CULTURE LOCALI/POLITICHE LOCALI

Capitolo III

LA DIFFERENZIAZIONE CULTURALE

 

  

Nella relazione complessa che si dipana tra cultura e culture locali, decisivo è il ruolo giocato dalla politica. In un certo qual modo, possiamo dire che la politica e le politiche locali fungano da filtri di mediazione nel rapporto tra cultura e culture locali. Ora, non è possibile delimitare con sufficiente precisione l'azione di filtro della politica e delle politiche, se non si traccia la scala delle differenziazioni culturali.

Individuiamo 4 scale di differenziazione culturale:

  1. la differenziazione centrale;
  2. la differenziazione periferica;
  3. la differenziazione decisionale;
  4. la differenziazione simbolica.

 

1) Partiamo dalla scala di differenziazione centrale.

Esiste:

    1. un piano generale della cultura
    2. e un piano particolare della cultura politica.

A loro volta, questi due piani si stratificano in sottodimensioni, autonomamente articolate e interrelate.

La generalità del piano culturale non sta ad indicare una sua anteriorità ontologica o una sua prevalenza teleologica a confronto della particolarità della cultura politica. Non esiste, insomma, una relazione di dipendenza meccanica della cultura politica dalla cultura. Tuttavia, rimane chiaro che la cultura politica, nella sua mappa fondazionale, ha architravi culturalmente orientate in maniera pre e post-politica. Questo vuol dire che la politica:

    1. ha anche fondazioni e legittimazioni culturali di tipo generale;
    2. fa un uso assolutamente originale della cultura, per la messa a punto dei suoi codici, delle sue categorie, dei suoi strumenti e delle sue prassi
    3. si discosta dall'orizzonte della cultura, secondo una doppia direzionalità: (i) o l'apertura politica e poietica di un universo di senso denotante maggiori libertà, democrazia e partecipazione per il singolo e la collettività; (ii) oppure il ripiegamento entro forme anguste, se non soffocanti o addirittura inesistenti, di democrazia e partecipazione.

A livello di differenziazione primaria, siamo in presenza non solo e non tanto dello scarto tra cultura e (cultura) politica; bensì al cospetto di due determinazioni fondamentali e insostituibili dell'esserci e del fare della condizione umana:

    1. l'esperienza/costruzione culturale dello spazio/tempo reale ed immaginario
    2. la rappresentazione/organizzazione politica dello spazio/ tempo socio-umano.

Da queste due determinazioni fondamentali, come in un processo a valanga, prendono origine:

    1. da un lato: le culture che costituiscono l'habitat creativo e simbolico dei singoli e degli aggregati collettivi;
    2. dall'altro: le politiche dell'organizzazione del legame sociale e comunitario.

Ne consegue tanto una proliferazione delle culture quanto una proliferazione delle politiche. Tra questi due ambiti e all'interno di ognuno, proprio in ragione di ciò, occorre aprire una relazione altamente dialogica e comunicativa, che non escluda o rimuova il conflitto. Al contrario, i processi mai risolti di proliferazione/frantumazione culturale e politica richiedono una modalità di comunicazione culturale e politica altamente conflittuale, capace di interpretare e mettere in dialogo posizioni e identità lontane, diverse se non contrapposte. La modalità di comunicazione conflittuale è la base per la messa in forma e in opera di un nuovo scenario culturale e politico. In esso attori sociali, soggetti, istituzioni ed etnie contribuiscono ad allestire un teatro di senso inedito, nel quale possono pienamente riconoscersi, senza perdere la loro identità originaria. L'identità viene, così, da tutti apertamente messa in gioco: di essa si fa investimento, per arricchirla e variarla nella successione storica e nell'esperienza dello spazio/tempo pubblico e privato, in una costante apertura conflittuale all'altro e al diverso.

 

2) Accanto alla differenziazione tra la dimensione generale della cultura e quella particolare della cultura politica ne rileviamo una periferica non meno rilevante. In ogni unità del sistema sociale e della configurazione storico-territoriale, sussiste:

    1. il piano delle culture locali
    2. e il piano delle politiche locali.

Sul piano storico, è possibile rilevare come, in generale, questi due piani vadano divaricandosi progressivamente nel corso del tempo. Al punto che oggi possiamo congruamente dire che il tratto distintivo delle politiche locali sia stato proprio quello di separarsi dalle culture locali (prima), per destrutturarle (dopo). Il fenomeno è particolarmente operante nel Mezzogiorno d'Italia e nelle aree periferiche e semiperiferiche del mondo.

