THE BRIG
The Brig è la ripresa cinematografica
dell’omonimo dramma di Kenneth Brown, allestito sulla scena teatrale ad opera
del Living Theatre il 25 febbraio del 1964, al Midway Theatre di New York.
Mekas racconta che in quel periodo era estremamente attirato dall’idea
di mettere in discussione, in un film, le
tecniche di ripresa e di sonoro classiche del cinéma vérité (“I made the
film, in a sense, as a critique of cinéma vérité”[1]),
quando gli capitò di assistere all’ultimo spettacolo di The Brig: “La
rappresentazione era in quei giorni recitata con tale precisione da scorrere con
l’inevitabilità della vita stessa. Mentre guardavo, pensavo: supponiamo che
questa sia una vera galera, che io sia una vera galera, che io sia un operatore
di attualità, che abbia avuto il permesso, dal Corpo dei Marines , di entrare
in uno dei suoi carceri militari e filmare ciò che vi si vede. Che incredibile
documento si potrebbe portare agli occhi della gente!. Questa idea si impadronì
a tal punto della mia mente e dei miei sensi che uscii dal teatro. Non sapevo
affatto ciò che sarebbe seguito nello spettacolo, ma volevo vederlo attraverso
la cinepresa, DOVEVO filmarlo. Mentre sedevo fuori aspettando la fine della
rappresentazione, comunicai i miei pensieri a Judith e Julian Beck, che si
eccitarono all’idea tanto quanto me. Decidemmo di agire immediatamente. Del
resto non c’era altra scelta, dovendo essi lasciare il teatro il giorno dopo.
Anche David e Barbara Stone, che
erano venuti a teatro con me, capirono che non avevano scelta e si trovarono
coinvolti in un’altra produzione. Il giorno dopo ebbi equipaggiamenti e
pellicola. Il teatro era stato chiuso dal proprietario. Noi ci entrammo, con gli
attori e l’equipaggiamento, a notte alta, attraverso il passaggio di scarico
del carbone che dava sul marciapiede, e ne uscimmo alle tre o quattro del
mattino per la stessa via.”[2] The
Brig è un testo breve diviso in due atti e sei scene che descrive con dovizia
di particolari una giornata (dalla sveglia dei reclusi, alle quattro del
mattino, fino all’ora di tornare a letto), nella prigione militare di Okinawa,
nel Giappone del 1957. In
queste brevi pagine Brown racconta una realtà quotidiana fatta di violenze e di
divieti assurdi, “miranti fondamentalmente alla totale spersonalizzazione
dell’individuo” che il Living riesce a rappresentare in modo realistico,
senza distaccarsi dal testo, “ma anche senza inutili compiacimenti e,
soprattutto, senza sciatterie formali da teatro-verità, e anzi con un senso
rigoroso della struttura coniugato con quel ‘genuino discorso parlato’ che
il Living stava veramente cercando da tanti anni nei testi di teatro”[3].
Il
film girato da Mekas registra in modo soggettivo questo spettacolo
sottolineandone la carica eversiva e di ribellione. Bisogna
a questo punto ricordare che il 1964 è un anno molto intenso per Mekas che,
dopo un film di protesta come Guns of the
Trees, entra direttamente in campo, facendosi arrestare, più volte, in nome
della libertà d’espressione e contro ogni censura che impediva la proiezioni
di film quali Flaming Creature. L’attività
senza compromessi di Jonas Mekas a favore di un cinema “genuinamente
indipendente” e rivelatore della realtà, esce stavolta in campo aperto contro
le autorità, registrando illegalmente una delle pièce teatrali più discusse
del momento, che rappresenta proprio un’accusa al sistema, militare in questo
caso, e alla violenza, sia fisica che psicologica. Come
abbiamo detto la trama della pièce e del film è quella di un giorno tipo in un
carcere militare: la sveglia alle quattro del mattino, le pulizie, l’ora di
fumo, di nuovo le pulizie, un
prigioniero che impazzisce, uno che se ne va, uno che viene e così via in modo
automatico ed interminabile. Il tempo sembra non passare mai, ed ogni gesto
sembra la ripetizione di uno precedente. Non
c’è una storia, ma semplici eventi e
numerose regole che, con il loro forte impatto emotivo, creano nello spettatore
un’atmosfera di tensione e ribellione. Da una parte ci sono i detenuti e
dall’altra i carcerieri: entrambi vivono rinchiusi in “the Brig”. “The
Brig è una specie di Inferno. Non si devono fare domande. Non è un Inferno
teorico né immaginario né teologico; è l’Inferno del giudizio dell’uomo,
è l’Inferno di tutto ciò che chiude la gente in gabbie e traccia rigide
linee.”[4] La
prigione comprende tutto il palco ed è divisa dalla platea da un lungo ed alto
filo spinato, che Mekas inquadra durante i raccordi fra una scena e l’altra.
