LOST LOST LOST
Lost,
Lost, Lost,
è il primo volume dei “diari” di Jonas Mekas _In
Between (1964-66) è il secondo e Walden
(1964-69) il terzo. Le
riprese contenute in quest’opera (2h.58min, b/n e colori) provengono dal
numeroso materiale che Mekas iniziò regolarmente a collezionare, subito dopo il
proprio arrivo in America fino al 1963; nel 1975 grazie ad un premio speciale
della cifra di 20,000 dollari assegnato a Jonas dal “New York State Concil on
the Arts”, questi fu in grado di
terminare finalmente l’opera e renderla pubblica: “Suddenly
I had enought money and I said, “This is my chance”. [1] Lost,
Lost, Lost
è composto da sei reel (uniti assieme da numerosi titoli e sottotitoli) e si divide in tre parti ognuna delle quali segue la stessa
organizzazione narrativa: in ognuna delle tre parti, il primo reel comprende
materiale personale e relativo alla vita di famiglia, mentre il secondo riguarda
il contesto politico e pubblico del filmmaker. Ogni reel viene costruito
seguendo un significato intrinseco al montaggio ed uno totale che appartiene
all’intera opera; esso inizia nello stesso modo, con la presenza sullo schermo
del filmmaker, e di suo fratello Adolfas, e finisce con scene di interesse
sociale o politico. Il
primo reel inizia nel Novembre del 1949 con l’arrivo di Mekas a New York, e
riguarda quella parte della vita del film-maker caratterizzata interamente dai
ricordi e dalla temporanea situazione sociale di Displaced Person. In questa
prima parte del film Mekas ci mostra la comunità lituana immigrata ed il suo
posto all’interno di essa. Con il terzo reel Mekas lascia Brooklyn ed il suo
passato per una nuova vita a Manhattan dove iniziano i primi contatti con la
comunità culturale, mentre nell’ultima parte vediamo Mekas ormai finalmente
integrato in questo nuovo mondo. “The
period I am dealing with in these six reels was a period of desperation, of
attemps to desperately grow roots into the new ground, to create new memories.
In this six painful reels I tried
to indicate how it feels to be in exile, how I felt in those years. These reels
carry the title LOST, LOST, LOST, the title of a film myself and my brother
wanted to make in 1949, and it indicates the mood we were in, in those years. It
describes the mood of a Displaced Person who hasn’t yet forgotten the native
country but hasn’t gained a new one. The sixty reel is a tarnsitional reel
where we begin to see some relaxation, where I begin to find moments of happines.
New life begins. What happens later, you’ll have to see the next installment
of reels....”[2]
Reel
1[3] Lost,
Lost, Lost, schermo arancione; A week after we landed in America
(B’klyn) we borrowed money & bought our first bolex; The year was
1949; On Lorimar Street; On 23rd St. Pier DP’s arrive in America;
First imagines of NY we took; Lincon Center; The roof of Williamsburg (Brooklyn);
In the Darius Gireuas Square; In the hurt of Willensburg; While Brook. Slept; Thru
the street of Brooklyn; Thru the street of Brooklin I waled; I walked my heart
crying from loneliness; arancione; Time Square; in Prospect park; Ginkus’ candystor on Grand
st.; A picnic; Stony Brook; A baptism; Two dances; Prof. P.; On Liberty Av.
