Il risarcimento dei danni morali subiettivi 
subiti dai congiunti del macroleso


Avv. Michele Liguori*

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1. Premessa.
 In dottrina e in giurisprudenza si parla di danni c.detti riflessi[1], con riferimento ai danni, conseguenti al fatto illecito altrui, subiti da persona diversa dalla vittima iniziale, ma in significativo rapporto con essa.
 La risarcibilità, o meno, di tali danni, è problema che, anche per gli enormi interessi economici in gioco, in questi ultimi anni ha interessato, e non poco, studiosi, giuristi ed assicuratori.
 In relazione a tali danni, la S.C., già da vari anni, ha affermato l’importante principio secondo cui si può ri­te­nere "ormai ac­qui­sita la risarcibilità delle le­sioni dei co­sid­detti diritti riflessi, di cui siano por­ta­tori
sog­getti diversi dalla vit­tima iniziale del fatto in­giu­sto altrui"[2].
 E’ singolare notare come il riconoscimento di tale diritto sog­get­tivo dei congiunti della vittima, diritto già in precedenza riconosciuto, per esempio, al coniuge del macroleso per non poter avere rapporti sessuali con la moglie[3] è dato per scontato, dalla S.C., con un avverbio di tempo ("ormai") come se Essa avesse da tempo recepito le istanze di una parte della dottrina e di una parte minoritaria della giurisprudenza di merito, ma non avesse avuto ancora l'occasione di esprimere compiutamente il suo pensiero in proposito, dovendo de­ci­dere in base al devolutum.
 Tali principi, poi, più di recente, hanno trovato definitiva consacrazione in una nota senten­za della Corte Costituzionale[4], che, mentre da un lato ha escluso la trasmissibilità iure hereditatis del danno biologico per violazione del diritto alla vita nel caso di morte istantanea del soggetto leso, dall'altro ha ritenuto risarcibile il danno biologico subito dagli eredi iure proprio, per la morte del congiunto, rigettando la questione di incostituzionalità sia dell'art. 2043 c.c. che dell'art. 2059 c.c., posta dal Tri­bu­nale di Firenze[5], non ex art. 2043 c.c., ma ex art. 2059 c.c., come danno mo­rale subiettivo, seppur tale ricostruzione dogmatica di far ricadere il danno biologico e psichico sotto l'egidia dell'art. 2059 c.c., e quindi nell'alveo del danno non patrimoniale, è sicuramente censurabile così come ha avuto modo di precisare la dottrina, quasi all'unanimità[6].
 Ma i giudici di merito sono i veri artefici di questo rinnovamento od ampliamento dell’area dei danni risarcibili[7].


2. I danni morali subiettivi. Tesi tradizionale e restrittiva.
 La problematica dei danni c. ­detti riflessi, di cui siano por­ta­tori sog­getti diversi dalla vit­tima iniziale del fatto ingiusto altrui, si è sviluppata, però, prevalentemente, in relazione ai danni patrimoniali e biologici.
 In relazione a tali danni, come già in precedenza esposto, la S.C., in questi ultimi anni, ne ha riconosciuto la risarcibilità.
 Ciò nonostante, sia la prevalente dottrina[8] e sia la S.C., hanno costantemente e ripetutamente ritenuto non
risarcibili i danni morali subiettivi subiti dai congiunti della vit­tima iniziale, che abbia subito lesioni personali,
ancorché gravi[9].
 Tre, sostanzialmente, sono le argomentazioni addotte dalla dottrina e dalla S.C., a sostegno della tesi
tradizionale che nega tale risarcibilità. 
 1. La prima, è fondata sulla mancanza di nesso causale, ai sensi dell’art. 1223 c.c.; si sostiene, infatti, che il principio della risarcibilità del solo danno diretto ed immediato stabilito dall'art. 1223 c.c., importa che il risarcimento del danno morale subiettivo spetta soltanto a chi ha direttamente ed immediatamente subito la sofferenza, cioè al soggetto leso e non anche ai prossimi congiunti, in quanto costoro, soffrendo le sofferenze del proprio familiare, non sono colpiti in modo diretto ed immediato dalla condotta lesiva del terzo.
 2. La seconda, è fondata sull’eccessivo ampliamento delle richieste di risarcimento del danno; si sostiene, infatti, ma con un ragionamento più attento alle ragioni di opportunità che a quelle di ermeneutica, che un’eventuale risarcibilità di tale danno anche a favore dei prossimi congiunti del soggetto leso condurrebbe al risultato che il responsabile sarebbe tenuto ad una sola liquidazione nel caso di omicidio (a favore dei prossimi congiunti della vittima) ed a duplice liquidazione nel caso di lesioni (a favore del leso e dei prossimi congiunti.
 3. La terza ed ultima, è fondata sull’inesistenza di un’eventuale disparità di trattamento per i prossimi congiunti, nel senso che costoro otterrebbero la pecunia doloris soltanto in caso di omicidio e non anche nel caso di lesione di un loro familiare; si sostiene, infatti, che nell'ipotesi dell'omicidio, essendo venuta meno la persona colpita, i familiari sono i soggetti “che in primis” subiscono la sofferenza, mentre altrettanto non può dirsi nel caso di lesioni, dove vi è già un soggetto, appunto quello leso, il quale, subendo la sofferenza in modo diretto e immediato, beneficia del risarcimento del danno in esame.


3. I danni morali subiettivi. Tesi attuale ed evolutiva.
 In tempi recentissimi la S.C., dopo un’attenta analisi del problema e rimeditando l’intera questione, ha ritenuto di non poter più condividere il suo precedente uniforme e costante indirizzo tradizionale contrario, ed ha sancito la risarcibilità dei danni morali subiettivi subiti dai congiunti della vit­tima iniziale, che abbia subito lesioni personali[10]
 Con tale decisione la S.C. si è allineata sia all'unico precedente positivo della Cassazione Pe­nale[11], che, però, non aveva avuto alcun seguito da parte dei giudici di legittimità, e sia all’orientamento di una parte, fino a questo punto minoritaria, dei giudici di merito che, con riferimento all'atto illecito che, pur senza provocare la morte del soggetto passivo, abbia comunque cagionato lesioni di considerevole entità, hanno riconosciuto in favore dei con­giunti del macroleso il diritto al ristoro del danno morale subiettivo[12].
 Questo nuovo precedente della S.C.[13], tanto atteso ed anche auspicato da parte di quella dottrina, inizialmente minoritaria, ma poi via via sempre più numerosa[14], è destinato a segnare una svolta ed apre senz’altro nuovi orizzonti nella complessa e travagliata materia del risarcimento del danno a persona e pone l’Italia in una posizione di avanguardia rispetto agli altri Stati dell’Unione Europea, che, a tutt’oggi, non prevedono una tale tutela.