Se, in generale - come abbiamo visto -, esiste sempre una linea di confine tra politica e ambiente, le politiche locali, nella grande maggioranza dei casi, operano in una relazione dicotomica col proprio ambiente, a partire dalla più completa denegazione, non solo e non tanto della cultura in generale, ma dei ruoli, delle funzioni e dell'identità delle culture locali in particolare. Al livello locale, si corona quel processo di erosione della cultura operato dalla politica e dalla cultura politica. Lo svuotamento dei potenziali interni alle culture locali è la pre-mossa per il loro infeudamento sotto gerarchie di senso, entro cui si va accentuando la posizione ancillare della cultura a confronto della politica.

I modelli culturali e politici, così, sovraimposti dislocano una rete simbolica e identificativa surrettizia, nel seno della quale i processi di autoriconoscimento e riconoscimento sono costantemente mediati da codici la cui elaborazione avviene all' esterno dell'ambito locale; codici che, per questo, sono tramite e contrassegno di estraneità e di colonizzazione. Il villaggio globale della razionalità scientifica e politica dominante mette in ombra e seppellisce sotto macerie simboliche i villaggi locali. A loro volta, nel tentativo di difendersi, i villaggi locali rimangono intrappolati nel riflesso condizionato del rifiuto pregiudiziale delle dimensioni del globale. Un cortocircuito culturale di base dà luogo ad un'occlusione comunicativa, la quale si allarga dal globale al locale, occupando ed evacuando tutti i territori di senso della comunicazione culturale e politica. I fenomeni della socializzazione "socializzano" in maniera diffusiva la frattura e il vuoto intervenuti e dislocati nelle regioni remote dell'esserci comunicativo della condizione umana e delle forme sociali organizzate. Cosicché lo spaesamento che ne consegue, da condizione di mancanza e conflitto, si fa identità compiuta, razionalizzata e metabolizzata attraverso la produzione e riproduzione di vere e proprie culture dello sradicamento. Culture che sono la base ispirativa di comportamenti sociali, umani e politici che "agiscono" lo sradicamento come fattore di sgravio del carico problematico dell'esistenza e della vita politica. Si tenta qui di rendere irreversibile la perdita delle origini e del proprio habitat locale, attraverso la messa in teoria della loro insignificanza e/o irrecuperabilità. Lo sradicamento, da occasione di riflessione e rielaborazione critica, si muta in fattore di assimilazione acritica dei dati culturali e politici trionfanti, oppure in via di fuga. Qui, cercando di mettere più solide radici nel presente, si tagliano le radici del tempo storico ed esistenziale. Il carattere ancillare della cultura nei confronti della politica e la chiusura sulle culture locali operata dalle politiche locali tentano di dare una nuova rappresentazione del presente e delle articolazioni del tempo: non già mettere radici nel tempo e nel presente; bensì mettere radici al tempo e al presente, cercando di direzionarli dall'alto secondo una teleologia che risponde unicamente alle esigenze di potere della politica e della cultura ad essa infeudata.

 

3) Per solito, si tende a sottovalutare il ruolo e il peso delle idee nella presa delle decisioni politiche e, più in generale, all'interno della dinamica delle performances collegate al comportamento umano. Mentre, invece, il "potere delle idee", anche se sovente nascosto e non di immediata lettura, è grande, se non decisivo.

A titolo diverso - ed entro un diverso "ordine del discorso" -, ciò è stato acutamente osservato da grandi pensatori, così distanti tra loro, come Marx, Keynes e Hayek (1). Ma non è grande il potere di tutte le idee o delle idee in quanto tali; rilevante è il potere delle idee delle macronarrazioni razionali che hanno accompagnato la formazione e lo sviluppo della scienza e dello Stato dalla modernità alla contemporaneità (2). Ora, è proprio la modalità di pensiero razional-statuale a interiorizzarsi nelle coscienze e nell'immaginario collettivo, fino a diventare senso comune. Diventata senso comune, rimane in auge, pur a fronte della sua crisi irreversibile che data perlomeno alla "crisi dei fondamenti" a cavallo tra XIX e XX secolo. Questa modalità di pensiero trova la sua realizzazione compiuta nell'economia politica e in guisa di "legge universale economica" si erge a regola e finalità del comportamento umano e sociale. Da qui la genialità dell'esigenza marxiana di una critica coerente e radicale dell'economia politica e, insieme, i suoi profondi limiti gnoseologici ed epistemologici. Il comportamento economico è un precipitato cristallizzato della modalità di pensiero razional-statuale, dai cui modelli culturali e scientifici prende origine. Per rimanere ai pensatori a cui abbiamo appena fatto cenno:

    1. contrariamente a quanto assunto da Marx, il comportamento economico, con il corollario dei suoi interessi strumentali, non è la base invariante su cui si edifica la società borghese-capitalistica;
    2. diversamente da quanto ritenuto da Keynes ed Hayek, non sono le idee degli economisti a fungere quale riserva primaria di produzione degli atteggiamenti e delle opzioni della pubblica opinione.