Essa è composta da una piccola cella, nella quale si trovano numerose brande
e altrettanti detenuti; e da tre corridoi, due laterali ed uno di fronte
alla platea. La
cella ha una sola entrata che da sul corridoio di destra ed è divisa da questo
da una linea bianca, oltre la quale nessun prigioniero può passare, senza prima
averne chiesto il permesso (è la seconda regola della prigione). Ogni corridoio
della prigione è caratterizzato da una linea bianca. In
entrambi i corridoi ci sono delle porte, quella di destra da verso l’esterno,
quella di sinistra da verso una cella di isolamento. I
prigionieri sono attivi tutto il giorno: essi non possono mai parlare, tranne
che con il secondino; devono chiedere il permesso per compiere qualsiasi azione,
seguendo una formula di rito, usando un tono di voce alto impersonale ed
inespressivo. Quando non hanno compiti da svolgere devono stare sull’attenti e
leggere il regolamento del corpo dei marines (regole uno, tre e quattro).
I
secondini possono usare tutti i metodi di violenza che vogliono, da quella
psicologica a quella fisica; essi vivono l’intera giornata con i detenuti, che
chiamano con un numero, e mai per nome. Non fanno favoritismi, ma trattano tutti
nei peggiori dei modi. Per
la maggior parte delle scene Mekas si trova all’angolo del corridoio destro in
una posizione cioè che gli permette di inquadrare in modo migliore sia
l’entrata della cella che i due corridoi principali, senza comunque svelare la
platea. Durante
le riprese egli si trova a stretto contatto con tutti gli attori, e cerca di
interagire con le loro mosse. Mekas entra più volte nella cella,
sottolineandone le ristrette dimensioni; si avvicina con P.P. ai detenuti e
registra ogni loro più semplice gesto a sua discrezione. I visi di tutti i
detenuti sono sempre seri e concentrati, mentre quelli dei secondini esprimono
per la maggior parte delle volte, rabbia, odio e disprezzo. Fra
tutte le regole della prigione quella che risalta di più da un punto di vista
filmico è la seconda, della linea bianca. Mekas sottolinea queste scene con
continui movimenti di macchina che vanno dal viso del detenuto che chiede di
passare, ai suoi piedi di fronte alla linea bianca. La
voce alta ed impersonale ha anch’essa un posto importante nel contesto
filmico, dal momento che non esiste una colonna sonora musicale, e che gli unici
suoni in tutto il film sono dati dai passi, pesanti, dei soldati (un ulteriore
regola gli impone di spostarsi da un luogo ad un altro di corsa) e dalle loro
voci. Le battute ed il loro contenuto non hanno un significato realmente
importante, ma ciò che colpisce sta nel timbro e nella ripetizione delle
parole. The Brig si divide in quattro parti
scandite da uno schermo nero sul quale appaiono scritti degli orari (4:30, 6:30,
11:30, 16:30); all’interno di ogni parte le riprese si compongono da una serie
di piani sequenza intervallati a brevi stacchi di raccordo spazio temporale. Le
inquadrature sono di due tipi: da una parte ci sono i campi medi, che permettono
una visione intera della scena, come la vedrebbe uno spettatore dalla platea.
Dall’altra parte ci sono i primi piani ravvicinati che permettono allo
spettatore di seguire nei particolari le azioni e le reazioni dei protagonisti.
7Marzo 1957 US MARINE CORPS CAMP
FUJI, JAPAN. 4:30 Interno notte. Silenzio L
m.d.p. si trova sul palco e
riprende in campo medio in modo angolato l’intera scena. Una
luce fioca illumina dall’alto il viso di un uomo ripreso in F.I. che da destra
entra nella cella, sveglia un prigioniero e gli ordina di presentarsi alla
scrivania. La m.d.p. si avvicina lentamente alla scrivania ed inquadra in P.Am.
