A CLOCKWORK ORANGE ( 1971 )

Regia, Sceneggiatura: Stanley Kubrick (dal romanzo "A clockwork orange" di Anthony Burgess)
Fotografia: John Alcott
Montaggio: Bill Butler
Scenografia: John Barry
Interpreti: Malcolm McDowell (Alex DeLarge), Patrick Magee (signor Alexander), Philip Stone (padre di Alex), Warren Clarke (Dim), Michael Tarn (Pete), James Marcus (Georgie), David Prowse (Julian), Godfrey Quigley (cappellano)


TRAMA
In un' Inghilterra vagamente futurista una profonda crisi sociale ha portato alla formazione di svariate bande giovanili. Una di queste, i Droogs (Drughi), comandata da Alex De Large, si dedica alle più abbiette peripezie: pestaggi di barboni, stupri, combattimenti con altre bande, vandalismi...
Una volta a casa, Alex, procede con il suo ristoro preferito: la musica di Beethoven e le ragazze.
Quando Georgie, Dim e Pete, gli altri membri della banda cominciano a dare segni di insofferenza verso il loro amico-tiranno, Alex li conduce a casa della "signora dei gatti", una ricca donna che viveva da sola: lì si danno alle solite scorribande ma qualcosa va storto: in un eccesso di delirio, Alex uccide la donna con una enorme statua fallica e viene abbandonato dai suoi compagni.
Arrrestato dalla polizia, viene condannato ad una lunga pena detentiva durante la quale stringerà amicizia con il cappellano del carcere e durante la quale non smetterà di pensare agli atti di violenza che ha compiuto e che intende compiere fuori dalla prigione. Sottoposto all' innovativa terapia del "metodo Ludovico" Alex viene spinto all' odio verso la violenza e verso la musica di Beethoven ed è pronto così a lasciare il carcere. Fuori dall' istituto giudiziario subirà la vendetta dei barboni nonchè quella dei suoi ex Droogs, divenuti poliziotti: si rifugia così in una villa non accorgendosi che il propietario è uno scrittore rimasto vedovo tempo addietro a causa della banda di Alex, che aveva pensato bene di stuprarne la moglie. Alex viene riconosciuto e spinto con molta arguzia dallo scrittore verso il suicidio: si getta così dalla finestra.
Non muore.
Ricoverato in ospedale, riceve la visita del potere conservatore che intende servirsi di questa "povera vittima della società cui la vita non ha offerto nulla" per trionfare alle prossime elezioni: inevitabilmente Alex intravede nel suo futuro tutte le possibilità che si aprono per soddisfare le sue voglie di violenza e sesso.




"A clockwork orange" è la storia di Alex o meglio di A-lex ovvero l'uomo senza legge: nasce tutto da qui, dall'assenza di leggi nella quale si rincorrre utopisticamente una meta che non giunge mai.

"A clockwork orange" è un film feticcio, così come è feticcio il suo protagonista, proprio quell' Alex De Large (Alessandro il Grande), che rappresenta una sorta di emblema della violenza pura, ridotta all'essenza. Ma Alex è anche l'espressione di una decomposizione sociale, in un' Inghilterra futurista perfettamente dipinta nel romanzo di Anthony Burgess. E' Alex che narra in prima persona le sue vicissitudini che si svolgono circolarmente, in un gioco di riflessi concentrici prettamente kubrickiani che trovano qui la loro massima espressione.

Kubrick definisce il proprio film come una satira sociale, profondamente radicata nella natura umana. Una favola incubo-sogno in cui le tematiche fondamentali affrontate come la violenza, il controllo sociale, l'integrità individuale, il libero arbitrio fanno soltanto da sfondo, pur costituendo l'ossatura del film: in questo "A clockwork orange" è satira; in questo Kubrick è sempre più geniale.
Ma Alex è vivo? Deve ancora nascere? La violenza raccontata con una "leggerezza pesantissima" contribuisce ad insinuare nello spettatore la paura che forse Alex esiste e forse, in fondo in fondo è radicato dentro di noi e può esplodere da un momento all'altro come esplose nel primate di 2001 nella celebre scena della rottura delle ossa. E proprio da dove 2001 si era interrotto (l'occhio del feto) " A clockwork orange" prende le mosse: l'occhio di Alex, nel Korova Milk Bar, rappresenta la prima, lunga inquadratura della pellicola.

Le azioni senza legge di Alex ci vengono offerte in processione; una dopo l'altra, dal pestaggio del barbone nel sotterraneo, al combattimento con la gang rivale di Billyboy, dallo stupro della moglie dello scrittore all' omicidio della donna dei gatti. Il tutto, condito dalle strepitose sifonie di Beethoven e da una esorbitante dose di sesso. E la sessualità distorta del protagonista sottolinea proprio la carenza di virtù del personaggio, sempre in cerca di desideri mai soddisfatti, sempre in condizione di assenza di legge.

Ma non basta il clima domestico in cui Alex è cresciuto a spiegare le ragioni del suo comportamento; certo i genitori presentati con meticolosità da Kubrick nel film sono praticamente inesistenti ma c'è qualcos'altro; qualcosa di oscuro, che rimanda inevitabilmente a 2001. Basti pensare alla copertina del disco di 2001 nel drugstore di fiducia di Alex, oppure al modo col quale quest' ultimo colpisce con il bastone le sue vittime (il rallentatore è più che un rimando all'ominide dell' odissea nello spazio).
Tutto si ripresenta, tutto torna. Sempre. Anche nella prigione, dove la quotidianità è statica, Alex sarà sottoposto al metodo Ludovico e costretto a vivere ciò che ha appena vissuto, da anni. E il disagio che egli dovrà affrontare dentro e poi ancora fuori dal carcere rappresenta il disagio dello spettatore, il cui subconscio viene messo a dura prova, in conflitto tra la punizione per il pentito (ma lo è davvero?) e la pena per il punito che è sempre e comunque, nel bene e nel male, come se girasse su un eterno cerchio, Alex De Large.

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