4. La motivazione della sentenza della S.C. (Cass. 23/4/98 n. 4186)
 Una delle novità non trascurabili di tale decisione, che va sicuramente rimarcata, è quella di aver affermato che “risulterebbe estremamente arduo, oltre che iniquo, negare consistenza teorica ad un fatto che nella realtà è unanimemente riconosciuto esistente”[15]
 Tale motivazione dimostra, la sensibilità dei giudicanti della Corte di legittimità, alle esigenze mutevoli della realtà sociale e a quel diritto vivente, inteso come interpretazione giurisprudenziale prevalente e consolidata. 
 Sensibilità dimostrata, poi, ancor più di recente, in altra decisione della stessa sezione della S.C., anch’essa salutata dagli operatori come leading case, ma in diversa materia (applicazione delle presunzioni di responsabilità di cui all’art. 2054 c.c. anche al soggetto trasportato su veicolo a motore), ove ha affermato che, alle norme del nostro ordinamento, deve darsi un’interpretazione evolutiva “che tenga conto delle finalità di adeguamento dell’ordinamento alle esigenze mutevoli della realtà sociale e delle esigenze sistematiche di applicazione armonica del diritto”[16]
 Il pregio maggiore, di tale decisione[17], è, comunque, quello di aver rimeditato compiutamente l’intera questione sottoponendo ad attento vaglio critico tutte le argomentazioni, poste a sostegno del suo precedente restrittivo indirizzo.
 Cinque, in sostanza, sono i punti, o passaggi logici, dell’iter argomentativo della S.C., tra di loro connessi, volti a verificare se sussistano, o meno, ostacoli al riconoscimento, in favore dei con­giunti della vittima iniziale, del danno morale subiettivo, in caso di sopravvivenza della vittima.
 Tali punti, o passaggi logici, in sostanza, corrispondono a cinque domande cui la S.C. fornisce una risposta:

 1. se il danno morale subiettivo deve essere negato ai congiunti della vittima iniziale perché manca il nesso di causalità, ex art. 1223 c.c.;
 2. se è estensibile la figura del danno riflesso anche al danno morale subiettivo;
 3. se l’eventuale irrisarcibilità del danno morale subiettivo deriva dalla struttura dell’art. 2059 c.c.;
 4. se l’eventuale irrisarcibilità del danno deriva dalla natura o funzione del danno morale subiettivo;
 5. se l’eventuale irrisarcibilità del danno morale subiettivo deriva dal pericolo di eccessivo ampliamento delle richieste di risarcimento del danno.


5. Il nesso di causalità, ex art. 1223 c.c..
 Sul primo punto, o passaggio logico, relativo alla verifica del nesso causale, ai sensi dell’art. 1223 c.c. - norma che, com’è noto, regola il risarcimento del danno in tema di inadempimento delle obbligazioni, che è espressamente richiamata dall’art. 2056 c.c. che regola il risarcimento del danno in tema di illecito civile - la S.C. ha osservato che non può condividersi l’assunto secondo cui osterebbe al riconoscimento del danno morale ai congiunti della vittima iniziale, il fatto che, essendo in vita la vittima della lesione, esso sarebbe solo un danno costituente conseguenza mediata ed indiretta della lesione, e come tale non risarcibile a norma dell’art. 1223 c.c., richiamato dall’art. 2056 c.c..
 Infatti, per giurisprudenza pacifica, il criterio in base al quale sono risarcibili i danni conseguiti dal fatto illecito (o dall’inadempimento in tema di responsabilità contrattuale), deve intendersi, ai fini della sussistenza del nesso di causalità, in modo da comprendere nel risarcimento, i danni non solo diretti ed immediati, ma anche quelli indiretti e mediati, che si presentino come effetto normale di tale condotta, secondo il principio della c.detta regolarità causale[18]
 Pertanto, un evento dannoso è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (c.detta teoria della “condicio sine qua ”): ma nel contempo non è sufficiente tale relazione causale per determinare una causalità giuridicamente rilevante, dovendosi, all’interno delle serie causali così determinate, dare rilievo a quelle soltanto che, nel momento in cui si produce l’evento causante non appaiono del tutte inverosimili (c.detta teoria della causalità adeguata o della regolarità causale, la quale in realtà, come è stato esattamente osservato, oltre che una teoria causale, è anche una teoria dell’imputazione del danno). 
 Ritenuto, quindi, che ai fini del sorgere dell’obbligazione di risarcimento, il nesso di causalità fra fatto illecito ed evento, può essere anche indiretto e mediato, purché con le caratteristiche suddette, non è sufficiente fare riferimento al disposto dell’art. 1223 c.c., per escludere il risarcimento del danno morale in favore dei congiunti del leso, poiché non vi è dubbio che lo stato di sofferenza dei congiunti, costituente il loro danno morale, trova causa efficiente, per quanto mediata, pur sempre nel fatto illecito del terzo nei confronti del soggetto leso.
 Questo passaggio logico è da condividere anche se, forse, nel sillogismo articolato dalla S.C. v’è un salto logico.
Sarebbe stato, infatti, più opportuno spostare l’indagine e l’attenzione, com’è stato acutamente osservato[19] dal danno, riflesso o di rimbalzo, al danneggiato. 
 Ciò avrebbe consentito di porre in evidenza che il problema preliminare non è tanto quello della propagazione di un unico danno, bensì quello, che in ordine logico lo precede, dei criteri di individuazione delle c.dette vittime secondarie e, quindi, della loro “legitimatio ad causam”, di qui il salto logico di cui ho in precedenza parlato.
 Ma si vede che la S.C., preoccupata dal peso e dallo spessore del suo precedente tradizionale orientamento, ha dedicato ampio spazio a tale argomentazione, che era proprio uno dei paletti su cui aveva fondato tutte le diverse decisioni. 


6. L’estensibilità della figura del danno riflesso anche al danno morale subiettivo.
 Sul secondo punto, o passaggio logico, relativo all’estensibilità della figura del danno riflesso anche al danno morale subiettivo, la S.C. ha dato risposta positiva, seppur molto sinteticamente.
 La S.C., infatti, una volta costruita la figura del danno riflesso, sia esso patrimoniale o biologico o sessuale, sul criterio della regolarità causale e riconosciuta la sua risarcibilità, ha ritenuto che non vi sono ostacoli, né teorici e né logici, per non estenderla anche al danno morale subiettivo. 
 Anche questo passaggio logico è da condividere anche perché sarebbe illogico, oltre che illegittimo e profondamente ingiusto, riconoscere alle c.dette vittime secondarie, in caso di illecito, soltanto alcune e non tutte le “species” di danno.


7. La struttura dell’art. 2059 c.c..
 Sul terzo punto, o passaggio logico, relativo alla verifica se, l’eventuale irrisarcibilità del danno morale subiettivo deriva dalla struttura della norma che lo prevede e, cioè, dall’art. 2059 c.c.., la S.C. ha dato risposta negativa.
 A tal riguardo va fatta una premessa.
 Detta norma[20], com’è noto, stabilisce limiti assai rigidi al risarcimento del danno non patrimoniale, con il
rinvio ai “casi determinati dalla legge”.
 E' altresì noto che l’interpretazione tradizionale, assolutamente costante, consacrata dalla S.C., con sentenza a sezioni unite[21], vuole che i “casi determinati dalla legge” siano quelli in cui il fatto illecito rivesta anche le caratteristiche del reato penale (di qui il costante riferimento all’art. 185 c.p., che trovasi sotto il titolo delle “sanzioni. civili”) e ciò salvi pochi altri casi marginali e normativamente previsti[22]
 Poche sono le voci difformi, seppur autorevoli, della dottrina:

 1. C. Castronovo[23], osserva che "la attuale querelle circa la natura del danno biologico mette in evidenza, piuttosto, che la valutazione sociale tipica esige oggi un ampliamento dello spettro di rilevanza della situazione non patrimoniale da provvedere della tutela aquiliana. Riferita al nostro ordinamento, tale rilevazione dovrebbe condurre ad un'attenta revisione dell'art. 2059 c.c. sia sotto il profilo della fattispecie, che sotto quello dell'effetto risarcitorio; la prima schiodando dalla identificazione del danno non patrimoniale con il danno morale, il secondo disincagliando dalla più o meno corretta riduzione "dei casi" determinati dalla legge "alle ipotesi di reato";
 2. G.B. Petti[24], osserva che "se unico è il principio fondante la clausola generale di risarcimento (“il neminem laedere”) in Europa si concepisce tendenzialmente una dicotomia risarcitoria perfetta, sia del danno patrimoniale che del danno non patrimoniale, che concorrono al risarcimento integrale del danno alla persona.
 E dunque, nella tendenza all'armonizza­zione dei sistemi, è la visione italiana che appare inadeguata e che esige la riforma dell'art. 2059 e la costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile";
 3. P.G. Monateri[25], osserva che “la soluzione di un ritorno sulla scure dell’art. 2059 c.c. è impraticabile, in quanto l’idea che ogni lesione di una civil right debba ricadere nello schema dell’art. 2043 c.c. è una conseguenza diretta del nostro sistema costituzionale, che tutela tutti i diritti inviolabili senza certo discriminare tra il diritto alla salute, di cui all’art. 32 Cost., e le altre posizioni soggettive individuate nella Costituzione”.

Ancor meno numerose sono le voci difformi della giurisprudenza di legittimità:

 1. Cass. 28/11/96 n. 10606[26] che ha testualmente affermato: "aderendo all'invito della Consulta questa Corte ritiene che l'ambito di operatività dell'art. 2059 c.c. debba essere considerato rapportando anche questa norma ai principi costituzionali, e così superando la inadeguata interpretazione tradizionale. Le ragioni della costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile (già auspicate dalla Corte Costituzionale nella nota sentenza n. 184 del 1986) derivano da precise esigenze di giustizia, accordando tutela diretta e giudiziaria, anche nel settore dei rapporti privati, alle posizioni soggettive ed ai beni giuridici costituzionalmente protetti. E' questo il senso del raccordo tra gli artt. 2, 3, 32 della Costituzione, tra di loro correlati, e l'art. 2043 c.c., che ha condotto alla tutela risarcitoria del danno biologico, altrimenti esclusa da un sistema di responsabilità coerente a scelte precostituzionali discriminanti. Ora non vi è dubbio... che il risarcimento del danno morale da reato, non può considerarsi nell'ambito di una concezione marcatamente punitiva o consolatorio satifattiva, propria della teoria della difesa sociale, propugnata dalla scuola positiva italiana, ma dev'essere considerato nella logica dei principi di centralità della persona umana, di solidarietà del suo soccorso, anche quando è lesa la sfera più interna ed intangibile, quella morale. Il danno morale si configura in questa nuova visione aperta ai valori costituzionali, come lesione della sfera morale della persona, di quel valore uomo che anche il danno biologico lede, come danno di quella qualità essenziale della persona che è la sua salute.  Pari dignità di tutela per il danno alla salute (nel senso ampio previsto dall'art. 32 e dalle Carte internazionali recepite nel nostro ordinamento) e del danno alla dignitas personae, che il delitto ferisce nella sua integrità etica, e tanto più gravemente, quanto più intensi sono i valori umani menomati. E' in questa direzione che può ricostruirsi la dicotomia perfetta tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale, in un sistema coerente di responsabilità civile rispettosa dei diritti della persona. Sulle basi di queste considerazioni, il rapporto di risarcibilità del danno morale non è soltanto pecunia doloris, quanto pecunia lese dignitatis, reintegrazione della dignità umana offesa dal delitto";
 2. Cass. 15/4/98 n. 3807[27], che ha testualmente affermato: "in tema di danno morale da reato, non vi è dubbio che un disastro costituente fatto reato di enorme gravità, per il numero delle vittime e per le devastazioni ambientali dei centri storici determini, come fatto-evento, la lesione del diritto costituzionale dell’ente territoriale esponenziale (il comune) alla sua identità storica, culturale, politica, economica costituzionalmente protetta; da ciò consegue che è insita la lesione della posizione soggettiva e che l’ente ha la legittimazione piena e titolo ad esigere il risarcimento del danno”.

 La S.C., con entrambe dette decisioni, che sono opera dello stesso relatore, S.E. G.B. Petti, ha dimostrato, così, la propensione, non ancora seguita né dalla miglior dottrina, né dagli altri giudici di legittimità e né dai giudici di merito, di dare un'interpretazione costituzionale dell'art. 2059 c.c., come norma generale, anche se tipicizzante, del danno non patrimoniale. 
 Dai limiti assai rigidi, di cui dicevamo prima, posti dall’ordinamento al risarcimento del danno non patrimoniale, con il rinvio ai “casi determinati dalla legge”, autorevoli Studiosi ne hanno tratto la conseguenza che solo la  persona offesa dal reato, e cioè il titolare del bene giuridico leso dallo stesso, può far valere la relativa pretesa. 
 Occorre ricordare, poi, che l’art. 185, 2° comma, c.p. statuisce che: “Ogni reato che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili debbono rispondere per il fatto di lui”. 
 Orbene, su questo punto, la S.C., con la sentenza in esame[28], seppur ha precisato di non voler entrare nella “vexata quaestio” se il danno risarcibile sia il danno criminale (cioè il danno causato dalla dalla lesione del bene protetto dalla norma) o il danno civile (cioè il danno che prescinde dal reato), ha poi affermato di aderire al recente incontrastato orientamento della giurisprudenza penale (sia di legittimità che di merito) che distingue tra “persona offesa” dal reato (art. 90 c.p.p.), che è il titolare del bene giuridico protetto dalla norma penale, e “persona danneggiata” dal reato, che è qualsiasi soggetto che dall’azione delittuosa ha ricevuto un danno civile, non necessariamente coincidente con la persona offesa, e che è legittimato a costituirsi parte civile (art. 74 c.p.p.)[29] 
 Sulla scorta di tale impostazione, quindi, la S.C. ha affermato che deve riconoscersi la legittimazione attiva, a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale, ad ogni soggetto che abbia subito un siffatto pregiudizio dal reato, sia esso il soggetto passivo del reato o sia esso non lo sia. 
 Infatti, né l’art. 185 c.p. e né l’art. 74 c.p.p., stabiliscono una diversa legittimazione attiva per la richiesta di risarcimento nel caso in cui il danno sia patrimoniale o non patrimoniale, ma richiedono solo che il danno sia stato cagionato dal reato, riportando quindi tutta la questione esclusivamente nell’ambito del nesso causale tra reato e danno.
 Né una restrizione di legittimazione attiva in favore della sola parte offesa dal reato emerge dall’art. 2059 c.c., che si pone sul punto come norma di mero rinvio. 
 La S.C., poi, al riguardo, ha affermato che la fragilità della tesi che riconosce la legittimazione al risarcimento del danno (non patrimoniale) solo in favore della persona offesa dal reato, emerge dal fatto che lo stesso orientamento, per antica tradizione, riconosce, in caso di morte della vittima, per effetto del reato (e cioè di omicidio), la legittimazione a richiedere il risarcimento del danno anche non patrimoniale in favore dei congiunti, che certamente non sono la persona offesa dal reato di omicidio. 
 La S.C., quindi, ha ritenuto che dalla struttura della norma di cui all’art. 2059 c.c. (nonché dalle norme cui detto articolo rinvia), non emerge alcuna limitazione alla legittimazione attiva dei congiunti della vittima a richiedere il risarcimento del danno non patrimoniale. 
 Essa si limita, con il rinvio all’art. 185 c.p., solo a tipicizzare i casi di risarcibilità del danno non patrimoniale.
 Anche questo passaggio logico, molto articolato, è da condividere atteso che va escluso che, per il dato normativo (art. 2059 c.c.), possa conseguire un difetto del diritto al risarcimento del danno morale subiettivo dei congiunti della vittima del reato di lesioni personali.
 Forse, però, sarebbe stato più logico ed opportuno, da un punto di vista sistematico, esaminare questo passaggio logico, prima dei precedenti punti, o passaggi logici.
 Infatti esso consente di individuare la “legitimatio ad causam”, ovvero la legittimazione ad agire, la quale costituisce, notoriamente, una condizione dell’azione, intesa come il diritto potestativo di ottenere una qualsiasi decisione di merito, favorevole o contraria.
 Tale “legitimatio ad causam”, perciò, si risolve nella titolarità del potere e del dovere (rispettivamente per la legittimazione attiva o passiva) di promuovere, o subire, un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, indipendentemente dalla questione dell’effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo del rapporto controverso, questione che, invece, attiene al merito[30] ed è quindi successiva.