il carceriere che esce dalla cella seguito dalla luce; arriva il prigioniero, i
due discutono, poi il carceriere picchia il prigioniero e lo rimanda in cella. Si
accende la luce. La
m.d.p., che è posta vicina alla cella, incomincia ad indietreggiare in modo da
riprendere in C.M. il palco, dando una visione frontale totale. Il
c. esce sulla porta e tutti i p. corrono a prepararsi. (Forte trambusto) La
m.d.p. è entrata nella cella e si muove tra i p.: P.P. dei p. Questi
man mano che sono pronti si mettono sull’attenti e leggono il regolamento dei
marines. Un
c. li ispeziona e poi da loro degli ordini da eseguire immediatamente. (Grande confusione) La
m.d.p. intanto è uscita precedendo
o seguendo alcuni p.: si sposta sul corridoio di fronte mostrando la cella da
un’altra angolatura, di lato, e rientra di nuovo quando tutti i p. sono in
fila. Durante
questa operazione ogni p. deve
chiedere il permesso di oltrepassare la linea bianca che si trova in più punti
della prigione. La m.d.p. segue questa scena ponendosi vicinissima al p. ed
inquadrandolo con dei P.P. che vanno dal viso lungo il corpo sui piedi e sulla
linea bianca. Man
mano che compiono il loro compito, i p. ritornano alla loro posizione a leggere
il regolamento. La
m.d.p. entra anch’essa e dopo una breva panoramica si ferma vicina alla porta. Un
c. ordina ai p. di mettersi in fila e dirigersi verso una porta sul retro. La m.d.p. riprende sempre nello stesso
modo in P.P. la scena dei p. che oltrepassano la linea bianca e quando questi
sono tutti fuori resta ferma all’interno della cella. Silenzio. Stacco. 6:30 La
m.d.p si trova al centro del palco e riprende con una panoramica i p.
schierati lungo il corridoio centrale. Un p. esce dal gruppo, la m.d.p.
lo segue in P.Am., mentre corre verso un c. e inizia a fare flessioni, la m.d.p.
sta sempre su di lui con un’angolatura dall’alto verso il basso, poi quando
questi si rialza e inizia a correre in giro alla cella, la m.d.p. torna sul
gruppo in F.I.. La scena prosegue; alcuni p. fumano altri compiono vari compiti.
Grande confusione. Stacco.
La m.d.p. si sposta velocemente in piano sequenza in mezzo ai p. e ai c.
riprendendo i P.P. dei visi che corrono o che urlano. P.P. di un p. che mentre
attraversa la riga bianca si scontra con un c., questi si arrabbia e lo picchia. La
m.d.p. dopo essersi mossa velocemente e in più direzioni, ora si ferma
nell’angolo destro del palco e riprende con dei P.P. mobili i p. che
attraversano la linea bianca prima per mettersi in fila e poi di nuovo per
ricevere una sigaretta. Panoramica
del gruppo, con P.P. dell’accensione delle sigarette. La
m.d.p. si trova ora oltre il filo spinato che divide il palco dalla platea. P.P.
prospettico del filo spinato e dietro il gruppo che fuma. Stacco.
Stessa ripresa di lato, con spostamento veloce in dietro verso
il c. che dirige i movimenti dei p. Quando questi ordina di spegnerla la m.d.p.
segue il movimento dei p.. P.P. dei visi. Stacco.
Oltre il filo spinato. La m.d.p. lentamente si avvicina al gruppo supera il filo
spinato e riprende in P. Am. i p. che si spogliano per l’ispezione. P.P. di un
p. che viene perquisito. La m.d.p. dal viso scende sulle mani di questi, poi si
volta a sinistra e inquadra il p. seguente. Stacco.
Stessa ripresa da un’altra angolatura: la m.d.p. lentamente parte da sinistra torna di fronte, stacco, e si
ferma nell’angolo destro riprendendo i p. che tornano in cella. Stacco.
La cella. La m.d.p. segue gli ultimi uomini ed entra nella cella. Stacco.
La m.d.p. si trova dietro il filo spinato e riprende da una angolatura a destra
l’uscita dalla cella degli uomini, poi rientra oltre il filo spinato e segue
un p. a cui è stato ordinato qualcosa. La m.d.p. lo segue nel corridoio di
sinistra fino ad una porta. Stacco
il p. entra. Stacco il p. esce. F.I. di un c. ed un p. che discutono. La
m.d.p. si avvicina e si allontana dai due poi
si volta e riprende il resto del palco: alcuni uomini compiono dei compiti.
Ritorna sul p. e da un P.P si muove all’indietro arrivando nella posizione
opposta del palco. Stacco.
La m.d.p. riprende la cella da lontano oltre il filo spinato, quindi si avvicina
e si ferma nel corridoio destro e riprende in F.I. un c. che chiama un p.. La
m.d.p. si volge verso sinistra e riprende il p. che si avvicina.
L’inquadratura è bassa e da F.I. diventa un P.P.; il p. è arrivato nel
corridoio destro. F.I.. Il
p. viene messo sotto un bidone ed un altro p. gli corre intorno. La m.d.p.
riprende in movimento ravvicinato e da più angolature il viso del c. che urla,
gli uomini che saltano il tutto spostandosi a destra e a sinistra per tre volte.
