di difesa costanti, strutturantesi in aspetti caratterologici di tipo narcisistico, i quali si esprimono, fra l'altro, in atteggiamenti di riduzione del contatto affettivo ed interpersonale”. In effetti, la menomazione neurologica "manifesta i suoi effetti in tutte le componenti della persona e tocca tutte le possibilità espressive nella professione e nella vita di relazione, sia collettiva, sia personale. La necessità di rinunciare alle proprie ambizioni o di ridimensionarle, determina una sorta di ferita narcisistica, da cui deriva tutta “una serie di difese nevrotiche tese a contenere l'angoscia” le quali si esprimono
“clinicamente o con aspetti distimici o con tratti ossessivi". Il C.T.P. valuta un “danno all'integrità psicofisica” pari al 5% e un “danno alla capacità lavorativa-lucrativa futura in occupazioni confacenti le sue attitudini” pari al 15-16%.


21) P.S. 23 f CTU 11/91
 Il 20 novembre 1988, viaggia, trasportata, su un’auto che sbanda ed esce di strada. In ospedale si risconta: “trauma facciale con triplice frattura mandibolare in zone angolari e paramediana sinistra e delle ossa nasali, ferita a tutto spessore del labbro superiore sinistro interessante l'ala del naso sin., flc della metà dx del labbro superiore, flc della faccia interna guancia sin., perdita di quattro elementi dentari, fratture coronali di cinque elementi dentari”. Nei mesi successivi si sviluppa ansietà e depressione. P.S., parrucchiera, cambia mestiere e prende un posto di operaia metalmeccanica; ciò perché “ ...con le clienti 'sbavavo', anche adesso devo stare attenta mentre mangio, per non sporcarmi ... cola il cibo dalla bocca; ...adesso faccio l'operaia, così vengo a contatto solo con colleghi e non più con le clienti ... lavorando proprio sulle loro teste dovevo parlare molto”.
 L'indagine psichiatrica in sede di C.T.U. porta alla conclusione che "in seguito alle lesioni riportate, P.S., oltre al danno organico, ha riportato un danno psichico indicato come Disturbo Post-Traumatico da Stress, insorto come nuova forma patologica rispetto al preesistente Disturbo Compulsivo di Personalità, va comunque precisato che tale preesistente Disturbo e l'evento traumatico hanno concausalmente e con pari valore concorso a determinare l'instaurarsi del Disturbo Post-Traumatico da Stress, il quale configura ora un danno psichico di natura permanente”. Si ritiene inoltre, probabile che P.S., nonostante un rifiuto reattivo, possa fruire con beneficio di una psicoterapia di media durata (almeno due anni, di cui si può tener conto nel prevedere spese future”, il danno viene globalmente valutato nella misura del 17-18%.


22) C.V. 50 m strag 2/92
 Il 7 marzo 1990, in seguito a incidente stradale, riporta "trauma cranico non commottivo e distorsione del rachide cervicale”.
 Dopo due anni lamenta ancora un vasto corteo di disturbi soggettivi: “...è una specie di confusione ... improvvisa ... come un mancamento ...a volte mi capita in studio ... sono notaio ... allora devo far leggere gli atti ai miei aiutanti; ... a tavola, quando mi avvicino al piatto, è come se il piatto si allontanasse o si avvicinasse; ... quando guido non posso superare i centodieci, perché sento la macchina sbandare ... il guard-rail è come se si avvicinasse”.
 Il consulente segnala alla Compagnia che si tratta di "evidente polarizzazione ideativa sui sintomi soggettivi; una sorta di situazione fobica, innescata, con ogni probabilità da sensazioni discenestesiche fondate su basi reali; ... ciò suscita poi una sorta di situazione d'allarme, di vigile attesa, di continuo timore che nuove spiacevoli percezioni affiorino alla coscienza”, si propone la liquidazione di un danno biologico pari al 6-7%.


23) C.A. 24 f CTU 3/92
 Il 27 gennaio 1988, mentre si trova a piedi su un marciapiede, viene investita da un'auto; in ospedale si riscontra “trauma cranico; stato di coma (lieve); lieve emiparesi dx", dimessa il 17 marzo, poco dopo C.A. comincia a lamentare episodi di cefalea, lacune mnesiche, insonnia, mutamento del carattere con apatia ed esplosioni di ira, aumento ponderale.
 In sede di C.T.U., sul piano neurologico si rileva solo modestissima emisindrome destra; più cospicua la sintomatologia psichica. Si conclude che “come impostazione diagnostica la perizianda presenta segni clinici di un Disturbo Misto di Personalità Dipendente Istrionico (v. D.S.M III-R), che fino al giorno dell'incidente, è stato ben compensato con la costruzione di un'identità sociale ed affettiva semplice e poco articolata, ma sostanzialmente equilibrata e sintona con la propria capacità culturale e socioeconomica, dopo l'incidente questo equilibrio sovrastrutturale si è bruscamente scompensato e per qualche mese la perizianda ha mostrato evidenti segni di disorientamento psichico e affettivo. L'insieme si è poi ricomposto. ma è subentrata un'entità clinica, di comune riscontro dopo un'esperienza traumatica, di particolare valenza, che, però, si è ovviamente organizzata in modo specifico in relazione alla personalità della penzianda; si tratta di un disturbo d'ansia, che si esprime con segni misti di
Agorafobia, Fobia vale e comportamenti di evitamento",- si stabilisce l'esistenza di danno biologico pari al 14-15 % e si precisa che la componente psichica "incide sulla capacità lavorativa della A. nella misura del 7-8% per la perdita di chanches lavorative e difficoltà a trovare un'adeguata occupazione nell'attuale mercato di lavoro, vista per lei la difficoltà a conservare il posto di lavoro".


