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INDICE

Luigi Lotti, Introduzione

 

I PARTE. I DESTINI ASSEGNATI TRA SPERANZE E DELUSIONI

1. Zeffiro Ciuffoletti, Menotti, il primogenito designato;

2. Annita Garibaldi Jallet, Teresita ed altre donne. La famiglia "allargata" del generale Garibaldi;

3. Giuseppe Monsagrati, Ricciotti Garibaldi e la fedeltà alla tradizione garibaldina;

4. Emilio Costa, Stefano Canzio, genero di Garibaldi.

 

II PARTE. NEL LABIRINTO DEL NOVECENTO

1. Marziano Brignoli, Bruno, Costante e la presenza garibaldina nella Grande guerra;

2. Arturo Colombo, Sante Garibaldi in tre tempi;

3. Mario Di Napoli, Ezio Garibaldi e la "Camicia rossa" negli anni del fascismo;

4. Hubert Heyriès, Les Garibaldi en terre de France;

5. Santi Fedele, La tradizione garibaldina nella Massoneria italiana;

6. Andrea Carnicci, Garibaldi nell’associazionismo dell’emigrazione italiana.

 

III PARTE. LE IMMAGINI DEL MITO a cura di Annita Garibaldi Jallet

1. Annita Garibaldi Jallet, Garibaldi davanti all’obiettivo. Volti scelti e pose eccellenti;

2. Albero genealogico.

ALDO BORGHESI - "I Garibaldi dopo Garibaldi" (recensione)

I Garibaldi dopo Garibaldi : la tradizione famigliare e l’eredità politica / a cura di Zeffiro Ciuffoletti, Arturo Colombo, Annita Garibaldi Jallet. – Manduria ; Bari ; Roma : Lacaita, 2005. (Strumenti e fonti ; 39). – ISBN 8989586547

Una densa raccolta di saggi analizza due elementi fondamentali nella vicenda e nel mito di Giuseppe Garibaldi: le complesse vicende della famiglia e l’intreccio tra appartenenza familiare e tradizione politica che ha caratterizzato in passato ed ancora oggi la discendenza del generale.

I diversi momenti della vita familiare di Garibaldi fanno parte – mentre egli è ancora in vita – della costruzione del suo mito, che si forma in larga parte attorno alla figura della prima moglie, Anita Ribeiro Da Silva, alla sua fine tragica e gloriosa di donna combattente per la libertà. Mentre del tutto centrate sulla dimensione privata sono le altre donne cui Garibaldi sarà legato ufficialmente, la seconda moglie contessina Raimondi (abbandonata il giorno stesso delle nozze), la domestica nizzarda Battistina Ravello che gli dà una figlia morta adolescente, la governante Francesca Armosino che sposa negli ultimi anni. Un ruolo pubblico avranno invece molte donne con cui intrattiene rapporti di amicizia, in particolare le inglesi Emma Roberts e Jessie White Mario.

La famiglia

Giungono all’età adulta tre dei figli che Garibaldi ha avuto da Anita (Menotti, Teresita e Ricciotti) e due di Francesca Armosino (Manlio e Clelia) che tuttavia non avranno discendenza. Già nella scelta dei nomi si avverte la volontà di Garibaldi di "predestinare" la sua prole a seguire un filone ideale (i due maschi avuti da Anita portano nomi di martiri risorgimentali, i figli di Francesca nomi della romanità repubblicana). Teresita sposa un giovane sottufficiale dei Mille, il genovese Stefano Canzio, dal quale avrà ben 16 figli, per molti dei quali il grande nonno sceglie nomi "segnati" dalla simbologia politica: Anzani, Lincoln, Cairoli, Foscolo, Decio; altro filone è quello dell’onomastica familiare, in cui si succedono Anita / Annita, Rosa / Rosita (è il nome della madre del generale), Giuseppe / Giuseppina, ed infine una Garibalda. Saranno i Canzio e Ricciotti ad assicurare la discendenza che tuttora prospera tra due continenti. Il Sudamerica, Nizza, l’Italia (in particolare Genova e Caprera, più tardi Roma), l’Inghilterra sono i luoghi dell’infanzia e della formazione di figli e nipoti dell’Eroe: ognuno lascia il segno sulla loro crescita e educazione, insistita sui doveri che il nome comporta anche attraverso modi di inconsueta severità per il ceto medio di allora. È uso infatti in ambedue i rami familiari l’inviare i giovani maschi fuori d’Italia, una volta raggiunti i 18 anni, con una minima dotazione finanziaria ed il compito di imparare un mestiere in grado di assicurare il sostentarmento.

