CULTURE LOCALI/POLITICHE LOCALI

Capitolo IV

GOVERNO LOCALE, CULTURA E COMUNITÀ LOCALI

 

 

1) Stabilita la scala delle differenziazioni culturali nel capitolo precedente, in questo capitolo conclusivo possiamo porci in maniera congrua alcune domande cruciali, essendo messi nelle condizioni di ricercarne le risposte congruenti.

Alla base del processo di formazione e selezione della domanda civico-politica locale vi è un complesso processo di natura culturale, politica e simbolica, entro cui hanno rilievo non solo temi di carattere strettamente locale e/o particolaristico.

La domanda civico-politica locale è un luogo di passaggio, di biforcazione e di mutazione di tutte le dimensioni culturali, simboliche e politiche del globale. Non solo rappresenta il punto di più stretto e intimo contatto tra amministrazione e cittadini, con il relativo carico dei loro bisogni e delle loro aspettative; ma anche e soprattutto il bacino di formazione di processi di decisione politica e selezione delle élites che non trovano riscontro alcuno a livello globale. Il governo locale non è assimilabile ad una ben determinata "forma di governo", regolata da una assiologia, da una tipologia e da una simbologia ben distinte. Delle "forme di governo" non possiede la proprietà specifica e caratterizzante: distribuire, organizzare e finalizzare le funzioni dello Stato (1). Il governo locale non articola lo Stato sul territorio; piuttosto, riconduce nei circuiti politici centrali la massa dei problemi e degli attori locali, modificando, per questa via, la selezione degli inputs/outputs del sistema politico. In questo senso, il governo locale è tanto fattore di turbativa quanto agente di stabilizzazione dell'ordine politico del sistema. In virtù del flusso di turbativa/stabilizzazione di cui il livello locale è soggetto/oggetto, i processi di formazione della classe politica centrale e di selezione delle decisioni strategiche debbono inesorabilmente misurarsi con i circuiti locali e la rete delle loro domande simboliche, politiche e culturali. Ciò sia perché il circuito locale può essere sede di tendenze suscettibili di generalizzazione, sia perché può costituire il laboratorio per la sperimentazione di una sovraimposizione, di una ricombinazione e di una rielaborazione delle strategie globali, in funzione della crescita del potere della classe politica di governo.

Alla classica domanda formulata da R. Dahl: "Chi governa?", se ne deve affiancare un'altra, non meno rilevante: "Come governa?". Ad entrambe, ancora, ne vanno abbinate altre due: (i) "Con quali risultati?"; (ii) "A quale livello di intermediazione e fluidificazione tra globale e locale?".

Solitamente, la scienza politica si interroga intorno alla prima e alla terza domanda, omettendo di formulare o sottovalutando le altre due. Sicché il rendimento delle istituzioni, in specie quelle locali, è stato posto come un mero problema di adeguatezza dell'amministrazione pubblica; meglio, come questione dello sviluppo politico (2) dell'amministrazione pubblica e amministrativizzazione dello sviluppo politico. L'inconveniente maggiore di queste posizioni, per quanto concerne il nostro oggetto di analisi, è che esse si approcciano alle problematiche del governo locale in termini di possibilità e capacità dello Stato di dare risoluzione alle domande locali. Il governo locale, in quanto tale, o si smarrisce in una dissolvenza politico-concettuale, oppure viene erroneamente analizzato come una forma di Stato a livello micro. La questione delle prestazioni del governo locale tende, così, a sciogliersi in quella del "rendimento" dello Stato; e viceversa.

Ora, il punto di discrimine decisivo del "caso italiano" è che lo Stato nazionale non si è formato dal basso come sintesi storico-politica delle comunità locali; al contrario, il processo di formazione dello Stato nazionale ha proceduto dall'alto, annettendosi le comunità locali, di cui ha tenuto scarsamente in considerazione l'ethos e l'ethnos. Nel rapporto tra centro e periferia questa frattura ha avuto ed ha tuttora un peso rilevante, sia in termini di lontananza tra apparati dello Stato e cittadini, che in termini di non linearità della rispondenza decisionale tra centro e periferia. Una nuova cultura del governo locale deve partire proprio dalla tematizzazione dell'asimmetria decisionale tra centro e periferia, selezionando ed interpretando il bacino delle problematiche e delle attese civico-politiche locali. Tutto questo non in funzione della crescita del potere della classe politica di governo, ma della mutazione positiva dell'habitat locale, incardinando qui una interazione trasformativa con i processi e le decisioni che investono il livello globale.

