RED DRAGON - a cura di Corrado Pirovine

Regia di Brett Ratner. Con Edward Norton, Ralph Fiennes, Anthony Hopkins, Emily Watson, Harvey Keitel, Philip Seymour Hoffman, Mary Louise Parker.

Dopo molti mesi di attesa esce sul grande schermo il primo capitolo della trilogia legata ai libri di Thomas Harris ed alla sua creatura, il dottor Hannibal Lecktor (o come è stato tradotto qui in Italia, Lecter). In seguito al grandissimo successo del capitolo centrale (Il Silenzio Degli Innocenti) e al quasi flop del capitolo conclusivo (Hannibal) questa volta ci prova Brett Ratner, autore di Rush Hour I e Rush Hour II, a condurre lo spettatore nei meandri oscuri delle vicende partorite dalla malata fantasia dello scrittore Harris girando una sorta di remake di un film uscito molti anni prima di nome Manhunter (in realtà il nome originario fu Red Dragon anche per quella pellicola ma fu poi cambiato in fase di post produzione).

La storia è un prequel degli avvenimenti mostrati ne Il Silenzio Degli Innocenti; essa prende spunto dalla cattura di Lecter (Hopkins) per mano di un abile criminologo, Will Graham (Norton) e dalla comparsa sulla scena di un nuovo pericoloso serial killer che si ispira ad un quadro del pittore scrittore William Blake. Ritiratosi dall'FBI dopo la violenta colluttazione con Lecter, Will Graham viene però richiamato dal suo ex-capo Crawford (Keitel) per dare una mano alle indagini. Aiutato dai criptici consigli del malvagio psicologo cannibale (Hopkins) ma ostacolato dal furbo giornalista Freddy Lounds (Hoffman) Graham riuscirà a mettersi sulle tracce di Francis Dolarhyde (Fiennes) sospettato di essere l'omicida.

L'impressione che si ha all'uscita dalla sala è quella di un film che scorre con qualche difficoltà. La sceneggiatura, pur intrigante nel suo intreccio non è infatti stata adattata perfettamente ai tempi e si rischia più volte di annoiarsi. Ciononostante, la bravura del cast e la ricchezza visiva della pellicola riescono a catalizzare l'attenzione dello spettatore sullo schermo. Da un punto di vista tecnico Ratner fornisce una prova senza infamia e senza lode, qualche buono spunto c'è (vedi il piano sequenza di introduzione al personaggio di Dolarhyde), ma visivamente è molto aiutato dalla eccezionale fotografia del nostro Dante Spinotti. Le musiche, del grande Danny Elfman alfiere di Tim Burton, non riescono invece ad accompagnare le vicende nel migliore dei modi. E' inevitabile dunque fare un confronto con il suo predecessore, Manhunter, datato 1986. Manhunter fu il primo grande lungometraggio dell'eccelso Michael Mann e risulta di gran lunga superiore all'odierno lavoro di Ratner. Anche in quel caso Mann fu aiutato da Spinotti, quella volta davvero superlativo, ai livelli di Insider e forse anche di L.A.Confidential. Come suo solito Mann scelse poi delle musiche particolari, non sinfoniche ma electro pop rock quasi continue durante le due ore di film (molto simili a quelle usate da egli stesso nei telefilm della serie Miami Vice); sta proprio in questa scelta uno dei particolari di impatto più rilevante del suo film.
Un discorso a parte meritano gli attori. Sconosciuti ma praticamente azzeccatissimi quelli di Manhunter, molto noti, bravissimi ma poco consoni ai personaggi quelli di Red Dragon. L'agente Will Graham ad esempio, nel libro (forse il migliore di Thomas Harris) è un agente determinato, impulsivo e schivo, e mentre William Petersen (protagonista della serie C.S.I.) lo calza a meraviglia, Edward Norton sembra un'altra persona nonostante la sua eccezionale bravura. Anche Dolarhyde è diverso; belloccio con passato difficile in Red Dragon (un grande Ralph Fiennes) mentre mostro e rifiuto umano in Manhunter (un inquietante Tom Noonan): sta proprio in Dolarhyde forse lo stacco tra le due pellicole; mentre in Manhunter è lui il protagonista che alla fine fa quasi tenerezza nonostante la sua ferocia, in Red Dragon è Lecter al centro di tutto: è questo l'errore o, forse, l'espediente per attirare il maggior numero di spettatori. Ed è questo che indebolisce la struttura del lungometraggio che va a ruotare attorno ad un personaggio che poco ha a che fare con le vicende. e che per il quale perfino il finale viene stravolto.
Ma, si sa, oggigiorno abbiamo a che fare con Hollywood e quando si decide di eseguire una trilogia non c'è scirpt che tenga, tutto viene eseguito non in funzione della qualità ma in funzione della presenza o meno di certi particolari che attraggano lo spettatore.
Certo, anche questo è business.