Il risarcimento della perdita della vita: 
problemi attuali e prospettive di riforma

Avv. Marco Bona*

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1. Premessa: alle soglie di una nuova fase.
 Il campo del danno alla persona sembra ormai prossimo ad una svolta senza precedenti: l’ingresso, per via legislativa, del danno biologico nel codice civile; il definitivo superamento, sempre per mano del legislatore, dei limiti posti dall’art. 2059 c.c. al risarcimento del danno morale; l’istituzione di una tabella indicativa nazionale. 
 A dimostrazione della solidità di questa prospettiva si ricorda che l’ISVAP, nel mese di gennaio, ha presentato un progetto di riforma[1], il Consiglio dei Ministri ha approvato il 4 giugno un disegno di legge[2] e vi sono forti pressioni, soprattutto dal mondo assicurativo, affinché si metta ordine in quella che più volte è stata definita la «giungla dei risarcimenti»[3]
 Varie questioni attualmente aperte, oggetto da troppo tempo di dibattiti e scontri, potrebbero pertanto venire risolte dal legislatore, compreso anche il problema dei danni da uccisione risarcibili iure successionis.
 Su quest’ultimo punto, l’ISVAP, nel progetto di legge, ha infatti proposto di introdurre, sub art. 2056 bis c.c., la seguente previsione: «In caso di morte, il danno biologico subito dalla vittima, è risarcibile per il solo periodo intercorso tra il fatto dannoso e la morte». A sua volta, il Disegno di Legge del Governo, chiaramente ispirato al progetto ISVAP, contiene questa disposizione: «In caso di morte del danneggiato, il danno biologico è risarcibile avuto riguardo al tempo trascorso dall’evento dannoso».
 Pare dunque opportuno analizzare la vexata quaestio della risarcibilità della perdita della vita anche alla luce di queste prospettive[4].


2. Perdita della vita: la posizione della Cassazione.
 In merito ai danni non patrimoniali risarcibili iure successionis, la Cassazione, successivamente alla decisione della Corte costituzionale in Sgrilli c. Colzi (n. 372/1994)[5], si è venuta ad assestare definitivamente sulle seguenti posizioni:

morte istantanea: nessun risarcimento iure successionis sia del danno biologico e sia del danno morale[6]; nessun
risarcimento iure successionis per la perdita della vita in sé e per sé considerata[7];
morte quasi immediata (arco di tempo limitato a pochi giorni o ore): in via generale nessun risarcimento iure iure
successionis del danno biologico[8]; nessun risarcimento iure successionis per la perdita della vita[9];
morte seguita all’evento lesivo dopo un arco di tempo apprezzabile: risarcibili iure successionis sia il danno biologico e sia il danno morale (a prescindere dallo stato di consapevolezza della vittima principale)[10]; nessun risarcimento iure successionis per la perdita della vita[11].

 Come dunque emerge dallo schema appena tracciato, la Suprema Corte è contraria al risarcimento della perdita della vita.
Si deve inoltre rilevare che non è chiaro, se per la Cassazione il criterio di liquidazione da applicarsi al danno sofferto nell’arco di tempo apprezzabile tra evento lesivo e morte sia veramente quello dell’invalidità temporanea: il problema è infatti lasciato in buona sostanza al giudice di merito, con un’evidente rinuncia della Suprema corte a svolgere un ruolo nomofilattico sul punto[12].
 In questo senso si deve ricordare soprattutto la decisione della Suprema corte in Puglisi c. Sanremo Soc. in L.C.A.[13]., ormai diventata un vero e proprio leading case in materia. 
 La Cassazione si trovava a decidere sulla prospettazione operata dalla Corte di Appello di Napoli[14], la quale, in linea con l’orientamento negativo, aveva ritenuto quanto segue: 

1) nel caso di illecito produttivo di morte il bene leso è costituito dalla vita, la cui perdita non è risarcibile, mancando il soggetto al quale il diritto al risarcimento dovrebbe far capo, per poi essere trasferito agli eredi; 
2) la parte offesa non acquista gradatamente il diritto al risarcimento per il danno alla salute sofferto nel periodo intercorso tra l’evento lesivo e la morte, poiché la fattispecie illecita si completa con la morte e quindi il defunto non può trasferire alcun diritto in quanto non esiste più come soggetto di diritto.

 E’ interessante notare che il ricorso dei Puglisi avverso la decisione d’appello mirava ad ottenere, in riforma dell’impugnata sentenza, due tipi diversi di danno biologico iure successionis:
1. il risarcimento del danno biologico sofferto dalla congiunta nel periodo intercorso tra il sinistro e la morte (danno biologico da lesioni mortali);
2. il risarcimento del danno biologico subito dalla stessa a causa della morte (danno biologico da morte o danno da
perdita della vita).

 La Cassazione ha ritenuto errata la decisione della Corte d’Appello relativamente al punto in cui veniva negata la risarcibilità
del danno biologico sofferto dalla vittima nel periodo precedente alla morte, avvenuta circa 30 giorni dopo l’accadimento lesivo.
 Punto di partenza della tesi seguita dalla Suprema Corte in Puglisi c. Sanremo Soc. in L.C.A. risulta essere la definizione di danno biologico, inteso come «menomazione arrecata all’integrità fisio-psichica della persona in sé e per sé considerata, incidente sul valore umano in ogni sua concreta dimensione, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell’ambiente in cui la vita si esplica, ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche spirituale, sociale, culturale, estetica». 
 La Cassazione ha ricordato altresì che il danno biologico, così definito, si correla alla lesione del diritto alla salute, da tenersi distinto dal diverso diritto alla vita.
 Ovviamente la Corte ne ha tratto la necessità di considerare autonomamente le lesioni rispetto alla morte, essendo «eventi che incidono su beni giuridici diversi, quali sono l’integrità psico-fisica e la vita, e ledono quindi diritti diversi».
 Ciò chiarito, la Cassazione ha sostenuto che «tale autonoma considerazione non può tuttavia condurre al riconoscimento della risarcibilità iure hereditario del danno biologico in ogni caso di lesioni mortali, e quindi anche nell’ipotesi di morte istantanea».
 La Cassazione si è dichiarata infatti disposta a condividere sul piano della logica formale l’assunto in base al quale la morte, per quanto rapida, non può essere contemporanea alla lesione, «atteso che il rapporto di causa ed effetto che lega lesioni e morte postula la successione cronologica (anche di un solo istante) dei due eventi»[15], ma, in linea con la decisione della Corte Costituzionale in Sgrilli c. Colzi e con lo schema precedentemente tracciato in Mormile c. MEIE[16], ha insistito sul fatto che un conto è la prova dell’esistenza del danno alla salute (prova in re ipsa[17]), diversa questione è invece l’entità di siffatto danno ai fini risarcitori, «necessitando al riguardo, secondo i principi propri del sistema vigente della responsabilità civile, l’ulteriore dimostrazione della consistenza del danno, da individuare, ai sensi dell’art. 1223 c.c., in una perdita o diminuzione di un valore (nel caso, di un valore personale) al quale il risarcimento deve essere commisurato».
 A quest’ultima osservazione la Suprema Corte ha aggiunto che, perché si concretizzi il danno biologico, deve intercorrere necessariamente un apprezzabile periodo di tempo tra l’evento lesivo e la morte, poiché solo così si ha una concreta perdita o riduzione di quelle potenzialità, che permettono alla persona umana di esplicare in modo pieno ed ottimale la propria vita.
 Sulla scorta di questi principi la Cassazione è giunta pertanto a ribadire che solo nell’ipotesi, in cui intercorra un apprezzabile lasso di tempo tra le lesioni e la morte causata dalle stesse, è configurabile nei confronti del danneggiato, con riferimento al periodo intermedio di permanenza in vita, un danno biologico, da liquidarsi in relazione alla effettiva menomazione della integrità psico-fisica patita sino al momento del decesso: il diritto del danneggiato a conseguire il risarcimento è trasmissibile agli eredi, che hanno dunque pieno titolo per agire iure hereditatis in giudizio nei confronti dell’autore dell’illecito.
 In relazione alla seconda questione, e cioè al danno biologico subito dalla congiunta a causa della perdita della vita quale danno ulteriore rispetto al danno biologico da lesioni, la Cassazione ha invece ritenuto di accogliere la tesi contraria alla sua risarcibilità: la Suprema Corte, richiamando ancora una volta Sgrilli c. Colzi, ha infatti evidenziato che, alla stregua del vigente sistema della responsabilità civile, l’oggetto del risarcimento non può consistere se non in una perdita cagionata dalla lesione di una situazione giuridica soggettiva e, dunque, «va negata la risarcibilità iure successionis della lesione del diritto alla vita di un congiunto, poiché la morte impedisce che la lesione si rifletta in una perdita a carico della persona offesa, ormai non più in vita, sicché non sorge nel patrimonio dell’offeso un diritto al risarcimento per la perdita della vita, trasferibile agli eredi».
 Questa profonda divaricazione tra lesione del diritto alla vita e lesione diritto alla salute caratterizza profondamente altre recenti decisioni della Cassazione: ad esempio Durante c. Ras Soc. (1997)[18], Monaco e altri c. La Nationale Assicurazioni (1997)[19], Assitalia S.p.A. c. Trisorio e altri (1998)[20] e Feverati c. Soc. Unipol ed altro (1998)[21]
 Insomma, per la Suprema Corte un conto è trattare di diritto alla salute, ben diversa questione è considerare il «danno alla vita». Ma allora, che ne è della protezione del diritto alla vita? Non si rischia di rendere menomato il sistema della responsabilità civile, sottraendo ad esso la protezione di beni fondamentali quali la vita?
 La Cassazione ha fornito nelle decisioni in esame una serie di argomentazioni per rispondere a questi interrogativi e superare così le perplessità più volte sollevate in dottrina: in Puglisi c. Sanremo Soc. in L.C.A., in Durante c. Ras soc. ed in Feverati c. Soc. Unipol ha infatti difeso le sue tesi, ricordando in particolare che l’ordinamento provvede senz’altro alla tutela del diritto alla vita, seppure con strumenti diversi dai meccanismi tipici della responsabilità civile e cioè tramite la previsione di sanzioni penali a carico dei responsabili dell’evento produttivo della morte: «alla tutela del diritto alla vita l’ordinamento provvede con strumenti diversi, ed in particolare mediante la previsione d sanzioni penali» (Feverati c. Soc. Unipol).