24) G.R. 32 m CTU 6/92
 Il 24 ottobre 1989, alla guida di un motociclo, viene investito e sbalzato a terra da un’auto. In pronto soccorso si diagnostica 'trauma contusivo rachide cervicale; contusione spalla sx, contusioni escoriate gamba sx e gamba dx", dopo gli accertamenti del caso G.R- viene subito dimesso. Il mese dopo compaiono cefalee, sensazioni vertiginose, con stato ansioso e preoccupazioni ipocondriache-cenestopatiche; stante il progressivo aggravamento, G.R- si rivolge al C.P. S. per cure psichiatriche.
 La C.T.U. accerta che G.R. “è sempre stato una persona con difficoltà di inserimento sia dal punto di vista scolastico (ha dovuto frequentare una scuola sperimentale), sia nella vita (non ha amici, non frequenta molte persone); ... l'esame psicodiagnostico conferma l'esistenza di disturbi cognitivi e di un deficit intellettivo; nella sfera affettiva emerge la tendenza a entrare in stati d'ansia per l'incapacità di distaccarsi dall'esperienza elaborandone i contenuti e il senso; ... si è organizzato un mondo relativamente tranquillo, routinario e con una scarsissima apertura a stimoli che possano alterare l’equilibrio così attentamente costruito”; si asserisce che G.R. “è affetto da sindrome distimica con Disturbo d'Ansia Non Altrimenti Specificato (D.S.M. Il]-R) " ma, rilevata l'inadeguatezza, quantitativa e qualitativa dell'evento lesivo a causare o concausare tale sindrome, si conclude che l'incidente “può al più avere occasionalmente scompensato temporaneamente un precario equilibrio psichico, giustificando così un periodo di inabilità temporanea di circa 2 mesi, il danno biologico viene pertanto quantificato nella misura del 3-4%.


25) A.D. 68 m strag 9/92
 Il 13 giugno 1991, mentre procede in bicicletta, viene investito da un camion. Condotto in ospedale, la T.A-C encefalica dimostra "emorragia negli spazi subaracnoidei di dx ... e focolai lacero-contusivi parenchimali in sede temporo-occipitale dx; ... frattura occipitotemporale dx”. Dimesso il 26 luglio si sottopone poi a numerosi controlli; una visita neurologica evidenzia, fra l'altro, "ipoacusia grave bilaterale, anosmia, ipogeusia", una nuova T.AC. dimostra "aree ipodense malacia parenchimale in sede frontobasale, occipitale e parietale destra da esiti di pregressa lesione traumatica",- un E.E.G. manifesta “segni di disfunzione sulle regioni temporali, in particolare di sinistra".
 In sede di consulenza di parte i parenti riferiscono che "il carattere e cambiato, è polemico, insofferente, non lo si può mai contraddire in quello che dice; parla parla, sempre, in continuazione", all'esame psichico si osserva "marcata vischiosità, ripetitività, tendenza a logorrea, con scarso senso critico e facilità a risentirsi se gli si fa notare che si ripete o fornisce particolari inutili",- il danno biologico, rappresentato, oltre che da deficit olfattivo, anche da deficit psico-intellettivo, viene valutato nella misura del 20%. Il C.T.P. della Compagnia stima un danno di circa il 30 %!


26) M.C. 43 m strag. 9/92 e 10/94
 Giornalista professionista da oltre vent'anni, è dipendente del quotidiano X, con la qualifica di inviato speciale dal l0 gennaio 1988; tuttavia, non svolge di fatto attività lavorativa, in quanto non gli vengono affidati incarichi. Nel giugno 1989 si rivolge al Pretore del lavoro. Il procedimento si conclude con una transazione in cui l'editore dà atto del mancato utilizzo di M.C. spiegando che ciò è dipeso solo da esigenze del giornale e non da giudizio negativo sulla professionalità di M.C.
 Nonostante la conciliazione M.C. continua a rimanere inattivo, mente il giornale pubblica numerosi pezzi, firmati da inviati speciali che, in realtà, sono redattori ordinari o praticanti.
 M.C. agisce di nuovo in giudizio. L'editore viene condannato al risarcimento del danno per inadempimento. Nella sentenza il Pretore osserva che "un tale comportamento datoriale ha captato un danno al ricorrente come giornalista e scrittore in quanto il prestigio e le possibilità di miglioramento professionale sono legate al lavoro e alla pubblicazione dei pezzi sul giornale, in mancanza dei quali il giornalista è uno sconosciuto”. Nota poi il Pretore che tale situazione avrebbe "provocato nel ricorrente uno stato ansioso persistente con conseguente sindrome gastrointestinale e obesità documentate da consulenza tecnica di parte. Il Pretore conclude però che al comportamento dell'editore non sembra legato da un nesso diretto di causalità il danno alla salute affermato sulla base di una relazione di parte del tutto generica e inidonea a giustificare neppure istanza di C.T.U.”.
 M.C. si rivolge pertanto a un altro C.T.P. per ottenere più motivato parere, onde instaurare un’altra causa vertente
specificamente sul danno psichico. Dopo un primo contatto, ancorché assicurato che, pur con tutte le incertezze di una causa, ci sono fondamenti per sostenere la sua pretesa M.C. sparisce; si ripresenta circa due anni dopo, ma sparisce di nuovo.


