GUNS OF THE TREES

 

Nell’estate del 1960, mentre Film Culture rendeva pubblica la nascita del “New American Cinema” e, mentre tutti inneggiavano Pull my Daisy ad esempio della nuova tendenza indipendente, Mekas stava girando il suo primo film, Guns of the Trees.

“The movie was the manifesto’s celluloid corollary, a would be synthesis of Shadows’s “texture of dark lonely streets, bars and neon lights” (Sight and Sound) and Pull my Daisy’s Beat pad and spontaneous hijinks.” [1]

Con l’aiuto del fratello, Adolfas Mekas, e la supervisione del collega Edouard de Laurot, Jonas era  partito con lo scrivere una trentina di sequenze attorno alle quali egli voleva che gli “attori” improvvisassero. Il film si presentava dunque privo di sceneggiatura, ma arricchito dal supporto poetico, scritto e letto, della voce fuori campo di Allen Ginsberg.

In un articolo già citato, Mekas affermava che con questo film aveva cercato di allontanarsi dal modo tradizionale di raccontare una storia, decidendo di usare le scene in modo sconnesso, “quali parti di un affresco che raccoglie le emozioni, come un artista dell’acting painting usa le macchie di colore”. Guns of the Treesparte dal realismo e tenta di arrivare alla poesia”, perché “se si vogliono toccare verità più profonde, se si vuole usare un linguaggio indiretto, bisogna abbandonare il realismo e penetrare nelle regioni della poesia.” E la forma più libera che permetta al nuovo artista di esprimere “la sua ansia e il suo malcontento “ in maniera più diretta,  è secondo Mekas l’improvvisazione.

Sin dai primo inizi di lavorazione Guns of the Trees fu colpito da numerosi problemi: Jonas e i suoi collaboratori furono accusati di lavorare senza licenza, di essere prima  delle spie e poi dei beatnik. Venne rubato una parte dell’equipaggiamento, rotte le cineprese e fu loro negato di girare in alcuni luoghi per vigilare la sicurezza pubblica.

Ci furono poi anche dei conflitti sul set e, a Novembre, Jonas dovette mandare via Edouard de Laurot a causa delle sue continue interferenze.

“He was a brilliant person, but very self-centered and very dictatorial. Edouard’s position was that absolutely every movement, every word, every thing that appeared in the film should be totally controlled and politically meaningful. I tented, even at that time, to be more open; I was interested in improvvisation, chance, accidents. I was too inexperienced and unsure of myself to push through with my own shy vision. So often I did things Edouard’s way. I came to the point, finally, that we had to part, to end the friendship. This was an important lesson for me: it was clear that I had to work alone in the future. I was never happy with that film.”[2]

In questo stesso periodo Mekas dovette sospendere temporaneamente la lavorazione del film per sostenere il New American Cinema Group nella creazione della Film-Makers’ Cooperative. Durante l’inverno egli trovò il tempo di montare il girato (“the first cut was some 160 minutes”[3]) usando la moviola di Shirley Clarke, e in primavera aggiunse invece  del materiale filmato durante il “folk music riot” (il 9 Aprile) “when New York police battled banned folksingers and their supports in Washington Square, as well as during various protests against the abortive, United State-sponsored invasion of Cuba.”[4]

Mekas stesso non fu mai veramente contento del risultato di questo film:

“It’s very clear by now, the whole film is a failure”, scriveva lo stesso nel proprio diario durante il montaggio finale.

 “The mad, insane world has prevented me from finishing this film. It will remain rough, a sketch-book of what I intended it to be, an unfinished poem, a madhouse sutra, a cry. But I have decided that it should be seen, even in its unborn form. There is not enough time” (3 April, 1961).[5]

Guns of the Trees non racconta nessuna storia.

“Mekas described the film as an “attempt to portray the inside of a generation, its subtle feelings, thoughts, and attitudes”.” [6]

 La struttura narrativa di questo film non ricalca quelle classiche, composte da un inizio uno sviluppo e una fine; esso si compone invece di 15 sequenze divise le une dalle altre da uno schermo bianco ed unite solo dalla presenza delle due coppie di giovani  protagonisti. Ogni scena a sua volta è composta da situazioni verbali e sceniche “evocative e suggestive, apparentemente slegate e oscure”, ma unite da un tema comune, il tema della guerra e della  morte.

Se dovessimo riassumere la trama di questo film diremmo brevemente che Guns of the Trees è la storia di due coppie che vivono entrambe nella New York del 1960, oppresse dall’ombra della bomba atomica. La prima coppia, composta da Gregory e Frences, non ha un futuro: ogni volta che vediamo Frances è solo attraverso dei flash-back, perché come ci viene detto subito nella seconda scena, questa si è suicidata. Gregory  dal canto suo non riesce a comprendere il perché ci sia qualcuno che ancora muore, e  durante tutto il film si sforza di trovare una risposta a questa domanda.

La seconda coppia, è invece composta da Ben ed Argus due giovani di colore, felici ed in procinto di avere un figlio. Durante il film assistiamo all’evolversi nei due di un malessere sociale e generazionale molto forte che tuttavia non si risolverà funestamente, ma creerà solo una nuova coscienza morale nei protagonisti.

Il cammino di entrambe queste coppie si incontra durante le proteste, nel momento dell’azione, nei momenti in cui cercano di crearsi un futuro migliore.

 

 

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continua....seconda parte


[1] Ibidem, pag. 108.

Traduzione: “ Il film fu una conseguenza al manifesto (scritto da Mekas), una sintesi tra la “struttura fatta di buie e solitarie strade bar e luci al neon” di Shadows e il tocco beat di Pull my Daisy.

[2] MacDonald, Scott, “Interview with Jonas Mekas”  op. cit. pag. 98.

Traduzione: “ Egli era una persona brillante, ma molto egocentrica e dittatoriale. La posizione di Edouard era questa, assolutamente in ogni momento, ogni parola, ogni cosa che appariva nel film doveva essere totalmente controllata e politicamente comprensibile. Io tentavo, anche a quel tempo, di essere più  aperto; ero interessato all’improvvisazione, ai cambiamenti agli sbagli. Ero senza esperienza ed insicuro di me stesso per prevalere con le mie semplici idee. Così spesso feci delle cose come voleva Edouard. Alla fine fu inevitabile che dovevamo dividerci, chiudere l’amicizia. Questa fu una lezione importante per me: fu chiaro che dovevo lavorare solo nel futuro. Non fui mai felice con questo film.”

[3] James, David E., To Free the Cinema op. cit., pag. 112.

Traduzione: “al primo taglio era qualcosa come 160 minuti”.

[4] Ibidem.

Traduzione: “ quando la polizia di New York se la prese con dei cantanti folk e i loro supporter in Washington Square, allo stesso modo di quando varie proteste contro l’aborto, e contro gli Stati Uniti  che sponsorizzavano l’invasione di Cuba.”

[5] Ibidem.

Traduzione: “ Questo pazzo ed insano mondo mi ha impedito di finire questo film. Esso rimarrà rozzo, un insieme di scene di ciò che doveva essere, un poema infinito,  la raccolta dei racconti di una casa di pazzi, un pianto. Ma ho deciso che dovrà essere visto, anche nella sua forma incompleta. Non c’è più abbastanza tempo.”

[6] Tomkins, Calvin, ”All pockets open”, in The New Yorker profiles, January 6, 1973, pag. 37.

Traduzione: “ Mekas descrive il film come “un tentativo di fare un ritratto di una generazione, delle sue emozioni nascoste, dei suoi pensieri ed attitudini.”

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