8. La natura o funzione del danno morale subiettivo. 
 Sul quarto punto, o passaggio logico, relativo alla verifica se, l’eventuale irrisarcibilità del danno deriva dalla natura o funzione del danno morale subiettivo, la S.C. ha rilevato che la funzione del danno, qualunque essa sia, non è incompatibile con il suo riconoscimento ai congiunti della vittima iniziale.
 E’ noto che sulla questione relativa alla natura o funzione del risarcimento del danno, ex art. 2059 c.c., vi sono quattro orientamenti dottrinali, che attribuiscono quattro diverse nature o funzioni al danno morale subiettivo:

 1. natura risarcitoria;
 2. natura consolatoria-satisfattiva;
 3. natura punitivo-afflittiva;
 4. natura compromissoria o mista (consolatoria-satisfattiva - punitivo-afflittiva).

 Secondo la prima tesi, quella risarcitoria, la funzione del risarcimento del danno morale subiettivo è analoga a quella del danno patrimoniale.
 Secondo la seconda tesi, quella consolatoria-satisfattiva, la funzione del risarcimento del danno morale
subiettivo è quella di attribuire alla vittima una somma di denaro al fine di avvantaggiarla nel ricrearsi opportunità e condizioni sostitutive a quelle perdute.
 Secondo la terza tesi, quella punitivo-afflittiva, che è sicuramente la più longeva in quanto era quella più in auge e prevalente già nel vigore del vecchio codice[31], la funzione del risarcimento del danno morale subiettivo è quella di punire l’autore dell’illecito, attesa la particolare gravità e riprovevolezza del suo comportamento.
 Secondo la quarta ed ultima tesi, quella compromissoria o mista (consolatoria-satisfattiva - punitivo-afflittiva), la funzione del risarcimento del danno morale subiettivo è quella di attribuire alla vittima una somma di denaro al fine di avvantaggiarla nel ricrearsi opportunità e condizioni sostitutive a quelle perdute, propria della tesi consolatoria- satisfattiva, e, contestualmente, di punire l’autore dell’illecito, attesa la particolare gravità e riprovevolezza del suo comportamento, propria della tesi punitivo-afflittiva.
 Allo specifico riguardo la S.C. ha rilevato che, qualunque natura o funzione si riconosca al risarcimento in questione, essa è perfettamente compatibile, se non addirittura rafforzativa, con quanto qui si sostiene. 
 Infatti, sia che si riconosca a detto “risarcimento” del danno morale subiettivo la natura risarcitoria, sia che si riconosca quella satisfattiva, il referente rimane sempre il soggetto che ha subito il danno (per quanto in via riflessa), per cui si avranno tanti “risarcimenti” o “soddisfazioni” quanti sono i soggetti danneggiati.
 I sostenitori della natura punitiva (analoga a quella dei “punitive damages” del diritto anglosassone) di detto risarcimento ritengono che la pretesa riparatoria del soggetto leso trovi fondamento nel diritto riconosciuto allo stesso di esercitare una reazione all’illecito subito, al fine di “punire” il danneggiante, per cui è del tutto evidente che solo a questi spetti l’esercizio dell’azione giudiziale.
 Se si ammettesse, quindi, anche il diritto dei prossimi congiunti a chiedere il risarcimento del danno morale subiettivo, si violerebbe il principio del “ne bis in idem”, punendo più volte lo stesso soggetto per lo stesso fatto.
 Allo specifico riguardo la S.C. ha sostenuto che, anche se per ipotesi si condividesse detta tesi, va rilevato che la funzione “punitiva” non attiene all’evento penale, per il quale vi è già la pena pubblica, ed in questo caso sì che si avrebbe la violazione del principio per cui uno stesso soggetto non può essere punito più volte per lo stesso fatto, ma attiene agli eventi civili, che il fatto di reato ha prodotto. 
 Se il comportamento criminale dell’agente ha prodotto più danni morali, per quanto in via riflessa come sopra detto, ed in questo senso ha, in sede civile, offeso più soggetti, a ciascuno di questi spetterà esercitare l’asserita “funzione punitiva” in questione. Peraltro anche questa tesi della funzione di pena privata del risarcimento del danno ex art. 2059 c.c. (che fortemente sostiene che i prossimi congiunti del soggetto leso non possono richiedere il risarcimento del danno morale proprio per il principio dell’unicità della pena) riconosce, nel caso di danno morale subito dai congiunti della vittima di omicidio, a tutti i congiunti il diritto al risarcimento ex art. 2059 c.c., dando luogo, quindi, ad una pluralità di “pene private” comminate per uno stesso fatto. 
 Se si segue, infine, la tesi compromissoria o mista, consolatoria-satisfattiva - punitivo-afflittiva, valgono le osservazioni già fatte per ognuna delle due tesi. 
 Ne consegue che, qualunque sia la natura del risarcimento del danno di cui all’art. 2059 c.c., da essa, lungi dall’emergere motivi che escludano il diritto al risarcimento del danno morale subiettivo dei congiunti della vittima del reato di lesioni personali, risultano ulteriori elementi a sostegno della configurabilità di tale diritto.
 Anche questo passaggio logico, molto articolato, è da condividere in quanto, quale che sia la natura o funzione del danno morale subiettivo, la legittimazione attiva spetta anche al familiare della vittima iniziale che vanta un diritto soggettivo, o quantomeno, un interesse giuridico meritevole di tutela.
 Ciò, tra l’altro, è perfettamente in linea con quanto già affermato dalla S.C. in questi ultimi anni, a proposito degli interessi giuridici meritevoli di tutela, in tema di risarcimento danni al convivente “more uxorio”[32] ed in tema di risarcimento del danno al nascituro[33].
 Forse, però, sarebbe stato più logico ed opportuno, da un punto di vista sistematico, esaminare questo passaggio logico per primo e, cioè, prima dei precedenti punti, o passaggi logici.
 Va sottolineato, a questo punto, che la S.C., con la sentenza in esame[34], volutamente non ha preso posizione, dichiarandosi neutrale, su quella che era la tesi da seguire in ordine alla natura o funzione del risarcimento del danno, ex art. 2059 c.c..
Ciò potrà apparire strano fin che si vuole e potrà far storcere il naso ai fini giuristi ed ai dotti cattedratici, ma si vede che la S.C., sempre preoccupata dal peso e dallo spessore del suo precedente tradizionale orientamento, ha voluto preservare questo suo articolo e motivato “revirement”, da qualsiasi attacco futuro dovuto, per esempio, più che ad una vera e propria contestazione dei principi di diritto affermati, all’adesione, per tradizione o per partito preso, ad un diverso orientamento sulla funzione del danno morale subiettivo, che non avesse trovato una valida e motivata risposta nella decisione oggi commentata.