(Grande confusione e rumore). 11:30 La
m.d.p. si trova oltre il filo spinato ed inquadra in F.I. con un’angolatura
dal basso, i p. schierati lungo il corridoio centrale; subito dopo sale e
si ferma nell’angolo destro inquadrando la linea bianca e riprendendo i p. che
l’oltrepassano. Si sposta a destra lungo il corridoio e si ferma sulla porta
inquadrando sempre
in P.P. i p. che entrano in cella e che si mettono a leggere. Entra. P.P. dei p.
che si rivestono dopo l’ispezione. P.P. dei visi delle scarpe. Esce di nuovo
sulla porta, fa entrare un c. e si ferma dietro questi. Poi esce si gira verso
sinistra e torna di fronte al palco riprendendo in primo piano le sbarre della
cella e in prospettiva i p.. Stessa inquadratura da più lati: a sinistra, di
fronte, a destra. Inquadra un c. che esce. Di nuovo di fronte, di lato e dal
lato opposto. Stacco
la m.d.p. si trova sul lato destro ed inquadra dalla porta i p. che si preparano
ad uscire. Grande confusione. Entra, panoramica sui p.. Esce e riprende da
un’angolatura bassa a livello dei piedi i p. che corrono freneticamente.
Dall’angolo di destra va al centro seguendo un p.. Poi gira velocemente a
destra e ne segue un altro. Riprende la pulizia dei pavimenti, dall’alto verso
il basso. Gli uomini che fanno i letti. Segue un p. poi lo lascia e torna su un
gruppo a destra. Si avvicina, cambia angolatura. Da sinistra va a destra. Entra
ed esce dalla cella sta in mezzo al corridoio. Tutto con movimenti frenetici
seguendo il ritmo dei p. che corrono in
tutte le direzioni. Stacco.
Ricomincia come prima: va su una coppia (p. più c.), poi su un’altra. La
m.d.p. è vicinissima ai corpi, sembra quasi scontrarsi. Stacco.
Da fuori vediamo i p. che si mettono in fila vicino alla riga bianca sul
corridoio centrale. Riprese da lontano, vicino di fronte dal basso. P.P. dei p.
che oltrepassano la linea bianca. 16:30 La
m.d.p. inquadra da davanti, oltre la rete e il filo spinato. Alcuni p. al
comando iniziano a marciare e a cantare. La m.d.p. si avvicina e si ferma su un
p. che dalle battute capiamo essere in procinto di andarsene. La
m.d.p. si sposta a sinistra poi di nuovo a destra e segue i movimenti di un p.
che va a prendere gli oggetti personali di quello che se ne deve andare. Questi
esce dalla cella e si dirige nel lato sinistro del palco, qui ritira una borsa;
torna in dietro e si ferma vicino all’armadietto delle sigarette, lascia la
borsa chiede il permesso di attraversare la linea bianca e torna in cella. Un c.
riempie la borsa del p. Viene aperta la porta sul retro. Un c. ordina al p. che
se ne deve andare di prendere i suoi effetti personali e di uscire di corsa. La
m.d.p. entra con lui, poi quando questi è pronto lo precede sulla porta
indietreggia lungo il corridoio destro e lo riprende mentre esce dalla porta.
F.I. dei c. , poi ritorna sulla porta, P.P. del p. che saluta il c., poi
indietreggia in F.I. del p. che se ne va uscendo di spalle da una porta sul
retro. Indietreggia di nuovo e arrivato davanti al palco
riprende il gruppo in F.I. che si mette a leggere. Un p. urla. E si
dispera. Movimento in avanti e in dietro. Alcuni c. fermano il p., lo mettono in
cella di isolamento posta a sinistra del palco. Torna sul gruppo che continua a
leggere. Stacco.
La m.d.p. si trova davanti al palco e riprende in C.M. con una ripetuta
panoramica l’intero palco quindi si sposta a destra, ed entra nella cella.
P.P. dei visi dei c. che parlano sulla porta. Dalla porta sul retro entrano dei
militari. Da dentro la cella la m.d.p. si gira e riprende i m. che vanno nel
lato sinistro per prendere il p. impazzito. La m.d.p. esce dalla cella va
nell’angolo sinistro del palco (P.P. sul p. impazzito), e lo segue mentre
viene portato via. Stacco.
Nero. La
m.d.p. inquadra in campo medio il palco, fa una panoramica e si ferma a destra
su un c. che parla. Si avvicina al lato destro e riprende un nuovo p. appena
arrivato. Sta su questi in P.Am. poi indietreggia lentamente e lo riprende in
P.P., lo precede verso il lato sinistro del palco. P.P. del nuovo p. che discute
con un c.. Poi
lentamente dal P.P. passa al P.Am. e indietreggia in fretta precedendo il p. sul
lato destro. Ivi si ferma riprendendo l’attraversamento della linea bianca.