3. Il risarcimento della perdita della vita è un problema da archiviare?
 Come dovrebbe essere emerso dalla ricostruzione appena operata, la questione della risarcibilità della perdita della vita è per la Cassazione da ritenersi definitivamente risolta. 
 Peraltro, la maggior parte dei giudici di merito oggi seguono e sostengono pienamente tale orientamento[22]; a sua volta la dottrina ha spesso accolto questa soluzione in modo passivo ed acritico. Essa è stata altresì presa a modello dal legislatore in vari progetti di riforma della assicurazione r.c.a.[23], sebbene non siano poi approdati ad una legge risolutiva del problema in questione. Infine, l’indirizzo in questione è stato recepito dall’ISVAP nel recente progetto di legge sul danno alla persona e, in tempi ancora più vicini, dal Governo nel Disegno di Legge.
 Si aggiunga peraltro che lo studio degli altri sistemi giuridici ci indica che la strada della Cassazione è sostanzialmente quella seguita in Inghilterra[24], dai giudici francesi[25], nel diritto tedesco[26] e in tutti gli altri ordinamenti europei[27].
 Insomma, tutto ciò dovrebbe indurre l’interprete ad abbandonare l’intera questione. 
 Eppure i dubbi permangono e certo non può costituire sollievo che in tutti gli altri sistemi la soluzione è quella sposata dalla Cassazione: in primis, per la ragione che il nostro sistema ha le sue regole ed è con queste che devono essere fatti i conti, affinché il sistema sia coerente; in secondo luogo in quanto, se gli altri sistemi adottano una certa regola, ciò non significa che la stessa sia la migliore o l’unica possibile.
 Invero è condivisibile quanto ancora da ultimo è stato affermato e cioè che l’orientamento della Cassazione rimane comunque un «pensiero debole», che «non risolve i problemi teorici chiamati in causa dalla figura del danno biologico»[28].
 E allora, fino a quando non interverrà una disposizione di legge in materia, non c’è nessun motivo per arrendersi all’irrisarcibilità del danno da perdita della vita, anzi, come si vedrà oltre, sussistono varie argomentazioni a favore del
risarcimento di siffatto pregiudizio.


4. L’orientamento favorevole al risarcimento della perdita della vita.
 In primo luogo vale la pena ricordare che non mancano decisioni, anche recenti[29], in cui viene riconosciuta la risarcibilità di tale danno.
 La tesi favorevole al risarcimento della perdita della vita non è del resto nuova [30]
 L’orientamento positivo si è sviluppato principalmente sulla constatazione, molto pratica, che, essendo la salute di una persona un bene tutelato nel nostro ordinamento, essendo stata riconosciuta la risarcibilità dei danni arrecati a tale bene e costituendo la morte il danno supremo alla salute di una persona, sarebbe illogico e paradossale non garantire tutela risarcitoria quando la lesione sia stata tanto grave da provocare la soppressione del bene stesso.
 Secondo questo indirizzo la vittima principale, anche quando sia deceduta sul colpo, trasmette ai suoi eredi il diritto al risarcimento del danno biologico subito per la la lesione (totale) della salute, danno generalmente liquidato dalle corti, che accolgono questa tesi, nella misura del 100% d’invalidità o comunque vicinissima al 100%.
 Una prima decisione, in cui è stata accolta la soluzione positiva, è del Tribunale di Massa Carrara (1987)[31], sebbene l’Estensore si limitò in tale occasione ad una osservazione decisamente scarna: «non risultano precedenti, mentre la dottrina[32] vi ha fatto cenno ritenendo illogico e ingiusto non riconoscere la risarcibilità del danno biologico in caso di morte di fronte al riconoscimento dello stesso nell’ipotesi di lesioni del soggetto non seguite da morte». 
 Successivamente siffatta tesi fu fatta propria dal Tribunale di Roma in Del Monaco e altri c. ATAC e Soc. Ascoroma[33], primo vero leading case nel solco dell’indirizzo positivo, in cui si legge testualmente che, sebbene «la natura strettamente personale del bene salute quale diritto inviolabile dell’uomo sembrerebbe incompatibile con ogni possibilità giuridica di attrazione nella posta attiva dell’asse ereditario», tuttavia è opportuno tenere presente che «non è tale diritto a cadere in discussione, ma il sussidiario e conseguente diritto al risarcimento - di natura non personale ma pecuniaria - che, pur strumentalmente collegato al primo, ha una sua distinta ed autonoma individualità»[34].
 La decisione del Tribunale di Roma in Del Monaco e altri c. ATAC e Soc. Ascoroma venne impugnata, ma l’appello ebbe come esito un’ulteriore affermazione della tesi positiva[35]. La Corte d’Appello di Roma ritenne, infatti, di dover aderire alla tesi secondo cui il bene-vita, quale «sommo bene fisico», deve essere risarcito: «non si vede perché la morte, che è la perdita assoluta ed irreversibile dell’integrità psico-fisica, non debba essere risarcita, anche se sopravvenuta quasi immediatamente».
 Della decisione dei giudici romani merita richiamare in particolare i seguenti passaggi[36]:

1. la formulazione dell’art. 2043 c.c. «indica che il momento in cui sorge il diritto al risarcimento del danno non è quello in cui il danno si manifesti, bensì quello in cui, con il suo illecito comportamento, l’autore abbia creato i
presupposti del danno stesso»
;
2. «se è al momento del fatto illecito che sorge il diritto al risarcimento del danno (e quindi anche del danno alla
salute), non c’è chi non veda l’assurdità della tesi di coloro che non ritengono risarcibile il danno da morte sul
presupposto della mancanza in vita del titolare di quel «diritto personalissimo»
;
3. stando così le cose, il diritto al risarcimento nasce quando il suo titolare è ancora pienamente in vita: «solo in seguito egli subirà l’estremo danno», ma in quel preciso momento il suo diritto al risarcimento è già pienamente trasmissibile[37].

 Peraltro, sempre i giudici romani osservarono che una soluzione diversa porterebbe all’assurdo logico-giuridico che sarebbe più conveniente cagionare la morte dell’infortunato, piuttosto che semplici lesioni.
 Successivamente, nel solco dei precedenti romani[38], altre corti di merito, tra cui soprattutto il Tribunale di Massa Carrara[39], il Tribunale di Firenze[40] ed il Tribunale di Civitavecchia[41], hanno sostenuto l’indirizzo positivo.
 Le decisioni di questi Tribunali, come si avrà modo di osservare più avanti, non mancano di offrire all’interprete numerosi spunti a favore della protezione risarcitoria del bene-vita.
 Si deve tuttavia rilevare che non è chiaro se l’orientamento in questione sia contrario o favorevole alla risarcibilità, accanto al danno da perdita della vita, delle sofferenze che la vittima subisce nell’arco di tempo intercorso tra la vita e lo morte.
 Sulla necessità di distinguere tra questi due danni basti pensare che risarcire solo il primo implicherebbe non distinguere tra il soggetto che muore sull’istante senza nulla soffrire e la vittima che, prima di trapassare, subisce un vero e proprio calvario. 