DP’s picket Lithuanian Communist newspaper; On Madison Av. a soviet mission;
Communitee for an indipendent Lithuania meets in NY; Webster Wall (Marinetti);
Under the whithe hourse of Lithuania; Adolfas
1952. Il
primo ed il secondo reel sono costruiti attraverso il montaggio di scene che
esplorano e testimoniano la vita della comunità lituana in esilio a New York,
sottolineandone le tradizioni ed i sogni. La prima parte è più lirica e
personale, mentre la seconda ha il suo fulcro nella tematica propriamente
politica. Lost, Lost Lost, non è però
un film sui lituani, ma su Jonas e Adolfas Mekas, due esuli lituani i cui
ricordi si ricollegano a quelli della loro comunità. Sin
dall’inizio Mekas stesso si presenta di fronte alla cinepresa, ancora prima di
vedere le prime immagini, il titolo "A week after we landed in America (B’klyn)
we borrowed money & bought our first bolex” ci introduce i fratelli Mekas
di fronte all’obbiettivo, mentre propongono dei piccoli trucchi alla Melies
(oggetti che appaiono, e scompaiono ecc.). Assistiamo dunque alle prime immagini
di New York riprese con loro prima Bolex, (un uomo per la strada e dei palazzi)
e il Lincon Center con i pattinatori, il tutto collegato assieme dalla voce
fuori campo dell’autore che ricorda come tutto sembrasse normale, come se
nessuno sapesse che c’era stata una guerra (un uomo vestito da nazista
inquadrato in F.I. si avvicina minaccioso all’obiettivo). La
colonna sonora usata in queste prime immagini conferma già una certa
“autocoscienza filmica”: “Oh
sing, Ulysses / Sing your travels / Tell where you have been / Tell what you
have seen / And tell the story of a man / Who never wanted to leave his home /
Who was happy / And lived among the people he knew / And spoke their language /
Sing how then he was thrown out into the world”.[4] Introducendo
il film in prima persona, Mekas sembra voler sottolineare implicitamente di
essere il reale protagonista di quest’opera., che come un eroe letterario
cavalca attraverso le proprie tradizioni in cerca di un nuovo mondo.
Attraverso
queste continue apparizioni, egli vuole creare una certa distinzione fra se ed
il resto delle displaced person da lui documentate, le quali non sono ancora
riuscite a crearsi una nuova vita, ma sono rimaste ancorate al passato. Lost,
Lost, Lost,
svolge il compito di
testimoniare la crescita della nuova identità dell’autore, un’identità che
trova le sue fondamenta nell’arte registica, ma anche in quella propriamente
letteraria. Durante
l’evolversi delle azioni noi assistiamo anche all’evolversi della tecnica
registica del film-maker, che passa
dal documentario sociale, al puro commento giornalistico, ad un semplice
approccio narrativo. In questo senso lo stile di Lost,
Lost, Lost, si discosta da quello di Walden
e In Between: esso non include ancora
quella particolare rapidità e quel montaggio caratterizzato da una ripresa
fatta a singoli frame; gli avvenimenti della vita di Mekas negli anni di
Lost, sono ancora troppo chiaramente collegati ai ricordi, e solo quando, più
avanti tutto si stabilizzerà ed il tempo e gli avvenimenti inizieranno a
scorrere più velocemente, allora anche la tecnica registica acquisterà velocità. Dall’altra
parte, scopriamo la sua vena poetica che si esprime attraverso semplici immagini
(Mekas che batte a macchina, e P.P. di pagine scritte dal filmmaker ed
inquadrate in modo da sottolineare solo alcune importanti parole), e attraverso
numerosi titoli, che con il loro particolare ritmo sembrano strofe poetiche (“While
Brooklyn slept; Thru the street of Brooklyn; Thru the street of Brooklyn I
walked; I walked my heart crying from loneliness”). Il
secondo reel inizia con le immagini del professor Pakstas, che come racconta lo
stesso Mekas, fuori campo, conosce bene cosa vuol dire emigrare (I
was there, I was the camera eye...I was there I recorded it for those who don’t
know the pain of exil[5])
questa sequenza è seguita da varie dimostrazioni, fatte contro il governo
sovietico da parte della comunità lituana (sottolineate da una musica di Chopin
_How beautiful is this music but this
music was written by Chopin when he
was in exil in Paris.[6])
e da una polemica privata dello stesso autore, contro i “superpowers”: ”Oh
let my camera record the desperation of the small countries. Oh, how I hate you,
the big nations, and your big rivers and your big montains and your big
histories and your big armies and your big wars, and your always get together
like at the United Nations and you proclaim yourself The Big Three or The Big
Four, and you always think that you are the only ones, and others, you know,
others should only be part of you or speak your language. Oh come, come, the
Dictatorship of the Small Countries.”[7] In
questa stesso reel si vedono anche vari incontri politici e una lettura
(contenuta nella parte intitolata Under
the white horse of lithuania),del poeta lituano Juozas Tysliava, e,
intercalati a queste scene quotidiane che documentano la storia della comunità
lituana integratasi nella cultura americana, ma sempre conscia delle sue origini
(“Oh no, never, never you’ll be able
to uproot it from your minds, from your heart, from the very cells of your body”[8]).