La risorsa cultura si presta qui ad un impiego atto a discoprire e ripercorrere in filigrana lo specifico dell'aggregato locale, all'interno di un universo di senso e geo-politico globale. La risorsa della cultura politica può efficacemente fungere quale mezzo di organizzazione e connessione politica dell'identità locale nell'ambito dell'identità nazionale, in un processo di salvaguardia e potenziamento delle autonomie reciproche e dei contesti identificativi globali mobili che ne risultano. Le culture locali e le politiche locali possono interagire per dare conto puntualmente ai bisogni particolaristici e universalizzanti che promanano dai network della domanda civico-politica locale, procedendo ad una contestuale messa in comunicazione con i network degli altri sistemi locali e con i network nazionali e sovranazionali. In questo modo, il "chi" e "come" governa non appaiono più rescissi dai risultati dell'azione di governo, dalle interazioni e dai conflitti che si intessono e insorgono tra centro e periferia.

 

2) L'affermazione dell'autonomia del governo locale è coessenziale alla sua integrazione flessibile nel circuito nazionale. Così come, all'inverso, è essenziale, per la formazione di un circuito nazionale emancipato ed emancipante, l'autonomia comunicativa dei sistemi locali. Questa rete di senso costituisce il testo primario e, insieme, il contesto delle configurazioni giuridiche, legislative, amministrative e politiche che disegnano la mappa delle relazioni tra governo centrale e governi locali. Diversamente da quanto è invalso nella scienza politica e dell'amministrazione, il contrassegno che più immediatisticamente qualifica un sistema politico non è dato dal grado di autonomia da esso assicurato al governo locale; bensì dalla modalità di relazione esistente tra governo centrale e governo locale. Solo facendo perno su questa relazione, difatti, si tengono nel debito conto l'azione autonoma e gli interscambi tra tutti e due gli elementi in gioco, senza stabilire tra di loro gerarchie di esclusione o sovrapposizione.

Traducendo in termini più esplicitamente politici, ciò vuole dire che come le politiche locali non debbono colonizzare o degradare il "loro" ambiente (locale), così le politiche centrali debbono sintonizzarsi con il "loro" ambiente (globale) e non interferire o depauperare l'ambiente locale.

Autonomia e integrazione dei governi locali si misurano concretamente sulla qualità e quantità delle materie su cui essi sono chiamati a decidere e intorno cui dispiegano la loro sovranità e le loro competenze funzionali. Lo spettro di queste materie deve essere ridefinito e ampliato, rispetto a quanto previsto dal dettato costituzionale; ma della Costituzione mantenendo fermo il principio del "decentramento organico".

Ineliminabilmente avvinto alle questioni dei poteri e delle autonomie del governo locale è il problema delle risorse finanziarie ed economiche. Il discorso qui si prolunga dalla risorsa cultura alla risorsa politica, per completarsi con la risorsa monetaria. Si tratta sia di accrescere le capacità di entrata dei governi locali, sia di razionalizzare i trasferimenti finanziari dello Stato.

È da tempo stato fatto notare che l'incertezza e le carenze delle risorse finanziarie degli enti locali hanno assunto la caratteristica di una costante sia nei sistemi di governo locale basati sull'autonomia dell'imposizione tributaria che in quelli che dipendono dai trasferimenti dello Stato. Il che sottolinea la necessità di procedere ad una rielaborazione complessiva dei "sistemi formali di pianificazione" che regolano l'efficacia e la congruenza delle funzioni e delle prestazioni del governo locale.

La questione dei "costi dei servizi" e delle "determinanti di spesa" rimanda a più generali problemi di natura socio-economica ed istituzionale, concernenti il funzionamento del sistema amministrativo locale, con particolare riferimento al Mezzogiorno (3). Il punto è di cruciale importanza proprio per il Mezzogiorno d'Italia: il carattere (giustamente definito) derivato della finanza locale non ha impedito che si consolidassero differenziali di spesa pro-capite a tutto danno degli enti locali meridionali. Il dato perverso è che, a fronte di una spesa relativamente maggiore, si è in presenza di una qualità di servizi e prestazioni peggiore. Questa tendenza storica non è stata invertita o attenuata dai cicli istituzionali amministrativi che, negli anni '80 e '90, hanno potenziato l'autonomia impositiva locale. Ora, è ben vero:

    1. che eguaglianze formali di spesa possono, sovente, nascondere diseguaglianze nel tasso di complessità e difficoltà delle problematiche sociali e culturali esistenti;
    2. che i problemi sociali, ambientali, culturali e storici del Mezzogiorno presentano un grado di complicazione assai più rilevante.

