CUP/SAUCER/TWO DANCERS/RADIO
Cup/saucer/two
dancers/radio è la ripresa di una performance teatrale in stile Pop Art interpretata da
Kenneth King e Phoebe Neville, in cui gli oggetti elencati nel titolo hanno la
stessa importanza degli attori. Il secondo è invece composto dal montaggio di
alcuni pezzi che ritraggono le performance di E. Hawkins e L. Dlugoszewski,
riprese in occasione delle lavorazione di Film
Magazine of the Arts. Il
materiale contenuto in questo cortometraggio è stato da noi già analizzato nel
capitolo relativo ai primi corti di Mekas, ci limiteremo dunque a citarlo,
attraverso le parole di una
recensione del Village Voice: “In
Excerpts from ‘Here and Now with Watchers’, the camera seems unobtrusive,
yet you realize it guides your eye to notice unusual actions: a sudden lunge, a
satisfying ankward knot of hands and feet on the floor. The
camera also captures the row of spectators within touching distance of
the dancer, and seems to create an equally intimate yet respectful line of
vision. Dlugoszewski’s performance is a beautifully controlled, even elegant
storm of sound”.[1] Cup/ Saucer/ Two Dancers/ Radio, è
un’opera di teatro d’avanguardia che si svolge presumibilmente su un palco
(fatto solo di pareti bianche), con del pubblico; dico presumibilmente perché
le riprese fatte da Mekas, con una cinepresa a spalla reagendo direttamente fra
i due attori, non permettono di determinare lo spazio reale in cui si svolge
l’azione. Girato
nello stesso anno di The Brig, fu ripreso con lo stesso stile, interagendo con la performance teatrale seguendo ogni mossa
degli attori e reagendo con essa. Sebbene
gli stili di ripresa di questi due film siano molto simili, essi differiscono
nella struttura: Cup/ Saucer/ Two Dancers/
Radio, è a colori, gioca molto con la messa a fuoco dei primi piani,
creando un maggior effetto improvvisato, ed inoltre, gli spostamenti della
cinepresa sono sempre minimi in modo da non scoprire mai la finzione teatrale;
esso è inoltre caratterizzato anche da una struttura scenica fortemente
teatrale e dalla forzata e meccanica recitazione dei due attori. In
The Brig lo spettatore sa che la pièce si svolge in teatro perché è Mekas
che lo mostra, in Cup/ Saucer/ Two Dancers/
Radio, invece essi lo vedono perché è inevitabilmente presente
nell’intera struttura registica. I
protagonisti dell’opera sono come dice il titolo, una tazza, il suo piattino,
due danzatori, un uomo ed una donna, ed una radio. La donna indossa
semplicemente delle mutande ed un reggiseno
mentre l’uomo è vestito con degli slip ed una tuta da danzatore; la
funzione degli oggetti è sempre simbolica ed è determinata lungo il corso
della narrazione dagli stessi danzatori. La radio possiede una doppia funzione,
da una parte diffonde musiche pop, dall’altra rende possibile l’emissione di
una voce fuori campo che descrive anticipandole, alcune azioni. La
macchina da presa agisce seguendo i gesti dei due Dancers e della voce fuori
campo: essa si sposta attraverso dei lunghi piani sequenza, caratterizzati da
alcuni problemi di messa a fuoco, e brevi P.P. ravvicinati dei corpi degli
attori e degli stessi oggetti, decontestualizzandoli dal resto della scena. La
trama di questa danza postmoderna
è praticamente impossibile da raccontare, dal momento che essa si compone
totalmente di movimenti e gesti simbolici; il messaggio intrinseco
invece scaturisce abbastanza facilmente, in una simbolica
post-nucleare (sirena antiaerea), che cerca di raccontare l’alienazione
dell’umanità costretta a dover convivere con la paura e la morte (il sangue
nella tazza). “Mekas,
recording a 1965 performance of this key postmodern dance, has traslated it into
an extraordinary film, with colors that progress from soft to bold, and with a
focus that so tightly frames the objects and isolated body fragments that,
fittingly for its theme of human alienation, the viewer is forced to understand
the tonality of the dance by putting together these scraps in the mind’s eye.”[2] [1] Ibidem. Traduzione: “Nella parte intitolata “Here and Now with Watchers” la cinepresa sembra nascosta, poi invece ti accorgi che essa guida i tuoi occhi facendoti vedere movimenti inusuali: un movimento improvviso, uno spostamento di mani e piedi sul pavimento. La cinepresa cattura anche gli spettatori senza tenere una distanza dal danzatore e sembra creare una uguale intima e rispettosa linea di visione. La performance della Dlugoszewski è splendidamente controllata come un elegante insieme di suoni.” [2] Ibidem. Traduzione: “Mekas registrando una performance del 1965 di questo spettacolo in chiave post moderna lo ha trasformato in uno splendido film, con un colore che cresce dal tenue all’intenso, e con un fuoco di ripresa che riprende gli oggetti in modo così distinto ed isola i frammenti di corpi che, colpito dal suo tema di alienazione umana, lo spettatore è forzato a capire le tonalità del ballo mettendo assieme queste caratteristiche nell’occhio della mente.”
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