Seguono così scene di matrimoni,
picnic (“our last times together”), la lithuanian soccer team, i costumi
tipici delle donne lituane, ed infine la celebrazione della vigilia del 1953
(accompagnata dalla canzone popolare _inglese_ “Kiss of Fire”). Il
secondo reel finisce con lo schermo nero e la voce di Mekas che dice: “This
was one of our last time together. I felt I was falling to one thousand pieces.
Next day I left Brooklyn and moved to Manhattan”.[9] Tutte
queste immagini sono riprese in modo “fotografico”, e cioè con una tecnica
statica e distaccata, come se Mekas volesse solo dei ricordi, e nessun
sentimento particolare; mentre la colonna sonora è quasi interamente formata da
musiche popolari lituane e dalle parole malinconiche e poetiche dell’autore. Reel
three[10] Diaries,
Notes and Sketches, Lost, Lost, Lost, The spring of 1953; On Richard Street;
Susan; Gideon; Doroty; From an unfinished film; We visit Storm & Louis; Film
Culture is rolling on in Lafayett Street; A walk in Central Park; In the wood;
We watch the winter; Goofing with Arlene and Edouard; A trip in the shooting
Grounds; Tina and a trip to L.A.; Louis and Storm visit us on 13 street; Charles
levin footage of the Guns of the Trees shooting; At the New York theatre;
Breakfast with Frances; At Segal’s chicken farm; Robert Frank shoots The Sun
of Jesus; Our life on 13th street goes on; Atrip to L.I. with
Weinsberg; At the City Hall people gathered to protest air raid tests; 8th
Lynn Dreamed; In the street; On the outsturts of NY ; On the strret of big city;
On 8th St. ; On Madison Av.; Leaflet women; On cold day; 1962, Spring
Nel
seconda parte la parentesi lituana lascia il campo ai veri protagonisti, Jonas e
Adilfas Mekas. Anche questo reel inizia con i due fratelli di fronte
all’obiettivo mentre posano tra delle piante fiorite, e poi con un’immagine
di Adolfas che scrive. “That
spring my brother came back from the army. We settled down on Orchard Street,
and we started, or rather, we continued writing. We wanted to be writers”. [11] Questo
primo passaggio richiama
formalmente quello del primo reel, ma qui introduce un contesto differente, è
primavera e i due protagonisti hanno incominciato una nuova vita. Di seguito
quindi conosciamo i loro nuovi amici, introdotti da dei titoli (Gideon, Doroty,
Storm, Louis, Arlene, Edouard), e scopriamo che Film Culture esiste già (Film
culture is rooling on Lafayette Street). Ciò nonostante la vita per Mekas è
ancora difficile: “It
is a miserable period. We lived on miserable sandwiches and coffee. We wrote. We
did a lot of writing, with coffee eating our stomachs.”[12] All’interno
del terzo reel Mekas racconta ed
introduce le immagini di un film, il primo che il fratello e lui erano
intenzionati a girare, ma di cui poi non fecero nulla. Egli descrive gli eventi
narrati proprio nel mentre si assiste alle scene: “This
woman ....get up in the morning, the sun is streaming throught the window. She
dresses up. She walks out into the street and suddenly she sees, or imagines,
she’s at home..: her husband is ..wasching his face....Later he’s in the
street. It’s raining slightly, drizzling. There is a car. There is a car, and
that’s it. He’s in the puddle...She’s awakened from her daydream by a car
accident, just like she saw....” [13] L’ultima
parte del terzo reel è composta da scene girate durante le riprese di The
Sins of Jesus di Robert Frank e di Guns
of the Trees (la scena del corridoio). Esse sono caratterizzate da un
sonoro che rivela un’acquisita coscienza nel filmmaker del ruolo di diarista: “This
images I have recorded are from the places I have passed; it’s my my nature to
record the things, faces, streets, cities I have passed. I have lost too much,
so now I have these bits I have passed through.” [14] Le
ultimissime parole rivelano infine lo stato d’assestamento in cui si trova la
coscienza dell’autore: “We
were driving back to New York that day with Baellamy. I was looking at the land