27) R.C. 61 m CTU 11/92
 Il 12 dicembre 1987, al volante della sua auto, viene a collisione frontale con altra auto. In ospedale si riscontra “trauma chiuso del torace dx e dell'addome, frattura trochite omerale dx, frattura plateau tibiale dx, f l c. ginocchio sin". Viene dimesso il 2 febbraio; subito dopo si instaura reazione depressiva, con crisi di pianto, isolamento affettivo e sociale, senso di confusione mentale. Il quadro si aggrava e si cronicizza che, nel giugno 1991, R-C. tenta il suicidio con il gas di scarico della sua auto.
 In sede di C.T.U. si osserva che "la storia della sua sofferenza psichica gira tutto attorno alla sua ormai definitiva incapacità di svolgere alcuna attività produttiva, anche la più elementare” R.C., infatti così si esprime: "..ho dovuto chiudere il distributore di benzina, anche perché sbagliavo a dare il resto; ... tutto ciò che avevo creato per me e per la mia famiglia è finito in niente; ... non avevo ancora sessant'anni e avrei potuto continuare ancora per parecchi anni ... era un lavoro in proprio... mai un giorno d'assenza ... poche ferie ... solo il lavoro importava, ... è tutto finito ... sono finito ... non ho più speranze.” Si diagnostica un "Episodio Depressivo Maggiore, nel quale è possibile riscontrare un deficit dell'attività mnemonica, del pensiero e della concentrazione, con globale riduzione delle capacità intellettive che, nell'insieme, configurano un quadro di pseudodemenza”.
 I C.T.U. concludono che "le lesioni fratturative scheletriche con la loro evoluzione menomativa e il lungo periodo di inattività, abbiano assunto il ruolo di concausa sulla struttura di base della personalità del soggetto, conducendo a quel complesso danno psicofisico oggi acclarato”. Quanto alla valutazione del danno i postumi fisici vengono determinati “nella misura di circa un quarto della totale", i postumi psichici vengono determinati "nella misura del 25 %; di tale entità il Collegio ritiene di attribuire, in azione concausale, il 60 % circa alla preesistenza (causa endogena) del soggetto per la sua personalità di base e il 40 % (causa esogena) alle menomazioni conseguite alle lesioni riportate nell'incidente; calcolando proporzionalmente i debiti fattori (25:100 = x:40 = 10) ne discende che il danno psichico residuato all'attore, in conseguenza diretta dalle lesioni riportate, è valutabile nella misura del 10
%", si giunge a una valutazione globale del 34-35 %.
 Il C.T.P. dell'attore sostiene postumi pari al 100 % per quanto riguarda la capacità lavorativa e pari al 70 % in termini di danno biologico. I C.T.P. della compagnia escludono il nesso causale attribuendo all'incidente valore meramente occasionale.
 Si è poi appreso che il G.I. più orientato verso la tesi del C.T.P. dell'attore, stava per ammettere nuova C.T.U.. La causa si è però conclusa con una transazione proposta dalla Compagnia (risarcimento di quattrocento milioni).


28) E.M. 60 f strag 9/93
 Il 3 giugno 1993 viaggia, trasportata accanto al guidatore, su auto che viene a collisione frontale. In ospedale si riscontra solo f.l.c. del cuoio capelluto.
 Alla visita E.M. riferisce: "...ho visto la '164'che sbandava, invadeva la nostra corsia, ci veniva addosso ... attimo per attimo ... e non potevamo fare niente; ... mi vedo ancora tutta la scena, di notte ho gli incubi, mi sveglio di soprassalto;... ho paura a uscire da sola, devo sempre chiamare qualcuno per farmi accompagnare;... mi sento stringere qui, come una tenaglia, dove ho battuto la testa ... ho sempre un gran malessere".
 Il C.T.P. propone la diagnosi di Disturbo Post-Traumatico da Stress (D.S.M. III-R), che postula un 'evento al di fuori
dell'esperienza umana consueta", tale da provocare "significativi sintomi di malessere in quasi tutti gli individui”. In effetti, E.M. “ha visto, come in un film al rallentatore, attimo per attimo, con angosciosa sensazione di impotenza, l'auto che le piombava addosso; stimolo, questo, del tutto idoneo a cagionare, come minimo, turbamento e ansia, anche duraturi; nessuna meraviglia che in qualche soggetto la reazione si protragga o, addirittura, si strutturi in senso nevrotico”. Si ipotizza che i postumi, globalmente considerati, non saranno inferiori al 15-18%".
Si concorda poi con il C.T.P. della Compagnia una quantificazione del 9 %.


29) M.V. 50 m strag 2/94
 Il 4 maggio 1993 è alla guida della sua auto, che, violentemente urtata da un'altra auto, viene sbalzata sul marciapiede, uccidendo sul colpo una passante.
 Nelle settimane seguenti, ai soliti disturbi soggettivi (cefalea, vertigini), si sovrappongono marcata tensione ansiosa e depressione.
 Uno specialista psichiatra, in data 1. aprile 1984, certifica "stato eretistico con ricorrenza di fasi depressive reattive al fatto luttuoso accaduto nell'incidente stradale; ... turbe dell'attenzione e dell'umore, con disturbi dell'attività lavorativa" Una terapia ansiolitica non sortisce apprezzabili risultati, giacché, il 10 giugno un altro psichiatra descrive "stato eretistico, insonnia con somatizzazioni e depressione psichica reattiva a senso di colpa per l'episodio luttuoso derivato dall'incidente”.
 Si propone periodo di I.T.T. di 30 giorni, I.T.P. di 60 giorni al 50% e di altri 60 giorni al 50%; postumi nella misura del 6-7%.