9. L’eccessivo ampliamento delle richieste di risarcimento del danno. 
 Sul quinto punto, o passaggio logico, relativo alla verifica se, l’eventuale irrisarcibilità del danno deriva dal pericolo di eccessivo ampliamento delle richieste di risarcimento del danno, che per la verità è un ragionamento più attento alle ragioni di opportunità che a quelle di ermeneutica, la S.C. ha osservato che tale problema è un “posterius” rispetto ai problemi esaminati che andrà risolto, come per il danno patrimoniale e biologico riflesso, non solo sulla base della prova offerta del danno, ma anche alla stregua di un corretto accertamento del nesso di causalità, da intendersi come causalità adeguata o regolarità causale.


10. L’occasione mancata.
 La sentenza, però, rappresenta anche un’occasione mancata, come ho avuto modo di sostenere nel recente congresso organizzato dalla laboriosa e fattiva Associazione Guido Gentile[35].
 Invero, il caso sottoposto all’esame della S.C.[36], aveva tutti i requisiti per consentire alla stessa Corte di legittimità di aprire definitivamente l’art. 2059 c.c. ad una lettura costituzionale, rapportando anche questa norma ai principi costituzionali e a norme internazionali di rango superiore.
 Quella che è mancata, in definitiva, è stata quell’opera di costituzionalizzazione del sistema della responsabilità civile già più volte auspicata dalla Consulta[37].
 Eppure la S.C. già aveva fornito, in precedenza, questo contributo in tema di:

danno sessuale[38];
danno morale subiettivo[39];
danno patrimoniale ai congiunti della vittima deceduta[40].

 Ed è singolare notare come le ultime tre sentenze citate[41] sono opera dello stesso relatore, S.E. G.B. Petti, che, a quanto pare, è il relatore della S.C. che, in questi ultimi anni, ha tentato di inerpicarsi, con le motivazioni delle sue sentenze, sul difficile e non facile cammino dell’apertura dell’art. 2059 c.c. ad una lettura costituzionale.
 Tornando all’occasione mancata, la S.C., nella sentenza in esame[42], ha riconosciuto sì la legittimazione attiva, iure proprio, dei genitori del minore macroleso ad ottenere il risarcimento del danno morale subiettivo, ma avrebbe potuto rapportare la posizione soggettiva violata ed offesa dall’illecito altrui, ai seguenti referenti normativi:

art. 2 Cost.: "La Repubblica riconosce e garantisce i di­ritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle for­ma­zioni sociali (come la famiglia) ove si svolge la sua personalità";
art. 3, 2° comma, Cost.:"E' compito della Repubblica ri­muo­vere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, li­mi­tando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana...";
art. 13, 1° comma, Cost.: "La libertà familiare è inviolabile"; 
art. 29, 1° comma, Cost.: "La Repubblica riconosce i di­ritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio";
art. 30, 1° comma, Cost.: "E' dovere dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori dal matrimonio"; 
art. 31, 1°e 2° comma, Cost.:"La Repubblica agevola con mi­sure economiche e altre provvidenze la formazione della fa­mi­glia e l'adempimento dei compiti relativi, con particolare ri­guardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l'in­fan­zia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo"; 
art. 8, 1° comma, Convenzione europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali: "ogni persona ha il diritto al ri­spetto della sua vita privata e familiare..." ed è noto che la Convenzione costituisce diritto interno, fonte diretta, di rango superiore, poiché attiene a un diritto inviolabile;
art. 12 Convenzione europea per la salvaguardia delle li­bertà fondamentali: "uomini e donne, in età matrimoniale, hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia";
Parte I°, paragrafo 16, Carta Sociale Europea, riveduta, con annesso, fatta a Strasburgo il 3/5/1996[43]; “La famiglia, in quanto cellula fondamentale della società, ha diritto ad un’adeguata tutela sociale, giuridica ed economica per garantire il suo pieno sviluppo”.

 E’ noto che la Convenzione Europea per la salvaguardi dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali[44], è entrata in vigore il 26/10/1955.
 Forse non è ancora noto a tutti che la Convenzione Europea, che realizza la più analitica tutela dei diritti enunciati nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo[45], assurge, oggi, al rango di norma costituzionale europea.
 Invero, con il Trattato sull’Unione Europea[46], l’Unione Europea si è impegnata a rispettare i diritti fondamentali dell’uomo quali quelli garantiti Convenzione Europea e dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario (art. F, paragrafo 2).
 Purtroppo, lo stesso Trattato (art. L), impedisce alla Corte di Giustizia delle comunità europee di pronunciarsi sul rispetto dell’art. F, paragrafo 2, e quindi sul rispetto degli stessi diritti fondamentali da parte degli Stati membri dell’Unione.
 Successivamente, però, il Trattato sull’Unione Europea di Amsterdam[47], ha modificato, per quello, che qui interessa, l’art. 46, lett. D (ex art. L) di Maastricht, estendendo le competenze della Corte di Giustizia anche all’art. 6, paragrafo 2 (ex art. F, paragrafo 2), e quindi sul rispetto degli stessi diritti fondamentali da parte degli Stati membri dell’Unione.
 Quindi, con tale trattato, l’Italia e tutti gli Stati membri hanno perso, in tema di diritti umani, tutta la propria sovranità in favore dell’Unione Europea e si sono obbligati al rispetto dei diritti garantiti dalla Convenzione Europea nell’ambito dei propri ordinamento nazionale.
 La Convenzione Europea, quindi, assurge oggi a rango di norma costituzionale europea, e, quindi, a norma di rango superiore, in virtù dei seguenti articoli della Costituzione:

art. 2, in base al quale “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo”;
art. 10, in base al quale “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme di diritto internazionale generalmente riconosciute”;
art. 11, in base al quale “l’Italia….. consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

 Quindi, in definitiva, con un'interpretazione estensiva, liberale e costituzionale dell'art. 2059 c.c., come norma generale, anche se tipicizzante, del danno non patrimoniale, la S.C. avrebbe potuto autorevolmente sostenere che i “casi determinati dalla legge”, previsti dalla predetta norma, ben potevano considerarsi non solo quelli previsti dall’ordinamento penale (art. 185 c.p.) ma anche quelli previsti dalla Costituzione (i già richiamati artt. 2, 3, 13, 29 e 30 Cost.) nonché quelli previsti dalle richiamate norme internazionali di rango superiore (i già richiamati artt. 8 e 12 Convenzione europea per la salvaguardia delle li­bertà fondamentali e parte I°, paragrafo 16, Carta Sociale Europea).
 Del resto la Corte Europea[48], in vari casi, ha liquidato il danno morale ai ricorrenti, anche in ipotesi di lamentata violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione, relativo alla ragionevolezza della durata di un procedimento, e, quindi, al di fuori di accertate ipotesi di reato[49]