scape. I knew I was in America. ‘What am I doing here?’ I asked at the
landscape. There was no answer. The landscape didn’t answer me. There was no
answer”.[15] Nel
quarto reel troviamo la parte politica che caratterizza la nuova vita a
Manhattan di Mekas.. Essa non si rivolge più ai problemi della Lituania, ma
verso la guerra ed il disarmo nucleare. Le scene registrate, riportano proteste
e marce in nome della pace e sono quasi tutte durante il freddo inverno o di
notte sottolineandone il loro tono cupo e drammatico. La colonna sonora di
queste scene è dominata dal Parcifal di Wagner e da acute sirene antiaeree. “So
I was with you dimostrators. I had to be. You were the blood of my city, the
heartbeat. I wanted to feel its pulse, to feel its excitement. Yes this was my
city”. [16] La
seconda parte del film si chiude con queste parole: “
It’s my nature to record to keep what is past. I have lost too much so now I
have this bits, and I have past.”[17] Reel
five
[18] In
Vermont; Peggy (screentest), Erman, Marty, Peter; Rabbit shit Haikus; At the
Film-makers Cooperative; P. Adams takes a walk in rain ; At the Filmmakers Coop.;
Fool’s Haikus; A visit to the asylum; Long Island; Tiny Tim; Premiere of Twice
a Man; Flaherty newsreel (footage by Jonas and Ken); I visit Tina; Storm e Louis
in Vermont; Prof Oster e Dalì; A visit to Stony Brook: a)Ken’s footage,b)Jonas’s
footage; And of reel six. L’inizio
del quinto reel segna un primo cambiamento nella struttura ripetitiva di tutto
il film: ancora una volta i due Mekas si trovano in scena, ma il loro
comportamento non è più timido o malinconico, ma vivace ed aperto come le
immagini che seguiranno. Dopo
queste scene iniziali la narrazione ci porta in Vermont dove la voce di Mekas
annuncia: “There
was so much sun we were drunk with the summer, with the wood and lakes and
friendship.” [19] Questo
passaggio è seguito da immagini e scene che ricordano una gita fra amici, i
quali vengono rappresentati attraverso dei piccoli ritratti personali (Peggy,
Herman, Marty e Peter) La
parte principale che costituisce il quinto reel si intitola “Rabbit Shit
Haikus”, una serie di 56 “tiny film haikus”, che mescolano in modo
liricamente equilibrato scene naturali e struttura narrativa.. Ogni haikus dura
da un secondo a più secondi, è denotato da un particolare suono (il vento,
della musica, da uno scampanio, o dalla lettura del titolo pronunciata in modo
ripetitivo _per tre volte_ da Mekas), e da un numero nero che appare
consequenzialmente sullo schermo bianco. RABBIT
SHIT HAIKUS: The trees, the road, the sinset, Emshriler, the childhood, the
windows, across, river, the snow, the chilhood, the field, (Mekas che suona la
fisarmonica, Mekas nella neve) the frost, the hels, (Mekas nella neve, Mekas che
legge), the clouds, the wind, the childooh, the snow,the river, the fog, the
story of a man, the window, the river, the summer, the evening, the winter, the
frienship, the house, the chilhood, the evening, clouds...[20] Nei
primi tre haikus Adollfas, Ed Emshwiller ed altre persone si stanno preparando a
girare una parte di Hallelujah the Hills;
poi seguono degli studi di ripresa fatti da Mekas: studi sulla velocità,
sull’illuminazione, sulla messa a fuoco, e su vari movimenti di camera. In
questo senso questa parte del film si discosta dalla prima, abbandonando la
staticità ed esplorando nuove espressioni visive. Anche
lo studio della colonna sonora è in queste scene di tipo sperimentale: il
continuo alternarsi di suoni, o parole a momenti di silenzio crea un ritmo che
contestualizza le immagini. La ripetizione di alcune parole, o frasi aiuta ad
incrementare il ritmo e a rendere le immagini poetiche e metaforiche:
l’esempio migliore sta nella ripetizione della storia “dell’uomo che non
poteva vivere in nessun luogo senza sapere cosa ci fosse alla fine della
strada”. “He
found a pile, a small pile of rabbit shit at the end of the road, and back home
he went, and when people used to ask him, ‘Hey, where does the road lead