La politica

L’inserimento nella dimensione militare e politica come collaboratori del Generale o continuatori della sua controversa eredità è di volta in volta un impegno doveroso e una pericolosa tentazione per molti dei Garibaldi: Menotti, Ricciotti e Canzio combattono insieme al padre e suocero nelle campagne tra il 1859 e il 1871. Il secondo proseguirà la tradizione militare con la partecipazione alla guerra greco-turca del 1897 e la trasmetterà ai figli, che portano ancora la Camicia rossa in Grecia nella prima guerra balcanica (1912) e poi in Francia all’inizio della Guerra europea: la generazione successiva a quella dei protagonisti del Risorgimento scrive nuove pagine di epos che si collocano sulla linea ideale di quelle del Generale. Domokos, Driskos, gli scontri furiosi nelle Argonne sono considerati il seguito del 1849 romano, dell’impresa dei Mille, di Mentana e Digione e i nuovi caduti – in particolare Bruno e Costante, figli di Ricciotti, morti in combattimento sulle Argonne – si inscrivono idealmente tra i martiri della libertà e della patria. Nella odierna completa eclisse di una riflessione condivisa sui momenti fondanti della storia nazionale italiana, questi fatti e nomi sono ormai del tutto dimenticati; ma per quella generazione e per tutta la sinistra democratica italiana di allora essi si collegarono ad una straordinaria carica di idee – della quale i saggi di Brignoli ed Heyriès restituiscono efficacemente la dimensione - centrata sul valore democratico della fratellanza armata tra i popoli, cosa di non poco conto in tempi di nazionalismo dilagante.

Ambiguità e lati oscuri

Il volume non tace le molte ambiguità insite nella tradizione politica del garibaldinismo, e che risalgono peraltro alla figura stessa del Generale ed al ruolo politico contraddittorio che egli esercita nel processo unitario. Sovversivismo repubblicano e lealismo monarchico, idealità democratiche e ostilità al governo parlamentare, culto della guerra di popolo e affermazione del ruolo del capo, solidarismo mazziniano e suggestioni socialiste: tutti i motivi che si intrecciano nell’azione politico-militare di Garibaldi si ritrovano nei suoi discendenti ed epigoni, i quali assumeranno anche gli aspetti contraddittori di questa eredità senza riuscire a scioglierli e sviluppandoli ognuno per conto proprio. Menotti siederà quindi senza problemi, su posizioni tutt’altro che avanzate, nel parlamento monarchico concentrando la sua energia su un altro tema strettamente legato alla figura paterna, la colonizzazione (non di Caprera stavolta, ma della sua fattoria nell’Agro romano); Stefano Canzio diviene una figura di primo piano della sinistra democratica genovese, protagonista di scontri per l’egemonia con la forte componente mazziniana; Ricciotti ed i suoi figli Peppino e Menotti coltiveranno in particolare gli aspetti militari, ma la irrisolta contraddizione tra idealità puramente nazionali e caratterizzazione in senso democratico farà sì che i primi due abbiano rapporti burrascosi con le formazioni politiche eredi della democrazia risorgimentale, soprattutto con il Partito repubblicano.

Il volume affronta con franchezza priva di fremiti scandalistici anche un altro aspetto delle biografie di molti dei Garibaldi, per i quali l’indipendenza economica resta un obiettivo non raggiunto, che dà luogo ad un inconciliabile contrasto fra il lustro del nome che portano e l’aspirazione inappagata ad una condizione sociale che ne sia all’altezza. L’intreccio con il ruolo pubblico da essi svolto produce talvolta frutti non del tutto limpidi, sui quali il libro non ha reticenze: la permanente precarietà economica delle famiglie del Generale, di Canzio e di Ricciotti; i documenti – utilizzati nel saggio di Costa - che provano come Stefano Canzio abbia svolto per denaro il ruolo di informatore della polizia sull’attività del suocero; la triste pagina in cui è coinvolto nel 1926 Ricciotti (figlio di Ricciotti), scoperto nel suo ruolo di agente provocatore tra i fuorusciti antifascisti in Francia per conto della polizia di Mussolini: un episodio oggetto di un severa rievocazione da parte di Aldo Garosci nella biografia di Carlo Rosselli (1).

Il nodo del fascismo

Sul terreno dell’atteggiamento nei confronti del regime esplodono in effetti gli aspetti contraddittori dell’eredità garibaldina. Senz’altro in questo pesa il ruolo di riferimento comune per l’interventismo democratico svolto da Mussolini: "Il popolo d’Italia" crea e diffonde tra i primi il mito della Camicia rossa nelle Argonne e trasforma il rientro in Italia delle salme di Bruno e Costante in apoteosi, nel segno della continuità ideale tra garibaldinismo ed intervento.

Ma non è qui il centro del rapporto controverso tra garibaldinismo e fascismo, e nemmeno nel comune antisocialismo, o nel carattere volontaristico politico-militare-nazionale che le camicie nere avrebbero ereditato da quelle rosse. Il nodo sta nella effettiva compresenza nella biografia del generale e nei temi politici del garibaldinismo di temi sia di natura democratica, sia antidemocratica.