30) ML.M. 56 f CTU 3/94
 Nell'ottobre 1988 viene "sottoposta a isterectomia subtotale, in seguito alla quale, per non corretta condotta del chirurgo riporta menomazione anatomo-funzionale della vescica. Una C.T.U. riconosce la colpa professionale e quantifica una "abduzione dell'efficienza psicofisica nella misura del 10%.
 ML.M presenta però anche cospicua sintomatologia psicopatologica, che asserisce essere effetto del turbamento seguito alla menomazione; viene perciò disposto supplemento di C.T.U., in cui il medico-legale viene affiancato da specialista psichiatra.
 M.L.M. dice: “soffro di un bruciore intenso su tutto l'addome, ho la sensazione che l'utero mi esca dalla vagina, il clitoride si è rimpicciolito, diventando un puntolino quasi invisibile; ... non sopporto la penetrazione perché è diventata dolorosa ... si ride, si piange ... ci si offende ... la vita è cambiata ... non si può dormire con un uomo senza toccarsi ... avevamo raggiunto un buon rapporto sessuale ... tutto il resto, la vita diventa inutile.”
 All'anamnesi non emergono precedenti psichiatrici; l'esame psicodiagnostico evidenzia "una struttura di base della personalità della perizianda (Disturbo Istrionico della Personalità) e scarsa resistenza allo stress e insufficiente capacità di adattamento", che concorrono a determinare una reazione psichica violenta e sproporzionata, che non trova giustificazione eziopatogenetica solo nelle menomazioni. Queste -richiedendo, fra l'altro, un secondo intervento - hanno “assunto il significato di un Evento Psicosociale Stressante in un soggetto con una ridotta capacità di resistenza allo stress. Si precisa inoltre che la struttura personologica di ML.M. “aveva trovato una buona compensazione, specie nel rapporto affettivo-coniugale e, fatte salve le evenienze possibili, avrebbe potuto non raggiungere l'espressione palese della fenomenologia psicopatologica a parte in casi di particolare incidenza emotiva”. Si riquantifica infine un "danno biologico del 15-16%.”


31) coniugi C. e A.C. 49 e 50 strag. 4/94
 I coniugi C. abitano in una casa prospiciente una tipografia, dove si lavora ventiquattr'ore su ventiquattro, facendo uso di un muletto con motore diesel per il trasporto di balle di carta.
 Così spiega la signora C.: "..sono sposata da più di ventitré anni ... non ho mai chiamato un dottore; ... da quasi due anni è un via vai continuo ... non la smettono mai con quel muletto; ... ho cominciato a sentirmi nervosa ... tesa ... non dormo più; ... così sono andata dal dottore ... che mi ha dato qualche pastiglietta per dormire ... ma non dormo lo stesso; ... quando è troppo, è troppo; quel giorno ero più nervosa del solito ... ho preso le pastiglie tutte insieme ... sono finita in ospedale ... poi mi hanno mandato al C.P.S., ma lì mi hanno chiesto: “chi L'ha mandata? ... Lei non è matta ... è solo stressata", fornisce documentazione relativa al brevissimo ricovero, dal 3 al 6 marzo 1993, con diagnosi di 'T.S. da farmaci” e con l'annotazione che "ha sempre goduto di buona salute ... da un anno situazione stressante ”.
 Il signor C. spiega: "..sono lattoniere edile; ... di notte pure io non riesco a dormire ... di giorno ho la testa per aria ... ho avuto tre incidenti in poco tempo ... due volte mi sono tagliato ... una volta sono caduto da un ponteggio ... non riesco più a fare un lavoro esatto”.
 Si rileva che il quadro psicopatologico - consistente in marcata irritabilità, tensione ansiosa, labilità dell’umore, irregolarità del ritmo sonno veglia - più marcato nella moglie, "ben può considerarsi 'malattia' ... nel più lato e generale senso di alterazione del normale equilibrio psicofisico, a carattere evolutivo, con possibilità di miglioramento e di guarigione, ovvero di persistenza e di cronicizzazione", non sono fornite ipotesi valutative.


32) M.L. 43 m strag. 5/94
 Il 20 dicembre 1992 incidente stradale, con ricovero in stato di coma; dimissione dopo circa due mesi con diagnosi di "sindrome neuropsicodeficitaria da trauma cranioencefalico (paraparesi atassica).
 M.L. spiega: "..non ho mai ripreso a lavorare ... mi gira la testa ... il braccio mi fa male ...mi piacerebbe riprendere, ma non posso guidare ... faccio qualche giretto vicino a casa...più di questo non posso; talvolta, ho paura perfino delle persone ... specialmente se hanno la faccia un po'strana”.
 Il C.T.P. di M.L. propone una quantificazione del danno pari al 50%, "da riferire ovviamente alla capacità lavorativa”.
 Il C.T.P. della Compagnia rileva che M.L. “ tutto preso dal suo ruolo di povero invalido che recita con pervicacia, con coerenza senza smagliature o discontinuità, non si tratta però di pretestazione, bensì di “genuina espressione della convinzione del signor L. di aver sofferto, nell'incidente, gravi e irreparabili danni, ormai irrimediabilmente limitativi delle sue capacità", si tratta di “un vero e proprio disturbo psichico, di tipo nevrotico, con chiare valenze ipocondriache e inibizioni fobiche, quantificazione "intorno al 14-I5%, in termini di danno biologico”.


33) A.D'A. 40 m strag. 5/94
 Il 2 luglio 1993, alla guida delle sua auto, viene a collisione con altra auto. In pronto soccorso si risconta "contusione frontale, con perdita di conoscenza, vertigini ",- nei giorni seguenti si sottopone a visite neurochirurgiche di controllo, che certificano", stato ansiosodepressivo aggravato dall'incidente, con tendenza a sviluppo di episodi di panico, soprattutto in ambienti affollati”.
 A.D'A spiega: “sentivo girare tutto attorno non potevo andare in posti affollati... quando ero in pubblico pensavo che tutti parlassero di me che mi guardassero, m sentivo in colpa per tutto; ho sempre forte mal di testa, vertigini, mi sento depresso... teso ... non dormo ...non voglio vedere gente; ... un giorno, sul lavoro, c'era una riunione di capi ... ho pensato che parlassero male di me ... credevo volessero mandarmi via ... sono entrato ... urlando e minacciando, - in proposito A.D'A. mostra lettera di contestazione d’addebito.
 Si riscontra "spinalgia pressoria agli ultimi metametri cervicali e modica limitazione antalgica dei movimenti del capo; marcata deflessione del tono dell'umore, inclinazione al pianto, stato ansioso.” Si conclude per la sussistenza di “usuali postumi da trauma cranio-cervicale, di per sé valutabili nella misura del 2-3%, in termini di danno biologico”. Inoltre "lo scompenso psichico sofferto da M.D’A., ancorché abnormemente prolungato e concausato da una sua particolare personalità di base, va, di certo, concausalmente correlato anche all'incidente, che, con ogni probabilità, ha ulteriormente indebolito un già fragile equilibrio,- si valuta perciò un danno globale del 7-8%.