Inizialmente l’inquadratura è bassa perché il p. è costretto ad inginocchiarsi vicino la linea bianca per
ascoltare dal c. l’esatto modo in cui deve attraversare, poi la
m.d.p. si alza con il p. e lo riprende mentre
va di nuovo nell’angolo sinistro. Per due volte il p. si sposta dal lato
destro a quello sinistro mentre la m.d.p. lo segue con delle panoramiche sempre
dalla precedente posizione. A
questo punto la m.d.p. si sposta al centro e poi a sinistra dove inquadra il
nuovo p. mentre parla con uno anziano che gli spiega le regole della prigione.
P.P. dei due. Dopo ciò la m.d.p.
precede il p. dirigendosi nell’angolo destro. La
m.d.p. entra nella cella seguendo i p. e si ferma su quello nuovo. Esce sulla
porta. Stacco.
Da fuori C.M. di tutto il palco. Si
chiudono le luci La
m.d.p. compie una carrellata all’indietro svelando la struttura scenica
teatrale Luce Titoli. The Brig è girato interamente in bianco
e nero con l’ausilio di tre cineprese Auricon, che incidevano il sonoro
direttamente sulla pellicola, e con dodici caricatori da dieci minuti ciascuno
(“La rappresentazione era, quindi,
interrotta ogni 10 minuti per cambiare macchina, ripetendo l’azione per alcuni
secondi ad ogni inizio, così per 12 riprese in tutto.”[5]).
Lo
studio del sonoro di quest’opera fu uno dei punti principali da cui partì
l’idea di Mekas di girare il film: “I
wanted to make a film in which sound was as important as the image. I was
attracted by the sounds of The Brig
_the stamping and running and shouting. It was a stage reality that was very
much like life itself. “[6] Purtroppo
durante le riprese vi furono dei problemi di registrazione: due delle tre
macchine si incepparono e il suono risultò o troppo lento o troppo veloce. “In
fase di montaggio ci accorgemmo che spesso il suono distorto era più efficace
di quello ‘reale’ e in questo caso lo lasciammo. Altrove, dove le battute
erano importanti, usammo la registrazione di ‘protezione’; altrove, ancora,
sovrapponemmo i due nastri contemporaneamente.” [7] Il
sonoro in questo film aiuta le immagini a mantenere un ritmo sempre frenetico,
attraverso ripetuti cambi di tonalità e arrivando anche ad alti gradi
d’intollerabilità. Le distorsioni contenute in esso, in realtà non erano
state previste, ma siccome risultarono efficaci, Mekas decise di utilizzarle ed
addirittura di enfatizzarle, sovrapponendo le bande sonore per intensificare il
suono. “That
was one of the major objections at the time I made the film, and I had to
overrule it. Noise is very much part of that film. The noise is more important
than what’s being said.”[8] Per
quanto riguarda l’illuminazione invece il film appare volutamente buio per
sottolineare l’atmosfera cupa e sporca della prigione; Mekas ricorda che non
c’era stato tempo di studiare un’illuminazione adeguata e quindi furono
utilizzate le luci delle normali rappresentazioni. Egli aggiunse solo due
potenti lampade nella prima fila del teatro, in modo da potersi muovere
liberamente, senza temere di inquadrare la platea. La
regia del film è estemporanea, dal momento che Mekas si trovava sul set,
“nella prigione”, tra gli attori interagendo con i loro movimenti ed
interferendo con le disposizioni della regia teatrale, senza mai sapere quale
scena sarebbe seguita nella trama. “La
mia intenzione non era quella di mostrare lo spettacolo nella sua interezza ma
di catturare il più possibile dell’azione con i miei occhi da ‘cronista’.