11. Il progetto di legge di riforma del danno a persona. 
 A conferma della bontà delle tesi e teorie fin qui esposte e sostenute va precisato che forse, di quest’evoluzione, in senso liberale, del diritto vivente, si sono accorti gli assicuratori italiani.
 Infatti essi, sotto l’egidia prestigiosa dell’ISVAP, hanno costituito un “Gruppo di lavoro sulla disciplina del danno biologico”, formato da noti giuristi italiani, che hanno presentato, nel gennaio 1999, un progetto di legge di riforma del danno a persona che, quantomeno nella materia qui trattata, dovrebbe mettere definitivamente chiarezza e certezza in un difficile e complesso settore.
 Invero questo è il testo dell’art. 2 di detto progetto di riforma che quì interessa: “Articolo 2. L’art. 2059 del codice civile è sostituito dai seguenti articoli:

Art. 2059 - Danni morali. Il danno morale è risarcito quando il fatto illecito ha cagionato alla persona un’offesa grave...”.
Art. 2059 bis - Danni morali dei prossimi congiunti. ...Qualora il fatto dannoso cagioni menomazioni dell’integrità psicofisica del danneggiato di particolare gravità è risarcito il danno morale subito dai prossimi congiunti ove conviventi”.
 Il pregio della prima disposizione è, quindi, quella di allineare il diritto italiano alle normative europee in materia e svincolare definitivamente il risarcimento dei danni morali subiettivi da accertate ipotesi di reato.
 Quindi, in definitiva, risarcibilità del danno morale subiettivo sempre, in caso di lesioni personali, anche quando la fattispecie non concretizza alcuna ipotesi di reato. 
 Il pregio della seconda disposizione, poi, è quella di prevedere normativamente la risarcibilità del danno morale subiettivo subito dai congiunti della vittima, però solo se conviventi ed in caso di menomazioni dell’integrità psicofisica della vittima di particolare gravità.
 In analogia a quanto previsto dalla prima parte di tale norma deve ritenersi, anche in questo caso, che il danno morale subiettivo subito dai congiunti della vittima, sia risarcibile anche quando la fattispecie non concretizza alcuna ipotesi di reato. 
 Per la verità, v’è da dire che la S.C., con le richiamate sentenze[50], ha abbattuto il “muro di sbarramento”, costituito dall’interpretazione restrittiva dell’art. 2059 c.c. sotto il profilo della legittimazione ad agire, ma non si è preoccupata di apprestare un’adeguata “rete di contenimento”[51].
 Infatti, come ho avuto modo di spiegare in precedenza, la S.C., ha osservato che il problema costituito dall’eccessivo ampliamento delle richieste di risarcimento del danno costituisce un “posterius” rispetto ai problemi esaminati che andrà risolto, come per il danno patrimoniale e biologico riflesso, non solo sulla base della prova offerta del danno, ma anche alla stregua di un corretto accertamento del nesso di causalità, da intendersi come causalità adeguata o regolarità causale.
 Quindi il dubbio nasce oggi spontaneo: gli assicuratori, con il loro progetto di riforma sponsorizzato dal loro organo più autorevole e rappresentativo, anche dopo le travagliate esperienze seguite all’affermazione del principio della risarcibilità del danno biologico (chi non ricorda la famosa e sintomatica “anarchia del dopo principio”), si sono allineati al diritto vivente, inteso come interpretazione giurisprudenziale prevalente e consolidata, o si sono semplicemente preoccupati di costruire un argine alla possibile proliferazione delle pretese risarcitorie delle c.dette vittime secondarie?


12. Conclusioni. 
 Il complessivo e motivato “revirement” della S.C., in tema di danni morali subiettivi c.detti riflessi, subiti, cioè, dai congiunti della vit­tima iniziale, che abbia subito lesioni personali, appare sostanzialmente da condividere in pieno e senza alcun indugio e segna un’importantissima svolta nel settore.
 Esso rappresenta, innanzi tutto, la vittoria della parte debole, della povera vittima, nei confronti della parte forte, quella che detiene, quasi incontrastato, il potere, quello economico.
 La parte debole, così, trova, nonostante il suo “status”, nel ns. ordinamento una tutela maggiore, rispetto a prima, in relazione ai diritti umani violati.
 Esso rappresenta, poi, la vittoria di tutti quegli avvocati che per primi hanno sostenuto, con forza, convinzione e testardaggine, tali tesi nelle aule giudiziarie e senza il cui apporto non si sarebbe potuti pervenire a tale attuale orientamento.
 Esso rappresenta, ancora, la vittoria dei giudici di merito che per primi hanno affermato, con coraggio, tali tesi nelle loro decisioni, e ciò in stridente contrasto con la dottrina dominante e con la giurisprudenza del giudice di legittimità. 
E’ una evidente dimostrazione di forza, di autonomia e di indipendenza di giudizio dei giudici di merito nei confronti del giudice di legittimità che così è stato da essi invitato, com’era già capitato in altre occasioni ed in altre materie, ad abbandonare la sua giurisprudenza non più in linea con la realtà dei tempi e con la mutata sensibilità sociale e giuridica.
 Esso rappresenta, infine, la vittoria della terza sezione civile della S.C., sezione che ha emesso la sentenza innovativa e deciso, così, l’importantissimo “revirement”, che conferma il ruolo di avanguardia della stessa sezione, e del suo più autorevole e noto Presidente, S.E. Bile, nel complesso campo del risarcimento del danno a persona.
 E’ pur vero che qualche mancanza o occasione mancata l’ho pur rilevata in questo mio breve commento alla sentenza della S.C.[52], ma è anche vero che la stessa sezione, con sentenza emessa soltanto due mesi prima, aveva rigettato l’analoga istanza dei congiunti della vittima iniziale[53].
 Ciò significa che la creatura doveva nascere in fretta e senza ulteriore indugio.
 Il tempo dirà chi ha avuto ragione.