34) S.B. 17 f CTU 6194
 Il 14 aprile 1991, investita sulle strisce pedonali, riporta contusione al ginocchio sinistro. Lamenta poi per lungo tempo anche insonnia, ansietà, calo del rendimento scolastico.
 Il C.T.U. riconosce per questo un lungo periodo di invalidità temporanea, così motivando.
Il C.T.P. di parte attrice propone un periodo di 30 giorno . Il C.T.P. di parte convenuta un periodo di 6 giorni.
 Entrambe le proposte sono largamente inferiori a quanto, in effetti, dev'essere riconosciuto.
Nella certificazione ortopedica dell'11 aprile 1991 si parla di “soggettività molto ricca” e di opportunità di “completamento indagini con visita neurologica” - Il 12 aprile il neurologo parla di “sindrome soggettiva post-traumatica” Il 19 aprile si attesta, infine, permanenza di “postumi psicologici”.
 Il dott. V, specialista neurologo, fiduciario della Compagnia, conclude che non c'è nessun problema neurologico, se si fa eccezione dello shock emotivo dei primi tempi”. Orbene, premesso che, certamente, postumi neurologici di carattere permanente non esistono, va, tuttavia, considerato con attenzione lo “shock emotivo dei primi tempi”.
La signorina Bonfanti ha riferito, in sede di visita, con accentuata tonalità emotiva e con vividezza di particolari, la tensione ansiosa, le alterazioni del sonno e i nuclei fobici cagionati dal trauma.
 La documentazione scolastica - che, ancorché non medica, si è sopra citata, proprio per il suo valore orientativo in tal senso - testimonia un calo di rendimento, resosi evidente dopo il trauma medesimo.
 Certamente, il substrato personologico della signorina Bonfanti, che, ancor oggi, dimostra tendenza all'iperemotività, ha giocato un ruolo importante nella genesi dello stato di disagio psichico manifestato dopo l'incidente.
 Transitori stati di ansietà come quelli testé descritti sono di frequente riscontro dopo incidenti, massime dopo quelli in cui - com'è accaduto alla signorina Bonfanti l'infortunato vede, nei secondi prima dell'impatto, ciò che sta per accadergli.
 Stati, di solito, del tutto transitori, ma che, in soggetti particolarmente emotivi, possono anche abnormemente protrarsi per settimane o mesi.
 Occorre qui precisare che tale disagio psichico ha assunto il carattere di vera e propria malattia in senso medico-legale, ossia di processo morboso, di sequenza di fenomeni che realizza quel complesso di azioni e reazioni che costituiscono l'organismo in uno stato anormale, essenzialmente caratterizzato da perturbazioni funzionali, associate, oppure no, a modificazioni anatomiche e a sofferenze subiettive' (Cazzaniga e Cattabeni, Compendio di medicina legale, UTET, 1976, pag. 343).
 Non giova, a tale proposto, la semplicistica, vieta e desueta obiezione che, essendo il prolungato stato di disagio dovuto alla personalità, non può, per ciò stesso, essere imputato all'incidente.
 L'accertamento del nesso causale è, nel nostro ordinamento, improntato alla concezione condizionalistica, secondo cui ogni antecedente necessario al verificarsi dell'evento è causa dell'evento stesso.
 Talché, il disagio psichico sofferto dalla signorina Bonfanti, ancorché abnormemente prolungato e concausato da una sua particolare iperemotività di base, va, di certo, concausalmente correlato anche all'incidente.
 Ne discende, di necessità, che va riconosciuto un adeguato periodo di malattia, valutabile nella misura di 6 mesi”.


35) GF.C. 45 m strag 7/94
 Venuto nel 1971 dalla Sardegna, lavora dapprima come operaio, frequentando, nel contempo, corsi serali di perito; lavora poi in un ufficio tecnico, perfezionandosi nel disegno e diventando progettista. Negli anni Ottanta, si dedica all'informatica e acquisisce professionalità specifica, anche come esperto di sistemi. Nel 1990 è nominato responsabile del servizio informatica della ditta e, fino all'estate 1993, lavora con interesse e soddisfazione arrivando anche ad andare, talvolta, al sabato, del tutto gratis.
 Nel 1993 arriva un nuovo direttore generale. G.F.C. viene rimosso dal suo incarico e, al rientro dalle ferie, trova il suo ufficio sottosopra, con tutti i mobili nel corridoio. Viene piazzato in una stanza comune con altri disegnatori e incaricato di fare disegnini che potrebbe fare un tecnico al terzo o quarto livello, non al sesto" Viene infine collocato in un nuovo Ufficio, privo di adeguata ventilazione e con la luce che incide male sul video.
 Soggettivamente così si esprime: “.. non ricordo le notti passate in bianco ... mi addormentavo tardissimo ... mi svegliavo alle quattro ..pensieri pensieri mi si affollavano in mente ... pensavo alle cose che avrei voluto dire ... ma non potevo ... dovevo stare zitto ... se no passavo dalla parte del torto; ... avrei voluto urlare... ero sotto pressione ... per un certo periodo avevo paura di avere qualcosa al cuore;... anche in famiglia risentivano del mio stato;... sono preoccupato ... perché l'informatica fa passi da gigante ... se non mi dedico attivamente ... non riesco più a stare al passo”.
 Il malessere psichico di GF.C. viene inquadrato come Disturbo dell’adattamento (D.&M III-R)", ossia reazione di
disadattamento a un preciso fattore di stress psicosociale, qui identificato con le avversità lavorative; qui si propende, in particolare, per un "Disturbo dell’adattamento con Ansa, giacché la manifestazione prevalente comprende sintomi come irrititabilità, preoccupazioni, nervosismo, il tutto come danno biologico pari al 7-8%.