to?’ He would answer, ‘Nowhere. The road leads nowhere, and there is nothing
at the end of the road but a pile of rabbit shit.’ So he told them, but nobody
believe him.”[21] Nella
sezione successiva del quinto reel assistiamo ad un successivo cambiamento
rispetto i reel precedenti, in cui come abbiamo visto esisteva una netta
distinzione fra pubblico e privato. Qui la vita personale di Mekas si lega a
quella pubblica e professionale, caratterizzata da scene divertenti girate alla
sede della Coop. Seguono
quindi altri 13 brevi “minifilm” (Fool’s Haikus), simili in senso generale
a quelli di Rabbit shit Haikus, ma significativamente diversi. Nel primo caso
Mekas era felice e circondato da amici, ma sempre distaccato, qui si capisce che
le cose stanno cambiando, egli si trova sempre in relazione con gli altri. Il
quinto reel finisce con l’immagine in bianco e nero intitolata “A visit to
the asylum” in cui Mekas ripropone il tema cantato da Ginsberg in Howl: “No,
those were not the best minds of my generation there behind the window. No, I
don’t know where the best minds of my generation are. I’m going any
direction. I don’t know where I’m going and I don’t trust any mind, even
since I left my home. It’s the best minds of my civilization that brought me
on the road, this road that has no end, this road, this journey that has no
end.” [22] Il
sesto reel rivela la crescita della sensibilità politica di Mekas: fino a
questo momento la macchina da presa era il mezzo attraverso cui il filmmaker si
metteva in contatto con gli ideali di protesta, ma in questo ultima parte egli
decide di stare con i dimostranti in modo reale. Esso
inizia con un’immagine di Tiny Tim che canta e suona, seguita dalla “Première
of Twice a Man” a colori per la strada, quindi si passa ad una lunga sequenza,
in bianco e nero, intitolata “Flaherty Newsreel”. Quest’ultimo
brano (diviso da Mekas in sei parti, denotate da un numero ed un titolo) è
composto da immagini di un gruppo di dimostranti, Mekas, Ken e Flo Jacobs, e
Tony Conrad che scacciati da un seminario, decidono di passare la notte
all’aperto in un gelido inverno del Vermont. Riprendendo l’intera avventura
Mekas non si trova più ad assistere a degli avvenimenti, ma ne fa parte:“it
was very quiet, like in a church, and we were the monks of the Order of
Cinema.” [23] FLAHERTY
NEWSREEL (Footage by Jonas e Ken) 1.Morning
at the Coop. 2. On our way to Bratt Lebono with prints of Flaming Creature &
Blonde Cobra. 4. Rejected by the Flaherty seminar we sleep outside in the cold
of Vermont. 5. Flo e Jonas waiting for a bus. 6. Hitching back to N.Y..[24] Il
sesto reel si conclude con “A visit to Stony Brook”, una lunga sequenza a
colori composta da due riprese molto simili, la prima filmata da Ken Jacobs e la
seconda da Mekas. Il
commento sonoro intanto dice: “He
remembered another day ten years ago. He sat on this beach ten years aga, with
other friends. The memories, the memories, the memories. Again, I have a memory
of this place. I have been here before. I have really been here before. I have
seen this water before. Yes, I have walked upon this beach, these pebbles.”[25] In
queste parole si nota come ormai l’autore abbia accettato il proprio passato,
e ora lo guardi in modo distaccato: egli usa la terza persona per esprimere
questa distanza fra il presente (“I”) ed il passato ormai lontano
(“He”). Tra
il 1976 ed il 1977 Lost, Lost, Lost
venne presentato in parecchi festival e manifestazioni pubbliche: la prima
dell’opera avvenne il 14 aprile del 1976 all’Albright-Knox Gallery di
Baffalo, dove ricevette un’ottima accoglienza. Anthony
Bannon, critico del Buffalo Evening News
scrisse: “Mekas’
films are experienced by living with them _letting one part sing to another_
until the moment is forgotten and movement remains.[26] A
giugno esso fu mostrato al Festival cinematografico di Berlino e a settembre
ebbe un’intera settimana di proiezione all’Whitney Museum; in quest’ultima
occasione Fred Camper del The SoHo
Weekly News, scrisse che: “...