Questo tipo di ripresa richiedeva una faticosissima concentrazione del corpo e
degli occhi. Dovevo maneggiare la macchina, mantenendomi fuori dai movimenti
degli attori, vedere ciò che succedeva e ascoltare le battute, e prendere
decisioni istantanee circa i miei movimenti e quelli della macchina, ben sapendo
che non c’era tempo per riflettere, né per ripetere una scena, né per
errori: ero un equilibrista librato in aria sulla sua corda. Tutti i miei sensi
erano tesi fino al punto di rottura. Portavo su di me cinepresa, microfono a
batterie, una buona quarantina di chili in tutto: le dimensioni del palcoscenico
non consentivano la presenza di altri che gli attori e me stesso.”[9] Mekas
aveva così “trattato il dramma di Brown come materia grezza, senza cercare di
penetrare i suoi ‘autentici’ significati”: “Judith
Malina si metteva quasi a piangere tutte le volte che mi erano sfuggite alcune
delle sue belle e acute sottigliezze, che succedevano sul lato sinistro del
palcoscenico quando io mi trovavo a destra, ma io le dissi, non prendertela,
Judith, pensa a tutto quello che perdiamo nella vita vera, ci sarà quel che ci
sarà. (Veramente dovrei dire che una settimana dopo le riprese, persuaso dalla
Malina e da Brown che mancavano numerose battute chiave, a prezzo di grandi
rischi e fatica tornammo nuovamente in teatro, ricostruimmo la scena e girammo i
pezzi mancanti. Ma quando vidi il nuovo materiale in proiezione, capii che non
aveva la spontaneità delle riprese precedenti. Io conoscevo
già l’azione e i movimenti e spesso, mio malgrado, li anticipavo. Era
materiale senza vita e fu gettato via.)[10] In
realtà mettendo a confronto il testo di Brown e il film, Mekas è riuscito a
riprendere tutte le scene principali ed importanti, diminuendo forse un po’ di
quella tediosità contenuta nel primo, dovuta alla ripetizione di alcune scene. Le
riprese con cinepresa a spalla hanno inoltre aumentato il ritmo delle azioni,
rendendo la trama più reale e creando una sorta di interazione tra attori e
pubblico. Il
montaggio del film seguì lo stesso principio delle riprese: dal momento che
Mekas conosceva ormai troppo bene lo spettacolo, per evitare di
dargli una forma personale, egli chiese inizialmente al fratello Adolfas
di farlo al posto suo: “Tu
non hai visto lo spettacolo, non hai visto le riprese e quindi puoi montarlo con
totale estraneità e senza pietà. (...) Prendi questo materiale e trattalo
senza rispetto e con durezza, butta via tutto ciò che non vale la pena di
guardare, dimentica che c’è mai stato un testo, tanto tutt’e due detestiamo
il teatro, fa a me ciò che io ho fatto a Brown e ai Beck,”[11] In
realtà però Il lavoro di Adolfas riguardò principalmente il sonoro: egli si
limitò infatti ad eliminare le scene di raccordo fra un ripresa e l’altra
che, sebbene piacessero a tutti, sia al Living che a Jonas, non erano adatte al
tipo di mercato distributivo a cui essi erano rivolti, e poi si concentrò
unicamente sulla colonna sonora, ridandole una forma concreta. Il
resto del montaggio fu invece dello stesso Jonas che si limitò ad eliminare
solo quelle parti che da un punto di vista filmico, e non teatrale, non
funzionavano. L’esempio più eclatante è l’ultima parte dell’opera, che
risultando troppo melodrammatica per lo stile documentaristico usato da Mekas,
dovette essere omessa. L’opera
teatrale “The Brig” dura in
tutto approssimativamente novanta minuti e Mekas ne tagliò circa venti. Nell’Agosto
del 1964 The Brig ebbe la sua prima
importante apparizione al venticinquesimo Festival di Venezia, in Italia, dove
vinse il primo premio per il miglior documentario. In seguito esso fu presentato
anche al New York Film Festival (1964), al London Film Festival (1964), al
Moscow Film Festival (1967). Le
recensioni dell’epoca sono decisamente entusiaste: il Village Voice ne
annunciava la meritata vittoria sottolineando però lo sbaglio fatto da parte
del giudici del Festival di Venezia, che avevano confuso la tecnica realistica
del film con quella di un documentario: “‘The
Brig’ was shot on the Living Theatre stage in one evening using ‘cinema
verite’ techniques. The thecniques proved to be more effective than was
intended: the film was mistaken by the Venice festival as a documentary.”[12] Per
Cynthia Grenier del New York Herold Tribune “the film moves at a manic pace,
heightened by speeded-up images and distorted sound track.”[13]
Anche Penelope Gilliatt dell’Observer
Weekend Review trova il sonoro “technically very interesting, with the
dynamics stylised like a music store”, mentre tuttavia crede che il modo in
cui Mekas muove la cinepresa diventi “a vile replica of the jailers’
insatiable physical fascination with the victims. ‘The Brig’ is a horryfying
image of degradation, and it work in the cinema with grim brilliance.”[14] Su
Variety The Brig ebbe numerose
recensioni: dopo quella del 26 agosto[15]
che annunciava la vittoria di alcuni documentari americani alla Mostra di
Venezia, seguirono quella del 9 e del 30 settembre. Nella prima di queste ultime
due, dopo una breve presentazione, l’autore scrive: “An
intensely roving camera tracks about the stage catching the harrowing routine in
a U.S. Marine brig. There is no attempt to cut this into balanced scenes.
Instead, the camera just records the play. There were probably repeats of
sections for proper mounting, but it is essentially a record of the play from
within rather than from an audiance vantage point. (...) Mekas has managed to
keep his hand held camera fluid while catching the constant movement with
usually telling force. It’s repetitious, it is always in crescendo and has a
dramatic edge as victims and victimizers seem to blend into a ballet like form.