36) G.M. 42 m strag 9/94
 G.M. ha lavorato per trentun anni, ininterrottamente, nella stessa ditta. Circa dieci anni fa, però, a un certo X vengono affidate mansioni di responsabilità. Tutto preso dalla sua funzione di 'capo', X si mette a trattare tutti dall'alto in basso. Ancor peggio tratta G.M., spiegandogli che non può in alcun modo far differenze con gli amici. Anzi, con G.M. deve dimostrarsi più severo, per dare il buon esempio. Cominciano così vere e proprie vessazioni. Quando, per esempio, G.M. rientra dalla mensa X è lì sulla porta, a mostrargli ostentatamente l'orologio e a chiedergli se gli manca molto a finire questo o quel lavoro. Alcuni colleghi temendo che la loro amicizia con G.M. possa urtare X, evitano di farsi vedere con lui; viene, infine, adibito a un lavoro noioso e ripetitivo, che consiste nell'attaccare, per tutto il giorno, piccole viti a delle piastrine. G.M. si deprime e, in poco tempo, arriva a pesare non più che una cinquantina di chili. In proposito c'è esauriente documentazione medica, Era il 1989 e il 1994, che parla di significativi
disturbi ansiosi con somatizzazioni. Nel dicembre 1993 viene licenziato per superamento del periodo di comporto.
 Soggettivamente G.M. così si esprime: “la situazione durava da troppi anni, già mi era capitato di non mangiare e di dimagrire ... sia per i disturbi allo stomaco ... sia per la depressione; ... ero arrivato a cinquanta chili ... vestito;... in febbraio non ho mangiato per quasi una settimana ... non mi andava giù più niente; ... avevo anche male al cuore ... ho fatto un mucchio di elettrocardiogrammi ... per fortuna non c'era niente ... era solo nervoso; ... ho anche paura ad andare in macchina da solo ... anzi, anche solo semplicemente a prendere il metrò ... per questo devo sempre farmi accompagnare”.
 Si pone diagnosi di "Disturbo d’Ansia Generalizzata con sovrapposte fobie e somatizzazioni' (di cui parla la documentazione), concausato dalle avversità lavorative in interazione con un preesistente 'Disturbo Narcisistico di Personalità rilevato all'indagine psicodiagnostica; il quadro viene quantificato nella misura del 15%, in termini di danno biologico.


37) M.DP. 33 f strag 2/95
 M.DP. conosce il futuro marito nel maggio 1990. La relazione si rivela fin dai primi tempi burrascosa, per la pesante
interferenza dei genitori di lui, soprattutto della madre. Nel 1991 stabiliscono di andare a vivere insieme nel monolocale che M.DP. ha appena acquistato. Sorgono dissapori su questioni economiche e il convivente continua a far rimostranze. Per di più, introverso e poco incline a parlare, ogni tanto, esce con sortite a dir poco offensive. Nel 1993 M.DP. si trova incinta. In un momento di rabbia lui sbotta, dicendo che un figlio da lei non l'avrebbe mai voluto.
In altro frangente il convivente le rinfaccia di essere per lui una palla al piede, perché, con la famiglia, non può più spendere come vuole; poco dopo M DP. perde il figlio. A fine 1993, nonostante tutto, si sposano. Nel maggio 1994 il marito se ne va di casa con un’altra donna, dalla quale aspetta un figlio.
M.DP. manifesta una "reazione ansiosa con disturbi da colon irritabile ",- spiega che "...i retroscena avevano già pesato molto ... a livello emotivo; ... ero nervosa ... non dormivo ... avevo perso quattro chili ... già non sono un gran peso” Le terapie non hanno apprezzabili effetti. Dal giugno 1994 è in psicoterapia da una psicologa. Come se non bastasse, il marito e la sua attuale convivente lavorano nella stessa ditta, talché le accade di incontrarli, con riacutizzazione del trauma. Si diagnostica un “Disturbo d'Ansia Generalizzata con sovrapposte somatizzazioni, posto in relazione con le scorrettezze subite dal marito, e quantificato nella misura dell'8-10%.


38) C.M. 62 strag 3/95
 Sposata con X nel 1957, fin dai primi anni di matrimonio si rivela personaggio egocentrico, con alto concetto di sé, sprezzante e violento con chiunque, parenti, amici, o estranei, osi contrastarlo, ma soprattutto, ovviamente, con la moglie e i figli che gli sono più “a tiro”. I suoi maltrattamenti travalicano il semplice sopruso di chi vuoi far prevalere ad ogni costo il suo volere, anzi, assumono, addirittura, una franca coloritura sadica, giacché traspare, nei reiterati comportamenti vessatori, l'intenzione di arrecare male alle "vittime". Incline alle facili avventure extraconiugali, X, anziché nascondere le sue relazioni, se ne vanta e le ostenta a moglie e figli; una volta arriva a dire alla moglie : “ ... mi fai schifo ... posso anche non venire a letto con te ...tanto mi arrangio da solo ... ho altre donne”. X - tratto evidente di personalità narcisistica - non manca mai di rimarcare che è lui il migliore di tutti, mentre gli altri, familiari in prima fila, al suo confronto non valgono nulla. A tutto questo si aggiungono violenze fisiche che, sovente, lasciano il segno.
 Una quindicina d’anni fa X se ne va di casa, ma vi torna dopo due anni, riaccolto dalla moglie, che, in adesione ai valori tradizionali, lo ritiene suo dovere e soprattutto vantaggio per i figli. Nel 1989 C.M. tenta il suicidio e, dopo il ricovero, si mette in cura presso il C.P.S. Le certificazioni parlano di “forte tensione ansiosa legata a vicende conflittuali con il marito”, nonché dì “depressione ansiosa dovuta esclusivamente all'ambiente familiare”.
 Si ritiene che il quadro psicopatologico sia ormai inemendabile, nonostante le terapie e lo si valuta, quale danno biologico, nella misura del 25 %.