5. Argomentazioni a favore della risarcibilità della perdita della vita (questioni di coerenza).
 In Puglisi c. Sanremo Soc. in L.C.A.[42] la Suprema Corte ha ritenuto infondata la critica, secondo cui, rimanendo la
lesione del fondamentale diritto alla vita del tutto sfornita di tutela privatistica, sarebbe per assurdo più conveniente, sotto l’aspetto economico, che la vittima muoia sul colpo piuttosto che resti permanentemente menomata anche solo in modo lieve[43].
 Secondo la Cassazione, infatti, l’assenza di una tutela nell’ambito della responsabilità civile non implicherebbe comunque un difetto di tutela del bene vita: quest’ultimo sarebbe invero protetto dall’ordinamento tramite i meccanismi della responsabilità penale[44].
 La posizione della Cassazione non è tuttavia così inattaccabile. Sarà poi così vero che la perdita della vita, come la Cassazione ha affermato in Puglisi, non può essere risarcita, in quanto «il risarcimento, in definitiva, mira a ricostituire, in forma specifica o per equivalente, la consistenza del patrimonio (inteso in senso lato, comprensivo quindi anche dei diritti alla persona) del soggetto vittima dell’illecito, e nel caso di morte tale ricostruzione non è possibile»[45]? Oppure il risarcimento può benissimo assolvere ad altre funzioni, tra le quali quella preventiva e quella punitiva? Non è forse «beffarda»[46] la considerazione che la vita è talmente più importante della salute da essere esclusa dai meccanismi risarcitori previsti per i danni biologico e morale?
 Argomenti per rispondere a questi interrogativi certo non mancano.
 Si può, ad esempio, osservare che senz’altro la perdita della vita costituisce una lesione di un bene giuridico costituzionalmente protetto (la vita)[47] e senza dubbio chi la subisce è una vittima nel senso che, attraverso la morte, ha subito un danno[48].
 Sul fatto poi che il bene giuridico leso non sia la salute, ma la vita ci sarebbe da disquisire a lungo, poiché sarebbe risibile sostenere che la morte non è una lesione alla salute.
 E’ invece del tutto realistico individuare il presupposto del diritto alla salute nel diritto alla vita: la protezione del primo bene non può che inserirsi nella più ampia tutela del secondo, costituendo la salute una qualità della vita.
 Sul punto il Tribunale di Massa Carrara[49], nella citata decisione Salvetti ed altri c. Bernardini e Soc. Assicurazioni d’Italia, ha osservato, addentrandosi in considerazioni pseudo-filosofiche, che «non è necessario che il leso viva perché si abbia danno alla salute essendo questa solo una qualità della vita o meglio l’in sé della vita, cioè di quella forza vitale che tende per virtù propria ad espandersi nel mondo esterno in una continua e incessante ricerca delle condizioni più favorevoli in un continuo e costante sviluppo degli adattamenti più consoni alla conservazione della vita».
 Sempre il Tribunale di Massa Carrara, nella sentenza Baria c. Panseri e Toro Assicurazioni, ha affermato che il diritto alla salute «dipende e non può prescindere dal diritto alla vita»[50].
 L’inquadramento della perdita della vita come lesione del bene salute o piuttosto del bene vita diventa tuttavia una semplice questione di classificazione della realtà, allorquando si consideri che un danno ad ogni modo sussiste ed è senz’altro risarcibile ex art. 2043 c.c.[51]: il problema che allora si pone è esclusivamente quello di scegliere se risarcirlo o meno.
 E qui ci troviamo a dovere risolvere un vero e proprio rompicapo.
 La tesi della Cassazione in Puglisi che la restitutio in integrum non possa operare nei confronti del morto è ovviamente logica, poiché solo in una realtà virtuale si potrebbe immaginare la restitutio in vitam e cioè un risarcimento in grado di riportare il defunto ad una condizione la più possibile vicina a quella precedente al tragico evento lesivo, ma è anche vero che lo stesso problema potrebbe essere posto per il risarcimento dei danni biologico e morale nelle ipotesi in cui la vittima rimanga in vita: un esperto scalatore ridotto alla paraplegia non potrà certo ritornare in cima alle sue amate cime, una madre ridotta alla cecità non potrà più vedere il sorriso dei suoi figli, un pianista, cui è stata amputata la mano, non potrà più suonare. Anche in questi casi, insomma, il risarcimento integrale è una finzione, un’idea platonica, un artificio, uno scopo raggiungibile solo nella realtà virtuale.
 Il fatto che la restitutio in integrum non possa trovare applicazione è, quindi, un’argomentazione facilmente superabile, almeno su un piano logico.
 Peraltro, se si vuole comunque rispondere alla Cassazione sullo stesso terreno (quello delle funzioni risarcitorie), sarà sufficiente individuare per il risarcimento in questione funzioni diverse da quella meramente reintegratoria.
 La Cassazione, sempre in Puglisi, ha negato questa possibilità, affermando che il risarcimento può solo avere finalità reintegratorie e riparatrici[52], ma questa risposta, che mira ad escludere in toto qualsiasi altra funzione del sistema risarcitorio, è contraddetta in primis dallo stesso ruolo «organizzativo» che la responsabilità civile gioca nel nostro ordinamento ed in altri sistemi giuridici[53].
 Molto semplicemente si può osservare che la responsabilità civile inerisce le conseguenze negative derivanti dall’attività umana che arrechi dei danni alla sfera giuridica altrui[54]: il complesso delle regole della responsabilità civile trova la sua più generale giustificazione nello scopo di evitare che si verifichino dei danni.
 Inquadrato in quest’ottica, il risarcimento dei danni, che oggi costituisce lo strumento principale attraverso cui opera la responsabilità civile, non può essere certo inteso come finalizzato esclusivamente a fornire un rimedio a situazioni ormai compromesse[55]
Attraverso il risarcimento dei danni la responsabilità civile attua e rafforza la sua funzione di prevenzione ed
autoregolamentazione del comportamento dei consociati: generare un danno non conviene, perché la condotta lesiva obbliga al risarcimento, chi rompe paga.
 Se dunque è vero che il risarcimento del danno svolge altre funzioni oltre quella squisitamente riparatoria e, talvolta, può anche arrivare a costituire un punishment privato[56], è altresì evidente che anche per la perdita della vita - la più grave che una persona possa subire - è ben possibile ipotizzare la liquidazione di un danno. 
 In questo senso si era già espresso ad esempio il Tribunale di Firenze in Marsili c. Giaccari[57], laddove il problema della perdita della vita veniva affrontato proprio alla luce delle funzioni che caratterizzano la responsabilità civile. In particolare il Tribunale rilevò che, assolvendo il risarcimento del danno alla salute - bene che di per sé non ha un mercato e dunque un prezzo corrente - squisitamente ad una funzione sanzionatoria, a maggior ragione la violazione più grave (la privazione della vita) deve postulare una sanzione maggiore.
 Sempre secondo i giudici fiorentini, mentre nel campo dei danni patrimoniali viene operata una prevenzione generica degli incidenti addossando sul danneggiante il costo della sua azione, al di fuori di questo settore non si assegna semplicemente un costo, ma la quantificazione del risarcimento viene utilizzata come deterrente specifico per scoraggiare determinate condotte lesive. 
 Per queste ragioni è giusto che la lesione alla salute sia risarcita anche se essa non ha un prezzo di mercato, con l’ulteriore conseguenza che, «se il risarcimento del danno assolve ad una funzione squisitamente sanzionatoria, non si vede davvero perché la violazione più grave non debba postulare la sanzione più grave ed invece giustifichi, almeno in riferimento al soggetto leso, l’assenza di ogni sanzione»[58].
 La stessa Corte di cassazione[59], del resto, è recentemente giunta, affrontando la vexata quaestio del risarcimento del danno morale ai congiunti della vittima principale rimasta in vita, a prendere atto che nella responsabilità civile possono ben albergare più funzioni e che il risarcimento del danno non patrimoniale può rispondere, oltre che alla funzione risarcitoria, anche a quella satisfattiva, punitiva e preventiva. 
 In breve, sulla base dell’analisi delle funzioni che svolge il risarcimento dei danni, si deve concludere che la possibilità di risarcire la perdita della vita iure successionis è anche da questo punto di vista assolutamente sostenibile. 
 Malgrado tutte queste argomentazioni a sostegno della risarcibilità della perdita di vita in sé e per sé considerata, bisogna tuttavia ammettere che non è semplice condannare o assolvere l’orientamento prevalente.
 Forse, in fondo, ciò che ostacola il risarcimento iure successionis della perdita della vita è l’idea di attribuire alla vita umana un prezzo.
 Ci troviamo, insomma, di fronte al classico dilemma della trasformazione dell’impalpabile in valori pecuniari: tale operazione forse potrà non piacere a tutti e talvolta potrà fare a pugni con l’incommensurabilità di determinati beni, ma, intanto, è su di essa che si regge in tutti gli ordinamenti il sistema risarcitorio dei danni non-patrimoniali[60]. Non si può insomma criticare tale operazione solo in determinati casi: o si critica in toto il principio per cui è possibile trovare un prezzo per l’uomo ed i suoi valori, oppure non si vede perché la trasformazione in denaro di perdite di valori incommensurabili possa avere luogo senza problemi in talune ipotesi (ad esempio la perdita della vista o dell’udito), mentre in altre (la perdita della vita) è bandita dalle corti quasi come si trattasse di un’idea blasfema. Profano o no è invero possibile parlare in termini pecuniari non solo della salute, ma anche della vita.
 Peraltro è pure possibile giungere in concreto a trovare delle vie, ovviamente convenzionali, per la quantificazione della perdita della vita: con un po' di fantasia (che in questo settore non può mai mancare) si possono, infatti, ipotizzare diverse soluzioni.
 Si potrebbe, ad esempio, chiedere al giudice di risarcire il danno non patrimoniale in questione prendendo come base di calcolo il danno biologico, che sarebbe spettato al defunto se, anziché morire, fosse rimasto in vita con un’invalidità del 100%[61].
 Oppure si potrebbe risarcire un’ammontare convenzionale, esattamente come fino a pochi anni or sono accadeva nel sistema inglese con il risarcimento iure successionis della c.d. «loss of expectation of life»[62], liquidato con una somma standard, che nel 1979 si aggirava intorno alle 1.250 sterline[63].
 Quest’ultima soluzione può trovare riscontro in Italia nella legge 25 febbraio 1992, n. 210 relativa alle varie ipotesi di conseguenze irreversibili derivanti dalle vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazioni di emoderivati, che prevede per l’ipotesi di morte, all’art. 2 3° comma, un indennizzo a carico dello Stato di 50 milioni, elevato a 150 milioni in maniera definitiva con la legge 25 luglio 1997, n. 238[64].
 Come si vede, dunque, non solo è coerente con le funzioni del sistema risarcitorio ed i principi costituzionali corrispondere un quid per la perdita della vita, ma è anche possibile attribuire a siffatto danno un valore, sebbene nessun criterio potrà essere condiviso da tutti data la matrice convenzionale di tale scelta.
 A questo punto l’interprete, anche a fronte dell’orientamento giurisprudenziale contrario al risarcimento del pregiudizio in questione, deve porsi un altro problema, chiedendosi quale soggetto sia tenuto a compiere la scelta di attuare o meno il risarcimento della perdita della vita: spetta al legislatore operare una decisione in questo senso oppure è possibile lasciare la materia ai giudici come finora è avvenuto?
 Anche la risposta a questa domanda implica una serie non indifferente di problemi. 
 Potremmo, per esempio, notare che la negazione del risarcimento della perdita della vita comporterebbe tutta una serie di conseguenze rilevanti sull’operatività delle varie funzioni dell’istituto della responsabilità civile: si avrebbe in primis una restrizione degli strumenti posti a disposizione dei soggetti legittimati iure successionis, con l’ulteriore effetto di una diminuzione, sui potenziali danneggianti, della pressione costituita dal riconoscimento di azioni in capo a soggetti non legati alla vittima da un rapporto affettivo stretto (lontani parenti, enti pubblici e privati, etc.).
 Insomma, si potrebbe ritenere che la decisione sulla risarcibilità di tale perdita sia essenzialmente una scelta «politica», che, in quanto tale, sarebbe opportuno lasciare al legislatore, il quale, a differenza dei singoli giudici, si trova certamente in una posizione più idonea per combinare insieme, anche nel rispetto dell’efficienza e del benessere del sistema, più elementi dell’ordinamento (regole della responsabilità civile, social security system, norme penali, sanzioni amministrative, etc.)[65].
 La via legislativa non sembra, in fondo, suonare così male, ma è ovvio che bisogna nutrire una certa fiducia in chi scrive le norme, il che non pare possibile in Italia, se solo si considera che in tutti questi anni non è mai stato avviato un dibattito serio in Parlamento su questa materia.
 Sul punto la recente proposta ISVAP e il disegno di legge del Governo si limitano a prendere atto dell’orientamento attuale della Corte costituzionale e della Cassazione, con una mera passiva accettazione degli assunti di tale indirizzo.


