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Il
tema che devo trattare è “Il pensiero sociale della Chiesa e la sua
attualizzazione”. Prendo subito in prestito un immagine che Ratzinger
ha adoperato la settimana entrante parlando appunto dei media nella
conferenza che è stata fatta a Roma sui mezzi di comunicazione sociale.
E ha portato l’immagine del sicomoro. Mi è piaciuta, e siccome le
immagini e le metafore si ricordano più facilmente dei ragionamenti
astrusi, ve la riporto così come lui l’ha elaborata. Dice appunto
Ratzinger che questa immagine gli viene da Basilio il Grande il quale
nel confronto con la cultura greca del suo tempo si vide posto davanti a
un compito assai simile a quello che è posto a noi. Basilio si
riallaccia al profeta Amos il quale diceva di sé: “Io ero uno che
taglia i sicomori”. Chi ha letto l’Avvenire di qualche giorno fa
probabilmente questo pezzo già l’ha messo a fuoco. Basilio infatti
scrive: “Il sicomoro è un albero che produce moltissimi frutti. Ma
non hanno alcun sapore se non li si incide accuratamente e non si lascia
fuoriuscire il loro succo, cosicché divengano gradevoli al gusto. Per
questo motivo noi riteniamo che il sicomoro è un simbolo per
l’insieme dei popoli pagani. Esso forma una gran quantità, ma è allo
stesso tempo insipido. Ciò deriva dalla vita secondo le abitudini
pagane. Quando si riesce ad inciderla con il logos si trasforma, diviene
gustosa e utilizzabile”. E’ un’immagine abbastanza efficace, che
dice un po’ quello che è la dottrina sociale della Chiesa e la sua
attualizzazione soprattutto. Ecco, parto dalla seconda parte, l’attualizzazione.
L’attualizzazione si potrebbe dire che è un po’ il DNA della
dottrina sociale della Chiesa. La dottrina sociale della Chiesa infatti
esiste nella misura in cui il Vangelo viene attualizzato, viene cioè
declinato secondo i bisogni del tempo, secondo i problemi del tempo,
secondo anche le variazioni delle società, delle culture, delle identità
del momento. Quindi c’è un bisogno continuo di trasferire, possiamo
dire, il messaggio del Vangelo dentro le situazioni storiche. In fondo
è quello che è la
legge dell’incarnazione, che è la legge fondamentale di tutto
quanto il cristianesimo. Un esempio di questa attualizzazione la abbiamo
avuta nei giorni scorsi con il discorso del Papa fatto alla nazione
italiana in Parlamento. In fondo il Papa che cosa ha fatto? Ha tenuto
presente tutti quelli che sono i problemi soprattutto della società
italiana anche se non ha evitato di inserire questi problemi nel
contesto internazionale e dentro questi problemi ha dato una lettura che
promana in qualche modo dalla fede, che promana dal Vangelo. In fondo il
credente è colui che ha potremmo dire questo background, questo
orizzonte di riferimento: che il Vangelo
veramente è il logos, la parola, che è poi la rivelazione, che
costituisce questo taglio, questa potatura, questa incisione nel
sicomoro, e soltanto se arriva questa incisione, questa potatura
praticamente il sicomoro che è la vita dei popoli, la vita nostra, la
vita della nostra società, prende sapore. Quindi questo è un po’ il
fenomeno dell’attualizzazione. E allora la dottrina sociale della
Chiesa che vive di attualizzazioni continue del Vangelo come la possiamo
definire?
La definiscono già i padri stessi, la definiscono così i
teologi che si interessano di questa disciplina: la dottrina sociale
della Chiesa consiste fondamentalmente in un edificio a tre piani. Il
primo piano, quello fondamentale, quello essenziale, quello permanente
nel tempo, è costituito da valori e princìpi di riferimento. Per il
cristiano quali sono questi princìpi di riferimento? Sono soprattutto
quelli mutuati dalla Scrittura, mutuati dalla rivelazione: il valore
della persona, il valore della comunità, il valore della solidarietà,
il valore anche del vivere insieme e in qualche modo poi tutti i
riferimenti che arricchiscono la vita personale. Questo è il nucleo di
riferimento, nella rivelazione, fondamentale. Questo insieme di verità
costituiscono i cosiddetti princìpi della dottrina sociale della
Chiesa. Se qualcuno di voi guarda su Internet, la voce Università
Cattolica sulla dottrina sociale della Chiesa riunisce un po’ questi
princìpi in dieci parole che riassumono proprio questi valori di fondo,
questi princìpi di ispirazione. Il secondo momento della dottrina
sociale della Chiesa è costituito invece dai criteri di giudizio o
giudizi che, tenendo presente i valori fondamentali della rivelazione,
diamo sulla realtà storica.