Purtuttavia, resta la questione dell'onerosità/inefficienza degli enti locali meridionali che è cagionata:

    1. in parte, dall'ipertrofia dell'intervento sociale, culturale e politico esterno (leggi, Stato, istituzioni, partiti, gruppi industriali, ecc.);
    2. in parte, dalla inadeguatezza della classe politica locale (di governo e di opposizione) nei confronti dei problemi locali;
    3. in parte, dalla mancata fluidificazione delle culture locali entro i processi di modernizzazione politica, sociale e culturale, per limiti e responsabilità, diversamente orientate, imputabili tanto all'attore locale che all'attore globale.

In generale, il discorso sul sistema amministrativo locale, soprattutto per quel che concerne le regioni meridionali, si risolve riduttivamente nel tema dell'innovazione e dell'imprenditorialità, al cui proposito non mancano forti perplessità.

Se è vero che il concetto di imprenditorialità non si può circoscrivere alla "gestione dell'impresa", ma investe l'attività economica nel suo complesso, altrettanto vero è che quella del sistema amministrativo (locale e centrale) non può, in ogni caso, essere omologata come "attività economica", non essendo i suoi fini, le sue funzioni e le sue prestazioni di natura economica. Pertanto, la pur giusta esigenza di elevare il livello di rendimento del sistema amministrativo non può risolversi nell'introiettarvi dentro dosi di cultura e management imprenditoriali. Il sistema amministrativo non funge quale catalizzatore dei processi economici che avvengono negli enti pubblici; piuttosto, combina e media, al suo interno, funzioni e competenze di natura politica, economica, istituzionale e sociale; logiche e filosofie complesse, ben oltre l'univocità della razionalità imprenditoriale, debbono presiedere al suo funzionamento.

Un "riorientamento strategico" della decisione e della pianificazione del sistema del governo locale, accogliendo la "sfida" delle complessità globali, è quanto si reclama a livello formale, politico-operativo e interistituzionale (4). Il riorientamento è necessario anche in ragione dell'esigenza indifferibile di ridisegnare puntualmente le aree di intervento e le relative "soglie critiche", allo scopo di:

    1. scongiurare accavallamenti e duplicazioni tra poteri centrali e poteri locali;
    2. classificare e selezionare i bisogni dell'utenza;
    3. apprestare servizi diversificati;
    4. razionalizzare l'impiego delle risorse umane, tecniche e finanziarie a disposizione del sistema amministrativo.

Il sistema amministrativo, in linea generale:

    1. produce e consuma risorse in proprio;
    2. produce risorse e servizi destinati al consumo della cittadinanza.

Ora, le risorse prodotte dal sistema amministrativo e consumate dalla cittadinanza fungono da pilastro dei sistemi di:

    1. istruzione, formazione ed educazione;
    2. trasporto e comunicazione;
    3. infrastrutturazione e innovazione tecnologica;
    4. assistenza sociale e sicurezza socio-ambientale in generale;
    5. tempo libero.

La qualità delle prestazioni del sistema amministrativo incide, pertanto, con effetto immediato:

    1. sulla qualità della vita dei singoli e della collettività, con particolare riguardo a quelle fasce di cittadinanza meno protette e garantite;
    2. sulla qualità sociale, ambientale e relazionale del sistema locale.

Questa schematizzazione esclude, di per sé, che il governo locale possa essere assimilato ad una articolazione territoriale del Welfare. Al contrario, lungi dall'essere una mera compensazione equitativa da parte dello Stato decentrato delle ingiustizie allocative e distributive del mercato, esso è un sistema autonomo e attivo. Come il Welfare non poteva - e non ha potuto - sostituirsi al governo locale, così la crisi dello Stato sociale non tematizza il problema del governo locale nei termini semplificatori del welfarismo localistico.