6. L’arco di tempo tra l’evento lesivo e la morte.
 Dopo questa lunga disamina sulle tesi relative alla risarcibilità del danno da perdita della vita è bene rilevare qui, onde evitare fraintendimenti, che sostenere il risarcimento di tale pregiudizio non implica affatto una rinuncia alla valorizzazione delle sofferenze che la vittima ha eventualmente provato prima di morire: senza dubbio un conto è morire senza nulla soffrire, altra situazione è quella della vittima che impiega un certo lasso di tempo a trapassare. Invero, dovrebbero essere pertanto due i danni risarcibili agli eredi: quello collegato alla perdita della vita e quello che prende in considerazione ciò che la vittima ha patito nell’eventuale arco di tempo intercorso tra l’evento lesivo e la morte.
 Per la morte immediata, in quest’ottica, sarebbe quindi ipotizzabile solo il risarcimento della perdita della vita, ma di questo rompicapo si è già detto a lungo sopra. Per quanto inerisce invece il secondo tipo di danno, dalle più recenti decisioni della Suprema Corte, che si sono occupate del problema, emerge in particolare quanto segue: a) poche ore si sofferenza non bastano a configurare un danno biologico da invalidità temporanea (Taddei c. Melini ed altri[66]); b) tre giorni non sono sufficienti a configurare siffatto danno (Monaco ed altri c. La Nationale Assicurazioni[67]); c) trenta giorni costituiscono un periodo di tempo «apprezzabile» e quindi meritevole di tutela (Puglisi c. Sanremo Soc. in L.C.A.[68]).
 A mio avviso non si può concordare con la Suprema Corte, quando dichiara che tre giorni o sei ore non possono dare origine al risarcimento iure succesionis del danno biologico, in quanto non costituirebbero un periodo di tempo apprezzabile ai fini del risarcimento del pregiudizio alla salute[69].
 Tale soluzione, peraltro collegata dalla Cassazione all’asserita impossibilità di procedere ad una qualsivoglia quantificazione, comporta contraddizioni palesi e decisamente infelici: se la vittima, ad esempio, rimane obbligata due giorni a letto e poi si riprende, avrà diritto a chiedere il risarcimento del danno biologico da invalidità temporanea totale; se invece la stessa muore, questi due giorni di sofferenza, peraltro spesso accompagnati dalla tragica consapevolezza di stare trapassando, vengono di fatto azzerati. 
 Non si potrebbe allora risarcire i due giorni, che precedono la morte, con lo stesso criterio convenzionale con cui viene risarcita l’invalidità temporanea, eventualmente aumentando il quantum per dare giusto peso all’evento morte che incombe sulla vittima?
 La logica ed il buon senso dovrebbero suggerire una risposta positiva a quest’ultimo quesito[70], contrariamente a quanto invece continua a sostenere, senza troppi sforzi argomentativi, la Cassazione[71].
 Fortunatamente vi sono corti di merito più concrete della Suprema Corte. Una risposta positiva, ad esempio, è stata data dalla Corte d’Appello di Firenze in Lizzo c. Borgogni e Allsecures Assicurazioni[72], in cui, osservandosi come «il giorno possa costituire un’entità temporanea sufficientemente definita e autonomamente valutabile ai fini risarcitori in relazione alla lesione dell’integrità psicofisica e al conseguente impedimento alla esplicazione piena e ottimale delle attività realizzatrici della persona umana nel suo ambiente di vita» e come il danno biologico da I.T. sia generalmente liquidato con l’attribuzione di una determinata somma per ogni giorno di invalidità, si è giunti alla conclusione per cui «è, in definitiva, da ritenersi che una sopravvivenza del leso che superi le 24 ore renda «apprezzabile» l’incisione del bene salute, concretizzando una perdita risarcibile delle suddette potenzialità e determinando l’insorgere di un dititto risarcitorio del leso trasmissibile agli eredi, a prescindere dal fatto che il danneggiato versasse o meno in condizioni di shock, posto che la lesione del diritto alla salute permane ed è «apprezzabile» sia in un caso che nell’altro»[73].
 Peraltro, si potrebbe andare oltre l’impostazione dei giudici fiorentini e giungere così a sostenere la risarcibilità anche di una manciata di ore: infatti, se per l’invalidità temporanea totale giornaliera attribuiamo, ad esempio, il valore di 100.000 lire, tale valore potrà essere diviso per il numero di ore, che compongono il giorno, e, volendo, a sua volta il valore orario per il numero di minuti fino a raggiungere il nano-secondo.
 E’ dunque chiaro, a questo punto, che la vera ragione del limite temporale posto dalla Suprema Corte non è tanto l’impossibilità di procedere alla quantificazione del danno, ma piuttosto la volontà di restringere ulteriormente l’area dei danni risarcibili a titolo ereditario.