Esistono regioni più ancestrali del comportamento economico e della manifestazione delle idee economiche. Queste regioni sono rappresentate dagli archetipi culturali e simbolici entro cui si dà la produzione e riproduzione della società, l'emergenza e la solidificazione del singolo e dell'intersoggettività, la costruzione e organizzazione dell'aggregato umano-sociale che, a loro volta, producono e riproducono nuovi modelli simbolici e culturali. È in questa rete complessa di relazioni che si afferma, consolida e declina il "potere delle idee".

È vero che, nel trasferimento all'opinione pubblica, le idee si banalizzano e volgarizzano. Ma è proprio banalizzandosi e volgarizzandosi che le idee si interiorizzano nelle coscienze, dettando comportamenti di massa omogenei e funzionali. Il "potere delle idee", allora, risiede esattamente in tale processo di banalizzazione e volgarizzazione: è divenendo idea massa che un'idea acquisisce un potere reale duraturo. Se risulta relativamente agevole scardinare, attraverso un cambiamento di paradigma, la rilevanza cognitiva e scientifica di un'idea, assai problematico è rimuovere dall'immaginario collettivo e dalle coscienze individuali i depositi di idealità storicamente, socialmente, culturalmente e politicamente socializzati. La cultura, divenendo bene di consumo, accresce oltremodo questa difficoltà. Non esclusivamente o fondamentalmente le masse tendono ad essere fruitrici acritiche della cultura di massa; ma la comunità scientifica, la comunità politica e la comunità artistico-intellettuale in senso lato diventano il soggetto/oggetto primario e principale della produzione-consumo della cultura di massa. Gli stilemi, gli stereotipi e i modelli che presiedono alla produzione e al consumo della cultura di massa occupano le sfere della decisionalità del comportamento umano in generale; da qui inibiscono un reale affrancamento del comportamento scientifico, del comportamento politico e del comportamento sociale dalle pastoie della storia e dai limiti della vita individuale e collettiva. Il potere vero e più grande delle idee è contro le idee stesse: avverso la possibilità di esperire e formulare un orizzonte ideale diverso, svincolato dal continuum del passato storico. Il potere più grande delle idee, allora, è:

    1. contro la decisione nella storia e nella vita, per il cambiamento della storia e della vita;
    2. a favore della decisione dell'invarianza delle condizioni della storia e della vita.

Proprio qui il "potere delle idee" rivela il suo carattere arbitrario e totalitario: la storia e la vita non tardano a ribellarsi e a procedere per proprio conto. Interpretando questo movimento e facendo duramente i conti con i suoi vizi, le sue oscillazioni, i suoi ripiegamenti e i suoi lati oscuri e terribili, ritorna ad essere possibile, per quanto arduo, "produrre" altre idee, aspirare ad un'altra cultura, tendere verso una nuova vita e una diversa società. Si aprono un varco e un conflitto dalla portata decisiva tra (i) la decisione e il tempo della libertà e (ii) la decisione e il tempo della servitù. Varco continuamente da riaprire e riposizionare; conflitto mai domo e continuamente risorgente in forme cangianti.

 

4) "Il potere delle idee", nella forma del primato della cultura di massa, si regge anche su un complesso apparato simbolico. Nel duplice senso che:

    1. le idee divengono simbolo di potere;
    2. il potere diviene simbolo ideale per eccellenza.

Il potere simbolico delle idee e la simbolizzazione del potere sono l'oggetto contro cui si imbatte quotidianamente l'azione sociale; anzi, in parte cospicua, concorrono a determinare lo scenario dell'azione sociale che, per questo, non può fare a meno di essere anche azione simbolica. Ciò è particolarmente vero per le comunità locali e per quelle "comunità" di degrado e rottura della comunicazione che sono diventate le città nelle società avanzate. A scala planetaria, ormai, l'economia simbolica della città si evidenzia come la rappresentazione sociale, intensamente introiettata, della mancanza e della pauperizzazione (3). Lo spazio urbano, suo malgrado, diviene:

    1. il teatro simbolico rivelatore delle pulsioni di morte del potere;
    2. il luogo implosivo in cui il "potere delle idee" produce evacuazione e asservimento.