 

3) La risorsa cultura, per il sistema amministrativo (in specie, per quello meridionale), rappresenta un onere di spesa non adeguatamente interiorizzato e, per questo, di scarso rilievo nell'economia generale della spesa pubblica (locale e nazionale). Negli anni '80, periodo in cui l'interesse per le politiche culturali è cresciuto anche nel nostro paese, questo quadro non è significativamente cambiato. Secondo una stima riferentesi al 1986, l'incidenza complessiva della "spesa pubblica per la cultura" sul prodotto nazionale lordo è nell'ordine dell'0,5%; questo valore percentuale è, così, ripartito:

    1. il 64,7% di competenza dell'amministrazione statale;
    2. il 21% di competenza delle amministrazioni regionali;
    3. l'11% di competenza delle amministrazioni comunali;
    4. il 3,3% di competenza delle amministrazioni provinciali (5).

Come è noto, la teoria normativa della finanza pubblica si occupa delle "giustificazioni razionali" dell'intervento pubblico, secondo i princìpi dell'efficienza e dell'efficacia, i quali presiedono alla "valutazione economica" dei progetti e delle convenienze. Esaminando questo modello secondo il paradigma buchaniano "costo e scelta" (6), possiamo meglio metterne in luce le incongruenze. Difatti, come ha acutamente argomentato Buchanan:

    1. non soltanto il costo è una scelta;
    2. ma la stessa scelta è un costo.

Se il costo dà luogo a delle scelte, queste, a loro volta, danno luogo a dei costi. Ora, le conseguenze (in termini di costo) delle scelte e le conseguenze (in termini di scelta) dei costi non sempre corrispondono alle attese; più esattamente, sono delle variabili impredicibili che entrano a pieno titolo nei meccanismi di formazione, variazione e attuazione delle decisioni pubbliche.

L'attivazione della risorsa cultura nelle progettazioni e nelle procedure del governo locale ha dei "costi" e delle conseguenze non monetizzabili. Intanto, perché la cultura è un mezzo polifunzionale, il cui impiego non solo eleva la qualità del "progetto" e del "governo". In secondo luogo, perché la mancata attivazione ed elaborazione di modelli culturali ad hoc, lascia "progetto" e "governo" in preda a stereotipi culturali inadeguati e/o obsoleti che, in maniera involontaria quanto occulta e pervasiva, li condizionano negativamente e li espongono allo scacco. Il "costo" più elevato pagato (anche in termini strettamente economici) è, certamente, quello relativo alla "scelta" che rinuncia alla adeguata mobilitazione e valorizzazione del potenziale culturale, quale fattore di organizzazione e risoluzione delle problematiche su cui sono chiamate a progettare, intervenire e governare le decisioni pubbliche. Le distorsioni e i fallimenti decisionali dipendono, in gran parte, da una trascuranza, oppure da un difetto nell'impiego della risorsa cultura nei processi che concorrono alla formazione del progetto, della prassi e della procedura del governo. Le politiche, soprattutto a livello locale, richiedono in misura esponenzialmente crescente l'uso attivo e creativo delle culture. Le politiche locali reclamano (forse, soprattutto a lato delle funzioni del "progetto" e del "governo") il contestuale, se non preliminare, processo di recupero, valorizzazione e rinnovamento delle culture locali.

Quest'approccio si scontra con la struttura formale, funzionale ed operativa dell'amministrazione pubblica e del sistema amministrativo.

Come è stato, da tempo, fatto rilevare dalla letteratura più avvertita, il principio che ancora guida, regola e modella le amministrazioni pubbliche italiane è quello della ripartizione per competenza. Ora, la redistribuzione delle competenze non risponde solo a criteri di logica formale, ma anche a princìpi di spartizione politica di funzioni e decisioni pubbliche. La ripartizione delle competenze, in altri termini, consente alle forze politiche facenti parte della coalizione governativa l'appropriazione e l'allocazione di risorse, non secondo gli imperativi dell'"ottimo" istituzionale, bensì in esecuzione di interessi particolaristici e/o lobbistici. In queste condizioni, la partecipazione al governo dell'ente locale (e, a maggior ragione, al governo nazionale) si traduce nell'uso improprio della politica e del potere. La logica della rappresentanza politica si converte e distorce in monopolio del potere, per l'appropriazione particolaristica e l'allocazione partitica delle risorse pubbliche. Ciò è reso particolarmente evidente dalle strutture di comando che la prassi di governo articola:

    1. il polo decisionale degli assessorati, a livello periferico;
    2. il polo decisionale dei ministeri, a livello centrale (7).