7. «La lotteria dei risarcimenti» e l’incertezza sul quantum.
 Bisogna infine rilevare che l’orientamento attualmente seguito dalla Cassazione, con tutti i dubbi che esso lascia, offre spazio nella pratica a notevoli divergenze liquidatorie.
 Si hanno così, in un contesto di totale anarchia, corti, che hanno liquidato per una sola ora di vita ben 375 milioni di danno biologico[74], e corti, che, pur applicando lo stesso principio cui sono ricorse le prime, risarciscono per 56 giorni di sofferenza 5.600.000 lire[75]; senza poi contare i giudici, che, in palese contrasto con le decisioni della Corte di Cassazione, non applicano il criterio dell’apprezzabilità dell’arco temporale e riconoscono, attribuendo somme peraltro elevate, anche il danno biologico da morte istantanea (o danno da perdita della vita)[76].
 Tale situazione contribuisce senza dubbio a rendere il campo dei danni da morte una vera e propria «lotteria dei
risarcimenti»
[77], incentivando altresì, laddove sia possibile scegliere tra più fori, il fenomeno del cosiddetto «forum
shopping»
.
 L’incertezza, che regna nel campo dei danni da uccisione, incide inoltre sulla fase negoziale delle controversie, impedendo il raggiungimento di soluzioni transattive tra le parti ed incrementando quindi oltremisura il grado di conflittualità nel sistema risarcitorio.
 Certamente qualcuno potrebbe rilevare che tale stato di incertezza deriva dal fatto che talune corti di merito e parte della dottrina continuano, malgrado il diverso orientamento della Suprema Corte, a sostenere il risarcimento del danno da perdita della vita. Ma un’osservazione di questo genere potrebbe essere facilmente ribaltata: la causa di tale incertezze è invero la posizione assunta dalla Corte, imprecisa nell’indicazione dei criteri di liquidazione e incoerente con i principi più basilari del nostro sistema risarcitorio, che, come già osservato, collega il riconoscimento dei risarcimenti alla tutela di beni costituzionalmente protetti.


8. Conclusioni: le possibili vie di riforma (una proposta alternativa).
 Le considerazioni finora svolte non possono che portare all’ovvia conclusione che si deve giungere quanto prima a
ristrutturare per intero l’impianto risarcitorio dei danni da uccisione iure successionis
 Condividendo dunque la necessità di pervenire ad una soluzione definitiva in questo campo, è tuttavia necessario chiederci se un’eventuale riforma nella direzione indicata dall’ISVAP e dal Governo sia in grado di mettere la parola fine a tutti i problemi ed i dubbi sopra esaminati.
 Come già rilevato in premessa, i soggetti in questione, infatti, hanno optato per una piena ed incondizionata accettazione dell’orientamento della Cassazione, ed è innegabile che siffatta soluzione rischi di lasciare sostanzialmente immutato il sistema: come invero dimostra la prassi delle corti, alcuni giudici di merito, senza l’ausilio di chiare ed espresse indicazioni, continuerebbero a liquidare il danno biologico iure successionis nella misura pari al 100% di invalidità, mentre altri giudici di merito si limiterebbero a corrispondere somme di modestissima entità.
 A ciò si aggiungano le perplessità sopra espresse in critica alle tesi della Suprema Corte: non sarebbe, infatti, fuori luogo ipotizzare una nuova stagione di attacchi di incostituzionalità contro una disposizione di legge che nel futuro neghi il risarcimento del danno da perdita della vita.
 Se allora lo scopo, che si vuole raggiungere con la riforma, è di contribuire alla certezza del diritto e non già di restringere i risarcimenti in quest’area, si dovrebbero prendere in considerazione ipotesi alternative di riforma, che, pur garantendo maggiore certezza, siano meno restrittive verso la protezione del bene vita, risultino più coerenti con la ratio generale del sistema risarcitorio e, infine, non offrano il fianco ad eventuali eccezioni di incostituzionalità.
 Si potrebbe quindi proporre, in alternativa ai progetti ISVAP e del Consiglio dei Ministri, una disposizione di questo tipo:

 1. Nel caso di morte del danneggiato il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale subiti dal danneggiato si trasmette agli eredi.
 2. Qualora la morte del danneggiato sia la conseguenza delle lesioni cagionate dal responsabile, il giudice liquida agli eredi il danno biologico ed il danno morale sofferti dalla vittima, tenendo conto in via equitativa (1226, 2056) dei seguenti elementi:

 a) perdita del bene vita;
 b) età della vittima al momento del decesso;
 c) aspettative di vita della vittima principale al momento dell’evento lesivo;
 d) durata ed entità delle sofferenze intercorse tra l’evento lesivo ed il decesso».

 Il principio basilare, in questa disposizione, è che nel caso di morte del danneggiato il diritto al risarcimento del danno biologico e del danno morale subiti dal danneggiato si trasmette agli eredi, indipendentemente dal fattore temporale. Ciò garantisce quindi al diritto alla vita la giusta importanza anche sotto il profilo risarcitorio, e si evitano le condivisibili critiche sotto il profilo della tutela del bene vita. 
 Al contempo si respinge la soluzione, seguita da alcuni giudici di merito, di liquidare, con un non condivisbile automatismo e peraltro a prescindere dall’arco di tempo di sopravvivenza della vittima, il danno biologico iure successionis nella misura corrispondente al 100% di invalidità biologica, dovendo invece tale somma venire modificata in relazione alle aspettative di vita della vittima prima dell’evento lesivo. 
 Inoltre, la strada seguita in questa proposta alternativa permette di superare la questione della individuazione dell’arco di tempo apprezzabile tra l’evento lesivo e il decesso, potendo il risarcimento avere luogo anche nell’ipotesi di morte immediata o quasi istantanea, e dovendo il giudice considerare in concreto l’entità delle sofferenze intercorse nel periodo di sopravvivenza, che possono avere luogo anche in un arco di tempo limitato a poche ore o giorni.
 Ovviamente la soluzione delineata non verrà condivisa da coloro che mirano, attraverso la riforma legislativa, a realizzare il diverso fine di restringere i risarcimenti: purtroppo la posizione di quest’ultimi trova ampio riscontro nel progetto ISVAP e nel Disegno di Legge.