Non stupisce quindi che di fronte al fascismo la tradizione garibaldina subisca una spaccatura mai più risanata: quella fra chi sottolinea gli elementi democratici repubblicani e libertari e chi pone invece l’accento sui caratteri antiparlamentari e gerarchici. Le due figure esemplari in questo senso sono quelle di Sante ed Ezio, i due figli più giovani sopravissuti di Ricciotti.

La figura di Sante è ben nota nella storiografia e nella pubblicistica della sinistra laica, per i profili curati da Arturo Colombo (autore del saggio pubblicato nel volume) e dalla figlia Annita Garibaldi Jallet (2): formatosi all’arte edilizia in Francia ed Africa, combatte nelle Argonne e sul fronte italiano, si schiera contro il fascismo, ne prevede il percorso autoritario ed espatria verso la Francia, dove si afferma come imprenditore edile mantenendo rapporti con l’antifascismo democratico. Nel 1939 interpreta in senso democratico e filofrancese la tradizione garibaldina, dando vita ad una Legione italiana. Svolge attività clandestina nella Resistenza; arrestato nel 1943, viene deportato a Compiègne e poi a Dachau. Nell’aprile 1945 riesce a partecipare agli ultimi scontri con i tedeschi in Alto Adige; minato nel fisico dalla lunga detenzione muore in Francia nel luglio 1946. Al centro di tutta la sua azione pubblica è l’affermazione secondo cui nucleo ideale del garibaldinismo è la lotta per la libertà, in ogni paese e per tutti i paesi: sono queste le radici della sua opposizione al fascismo, che si concretizza nella solidarietà democratica con la Francia ed infine nella partecipazione alla lotta antinazista. È il sentire diffuso di tutta la sinistra italiana ed europea, testimoniato dalla non casuale intitolazione a Garibaldi delle formazioni armate antifasciste italiane prima in Spagna, poi nella Resistenza dei Balcani e sul territorio nazionale.

Del tutto diverso il percorso del fratello minore Ezio, che aderisce ai Fasci di Combattimento ed è il principale fautore dell’innesto del fascismo sul tronco della tradizione garibaldina. Il bel saggio di Mario Di Napoli restituisce la dimensione complessa della figura di Ezio, finora liquidato dalla pubblicistica antifascista come "il Garibaldi degenere". Certo, nella lettura in chiave fascista del garibaldinismo si possono trovare non pochi elementi contraddittori, che finiranno per decretare la marginalità di quest’esperienza nel panorama complessivo del fascismo. Ezio afferma la continuità tra i duci Garibaldi e Mussolini, rivendica alla tradizione garibaldina l’aver mantenuto in vita quella dimensione militare dell’irredentismo nella quale il fascismo indica le sue radici e i suoi obiettivi ancora da raggiungere; cerca infine di opporsi agli aspetti "estremisti" del fascismo, come la legislazione antisemita, e di affermare in esso una linea filofrancese e germanofoba. Non solo fallisce in questo percorso – finendo per accettare la l’obiettivo irredentistico-nazionalistico del ritorno di Nizza all’Italia – ma non riesce ad evitare che il fascismo si caratterizzi come un movimento in definitiva antirisorgimentale, che solo per omaggio di convenienza ad un mito di difficile destrutturazione accetta di rivendicare a se stesso l’eredità garibaldina.

Di Napoli supera tuttavia la semplice esecrazione, sviluppando un’analisi critica della linea filofascista che non manca di fornire elementi di riflessione tutt’altro che inattuali anche a quanti, come noi, si riconoscono senza esitazioni nella linea opposta della tradizione, quella democratica ed antifascista. L’esperienza di Ezio infatti si ricollega ad elementi che nel garibaldinismo non sono assenti né inconsistenti: di affermazioni critiche sul ruolo del Parlamento e favorevoli alla figura del dittatore gli scritti di Garibaldi non sono affatto scevri, ed i suoi biografi di matrice democratica non le tacciono, così come in tutta l’esperienza garibaldina è centrale il tema dell’appartenenza volontaria - agli ordini di un capo riconosciuto dotato di autorità indiscussa – ad una formazione armata dal carattere irregolare, che trova legittimazione nell’obiettivo ideale e politico che si prefigge. È facile oggi affermare che Garibaldi non si opponeva alla democrazia rappresentativa in sé, ma al carattere limitato e oligarchico assunto dalla rappresentanza nello Stato liberale italiano; o che prefigurava una dittatura dal carattere straordinario e temporaneo di garanzia del consolidamento dello Stato democratico contro il ritorno di una ancora forte opposizione reazionaria; o che sono evidenti le differenze di natura e ruolo tra le formazioni garibaldine e le squadre fasciste, così come tra i loro capi. La differenza non era altrettanto evidente all’epoca, e se un’analisi errata della natura di un fenomeno nuovo come era il fascismo ha tratto in inganno molti nella sinistra di allora, non stupisce che abbia trovato facile terreno in una dimensione per molti aspetti di confine come quella del garibaldinismo.