[1] Danni c.detti anche di rimbalzo, secondo il colorito ed incisivo appellativo utilizzato dalla dottrina francese.
[2] Cass. 7/1/91 n. 60, in Foro It., 1991, 459, con nota di Simone e in Resp. Civ. Prev, 1991, 446.
[3] Cass. 11/11/86 n. 6607, in Foro It., 1987, 833, con nota di A.M. Princigalli; conf. Cass. 17/9/96 n. 8305, in Mass. Foro It., 1996, 746 e in Resp. Civ. Prev., 1997, 123; Cass. 21/5/96 n. 4671, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1996, 927, in Resp. Civ. Prev., 1997, 123 e in Gazz. Giur., 1996, 25, 40. 
[4] Cort. Cost. 27/10/94 n. 372, in Dir. Econ. Ass., 1995, 251.
[5] Ordinanza 10/11/93, in Foro It., 1994, I, 1954.
[6] Per tutti v. Giannini, il danno psichico come danno biologico, in Le Nuove Frontiere del danno risarcibile, in Collana medico - giuridica diretta da Giovanni Cannavò, 1995, 157.
[7] Per quanto concerne la risarcibilità del danno biologico, direttamente sofferto dai familiari per la morte di un congiunto: Trib. Napoli 2/3/96 n. 2028, in Resp. Civ. Prev., 1996, 479, in cui ho avuto l’onore di assistere l'attrice e gli interventori; Trib. Torino 8/8/95, in Resp. Civ. Prev., 1996, 282, che lo ha definito come "danno esistenziale"; Trib. Monza 7/6/95, in Resp. Civ. Prev., 1996, 389 che lo ha "inteso in senso lato"; Trib. Napoli 16/1/95 n. 366, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1995, 772; Trib. di Bologna 30/11/93, in Corr. Giur., 1994, 1378; Trib. Milano 2/9/93, in Dir. Econ. Ass., 1994, 545, sentenza che a suo tempo è stata erroneamente salutata dalla stampa come leading case; Trib. Treviso 5/5/92, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1993, 692. Per quanto concerne la risarcibilità del danno biologico, direttamente sofferto dai familiari per le lesioni subite da un congiunto: Trib. Napoli sent. 30/1/98 n. 1317, Bardini/Muto, in Tagete, 1998, 4, 62 e in Giur. Napoletana, 1998, 5, 176, in cui ho avuto l’onore di assistere l’attrice e gli interventori.
[8] M. Rossetti, Breve commento alla sentenza del Tribunale di Napoli n. 1317 del 30/1/98, in Tagete, 1998, 4, 73 e segg.; C. M. Bianca, La responsabilità, Giuffrè, Milano, 1994, 114 e segg. e 175; G. Bonilini, Il danno non patrimoniale, Giuffrè, Milano, 1983; A De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, II, Milano, 1979, 112; M. Pogliani, I titolari del diritto al risarcimento del danno non patrimoniale, in Dir. Prat. Ass., 1972, 425 e segg.; R. Scognamiglio, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1957, 320 e segg.
[9] Cass. 11/2/98 n. 1421, in Resp. Civ. Prev., 1998, 1008, con nota di P. Ziviz; Cass. 21/5/96 n. 4671, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1996, 927; Cass. 17/10/92 n. 11414, in Arch. Giur. Circ. Sin. Strad., 1993, 158; Cass. 16/12/88 n. 6854, in Resp. Civ. Prev., 1990, 442, con nota di Mora.
[10] Cass. 23/4/98 n. 4186, in Danno e Resp., 1998, 686 e in Resp. Civ. Prev., 1998, 1409; conf. Cass. 1/12/98 n. 12195, in Foro It., 1999, 77 e in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1999, 8, 66, entrambe della terza sezione civile ed opera dello stesso relatore, S.E. Segreto; va precisato, però, che nel secondo caso esaminato dalla S.C., trattasi solo di un “obiter dictum”, in quanto il “dictum” non è “ratio decidendi”; infatti, non era oggetto del “devolutum”, la risarcibilità, o meno, del danno morale subiettivo subito dai congiunti della vit­tima iniziale, ma lo era la risarcibilità, o meno, del danno biologico e patrimoniale subito dai congiunti della vit­tima iniziale; in ogni caso, con tale decisione, la S.C. ha nuovamente ben motivato, a sostegno dei principi affermati, il suo “revirement”, rispetto al suo precedente filone giurisprudenziale.
[11] Cass. pen. 9/6/83, in Arch. Giur. Circ. Sin., 1984, 303, in Cass. Pen, 1985, 97 e in Riv. It. Med. Leg., 1985, 628.
[12] Trib. Napoli sent. inedita 14/5/99 n. 3153/99, Raimo/Lloyd Italico, in cui ho avuto l’onore di assistere gli attori; Trib. Napoli, sent. n. 1317/98, Bardini/Muto, in Tagete, 1998, 4, 62 e in Giur. Napoletana, 1998, 5, 176, in cui ho avuto l’onore di assistere l’attrice e gli interventori; Trib. Napoli, sent. n. 10868/96, Mele/Alpi, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1997, 830, in cui ho avuto l'onore di as­si­stere gli attori; Trib. Bologna 16/5/95 n. 8632, in Dir. Econ. Ass., 1996, 172; Trib. Roma, sent. inedita 14/7/94 n. 11114, D'Aniello/Le Assicurazioni d'Italia, in cui ho avuto l'onore di assistere gli attori; Trib. Ve­rona 31/1/94, in Giur. Civ. Comm., 1994, 757; App. Venezia 11/2/93, in Resp. Civ. Prev., 1993, 984; Trib. Verona 15/10/90, in Foro It., 1991, I, 261; Trib. Milano 18/6/90, in Foro It., 1990, I, 3497; Trib. Brescia 26/10/88, in Resp. Civ. Prev., 1988, 1025; Trib. Treviso 13/3/86, in Resp. Civ. Prev., 1987, 496; Trib. Milano 13/5/82, in Riv. It. Med. Leg., 1982, 1011. 
[13] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[14] Monateri-Bona, Il danno alla persona, Padova, 1998, 377 e segg.; F. Mastropaolo, Il risarcimento del danno alla salute, Jovane, Napoli, 1983, 608 e segg.; P. Forchielli, Il danno morale al bivio (irrisarcibilità del congiunto dell’infortunato sopravvissuto), in Riv. Dir. Civ., 1973, II, 332; A. Ravazzoni, La riparazione del danno non patrimoniale, Giuffrè, Milano, 1962, 215.
[15] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[16] Cass. 26/10/98 n. 10629, in Foro It., 1998, 3109 e in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1998, 45, 68. 
[17] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[18] conf. Cass. 19/1/99 n. 475, in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1999, 5, 51; Cass. 6/3/97 n. 2009; Cass. 10/11/93 n. 11087; Cass. 11/1/89 n.65; Cass. 18/7/87 n. 6325; Cass. 20/5/86 n. 3353; Cass. 16/6/84 n. 3609.
[19] E. Pellechia, La Corte di Cassazione e il risarcimento del danno morale ai congiunti in caso di sopravvivenza della vittima: qualcosa, al fin, si muove..., in Resp. Civ. Prev., 1998, 1414 e segg.. 
[20] Art. 2059 c.c..
[21] Sez. Un. 6/12/82 n. 6651, in Foro It., 1983, 1631, con nota di Iannarelli, in Giust. Civ., 1983, 1161, con nota di Cossu, in Giust. Civ., 1984, 149, con nota di Mastropaolo, in Riv. Dir. Comm., 1983, II, 227, con nota di Zeno-Zencovich e in Resp. Civ. Prev., 1983, 633
[22] Art. 89 c.p.c., in tema di espressioni sconvenienti od offensive; art. 96 c.p.c., in tema di lite temeraria; art. 598 c.p., in teme di offese in scritti e discorsi pronunciati dinanzi alle Autorità giudiziarie o amministrative; art. 2, 1° comma, L. 13/4/88 n. 117, in tema di responsabilità dei magistrati; art. 29, 9° comma, L. 31/12/96 n. 675, in tema di tutela dei dati personali.
[23] Danno biologico senza limiti, in La nuova responsabilità civile, Milano, 1991, 93 e segg..
[24] Il risarcimento del danno biologico, UTET, 1997, 359.
[25] Alle soglie di una nuova categoria risarcitoria: il danno esistenziale, in Danno e Resp., 1999, 5 e segg..
[26] In Resp. Civ. Prev., 1997, 393.
[27] In Mass. Foro It., 1998, 408.
[28] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[29] Cass. pen. 19/12/90 n. 16708; Cass. pen. 3/3/93, Del Salvio; Cass. pen. 18/10/95, Costioli; conf. Cass. 23/4/99 n. 4040, in Mass. Foro It. 1999, 477.