(...) Blow up from 16mm, it has the right, stark pictorial look and Adolfas
Mekas has contribuited fluid editing with fine balanced playing by a little
known group of actors.”[16] Nel
secondo articolo di Variety si legge invece: “This
filmed-on-the-stage version of a play (in corse of one performance) has a
vitality as film which is unique and does in cinema terms what the seekers for
new form in plays and novels are attempting. It is a faceless, formless,
dialog-less experience that is fascinating and at the same time abrasively
unpleasent. As a technical feat, it is extraordinary, and one wonders how much
better the film version of ‘The Connection’ might have been hads it been
done this way, rather than in a studio with all the niceties of life and IATSE
at hand. However, make no mistake, ‘The Brig’ is much more than a ‘filmed
play’.”[17] Questa
teoria venne ribadita anche da Philip Oakes sul The Sunday Telegraph: “The
Brig is not by any stretch of the imagination what is handily described as
‘entertainment’. It is a supremely skilful imitation of one sad and mad
aspect of life. It does not call for applause; only for anger.”[18] Di
tutt’altro tipo furono invece i commenti espressi dopo la proiezione di The
Brig durante il New York Film Festival; Howard Thompson che scriveva sul New
York Times giudicò che: “The effect of its showing
last night at the festival was one of being steadly clubbed over the head with a
baseball bat. What price art? In the case of ‘The Brig’, a nervous
breakdown. Unrelieved by one whit of lightness or compassion, this harrowing
screen exercise depicts the methodical, round-the-clock fiendishness inflicted
on 10 prisoners by three guards, all of it apparently in the line of duty. The
unswerving Mekases have combed their tiny setting, a bunk-lined cage and outside
corridor, with a raw, ravenous camera that spares
nothing, as the shrill-voiced, blank-faced prisoners bob around like terrified
robots at the bland bidding of their torturers. (...).”[19] Mentre
il Time si limitò a presentare
The Brig come: “A
raw slice of new American cinema (...), with such brutish authenticity that it
won a Venice festival price as best documentary. Part drama, part polemic, with
shock-wave sound and a nightmare air that suggests Kafka with a Kodak, the movie
does exactly what it sets out to do _seizes an audience by the shirtfront and
slams it around from wall to wall for one gruelling day in a Marine Corps lock
up.”[20] Infine,
in Europa, la critica probabilmente più importante in quegli anni fu quella dei
Cahiers du Cinéma, che giudicarono The
Brig una fantasctica riduzione: “Le
passage du theatre au cinema a ete une fantastique reduction. (...) La mise en
scene? C’est enregister puis coller bout a bout tous ces fragment de telle
facon que le constact se fasse et qu’un meme courant les foudroie tous. Quand
le film a ete vu jusau’au bout, il n’existe plus.”[21] Per
ultimo, riguardo a questo film, bisogna citare l’esistenza un un “bellissimo
documentario” intitolato Jonas in the
Brig, realizzato dai collaboratori di Mekas, durante le riprese, e “che
mostra il regista mentre si destreggia con la cinepresa sulla spalla fra gli
attori”[22]. [1] Mac Donald, S., “Interview with Jonas Mekas” op. cit., pag. 99. Traduzione: “Feci il film in un certo senso come critica al cinema veritè.” [3] Beck, Julian e Malina Judith, Il lavoro del Living Theatre (materiale 1952-1969), Milano, Ubulibri, 1982, pag. 93. [4] Ibidem, pag. 98. [5] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 156. [6] Mac Donald, S., “Interview with Jonas Mekas” op. cit., pag. 99. Traduzione: “Volevo fare un film in cui il sonoro fosse importante quanto le immagini. Ero attratto dal sonoro di The Brig _i salti, le corse e gli urli. Era una strana realtà che assomigliava molto alla vita stessa.” [7] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 158. [8] Mac Donald, S., “Interview with Jonas Mekas” op. cit., pag. 102. Traduzione: “Fu una delle maggiori obbiezioni fatte al tempo in cui girai il film e dovetti metterlo apposto. Il rumore è quasi sempre parte del film. Il rumore è più importante di ciò che viene detto.” [9] Leonardi, A., Occhio mio dio op. cit., pag. 156. [10] Ibidem. [11] Ibidem. [12] “Mekas’s ‘Brig’ Wins at Venice”, in Village Voice, August 22, 1964. Traduzione: “The Brig fu girato sul palco del Living Theatre in una sera usando la tecnica del ‘cinema veritè’. Le tecniche hanno provato di essere più effettive di come si intendeva: il film fu scambiato dal festival di Venezia come un documentario.” [13] “Venice Applauds ‘The Brig’; Story of