[1] Sul punto ISVAP, Il danno biologico: problemi e prospettive di riforma, Quaderni ISVAP, n. 4, Roma, 1998, 77. Per delle prime reazioni alla proposta: PETTI, Il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale della persona, Torino, 1999, 677; COMANDE' e TURCHETTI, Una prima analisi dei criteri di liquidazione del danno alla persona proposti dall’ISVAP, in Danno e responsabilità, 1999, 168 ss.; BONA e OLIVA, Il progetto di legge ISVAP sul danno alla persona (prime considerazioni), in MONATERI, BONA e OLIVA, Il nuovo danno alla persona, Milano, 1999, 147 ss.
[2] Il testo è reperibile in Guida al diritto, n. 24, 19 giugno 1999, 100-101.
[3] Così ancora da ultimo SACCHETTINI, Porte aperte del codice al danno biologico: ore contate per la giungla dei risarcimenti, in Guida al diritto, n. 24, 19 giugno 1999, 98.
[4] Nell’esaminare la questione riprenderò sostanzialmente quanto ho già avuto modo di osservare nei seguenti scritti: BONA, Il danno da perdita della vita: osservazioni a sostegno della risarcibilità, in Danno e responsabilità, 1999, 623 ss.; BONA, Lesioni mortali e danni tanatologici non pecuniari: danni risarcibili, quantificazione e questioni aperte, in MONATERI, BONA e OLIVA, Il nuovo danno alla persona, cit., 81 ss.; BONA, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, in Giur. it., 1998, 1589.
[5] Corte cost., 27 ottobre 1994, n. 372, in Resp. civ. prev., 1994, 976, con note di SCALFI, GIANNINI e NAVARRETTA, in Giust. civ., 1994, 3029, con nota di BUSNE.LLI, in Foro it., 1994, I, 3297, con nota di PONZANELLI, in Giur. it., 1995, I, 406, con nota di JANNARELLI.
[6] Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896 e Cass., 10 settembre 1998, n. 8970, in Danno e responsabilità, 1999, 305, con nota di CASO; Cass., 26 ottobre 1998, n. 10629, in Guida al Diritto, 1998, n. 45, 68 ss., con nota di MARTINI, in Foro it., 1998, 3109, con nota di DI CIOMMO; Cass., 30 giugno 1998, n. 6404, in Danno e responsabilità, 1999, 323, con nota di MARTORANA; Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, Cass., 24 aprile 1997, n. 3592 e Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, in Giur. it., 1998, 1589, con nota di BONA; Cass., Sez. III, 29 maggio 1996, n. 4991, in Foro it., 1996, I, 3107, con nota di CASO, in Danno e Responsabilità, 1997, 41 ss., con nota di NAVARRETTA; Cass., Sez. III, 28 maggio 1996, n. 4910, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1996, 115; Cass., Sez. III, 28 novembre 1995, n. 12229, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1996, 115; Cass., 12 ottobre 1995, n. 10628, in Arch. circolaz., 1996, 291; Cass., 29 settembre 1995, n. 10271, ined.; Cass., 2 marzo 1995, n. 2450, in Foro it., Rep. 1995, voce Danni civili, n. 53; Cass., Sez. III, 27 dicembre 1994, n. 11169, in in Foro it., 1995, I, 1852, con nota di CASO, in Resp. Civ. Prev., 1995, 281, con nota di GIANNINI; Cass., Sez. III, 6 ottobre 1994, n. 8177, in Foro it., 1995, I, 1852, con nota di CASO.
[7] Vedi nota precedente.
[8] In particolare: Cass., 30 giugno 1998, n. 6404, cit.; Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit. e Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, cit.
[9] Tale conseguenza si deve trarre in modo particolare da Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit.
[10] Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896, cit. (in cui si ribadisce che «gli eredi del defunto acquistano iure hereditatis il diritto al risarcimento del danno biologico sofferto dal proprio dante causa limitatamente ai soli danni verificatisi tra il momento dell’illecito e quello del decesso, qualora i due momenti siano separati da un apprezzabile lasso di tempo»); Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.; Cass., 28 novembre 1995, n. 12299, in Resp. civ. prev., 1996, 282.
[11] Sul punto si rinvia alla già citata Cass., 24 aprile 1997, n. 3592.
[12] Un ultimo esempio di questa rinuncia è la decisione della Suprema Corte in Taddei c. Melini e altri, Cass., 30 giugno 1998, n. 6404, cit.
[13] Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
[14] App. Napoli, 23 ottobre 1993, ined. 
[15] Sul distacco tra evento lesivo e morte è stato correttamente affermato che «da un punto di vista logico non può (...) esservi questione del tempo che un diritto al risarcimento impiega a maturare onde trasmettersi in capo agli eredi. I «diritti» non sono azioni umane, o beni, o frutti, o topi, che vivono nel tempo, ma in uno spazio logico. Cioè tra «fatto» e «diritto» esiste una relazione logica (istituita dall’ordinamento), ma non una relazione temporale. (...) Perciò, se la morte è una lesione della salute, l’evento more provoca (in senso logico giuridico) una lesione della salute la quale provoca (in senso logico giuridico) il sorgere di una pretesa risarcitoria. Non è che la morte (un fatto) coincide in senso temporale con la scomparsa della soggettività giuridica, sibbene la morte (un fatto) provoca (in senso
logico giuridico) anche la scomparsa della soggettività di quel soggetto. Perciò la morte provoca 8in senso logico giuridico) sia il sorgere della pretesa risarcitoria che la scomparsa di quel soggetto come soggetto giuridico, e quindi provoca (in senso logico giuridico) il trapasso della pretesa risarcitoria agli eredi», MONATERI, La responsabilità civile, Torino, 1998, 508-509.
[16] Cass., 29 maggio 1996, n. 4991, cit.
[17] Corte cost., 14 luglio 1986, n. 184, in Foro it., 1986, I, 2053, con nota di PONZANELLI, in Foro it., 1986, I, 2976, con nota di MONATERI, in Resp. civ. prev., 1986, 520, con nota di SCALFI.
[18] Cass., 24 aprile 1997, n. 3592, cit.
[19] Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, cit.
[20] Cass., 30 ottobre 1998, n. 10896, cit.
[21] Cass., 10 settembre 1998, n. 8970, cit.
[22] Tra le numerose decisioni si menzionano le seguenti: Trib. Biella, 6 febbraio 1998, in pubblicazione su Giur. it., 1999, con nota di BONA;  Trib. Monza, 28 ottobre 1997, in Resp. civ. prev., 1998, 1102; Trib. Viterbo, 24 gennaio 1997, in Giur. romana, 1997, 421; Trib. Latina, Sez. II, 13 marzo 1997, in Riv. giur. circ. trasp., 1998, 508; Trib. Roma, 7 aprile 1997, n. 7165, in Riv. giur. circ. trasp., 1997, 348; App. Torino, 6 novembre 1996, n. 1387, ined.; Trib. Torre Annunziata, 24 gennaio 1996, n. 75, in Riv. giur. circ. trasp., 1997, 628; Trib. Roma, 19 marzo 1996, n. 4503, in Riv. giur. circ. trasp., 1997, 348; Trib. Napoli, 8 luglio 1996, n. 6377, in Riv. giur. circ. trasp., 1997, 593; Trib. Torino, 8 agosto 1995, in Resp. Civ. Prev., 282, con nota di ZIVIZ; Trib. Trento, 19 maggio 1995, in Resp. civ. prev., 1995, 787 ss.; Trib. Asti, 27 gennaio 1995, n. 47; Trib. Roma, 12 luglio 1994, n. 10925, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1994, 865: sull’attuale orientamento compromissorio seguito dal Tribunale di Roma si rinvia a ROSSETTI-PINTO-RANIERI, Il danno biologico nella giurisprudenza del Tribunale di Roma, Roma, 1997, 22 ss.; Trib. Milano, Sez. XII, 2 settembre 1993, n. 8166, in Corriere Giuridico, 1994, 115, con nota di GIANNINI, in cui si afferma che il danno biologico «presuppone l’esistenza in vita della persona lesa e nulla ha a che fare con la morte istantanea o ad intervallo di tempo non apprezzabile poiché l’evento annulla l’esistenza e quindi anche le manifestazioni in cui si estrinseca l’integrità pisco-fisica»: i giudici milanesi sembrano ammettere invece la possibilità del risarcimento iure successionis del danno biologico, allorquando sia presente un certo arco di tempo tra l’evento lesivo e la morte; Trib. Genova, 5 giugno 1992, in Assicuraz., 1992, II, 164, con nota di TRICOLI; Trib. Ancona, 24 maggio 1991, n. 201, in Riv. Giur. Circ. Trasp., 1992, 312, con nota di BERTI; Trib. Napoli, 26 ottobre 1989, in Arch. giur. circ. sin., 1990, 408. 
[23] ALPA, Il danno biologico, cit., 12 ss.
[24] Da ultimo: LAW COMMISSION, Claims for wrongful death - A Consultation Paper, London, 1997.
[25] Cfr. LE ROY, L’évaluation du préjudice corporel, 14° ed., Paris, 1998.
[26] Cfr. MARKESINIS, The German Law of Obligations, Volume II, The Law of Torts: A Comparative Introduction, 3rd ed., Oxford, 1997.
[27] Per un’indagine di diritto comparato: CASO, La cassazione, la macchina del tempo e la risarcibilità iure hereditario del danno (biologico) da lesioni mortali, in Foro it., 1995, I, 1852.
[28] CASO, La risarcibilità iure hereditario del danno biologico da lesioni mortali: il diritto nella quarta dimensione, in Danno e responsabilità, 1999, 325.
[29] Si rinvia in particolare a due decisioni del Tribunale di Massa Carrara: Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, n. 670, in Archiv. Giur. Circolaz. Strad., 1998, 165 ss.; Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, in Danno e responsabilità, 1997, 354, con nota di COMANDè. Inoltre: Trib. Civitavecchia, 26 febbraio 1996, n. 76, in Riv. giur. circ. trasp., 1996, 958; Trib. Vasto, 17 luglio 1996, ined.; Pret. Montella, 12 aprile 1996, in Nuovo dir., 1998, 855, con nota di CIAMPI.