Degrado, disgregazione sociale, rottura degli orizzonti etici del legame sociale, incrudelimento della vita relazionale e della comunicazione assurgono a figure/simbolo:

    1. involontariamente denudano il volto oscuro e terribile delle forme del potere e dei loro apparati concettuali giustificativi;
    2. volontariamente svolgono una funzione di docilizzazione, di intimidazione e di minaccia, finalizzate alla diffusione di comportamenti o di conformistica e positiva accettazione del dato, oppure di passività e rassegnazione.

Ci imbattiamo, a questo livello, in una destrutturazione simbolica, avente la precisa finalità di confermare l'ambiente culturale ed etico di cui le forme del potere, responsabili del degrado e dei guasti civili e sociali dentro cui sono costretti a vivere i cittadini, sono prodotto e, insieme, causa. Ogni ambiente culturale è il deposito di un sistema etico. Dalle sue tavole di valori dipende, in larga parte, la qualità della vita sociale e individuale. Attraverso il simbolo, ogni sistema culturale ed etico-valoriale, rappresenta, organizza e comunica i propri mondi, le proprie sfere vitali. Il "potere delle idee", nella società del disincanto e della tecnica informatica, intende precipuamente trasmettere i simboli della morte della speranza, dell'impossibilità del cambiamento, convogliando nel cul di sacco del cinismo e dell'indifferenza la proliferazione segnico-linguistica, la segmentazione delle culture, la pluralizzazione delle etiche, la problematizzazione della responsabilità e della libertà. La cultura e le culture del cambiamento, la cultura e le culture del dialogo conflittuale, il simbolo e i simboli della speranza e della ricerca vengono ricoperti dalle culture e dai simboli della perdita, dell'adattamento acritico allo status quo e della rassegnazione. Dalla cultura, dalla politica e dalle culture locali viene estirpata la virtualità creativa e attiva. Le identità e le culture locali diventano entità senza simbolo, nel senso che non riescono più a simbolizzare la loro cifra, se non ad uno stato larvale e socialmente ininfluente. La memoria, deprivata del simbolo, emerge nelle forme negative di memoria interrotta. Nell'interruzione della memoria occorre, ora, ricercare le tracce dell'identità e delle culture locali destrutturate e deviate verso un percorso di impoverimento del senso. Questa interruzione e questa deviazione del processo di simbolizzazione sono ora il simbolo da cui partire e dentro cui scavare.

 

Note

(1) Il tema, come è noto, è una delle costanti della riflessione marxiana. Altrettanto noto è il luogo in cui J.M. Keynes afferma il "potere delle idee": "Gli uomini della pratica, i quali si credono affatto liberi da qualsiasi influenza intellettuale, sono usualmente schiavi di qualche economista defunto. Pazzi al potere, i quali odono voci nell'aria, distillano le loro frenesie da qualche scribacchino accademico di pochi anni addietro. Sono sicuro che il potere degli interessi costituiti è assai esagerato in confronto con la progressiva estensione delle idee" (Occupazione, interesse e moneta. Teoria generale, Torino, 1947, p. 340). Meno nota, al riguardo, è la posizione di F. A. Hayek: "Le idee oggi professate dall'opinione pubblica possono chiaramente fatte risalire agli economisti di circa una generazione fa. In verità, dunque, non è che l'insegnamento degli economisti sia del tutto privo di influenza, ne ha invece, con ogni probabilità, parecchia. Occorre però un tempo assai lungo perché questa influenza venga avvertita, sicché, se vi è un mutamento le nuove idee tendono ad essere schiacciate dal predominio di idee divenute, nei fatti, obsolete" (The Trend of Economic Thinking, "Economica", XIII, 1933; cit da J. Birner, Sul potere delle idee del passato, "Biblioteca della libertà", n. 121, 1993, p. 74). A J. Birner, nell'opera appena citata, si deve un'interessante analisi comparata delle posizioni, sul punto, affermate da Keynes e Hayek. Sull'argomento, di Hayek rilevano anche: La via della servitù, Milano, 1948 (ma 1944); La società libera, Milano, 1969 (ma 1960).

(2) Per una critica dei "fondamenti cognitivi" del pensiero razionalista, da Cartesio all'attualità, cfr. E. Morin, Introduzione al pensiero della complessità, Milano, 1993; G. Bocchi-M.Ceruti, Origini di storie, Milano, 1993.

(3) Sul punto, cfr. due recentissimi ed assai interessanti libri, non sempre convergenti: A. Magnaghi, Il Progetto locale, Torino, 2000; A. Petrillo, La città perduta. L'eclissi della dimensione urbana nel mondo contemporaneo, Bari, 2000.