U.S. Marines’ Prison”, in New York Herald Tribune, Paris, Friday, September 4, 1964. Traduzione: “il film si muove con passo maniacale, intensificato da immagini velocissime e da un sonoro distorto.” [14] “Venetian hits”, in The Observer Weekend Review, September 6, 1964. Traduzione: “tecnicamente molto interessante, con la dinamica stilizzazione di un negozio di dischi....una vile replica dell’insaziabile fascinazione fisica dei guardiani con le vittime. The Brig è una orribile immagine di degradazione, e lavora nel cinema con feroce brillantezza.” [15] “ ‘Brig’ Wins at Venice Documentary Fest; 2 Yank Pix Cop Kid Awards”, in Variety, August 26, 1964. [16] “The Brig”, in Variety, September 9, 1964. Traduzione: “Una veloce cinepresa sfreccia sul palco riprendendo la straziante routine di una prigione dei marines. Non c’è nessun tentativo di darne un taglio in scene bilanciate. Infatti, la cinepresa riprende solo lo spettacolo. C’erano probabilmente sezioni ripetitive, ma questo è essenzialmente la registrazione dello spettacolo da un punto di vista dello spettatore. Mekas ha deciso di riprendere in modo fluido con la cinepresa in mano, mentre i movimenti risultano più forti e decisi. E’ spesso ripetitivo, in crescendo e possiede un limite drammatico dal momento che le vittime e i carcerieri sembrano mescolarsi in una forma vicina al balletto. Allargato a 16 mm esso possiede il look giusto, completamente pittorico, grazie anche al contribuito di A. Mekas che ha reso il montaggio fluido e ad una interpretazione ben bilanciata ad opera di un piccolo gruppo di attori noti.” [17] “ N.Y. Fest: Short Takes & Tales”, in Variety, September 30, 1964. Traduzione: “Questa versione dello spettacolo ripresa sul palco (durante una performance) possiede una vitalità come film che è unica e che in termini cinematografici è ciò che i ricercatori di nuove forme stanno cercando nelle storie e nelle novelle. Esso è un’esperienza senza lineamenti, senza forma senza dialogo che affascina e allo stesso tempo è abrasivamente disgustosa. Dal punto di vista della tecnica d’azione, esso è straordinario, ed uno si meraviglia quanto migliore la versione cinematografica di “The Connection” sarebbe stata se fosse stata fatta in questo modo, piuttosto che in uno studio con tutte le cose più belle della vita e iatse a mano. Comunque, non facciamo sbagli, The Brig è più di uno spettacolo filmato.” [18] “ Films”, in The Sunday Telegraph, September 6, 1964. Traduzioni: “The Brig non è con ogni immaginazione ciò che normalmente si definisce intrattenimento. Esso è una imitazione largamente superiore di una malato e deviato aspetto della vita. Esso non chiede applausi, ma rabbia.” [19] “The Brig”, in New York Times, September 21, 1964. Traduzione: “L’effetto della sua visione la scorsa sera al festival fu come essere colpito alla testa con una mazza da baseball. Quanto costa l’arte? Nel caso di The Brig, un nervoso crollo. Privo di un barlume di lucentezza e compassione, questo contorto esercizio cinematografico, dipinge la metodica e continua malvagità inflitta a dieci prigionieri da tre guardie, tutte apparentemente dalla parte del dovere. I costanti Mekas hanno combinato i lori piccoli luoghi, una gabbia ed il corridoio circostante, con una rozza e nervosa cinepresa che non dimentica nulla, come le striduli voci di prigionieri senza faccia che se ne vanno in giro come robot seguendo ciechi ordini di coloro che li tortura.” [20] “Festival in New York”, in Time, Weekly Newsmagazine, September 25, 1964, Vol. 84, No. 13. Traduzione: “Una rozza fetta del nuovo cinema americano, con così tanta volgare brutalità che ha vinto il primo premio al festival di Venezia come miglior documentario. Parte dramma, parte polemica, con un sonoro spaventoso ed un’aria da incubo che suggerisce Kafka con una Kodak, il film fa esattamente ciò che intende fare _misura gli spettatori dallo sparato di camicia e li sbatte intorno da muro a muro per un estenuante giornata chiusi nel Corpo dei Marines.” [21] “The Brig”, in Cahiers du Cinema, October 1964, N. 189. Traduzione: ”Il
passaggio dal teatro al cinema è stata una fantastica riduzione. (...) La
regia? E’ data dalla registrazione pezzo per pezzo di alcuni frammenti in
modo che essi facciano contatto e che la stessa corrente li fulmini tutti.
Quando si finisce di vedere il film esso non esiste più.” [22] Costa, Antonio, Valenti, Cristina (a cura di), Lliving Pictures, Cinema & video per il Living Theatre, Anteprima per il cinema indipendente italiano, Bellaria, Igea Marina 3/8 giugno 1994, pag. 32.
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