[30] In dottrina hanno sostenuto la tesi positiva soprattutto il Giannini e Rebuffat: REBUFFAT, Il risarcimento del danno ingiusto tanatologico, cit.; GIANNINI, Il vecchio sistema risarcitorio e il riconoscimento del danno biologico, in Corriere Giuridico, 1994, 116; GIANNINI, Lesioni mortali, danni biologico e danno psichico, in Corriere Giuridico, 1994, 15; GIANNINI, La questione del danno biologico in ipotesi di lesioni mortali, finalmente al vaglio della Corte Costituzionale, in Resp. Civ. Prev., 1994, 133; GIANNINI, Il risarcimento alla persona nella giurisprudenza, Milano, 1991, 99; GIANNINI, Il danno alla persona come danno biologico, Milano, 1986. In epoca più remota ha sostenuto la tesi della trasmissibilità ereditaria del danno da uccisione nel caso di morte istantanea DE CUPIS, Il Danno, Milano, 1970, II, 114 ss. Da ultimo ha condiviso i principi dell’orientamento positivo CASO, La risarcibilità iure hereditario del danno biologico da lesioni mortali: il diritto nella quarta dimensione, cit.
[31] Trib. Massa Carrara, 20 luglio 1987, n. 257, ined. Successivamente Trib. Massa Carrara, 20 gennaio 1990, in Resp. civ. prev., 1990, 613, con nota di NAVARRETTA.
[32] L’Estensore faceva chiaramente riferimento a GIANNINI, Il danno alla persona come danno biologico, Milano, 1986, 127-128.
[33] Trib. Roma, 24 maggio 1988, in Foro it., 1989, I, 892, con nota di PARENTE.
[34] In dottrina è stato osservato che si può giungere alle stesse conclusioni dei giudici romani attraverso la teoria generale dell’illecito civile. In particolare, prendendo spunto dal risarcimento del danno futuro, si è notato che i criteri di risarcibilità del danno non prevedono come requisito necessario la contemporaneità tra fatto illecito e danno: il diritto al risarcimento del danno viene acquistato nel momento in cui ha luogo il fatto lesivo e cioè quando il soggetto è ancora in vita. Il credito pecuniario ricade nel patrimonio della vittima, quando questa subisce la lesione mortale: nel momento, in cui si verifica il decesso, si sono infatti prodotti tutti gli elementi della fattispecie da cui sorge l’obbligo risarcitorio, cosicché quest’ultimo può trasmettersi agli eredi, a prescindere dalla sussistenza o meno di un lasso di tempo tra l’evento lesivo e la morte. PARENTE, Legittimazione «iure hereditario» al risarcimento del danno biologico per decesso, in Foro it., 1989, I, 897-898.
[35] App. Roma, 4 giugno 1992, in Resp. Civ. Prev., 1992, 597, con note di GIANNINI e POGLIANI.
[36] Si osservi che i giudici romani richiamano espressamente la tesi sostenuta nel 1986 dal Giannini in Il danno alla persona come danno biologico, cit. Il Giannini, commentando la sentenza dei giudici romani, ha ovviamente apprezzato le tesi ivi sostenute: GIANNINI, La risarcibilità del danno biologico in ipotesi di lesioni mortali, cit.. Al commento del Giannini si contrappongono i rilievi critici di Pogliani, fautore della tesi negativa, POGLIANI, Il danno biologico entro ma non oltre i confini della vita, Resp. Civ. Prev., 606 ss.). I due compianti Autori si sono spesso confrontati su queste tematiche: GIANNINI-POGLIANI, Una garbata disputa autorevolmente diretta sul danno biologico da morte, in Dir. Prat. Assic., 1989, 361; GIANNINI-POGLIANI, Il danno da illecito civile, Milano, 1997, 233 ss.
[37] In questo modo la Corte d’Appello di Roma agganciava la risarcibilità del danno al fatto causativo del medesimo piuttosto che all’evento naturalistico.
[38] I giudici romani hanno sostenuto l’indirizzo positivo anche in sentenze successive: App. Roma, 2 giugno 1994, in Assicur., 1995, 23; Trib. Roma, 20 gennaio 1993, in Riv. giur. cir, trasp., 1993, 339.
[39] Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, n. 670, cit.; Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
[40] Trib. Firenze, 18 novembre 1991, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1992, 39.
[41] Trib. Civitavecchia, 26 febbraio 1996, cit.
[42] Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
[43] Proprio per evitare di cadere nell’assurda constatazione che sarebbe più conveniente il decesso istantaneo della vittima, la Corte d’Appello di Roma, ad esempio, ha preferito optare in Del Monaco ed altri c. ATAC e soc. Ascoroma per la soluzione positiva alla risarcibilità del danno biologico anche in caso di morte immediata: App. Roma, 4 giugno 1992, in Resp. Civ. Prev., 1992, 597, con note di GIANNINI e POGLIANI.
[44] Siffatto orientamento sembra porsi in netto contrasto con l’orientamento espresso dalla Corte costituzionale, la quale ebbe ad affermare che i diritti inviolabili e garantiti dalla Costituzione non possono tollerare limiti a livello risarcitorio: Corte cost., 26 luglio 1979, n. 87, in Foro it., 1979, I, 2543. Si aggiunga inoltre che in Italia la responsabilità penale sembra sempre meno capace di muovere i soggetti all’autoregolamentazione, soprattuto in settori quali la circolazione dei veicoli, la sicurezza sul lavoro e la responsabilità medica.
[45] Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
[46] Così PALMIERI, Il danno da morte tra motivazioni giuridiche ed analisi economica, in Danno e responsabilità, 1998, 48.
[47] Sul punto è inevitabile il rinvio alla coraggiosa sentenza del Tribunale di Massa Carrara in Baria c. Panseri e Toro Assicurazioni, in cui si legge appunto che «il ‘diritto alla vita’ definito in dottrina ‘essenziale tra gli elementi essenziali’ trova la sua fonte giuridica primaria nell’articolo 2 della Cost. che è norma precettiva al pari se non addirittura con portata maggiore dell’articolo 32 Cost.. E’ proprio la regola generale (art. 12 delle preleggi) invocata da certa dottrina, che impone di considerare non isolatamente l’art. 32 Cost., ma in funzionale collegamento con l’art. 2 Cost. che ne costituisce il presupposto logico e giuridico. Infatti in base all’articolo 2 la Respubblica Italiana non solo deve ‘riconoscere’ il diritto inviolabile alla vita (...), ma deve garantirlo». Il Tribunale in questione ha richiamato altresì la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (approvata dall’ONU il 10 dicembre 1948 e ratificata dall’Italia con legge 4 agosto 1955, n. 848), che all’art. 3 statuisce che «ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona». Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
[48] Come giustamente è stato affermato dal Pretore di Montella in Rosamilia e altri c.ESI SUD S.p.A., «non si comprende come la morte, che costituisce la massima lesione del diritto alla salute, debba essere sfornita di quella tutale risarcitoria che, invece, è riconosciuta anche a forme lievi di compressione dell’integrità fisiopsichica», Pret. Montella, 12 aprile 1996, cit.
[49] Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, cit.
[50] Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
[51] Come già rilevato alla nota 27, il bene leso (la vita) corrisponde, infatti, ad una posizione soggettiva costituzionalmente garantita (art. 2 + art. 32 Cost., oppure anche solo art. 2 Cost.). Giustamente è stato osservato che «alla luce di una interpretazione non restrittiva dell’articolo 2043 del codice civile e dell’articolo 32 della Costituzione, il contenuto del risarcimento del cosiddetto danno biologico deve essere inteso quale presidio non solo risarcitorio ma anche sanzionatorio del diritto alla vita», Follatello c. Soc. Gan Italia, Trib. Civatevecchia, 26 febbraio 1996, n. 76, cit. Sull’applicazione diretta delle norme costituzionali nei rapporti soggettivi: MORELLI, Materiali per una riflessione
sulla applicazione diretta delle norme costituzionali da parte dei giudici, in Giust. civ., 1999, II, 3. Si può poi porre allora la questione, essenzialmente nominalistica, di come qualificare tale danno all’interno del 2043 c.c. e le soluzioni sul punto possono essere molteplici: si potrebbe, ad esempio, decidere di risarcirlo come voce autonoma di danno e, quindi, attribuirgli un’etichetta propria (soluzione forse preferibile onde evitare confusioni con il danno biologico, nel caso di sopravvivvenza della vittima per un certo lasso di tempo), oppure, soluzione meno preferibile, si potrebbe, come ad esempio hanno fatto il Tribunale di Massa Carrara, il Tribunale di Civitavecchia e la Pretura di Montella nelle
sopra citate sentenze, ricondurlo nell’ambito del danno biologico (non è vero che, dal punto vista medico-legale, il 100% di invalidità  corrisponde alla morte?) o, altra soluzione, collocarlo nella nuova categoria del danno esistenziale, essendo, senza alcuna ombra di dubbio, l’esistenza della vittima azzerata (danno esistenziale iure successionis). Tra le due ultime soluzioni prospettate (danno biologico oppure danno esistenziale iure successionis) è ben difficile dire quale sia quella preferibile: malgrado, infatti, le distinzioni intercorrenti tra danno biologico e danno esistenziale (soprattutto di tipo probatorio, poiché ben difficilmente si potrebbe avere un consulente tecnico esperto in «esistenzialità»), bisogna ammettere che nel caso di specie la perdita della vita potrebbe collocarsi indifferentemente sotto entrambe le categorie, venendo contenuti e prova a coincidere. La prova del danno è infatti l’avvenuta morte, sia che la perdita della vita sia inquadrata come danno biologico, sia che la stessa venga ricondotta al danno esistenziale. Escluderei, invece, di risarcire la perdita della vita come danno morale, poiché la sua collocazione è senza dubbio nel 2043 c.c. e, inoltre, diversi sono i contenuti (ben difficilmente la perdita della vita in sè e per sè considerata
