ROAD TO PERDITION - a cura di Corrado Pirovine

Regia di Sam Mendes. Con Tom Hanks, Paul Newman, Jude Law, Stanley Tucci, Jennifer Jason Leigh.

Dopo il successo planetario di American Beauty, torna a girare Sam Mendes, con un cast che dire spettacolare è dire poco. Considerato uno dei film possibili candidati a vari premi oscar, Road to Perdition non smentisce le attese lasciando però più di qualche dubbio allo spettatore.
Molto originale la trama, sebbene legata ad un mondo ormai sviscerato da decine e decine di pellicole precedenti. Il setting è l'America di inizio secolo, in particolare l'ambiente della malavita mafiosa. Michael Sullivan (Tom Hanks) è uomo di fiducia nonché killer all'occorrenza al soldo di  John Rooney (Paul Newman) capo della gang irlandese nell'Illinois. Durante una missione, mentre uccide, Michael viene visto dal piccolo figlio Michael Jr. che scopre così il losco mestiere del padre. Il figlio di Rooney, presente alla scena comunicherà l'accaduto a John e la famiglia Sullivan si troverà a fare i conti con killer spietati, uno su tutti, il misterioso fotografo dei morti interpretato da Jude Law.

Il cast stellare contribuisce senza dubbio alla riuscita del film: Tom Hanks è come sempre perfetto e non sente il bisogno di caricare il suo personaggio oltremodo, Paul Newman buca lo schermo con occhi di ghiaccio ed una interpretazione gelida che potrà forse valergli una candidatura all'oscar e Jude Law mette in scena uno dei personaggi più crudeli mai visti da dieci anni a questa parte. Interessante, per quanto riguarda i comprimari, la presenza di Stanley Tucci, forse uno dei migliori caratteristi del momento.
Essendo uno dei lungometraggi di punta della stagione cinematografica hollywoodiana, questo film gode comunque di un'attenzione particolare, data dal regista alla forma; la scenografia riproduce la Chicago di Al Capone e più in generale l'Illinois in maniera spettacolare mentre una menzione a parte merita la fotografia del grandissimo maestro Conrad L. Hall, già collaboratore di Mendes in American Beauty: il colore grigiastro della pellicola e le atmosfere notturne sono di grande impatto scenico così come anche la scelta dei colori e delle luci degli interni. Diverso è il discorso relativo alla sceneggiatura di David Self: nonostante sia scorrevole e di non difficile interpretazione, risulta molto prevedibile, e gli ultimi trenta minuti incredibilmente scontati.
Senza dubbio è un film di classe, tecnicamente pulito ed impeccabile, eppure c'è qualcosa che non convince fino in fondo; sarà colpa della sceneggiatura, sarà la troppa vena patinata che pervade le due ore di visione, ma alla fine della proiezione si rimane affascinati e allo stesso tempo perplessi.
Provare per credere.