39) PJ. 38 f strag 3/95
 Il 14 ottobre 1994 la madre di P.J. muore in un incidente stradale. P.J., giornalista televisiva, narra della notizia, arrivata proprio mentre aveva finito un importante servizio e della corsa nella notte -”...una cosa kafkiana” - da un ospedale all'altro alla ricerca della madre e del padre. Il padre, dimesso poi dall'ospedale in condizioni di non completa autonomia, pretenzioso ed esigente, si “infila” - come lei dice - nella sua vita, esigendo le stesse cure-e e gli stessi servizi che prima era la moglie, donna volitiva ed energica, a prestargli. P.J non riesce più a dedicare tempo alla sua famiglia e al suo lavoro di giornalista.
 Soggettivamente così si esprime :“vorrei rimettermi in sesto ... ma il mio equilibrio interiore è andato a farsi benedire; ... mi succedono cose strane ... da momenti di esaltazione frenetica ...a momenti di depressione totale; ...per esempio, basta una telefonata di soddisfazione con l'estero ... e mi sento su ... poi cado di nuovo; ... dormirei sei mesi in attesa che le cose si risolvano da sole; .. di solito sono volitiva ed espansiva ...mi sembra una reazione esasperata ...mi osservo dall'esterno ... e mi sembro un po' andata”.
 Si conclude che il quadro psicopatologico è caratterizzato, “essenzialmente, da ansia e da depressione“. Per quanto riguarda gli sporadici periodi di euforia “non sorprendono, in quanto il tono dell'umore è assai fragile e labile; perciò, anche in quadri depressivi possono verificarsi momenti di polarità opposta” La reazione da lutto è, inoltre, complicata dall'impegnativa assistenza al padre, che pone P.J. di fronte a un bivio: o colpevolizzarsi di trascurare il padre, o colpevolizzarsi di trascurare marito e lavoro; ciò che comporta ulteriore ansietà.
 Essendo ancora in fase precoce, si può solo dire che potrebbero, in futuro, permanere sequele psicopatologiche, qualora il processo di elaborazione del lutto non potesse fisiologicamente compiersi.


40) fratelli A. e G. P. 26 e 22 m CTU 1/95
 Nell'ottobre 1989 i genitori muoiono in un incidente stradale.
 Ci limitiamo a riportare le conclusioni della lunghissima e articolata CTU, secondo cui:
"la morte dei genitori ha cagionato in A. e in G., privandoli della loro concreta guida, un disturbo consistente per A.. nell'incapacità e per G. nella difficoltà, di agire come adulti autonomi e responsabili”. - L'indagine appura che, già in precedenza, c'erano notevoli tratti di dipendenza e, in particolare, che A- aveva sofferto di episodi depressivi. Perciò "la morte dei genitori ha giocato un ruolo concausale, interagendo con il preesistente stato psichico; va respinta l'ipotesi che si sia trattato di mera occasione e che lo stato anteriore sia stato, di per sé solo, determinante” Con ragionamento cosiddetto ‘controfattuale’ il CTU suppone che “la guida dei genitori, facendo da cuscinetto protettivo tra i figli e le vicissitudini della vita, avrebbe consentito loro di mantenere un più efficace compenso. Nella migliore delle ipotesi, può essere che il rapporto di dipendenza si sarebbe allentato o risolto. Alla peggio, i P. avrebbero goduto del loro labile equilibrio - che, non si dimentichi, era pur sempre la loro 'integrità' - per altri venticinque o trent'anni, quanta era, statisticamente, la spettanza di vita dei genitori all'epoca della morte“.
 A proposito della quantificazione del danno così avverte il C.T.U.: “Ad avviso del sottoscritto, dunque, il Consulente tecnico non deve sforzarsi di inventare ad ogni costo cervellotiche percentuali solo perché il quesito lo chiede. Anzi, al contrario, ha il dovere di avvertire il giudice delle difficoltà - 'tecniche' appunto - insite in tal senso nel danno psichico. E se propone valutazioni indicative deve spiegarne significato e limiti.
 Il C.T.P. dott. X propone di quantificare il danno psichico nella misura del 20% con riguardo ad A. e del 10% per G.
 Sulla scorta della breve premessa di poc’anzi, dovremmo chiederci perché, ad esempio, non il 18 o il 22 per A. e perché non il 9 o il 12 per G.. Dovremmo chiederci, inoltre, se si è tenuto conto della 'preesistenza' e quanto, questa, è stata di per sé valutata. Ma non è questo il punto.
 In realtà la quantificazione proposta del C. T. P. può essere ritenuta accettabile se serve ad esprimere, in sintesi, con due semplici cifre, le essenziali caratteristiche del danno psichico dei fratelli P..
 Innanzitutto è danno - ancorché non gravissimo - di un certo rilievo, che non rientra nelle cosiddette “micro percentuali” - sotto il 10% - sovente concesse - vedi i classici casi di colpo di frusta o di sindrome post-traumatica soggettiva - come una sorta di “tassa” dovuta tanto per chiudere il caso.
 Il danno è più rilevante nel caso di A., che è rimasto significativamente paralizzato nella sua vita lavorativa e di relazione.
 Meno danneggiato è G., che, sia pure con sforzo, riesce, almeno finora, a portare avanti gli studi. Si notano, per altro, anche in lui, pesanti difficoltà nella vita di relazione.