potrebbe essere vista come un perturbamento dell’animo, a meno che non si voglia pensare i morti condannati ad essere in pena anche dopo il trapasso).
[52] «Nel vigente ordinamento il risarcimento non riveste natura di sanzione, né ha carattere di assoluta generalità, bensì svolge la specifica funzione di reintegrazione e riparazione di effettivi pregiudizi conseguenti a fatti illeciti, sicché può operare solo ove sussistano tali presupposti, e cioé non oltre i limiti strutturali che segnano l’ambito del sistema della responsabilità civile», Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704.
[53] Del resto, come in modo convincente è stato rilevato da Monateri, la funzione principale della responsabilità civile è quella organizzativa e cioè quella di «produrre un coordinamneto soddisfacente delle azioni sociali basato non su una serie di comandi centrali, ma su una serie di decisioni decentrante dei vari agenti», MONATERI, La responsabilità civile, Torino, 1998, 22.
[54] Questa nozione elementare, ma decisamente efficace della responsabilità civile, è tratta dallo scritto di PONZANELLI, La responsabilità
civile, Bologna, 1992, 9. Per un quadro generale della responsabilità civile si rinvia ad ALPA, I fondamenti filosofici della responsabilità civile (a proposito di un libro di Izhak England), in AA.VV., La responsabilità civile - Aggiornamento 1989-1996, a cura di ALPA-BESSONE, Torino, 1997, I, 3 ss.
[55] In dottrina, con un invito a non caricare di significati impropri il diritto al ristoro dei danni, si è osservato che il risarcimento del danno «resta principalmente una misura per regolare la condotta, e solo in subordine meccanismo di sussidio ai danneggiati», COSENTINO, La responsabilità civile e le ragioni dell’analisi economica, in Danno e responsabilità, 1996, 403.
[56] Sui punitive damages nel nostro ordinamento si rinvia ai seguenti scritti: MONATERI, La responsabilità civile, Torino, 1998, 22; GIANNITI, Responsabilità civile e penale a confronto, Padova, 1998, 172; PETRELLI, Il danno non patrimoniale, cit., 122 ss.; PONZANELLI, La responsabilità civile, op. cit.; BUSNELLI-PATTI, Danno e responsabilità civile, Torino, 1997; COVINO, Danno e reato, Milano, 1997, 59 ss.; GALLO, Pene Private e Responsabilità Civile, Milano, 1996; FRANCO, Diritto alla salute e responsabilità civile del datore di lavoro, Milano, 1995, 387; ALPA, Responsabilità civile e danno, Bologna, 1991, 79 ss.; ROXIN, Risarcimento del danno e fini della pena, in Riv. it. dir. e proc. pen., 1993, 865; ZENO-ZENCOVICH, Il problema della pena privata nell’ordinamento italiano: un approccio comparatista ai «punitive damages» di «common law», in Giur. it., 1985, IV; BONILINI, Pena privata e danno non patrimoniale, in Le pene private, a cura di BUSNELLI -SCALFI, Milano, 1985, 301 ss.; BRICOLA, La riscoperta della «pena privata» nell’ottica del penalista, in Foro it., 1985; BUSNELLI, Verso una riscoperta delle «pene private?», in Le pene private, op. cit., 3 ss.; CENDON, Pena privata e diffamazione, in Pol. dir., 1979.
[57] Trib. Firenze, 18 novembre 1991, in Arch. giur. circ. sin. strad., 1992, 39.
[58]Trib. Firenze, 18 novembre 1991, cit. 
[59] Cass., 23 aprile 1998, n. 4186, in Danno e responsabilità, 1998, 688, con nota di DE MARZO. Nello stesso senso: Cass., 19 maggio 1999, n. 4852, ined. (Generali Ass. S.p.A. c. Maturi e altri).
[60] In dottrina è stato osservato che «un risarcimento va effettuato, anche in casi in cui può sembrare immorale (perchè si va a valutare il prezzo di un diritto indisponibile), sia per compensare in qualche modo la vittima, sia soprattuto per mantenere l’efficacia deterrente del sistema della responsabilità civile, ponendo tra l’altro giusti incentivi perché i danneggiati agiscano in giudizio, denunciando i fatti», COSENTINO, La responsabilità civile e le ragioni dell’analisi economica, cit., 412.
[61] Questa è stata la soluzione seguita dal Tribunale di Massa Carrara in Salvetti ed Altri c. Bernardini e Soc. Assicurazioni d’Italia (Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, n. 670, cit.), dal Pretore di Montella in Rosamilia c. ESI SUD S.p.A. (Pret. Montella, 12 aprile 1996, cit.) e dal Tribunale di Civitavecchia in Follatello c. Soc. Gan Italia (Trib. Civitavecchia, 26 febbraio 1996, n. 76, cit.). In questo senso si è espressa altresì parte della dottrina francese: MAZEAUD e TUNC, Traité théorique et pratique de responsabilité civile, 5° éd., t. II, n° 1912. Tali autori, a favore del risarcimento della perdita della vita, si esprimono peraltro in questi termini: « le dommage est nécessairement subi par la victime avant son décèe. Si rapide qu’ait été la mort, il s’est forcément écoulé entre elle et les coups portés au moins un istant de raison. Obligatoirement, les coups ont précédé la mort. Dans cest instant, si bref fût-il, où la victime déjà atteinte n’était pas encore décédée, dans cet instant où son patrimoine existait encore, est née la créance d’indemnité». Sulle teorie relative al «pretium mortis» in Francia si rinvia a LE ROY, L’évaluation du préjudice corporel, 3° ed., Paris, 120.
[62] In base al Law Reform (miscellaneous Provisions) Act 1934 l’estate del defunto poteva ottenere il risarcimento della loss of expectation of life anche nell’ipotesi di morte istantanea: Rose v. Ford [1937] AC 826, [1937] 3 All E.R., 359, HL. La loss of expectation of life è stata poi abrogata dall’Administration of Justice Act 1982, sebbene non sia del tutto scomparsa dal sistema andando ad esempio ad incrementare il quantum del risarcimento corrisposto per il pain and suffering patito dalla vittima nel periodo intercorrente tra l’evento lesivo e la morte. Per una ricostruzione storica del percorso relativo al risarcimento della loss of expectation of life si rinvia al recente lavoro della Law Commission sulle perdite non pecuniarie: LAW COMMISSION, Damages for personal injury: non-pecuniary loss, London, 1995, 10-12.
[63] Gammel v. Wilson [1982] AC 27, [1981] 1 All E.R. 578, HL.
[64] La legge è pubblicata in Danno e responsabilità, 1997, 649 ss., con commento di PONZANELLI.
[65] La via legislativa è stata percorsa, ad esempio, in Inghilterra (Law Reform (Miscellaneous Provisions) Act 1934, Fatal Accidents Act 1976 e Administration of Justice Act 1982), in Danimarca (Act on Liability for Damages, 23 maggio 1984, n. 228) e negli Stati Uniti.
[66]Cass., 30 giugno 1998, n. 6404, cit.
[67] Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, cit.
[68] Cass., 25 febbraio 1997, n. 1704, cit.
[69] Cass., 26 settembre 1997, n. 9470, cit., in cui si legge testualmente che «il decesso del Monaco avvenuto dopo solo tre giorni dal fatto illecito ha reso, in pratica, inquantificabile il pregiudizio alla salute, non essendo stati i due momenti fatto ilecito e decesso separati da un apprezzabile lasso di tempo».
[70] In questo stesso senso si veda NAVARRETTA, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, cit., 133, oltre le mie osservazioni in BONA, Diritto alla vita e risarcimento iure successionis dei danni biologico e morale: la soluzione della Cassazione, la risposta negativa alla risarcibilità della perdita della vita e la questione (irrisolta?) dei secondi, dei minuti e delle ore tra la vita e la morte, cit.
[71] Si rinvia ovviamente anche qui alla già citata decisione della Cassazione in Puglisi c. Sanremo Soc. in L.C.A.
[72] App. Firenze, 12 ottobre 1998, ined.
[73] La Corte d’Appello di Firenze ha liquidato per ogni giorno di sopravvivenza la somma di L. 300.000.
[74] Trib. Napoli, 18 febbraio 1995, in Resp. civ. prev., 1996, 479. Sempre il Tribunale di Napoli ha risarcito il danno biologico di una donna di 73 anni sopravvissuta all’evento lesivo per 13 giorni, peraltro trascorsi in stato di coma, liquidandolo in L. 110.000.000, Trib. Napoli, 6 marzo 1995, n. 2285, in Resp. civ. prev., 1996, 479. Il Tribunale di Massa Carrara, per un giorno di sopravvivenza, ha liquidato 317.000.000 a titolo di danno biologico iure successionis per la morte di un pensionato di 66 anni, Trib. Massa Carrara, 16 dicembre 1997, n. 670. In un altro caso il Tribunale di Massa Carrara ha risarcito, a fronte della morte di un ragazzo di 17 anni avvenuta dopo 21 giorni dall’evento lesivo, un danno biologico iure successionis liquidato in L. 800.000.000, Trib. Massa Carrara, 19 dicembre 1996, cit.
[75] Trib. Biella, 6 febbraio 1998, cit.
[76] Il Pretore di Montella, nella già menzionata decisione Rosamilia c. ESI SUD S.p.A., ha liquidato a titolo di danno biologico iure successionis, per il decesso immediato di un soggetto di 24 anni, la somma record di L. 932.875.000 (circa 10 milioni per ogni punto di invalidità), Pret. Montella, 12 aprile 1996. A sua volta il Tribunale di Firenze in Marsili c. Giaccari ha liquidato il danno biologico iure successionis in 180 milioni.
[77] L’espressione è tratta dal titolo dell’ultimo libro di ATIYAH, The damages lottery, Oxford, 1997.

*Avvocato, Torino


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