Libertà-illibertà: temi per il bicentenario

La realtà è che il dividersi della tradizione garibaldina riporta ad un terreno di riflessione cui il fascismo nel suo complesso fornisce dovizia di temi ed occasioni: la compresenza nelle idee e nella prassi della sinistra di elementi libertari ed autoritari, che si intrecciano all’interno dei medesimi movimenti e figure, difficili da sceverare se non si hanno costantemente presenti i valori fondanti dell’essere a sinistra, anzitutto la libertà e l’eguaglianza. Nelle componenti della sinistra che derivano dalla tradizione politica del marxismo questa contraddizione è costantemente e macroscopicamente presente, così come il carattere spesso catastrofico dei suoi effetti. La riflessione sull’esperienza garibaldina mostra come tali contraddizioni non siano assenti anche nei filoni democratici ed antiautoritari, tra i quali l’esperienza giellista ed azionista si inscrive a pieno titolo; e come la lotta non sia solo tra la sinistra e i suoi avversari dichiarati, ed all’interno della sinistra fra chi afferma il libero sviluppo e la libera associazione degli individui nel solo limite della consapevolezza della propria responsabilità sociale, e quanti a vario titolo affermano nuove supremazie e nuove dipendenze; ma anche fra gli elementi di libertà e di illibertà presenti all’interno della nostra stessa tradizione.

La riflessione sulla figura e l’eredità di Garibaldi troverà nell’arco del 2007 particolari occasioni nelle manifestazioni per il bicentenario della nascita dell’Eroe. Ne abbiamo avuto in Sardegna un sostanzioso anticipo nello scorso mese di ottobre, con il denso Convegno nazionale di Storia del Risorgimento a Cagliari. Dal nostro punto di vista ci sentiamo di esprimere due auspici: il primo, più legato alla dimensione territoriale, è che le iniziative in campo cerchino di superare la divisione fra una dimensione alta - riservata ad "intellettuali" e addetti ai lavori - e una pletora di iniziative "nazional-popolari" di sapore spesso municipalistico e strapaesano, destinate al palato grosso degli illetterati. Proprio una figura come Garibaldi, che ha praticato l’impegno politico e civile in una dimensione dichiaratamente anti-intellettualistica, merita di fornire occasione per fare quello che in Sardegna non si fa spesso, cioè saldare la conoscenza storica e la dimensione civile e condivisa di essa.

Il secondo è invece rivolto a quanti si riconoscono oggi nella linea democratica dell’eredità ideale garibaldina e ritengono che essa abbia qualcosa da dire sia ai molti che nella sinistra italiana cercano punti di riferimento ideali solidi e credibili, sia in generale ad un paese che nella incapacità di creare una propria identità ha posto solide basi al proprio suicidio come nazione. Nel 1982 il centenario ha lasciato traccia di sé in una positiva fioritura di contributi scientifici, ma anche – ed in modo assai meno memorabile – nell’adeguarsi della sinistra democratica all’imbalsamazione civile di Garibaldi nella figura di eroe "nazionale", ovvero di precursore anche di questa Italia di preti e di mafiosi con cui non ha nulla a che fare, e nelle sterili schermaglie per una malintesa primogenitura ideale, che hanno ottenuto molto ed ingiustificato spazio mediatico culminando in gare piccine fra le primedonne della "sinistra laica" di allora nell’ostentazione di cimeli ed oggetti garibaldini. Oggi il bicentenario fornisce un’occasione per ragionare e discutere su noi stessi, le nostre radici e soprattutto la strada che vogliamo percorrere e indicare al nostro paese, ed anche per trovare qualche piccolo spazio di presenza nostra nell’infinito prevalere di temi e motivi altri ed alieni (quante scemenze si diranno in tuo nome, povero Gramsci, nei 70 anni dalla tua morte… e con quale supponenza). 

Cerchiamo di non perderla anche questa volta.


Note:

(1) Aldo Garosci, Vita di Carlo Rosselli, Firenze, Vallecchi, 1973, pp. 160-161. Cfr. anche più diffusamente: Simonetta Tombaccini, Storia dei fuorusciti italiani in Francia, Milano, Mursia, 1988, pp. 43-49.

(2) Sante Garibaldi e la tradizione democratica garibaldina a cura di Arturo Colombo, Roma, Archivio Trimestrale, 1986; Sante Garibaldi a cura di Annita Garibaldi Jallet e Arturo Colombo, sie [Subiaco: Fabreschi, 2006].


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