[30] Cass. 18/2/86 n. 957.
[31] Codice civile del 1865.
[32] Cass. 28/3/94 n. 2988, in Resp. Civ. Prev., 1995, 564, con nota di Coppari. 
[33] Cass. 22/11/93 n. 11053, in Resp. Civ. Prev., 1994, 403, con nota di Ioratti.
[34] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[35] Per una corretta liquidazione del danno alla persona: forme di inquinamento e rimedi, tenutosi in Vicenza, il 20-21/11/1998.
[36] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[37] Corte Cost. 14/6/86 n. 184, in Resp. Civ. Prev., 1986, 520, con nota di Scalfi; conf. Corte Cost. 30/12/87 n. 641, in Foro It., 1988, 694, che, in un passo della motivazione, afferma: “questa corte ha messo in rilievo la nuova valenza del citato art. 2043 c.c., a seguito e per effetto dell’entrata in vigore della Costituzione, come strumento per la protezione dei valori che essa prevede ed assicura, tra cui ha un rilievo precipuo il principio della solidarietà, nonché la stretta relazione che ne deriva tra la detta norma e i precetti costituzionali, al fine della determinazione dell’illecito e della riparazione che ne consegue alla violazione del precetto”.
[38] Cass. 11/11/86 n. 6607, in Foro It., 1987, 833, con nota di A.M. Princigalli, sentenza che è stata molto travagliata e discussa in camera di consiglio tanto che l’estensore, S.E. Schermi, è persona diversa dal relatore; tale sentenza della S.C. è stata la prima, com’è facilmente desumibile anche dalla sua data, a sentire forte l’influenza del dettato della Corte Cost. 14/6/86 n. 184; con detta sentenza la S.C. ha rapportato, per quello che qui interessa, il danno sessuale riflesso del coniuge della vittima iniziale dell’illecito, agli artt. 2 e 29 Cost. e 8 Convenzione europea per la salvaguardia delle libertà fondamentali; conf. Cass. 17/9/96 n. 8305, in Mass. Foro It., 1996, 746 e in Resp. Civ. Prev., 1997, 123; Cass. 21/5/96 n. 4671, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1996 927, in Resp. Civ. Prev., 1997, 123 e in Gazz. Giur., 1996, 25, 40.
[39] Cass. 28/11/96 n. 10606, in Resp. Civ. Prev., 1997, 393, che ha affermato che il fondamento del danno morale subiettivo è ravvisabile nella c.detta dignità della persona umana, offesa dal reato, e così negli artt. 2 e 3 della Costituzione e negli altri referenti che tutelano la li­bertà e la dignità della persona umana; Cass. 15/4/98 n. 3807, in Mass. Foro It., 1998, 408, che ha affermato che un disastro costituente fatto reato di enorme gravità, per il numero delle vittime e per le devastazioni ambientali dei centri storici determina, come fatto-evento, la lesione del diritto costituzionale dell’ente territoriale esponenziale (il comune) alla sua identità storica, culturale, politica, economica costituzionalmente protetta.
[40] Cass. 13/11/97 n. 11236, in Resp. Civ. Prev., 1998, 661, con nota di Zivic, che ha affermato la sussistenza di un danno patrimoniale in capo ai familiari, a seguito della morte del congiunto, derivando esso dalla lesione di un diritto avente rilevanza costituzionale, artt. 29 e 30 Cost..
[41] Cass. 28/11/96 n. 10606; Cass. 15/4/98 n. 3807; Cass. 13/11/97 n. 11236.
[42] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[43] Ratificata in Italia con L. 9/2/99 n. 30.
[44] Firmata a Roma il 4/11/1950, ratificata dal Presidente della Repubblica italiana in seguito ad autorizzazione conferitagli dalla L. 4/8/1955 n. 848, con deposito dello strumento di ratifica.
[45] Approvata dall’ONU il 10/12/48 e ratificata all’Italia con L. 4/8/55 n. 848.
[46] Firmato a Maastricht il 7/2/1992, ratificato dall’Italia con L. 3/11/1992 n. 454 (in suppl. ord. G.U. 24/11/1992 n. 277) ed entrato in
vigore il dì 1/11/1993.
[47] Sottoscritto il 2/10/97, reso esecutivo con L. 16/6/98 n. 209, in suppl. ord. G.U. 6/7/1998 n. 155, ed entrato in vigore per l’Italia e per tutti gli Stati comunitari il dì 1/5/1999, essendosi verificate le condizioni previste dall’art. 14 del Trattato sull’Unione Europea.
[48] Con il protocollo n. 11, diventato diritto interno con la L. 28/8/97 n. 296, in G.U. n. 213 del 12/9/1997, di “ratifica ed esecuzione del protocollo n. 11 alla convenzione di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, recante ristrutturazione del meccanismo di controllo stabilito dalla convenzione, fatto a Strasburgo l’11 maggio 1994” - sottoscritto e ratificato dai quaranta Stati membri del Consiglio d’Europa, è stata istituita un Corte permanente Europea dei diritti dell’uomo in sostituzione della Commissione e della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Il protocollo n. 11, all’art. 41, prevede espressamente che “se la Corte dichiara che vi è stata violazione della Convenzione o dei protocolli e se il diritto interno dell’Alta Parte contraente non permette che in modo incompleto di riparare le conseguenze di tale violazione, la Corte accorda, quando è il caso, un’equa soddisfazione alla parte lesa”.
[49] Sentenza del 3/12/1998-20/1 e 18/2/1999, Pres. Wildhaber, Laino/Italia, proprio in tema di violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della Convenzione; con detta sentenza la Corte Europea, per un processo relativo allo status delle persone, durato otto anni e due mesi, ha accolto il ricorso ed ha condannato lo stato Italiano al pagamento, in favore del ricorrente, l’importo di L. 25.000.000 per danno morale, oltre interessi al tasso del 5% annuo ed oltre spese processuali liquidate nella misura di L. 16.305.440; Sentenza del dì 1/7/1997, Torri/Italia, proprio in tema di violazione dell’art. 6, paragrafo 1 della Convenzione; con detta sentenza la Corte Europea, per un processo relativo ad un’azione di risarcimento danni a seguito di un incidente stradale, durato, tra fase penale e fase civile, diciassette anni circa, ha accolto il ricorso ed ha condannato lo stato italiano al pagamento, in favore del ricorrente, del danno morale oltre spese del procedimento; Sentenza del dì 8/2/1996, Pres Ryssdal, A. e altri/Danimarca, proprio in tema di violazione dell’art. 6, paragrafo q, della Convenzione; con detta sentenza la Corte Europea, per un processo relativo al risarcimento del danno alla salute per contagio da HIV, durato sei anni e due mesi ne casi più lunghi sottoposti alla Corte, ha accolto il ricorso ed ha condannato lo Stato Danese al pagamento, in favore di ciascuno dei ricorrenti, dell’importo di 100.000 DKr, per danno morale, oltre interessi e spese di lite. 
[50] Cass. 23/4/98 n. 4186, in Danno e Resp., 1998, 686 e in Resp. Civ. Prev., 1998, 1409; Cass. 1/12/98 n. 12195, in Foro It., 1999, 77 e in Guida al Diritto il Sole 24 Ore, 1999, 8, 66.
[51] Le espressioni, tra virgolette, sono mutuate da F.D. Busnelli, Lesione di interessi legittimi: dal “muro di sbarramento” alla “rete di contenimento”, in Danno e Resp., 1997, 269 e segg., in tema della tutela aquiliana degli interessi legittimi.
[52] Cass. 23/4/98 n. 4186.
[53] Cass. 11/2/98 n. 1421, in Resp. Civ. Prev., 1998, 1008, con nota di P. Ziviz.

*Avvocato giurista, Napoli


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