41) coniugi M. C c. S. CTU 1195
 Nel giugno 1990 la figlia maggiore L. muore, investita da una moto.
 Anche qui ci limitiamo alle conclusioni della CTU, secondo cui: “la morte di L. ha cagionato, nei genitori e nella sorella minore, una reazione da lutto - agl’inizi senz’altro fisiologica'- che poi si è stabilizzata e tuttora permane, essendosi determinato un arresto - senz'altro patologico - dell'elaborazione del lutto", consistente “in una marcata coartazione della vita di relazione", con isolamento nel culto agiografico di L. e riduzione drastica dei contatti sociali. Anche qui si accertano tratti preesistenti e si conclude per un ruolo concausale della morte, respingendo, parimenti, l'ipotesi della mera “occasione”.


42) G.C. .56 m strag 2/95
 C. svolge per decenni la professione di procuratore alle grida. Nel 1992 dopo un breve periodo di inattività, entra a far parte dello studio di un importante agente di cambio e chiede alla Camera di Commercio la tessera di ingresso in Borsa. C. attende invano e, dopo varie richieste seguite da risposte evasive, gli si risponde che ogni decisione in merito sarà subordinata alla conclusione di un procedimento relativo all'insolvenza di un agente 'fuori piazza', giacché C., con tale insolvenza, avrebbe in qualche modo a che fare. C. comincia a preoccuparsi e, sempre invano, scrive alla Camera protestando la sua estraneità ai fatti. Poiché non gli arriva risposta, C. perde via via la sua fiducia, diviene ansioso, comincia a dubitare perfino di avere commesso, senza saperlo, qualche fallo. Inoltre, il nuovo impiego è ormai irrimediabilmente sfumato, né, d’altra parte, può cercarne altri, visto che la tessera non gli viene rilasciata. Dopo mesi gli arriva, finalmente, il definitivo diniego. C, già teso e angosciato, si deprime e piomba nell'inerzia. Solo grazie alle esortazioni dei familiari agisce in giudizio. Alla fine risulta completamente estraneo ai fatti ingiustamente addebitatigli e la tessera gli viene rilasciata. C., tuttavia, non si riprende.
 Agisce perciò nuovamente in giudizio per chiedere il risarcimento di tutti i danni, nonché del danno psichico.
 Il CTP nota che: “ C. ha sempre goduto di buona salute fino al 1992, allorché ha iniziato a manifestare una sindrome
ansioso-depressiva, che è andata facendosi via via più marcata, con profondo calo del tono dell'umore, perdita di interessi e di iniziative, senso di inutilità e manifestazioni di nevrosi fobica (soprattutto agorafobia), con severa limitazione della vita di relazione. C. è addirittura costretto a rivolgersi a uno psichiatra, che diagnostica “stato depressivo ansioso con fobia sociale reattiva a stress lavorativo” e gli prescrive ansiolitici e antidepressivi, con scarsi risultati. Il CTP, rilevato che "il disturbo fobico permane anche dopo la scomparsa del fattore stressante", conclude che "costituisce, pertanto, un postumo, quantificabile intorno al 15%, in termini di danno biologico”.


43) L.R. 22 f CTU 4/95
 Il 28 ottobre 1992 viaggia, trasportata, su auto che viene a collisione con altra auto. Condotta in ospedale, viene dimessa, dopo circa un mese, con diagnosi di trauma craniocerebrale con stato di coma (grado 8 della scala Glasgow); lesioni focali in sede del mesencefalo e del corpo calloso; ampia ferita lacero-contusa, con perdita di sostanza tegumentaria, in regione frontale, e con esposizione del piano osseo. Il 20 ottobre 1992 e il 21 settembre 1993 vengono praticati esami neuropsicologici, sostanzialmente sovrapponibili: "discreto orientamento spazio-temporale; deficit mnesico soprattutto per quanto riguarda la Rievocazione verbale a lungo termine e la memoria a lungo termine visuo-spaziale (figura di Ray); deficitarie le prove riguardanti la funzionalità attentiva e di calcolo; buona la comprensione di ordini verbali semplici e la denominazione; deficitaria la comprensione di ordini complessi (Token test); deficit a carico della capacità di rievocazione secondo un criterio fonologico e categoriale semantico e una scarsa capacità di messa in atto di processi logici non verbali (matrci di Raven) Il C.T.P. dell'attrice valuta “permanente riduzione della capacità lavorativa di impiegata ragioniera pari al 25%, permanente riduzione dell'integrità psicofisica (danno biologico) pari al 30% (la valutazione comprende il danno estetico, consistente in cicatrice al sopracciglio sin, e un danno neurologico consistente in paresi del IV n. cranico dx).
 Al colloquio, in sede di C.T.U. si nota un certo distacco emotivo, e qualche puerilità, contrastanti con il livello di prima (diplomata ragioniera, svolgeva attività anche di fotomodella). Si dispone rinnovazione dell'esame neuropsicologico, essenziale per la quantificazione del danno. La C.T.U. è tuttora in corso.


*Psichiatra, Milano
[1]Dei quarantatre casi, trentasei sono di osservazione personale, sette sono stati cortesemente “prestati” dai colleghi Prof. Brondolo e Prof. Marigliano
[2]Numero progressivo, iniziali, età, sesso, osservazione in sede di concausa (C.T.U.) o in sede stragiudiziale, data di osservazione


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