The images of Lost, Lost, Lost are so unbelivable that they confond speech, and
simple logical thinking as well. I
shold make clear that I do not mean that Lost, Lost, Lost is a beautifully or
even remarkably phothographed film: quite the contrary...”[27] A
Settembre esso fu presentato anche al Festival di Locarno. [1] Mac Donald, S., “Interview with Jonas Mekas” op. cit., pag. 97. Traduzione: “Improvvisamente avevo abbastanza soldi e mi dissi: “Questa è la mia chance”.” [2] Film-Makers’ Cooperative Catalogue No. 7, The New American Cinema Group, New York, 1987. Traduzione: “Il periodo citato in questi sei reel fu un periodo di disperazione, una ricerca di far crescere disperatamente radici nel nuovo terreno, di creare nuove memorie. In questi sei penosi reel ho cercato di indicare come ci si sente ad essere in esilio, come mi sentivo in quegli anni. Questi reel hanno il titolo Lost Lost Lost, il titolo di un film che io e mio fratello volevamo fare nel 1949, e descrive come eravamo in quegli anni. Esso descrive la vita di una displaced person che non ha ancora dimenticato la terra nativa ma non ha conquistata una nuova. Il sesto reel è un reel tradizionale dove noi incominciamo a rilassarci, dove inizio a trovare momenti di felicità. Una nuova vita è iniziata. Cosa accadrà poi, lo vedremo nei prossimi progetti....” [4] Testo originale. Traduzione: “Canta Ulisse/ Canta i tuoi viaggi/ Raccontaci dove sei stato/ Raccontaci cosa hai visto/ E racconta la storia di un uomo/ Che non voleva lasciare la propria casa/ Che era felice/ E viveva con le persone che conosceva/ E parlava la loro lingua/ Canta di come poi egli fu gettato fuori nel mondo.” [5] Ibidem. Traduzione: “Ero li ero, ero l’occhio cinepresa...Ero li e ripresi questo eventi per quelli che non conoscono le pene dell’esilio.” [6] Ibidem. Traduzione: “Come è bella questa musica, ma questa musica fu scritta da Chopin durante il proprio esilio a Parigi.” [7] Ibidem. Traduzione: “Lasciate che la mia cinepresa registri la disperazione dei piccoli stati. Come vi odio, voi grandi nazioni, ed i vostri grandi fiumi e le vostre imponenti montagne e la vostra grande storia e le vostre numerose armi e le vostre guerre, ed il vostro modo di riunirvi come alle nazioni unite e l’autoproclamarsi o le grandi tre o le grandi quattro, e spesso pensate di essere le uniche, e gli altri, secondo voi, gli altri dovranno solo essere parte del vostro discorso o linguaggio. Venga il governo dittatoriale delle piccole potenze.” [8] Ibidem. Traduzione: “Mai potrai toglietelo dalla mente, dal cuore, dalla parte più profonda del tuo corpo.” [9] Ibidem. Traduzione: “Questo fu uno degli ultimi momenti passati assieme. Mi sentivo cadere in mille pezzi. Il giorno seguente lascia Brooklyn e raggiunsi Manhattan.” [10] Materiale originale, tratto dal film. [11] Testo originale. Traduzione: “Quella primavera mio fratello fece ritorno dall’esercito. Ci sedevamo in Orchard Street e iniziavamo, o piuttosto, continuavamo a scrivere. Volevamo diventare degli scrittori.” [12] Ibidem. Traduzione: “Questo fu un periodo di miseria. Vivevamo a panini e caffè. Scrivevamo Scrivemmo molto mentre il caffè ci corrodeva lo stomaco.” [13] Ibidem. Traduzione: “Questa donna si alza di mattina, il sole fa capolino dalla finestra. Si veste. Cammina per un strada, quando improvvisamente vede o immagina di vedere come