L'azione di governo diviene una macchina decisionale, fatta di apparati e soggetti che subordinano le istituzioni ai fini particolari:

    1. della coalizione di governo;
    2. delle singole forze componenti della coalizione di governo e dei loro riferimenti elettorali.

La specializzazione e la settorializzazione degli apparati e dei soggetti che presiedono all'azione di governo non solo inseminano i batteri dell'incomunicabilità interistituzionale, ma nidificano interessi e logiche strumentali. Ne consegue che:

    1. dal lato del processo delle decisioni pubbliche: l'azione di governo non è risultante di coesione e di unità di progetto; bensì effetto di giustapposizioni particolaristiche;
    2. dal lato degli attori di governo: i partiti/movimenti coalizionali, a misura in cui competono per la realizzazione degli interessi particolaristici che direttamente esprimono, sono i principali motivi di causazione dell'ingovernabilità; o meglio: del governo secondo inefficienza e interesse.

Tocchiamo, anche qui, una specificità del "caso italiano" che riverbera effetti particolarmente negativi sui sistemi di governo locale del Mezzogiorno. Diversamente da quanto empiricamente e teoreticamente assunto dall'"implementation research" (8), il piano relazionale/decisionale che fa da contesto alle politiche pubbliche mette rilevantemente in mora il carattere interattivo e interorganizzativo che regge "progetto" e "azione" di governo. Anzi - come abbiamo visto -, la qualità formale e organizzativa del sistema amministrativo si esplicita esattamente come carenza di flussi interazionali e interorganizzazionali. E ciò non alla luce dei criteri rilevati e suggeriti dall'"implementation research", bensì in considerazione della rete di "funzioni complesse" che mette in comunicazione e in conflitto, volenti o nolenti, tutti i sistemi e i sottosistemi sociali.

Se così stanno le cose, occorre riconsiderare criticamente un fenomeno che, in tutti gli anni '80 e parzialmente nei '90, si è andato affermando a livello di politiche comunitarie. La "regionalizzazione delle politiche culturali" ha veicolato un processo di appropriazione politica della cultura (9): in sostanza, per l'implementazione di perfomances politiche si fa sempre più uso di codici culturali ad alto carico simbolico e comunicativo. Come è agevolmente rilevabile, il fenomeno costituisce una variante e, insieme, un aggiornamento del carattere ancillare che la cultura è venuta assumendo verso la politica. La "decentralizzazione culturale", per questa via affermatasi, ha teso a diffondere nuove figure/mito culturali con cui difendere, comunicare e legittimare la separatezza della decisione politica. Nell'apprestare nuove "politiche culturali" per il "progetto" e l'"azione" di governo, rimane vacante lo stadio preliminare: quali culture per le politiche? In virtù di questo salto logico-comunicativo, la decentralizzazione culturale finisce con l'appropriare ai soggetti titolari dell'iniziativa politica più potere, accumulato a detrimento della risoluzione congrua dei problemi oggetto di decisione e in posizione di progressivo distanziamento dai bisogni espressi dalla domanda della cittadinanza e dell'ambiente. Non appare un caso, se, già negli anni '80, la decentralizzazione culturale abbia attivato e consolidato, a livello europeo, un processo di ri-centralizzazione delle politiche culturali (10), con un'espansione rilevante dei poteri e dei controlli dei ministeri e degli assessorati sui livelli inferiori.

Emerge, ancora una volta, l'esigenza di invertire le tendenze in atto, ricostituendo la complessità del rapporto cultura/ politica, assegnando ad entrambi i termini una spiccata autonomia comunicativa, con l'occhio particolarmente rivolto alla qualità della vita dei cittadini (più deboli) e alla qualità sociale-ambientale del sistema (locale). Invertire le tendenze significa, allora, cambiare "gioco", "modo di giocare" e "attori". Si potranno, così, elaborare "nuove regole".

 

Note

(1) Per un'analisi del "concetto" e dei "tipi" delle "forme di governo", si rinvia al classico, ma sempre valido, C. Mortati, Lezioni sulle forme di governo, Padova, 1973.