se fosse ancora a casa...: suo marito si lava la faccia ...e più tardi è in strada. Piove forte. C’è una macchina. C’è una macchina e questo è quanto. Egli si ritrova nel fango....La donna si sveglia dal suo sogno ad occhi aperti a causa di un incidente d’auto, proprio uguale al suo sogno...” [14] Ibidem. Traduzione: “Queste immagini sono state registrate dai posti in cui sono stato; è la mia natura registrare cose, persone, strade, città in cui sono stato. Ho perso troppo, così adesso ho queste brevi riprese dei posti in cui sono stato.” [15] Ibidem. Traduzione: “Stavamo tornando a New York quel giorno con Baellamy. Stavo guardando il panorama. Sapevo di essere in America. ‘Cosa ci faccio qui?’ chiesi al panorama. Non ci fu risposta. Il panorama non mi rispose. Non ci fu risposta.” [16] Ibidem. Traduzione: “Ero con voi dimostranti. Dovevo esserci. Voi eravate il sangue della mia città, il cuore pulsante. Volevo ascoltare il suo battito, sentire il suo eccitamento. Sì, questa era la mia città.” [17] Ibidem. Traduzione: “E’ la mia natura registrare riprendere ciò che è passato. Ho perso troppo così ora ho questi pezzetti e ho un passato.” [18] Materiale originale, tratto dal film. [19] Testo originale. Traduzione: “C’era così tanto sole stavamo brindando all’estate, alla foresta, al lago e all’amicizia.” [20] Materiale originale, tratto dal film. [21]Testo originale. Traduzione: “Trovammo un mucchio, un piccolo mucchio di cacca di coniglio alla fine della strada, e ritornando a casa egli arrivò, e quando le persone gli chiedevano ‘E dove porta la strada?’ ed egli avrebbe risposto, ‘Da nessuna parte. La strada non porta in nessun luogo, e non c’è nulla alla fine della strada tranne che un mucchietto di cacca di coniglio,’ Così gli disse ma nessuno gli credette.” [22] Ibidem. Traduzione:
“No essi non erano le migliori menti
della mia generazione, lì dietro la le finestre. No, non so dove siano le
migliori menti della mia generazione.. Sto andando in tutte le direzioni.
Non so dove sto andando e non mi fido di nessuno, da quando ho lasciato la
mia casa. E’ la migliore mente della mia civiltà che mi ha portato su
questa strada, questa strada che non ha fine, questa strada questo viaggio
che non ha fine.” [23] Ibidem. Traduzione: “Era quieto, come una chiesa, e noi eravamo i frati dell’ordine del cinema.” [24] Materiale originale tratto dal film.. [25] Testo originale. Traduzione: “Egli ricordò un altro giorno di dieci anni prima. Era seduto sulla spiaggia dieci anni prima con i suoi amici. I ricordi i ricordi. Ancora mi ricordavo di quei posti. C’ero stato lì prima. Ero stato veramente lì prima d’allora. Sì, avevo camminato su quella spiaggia, su quei ciottoli.” [26] Bannen, Anthony, “Fading Film Images Reveal Mekas Visio”, in Buffalo Evening News, April 15, 1976. Traduzione: “I film di Mekas sono esperienze da vivere con loro _lasciando che un gruppo canti all’altro_ prima che il momento si perda e che rimangano solo dei movimenti.” [27] Camper, Fred, “Unfixing the Image”, in The Soho Weekly News, Semptember 16, 1976. Traduzione: “Le immagini di Lost, Lost, Lost, sono così incredibili che confondono il discorso ed il semplice logico pensiero com’è. Devo spiegare che non intendo dire che questo film sia bello o rimarchevolmente fotografato: ma quasi il contrario...”
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