(2) Come è noto, le teorie dello "sviluppo politico" proliferano negli anni '60 e '70: cfr. S. P. Huntington-J. I. Dominguez, Political Development, in F. I. Greenstein-N. Polsby (eds.), Handbook of Political Sciences, cit.; M. Weiner-S. P. Huntington (eds.), Understanding Political Development, Boston, 1987.

(3) Come è sin troppo evidente, la questione dei "costi" e delle "determinanti di spesa" del governo locale è cosa diversa dalla "spesa regionale" dello Stato. Su quest'ultimo argomento, cfr. Formez, La spesa dello Stato nelle regioni italiane, Napoli, 1991; Id., La distribuzione regionale della spesa dello Stato, Napoli, 1992.

(4) In una direzione simile, già M. Meneguzzo, Crisi della pianificazione e scelte strategiche negli Enti Locali, "Il nuovo governo locale", n. 3, 1985. Sulla relazione amministrazione/complessità, cfr. G. Amato-G. Marongiu (a cura di), L'amministrazione in una società complessa, cit.; per i temi relativi alla "sfida della complessità", oltre ai lavori citati alla nota n. 3, si rimanda a G. Bocchi-M. Ceruti (a cura di), La sfida della complessità, Milano, 1985.

(5) Cfr. G. Brosio, La spesa per l'arte e la cultura, in G. Brosio (a cura di), La spesa pubblica, Milano, 1987. Ma, sul tema, cfr. anche: G. Campa-B. Bises, La spesa dello Stato per attività culturali in Italia, Milano, 1980; C. Bodo, Rapporto sulla politica culturale delle regioni, Milano, 1982; C. Marchetti, Le muse e l'assessore. Le spese culturali di quattro comuni metropolitani dal 1974 al 1983, "Ikon", n. 11, 1985; AA. VV., Le mura e gli archi. Valorizzazione del patrimonio storico-artistico e modello di sviluppo, Roma, 1986; L. Bobbio, Decisioni pubbliche sui beni culturali. Un'indagine empirica, "Biblioteca della libertà", n. 100, 1988; Formez, Economia dei beni culturali. Programmazione e valutazione dell'intervento pubblico per progetti, Napoli, 1992.

(6) Cfr. J. M. Buchanan, Cost and Choice, Chicago-Londra, 1969: trad. it., Costo e scelta, "Quaderrni di Biblioteca della libertà", Milano, 1993. L'introduzione all'edizione italiana è stata resa disponibile in anticipo: F. Forte, Costo e scelta: la teoria di Buchanan, "Biblioteca della libertà", n. 116, 1992.

(7) Così già S. Zoppi, La pubblica amministrazione come risorsa, Napoli, 1986, p. 13 ss.

(8) Per un esame critico dell'"implementation research", si rinvia a Associazione culturale Relazioni/CeSICoL, Politiche locali, Mercogliano-Biella, 2000, in particolare l'"Introduzione"; il lavoro è reperibile sul web al seguente indirizzo: http://web.tiscalinet.it/cesicol/Ricerche.html. Sull'argomento, altresì, cfr. J. L. Pressman-A. Wildavsky, Implementation, Berkeley, 1973; D. S. Van Meter-C. E. Van Horn, The Policy Implementation Process: A Conceptual Framework, "Administration and Society", n. 6, 1975; E. Bardach, The Implementation Game: What Hap-pens After a Bill Becomes a Law, Cambridge, 1977; K. Hanf-F. Scharp (eds.), Interorganizational Policy Making. Limits to Coordination and Central Control, Londra, 1978; G. Maione-A. Wildavsky, Implementation as evolution, "Public Policy", 1978; S. Zan, L'analisi interorganizzativa per lo studio delle politiche pubbliche, "Rivista trimestrale di scienza dell'amministrazione", n. 4, 1984; B. Dente, L'analisi dell'efficacia delle politiche pubbliche, Napoli, 1984.

(9) Sul punto, cfr. E. Friedberg-P. Urfalino, La décentralisation culturelle: l'émergence de nouveaux acteurs, "Politic et Management Public", n. 2, 1985.

(10) Cfr. A. Colasio, Accentramento e decentramento nelle politiche culturali: Italia, Francia e Spagna, "Polis", n. 3, 1989, p. 515.