Qui
il giudizio ha potremmo dire una minore cogenza, una minore imperatività
rispetto ai princìpi, perché il principio è direttamente derivato
dalla Scrittura, dalla rivelazione, mentre il giudizio dipende da una
parte sì dall’approfondimento, dalla conoscenza della Scrittura,
della rivelazione, ma dall’altra parte dipende anche da una conoscenza
scientificamente esatta, pertinente, della realtà storica, sociale,
politica, economica su cui dobbiamo costruire il giudizio. Il giudizio
risulta praticamente la sintesi di una conoscenza biblica e di una
conoscenza delle realtà locali, storiche, politiche, sociali. E’ un
giudizio sintetico: da una parte abbiamo ciò che ci dice la
rivelazione, dall’altra parte ciò che ci dicono le conoscenze umane
sui fatti politici, storici, sui fatti che dobbiamo osservare, sui quali
dobbiamo dare un giudizio. Logicamente questo giudizio, come dicevo
prima, ha una minore imperatività, una minore cogenza rispetto ai princìpi
di fondo, ai princìpi della rivelazione. Faccio un esempio. Quando ai
cristiani italiani veniva chiesta l’unità politica nel partito unico,
quello era un giudizio storico che promanava magari dalla lettura del
momento e promanava nello stesso tempo dalla considerazione dei princìpi
di fondo della rivelazione. Quel giudizio lì comunque ad esempio alcuni
lo contestavano. Comunque è stato un giudizio talmente storico che
cambiando il quadro di riferimento, cambiata in qualche modo la
situazione politica, viene anche superato. Oggi non c’è più nessuno
né il Papa, né i cardinali, né l’esperienza che viene a comandare
ai cristiani di seguire un giudizio di unità in un partito unico nel
momento dell’esperienza politica. Viene quindi esigita questa
conoscenza più corretta, più pertinente possibile del momento storico,
sociale, politico, economico su cui dobbiamo dare un giudizio. Un terzo
momento costitutivo della dottrina sociale della Chiesa è costituito
dalle indicazioni programmatiche. Anche qui, le indicazioni
programmatiche hanno ancora di meno cogenza rispetto al momento
precedente, al momento del giudizio, il quale momento del giudizio ha
ancora molta relatività rispetto alla formulazione dei principi di
riferimento. Quindi nella dottrina sociale della Chiesa non è che tutto
ha lo stesso spessore, la stessa intensità e la stessa imperatività.
Già
in questa dottrina c’è una graduazione. Essendo la dottrina sociale
della Chiesa costituita da questi tre livelli, l’attualizzazione fa
proprio parte del suo DNA. Se i principi non vengono calati per
giudicare, discernere, valutare, ciò che c’è di positivo secondo
quei princìpi in una determinata situazione storica, ciò che deve
essere perfezionato oppure addirittura corretto. Il giudizio comporta la
possibilità di dare un giudizio di riprovazione, se è un giudizio
saggio. Si capisce subito, quindi, che l’attualizzazione fa parte
proprio della struttura della dottrina sociale della Chiesa. Chi sono i
soggetti che edificano questo edificio appunto della dottrina sociale
della Chiesa? Sicuramente il Magistero che ha una competenza per così
dire autoritativa nel momento dei princìpi per quel compito apostolico
che ha il Magistero di confermare nella fede e dire quali sono i
contenuti autentici della fede. Gli stessi documenti della dottrina
sociale della Chiesa che questa parte del Magistero va completata
attraverso l’esercizio del discernimento, quindi del giudizio, delle
singole comunità locali, delle comunità ecclesiali. Ogni comunità
ecclesiale è in qualche modo chiamata a investire la sua capacità di
discernimento dentro il proprio orizzonte, dentro i propri parametri di
riferimento storici, politici, sociali, economici. Lo dice nella
Octuagesima adveniens al n. 4 Papa Paolo VI laddove dice che il suo
compito non è quello di dare un’indicazione universale buona per
tutti. “Non è questo né il mio compito, né la mia missione.” Il
compito deve essere quello di accentuare e mettere in risalto quelle che
sono le linee portanti, ma poi ogni comunità locale, ogni comunità
ecclesiale si deve pronunciare su come attualizzare questo messaggio
evangelico dentro la sua situazione storica. Per quanto riguarda
soprattutto le linee operative, ancora di più che le comunità
ecclesiali come tali, possono aiutare a costruire l’edificio della
dottrina sociale della Chiesa le esperienze di tutti coloro che sono
impegnati in prima persona nell’attività politica, sindacale, etc.
Perché? Perché loro vivendo, mettendo in atto delle soluzioni,
hanno il polso della situazione, vedono se quella comunità ha
elaborato un programma, ha dato una lettura pertinente della singola
situazione. Questo è un po’ l’aspetto teorico, la prima parte del
discorso.
Quello
che interessa, abbiamo detto, è questa capacità di attualizzazione,
l’esprimere questo DNA dell’attualizzazione come vita stessa della
dottrina sociale della Chiesa. Campanini nel penultimo numero di
“Aggiornamenti sociali” dà una descrizione del cammino della
dottrina sociale della Chiesa che ci aiuta un po’ a capire questo
processo. Dice Campanini: “Il cammino della dottrina sociale della
Chiesa è un importante capitolo della storia del lento e progressivo
confronto con la modernità. Non più in termini di opposizione, ma di
dialogo“. Ripercorrere questa elaborazione della dottrina sociale
della Chiesa a partire addirittura dal Sillabo, dal 1864 ai giorni
nostri, equivale a ricostruire una serie di cruciali momenti del
rapporto tra Chiesa e modernità. Quando noi diciamo dottrina sociale
della Chiesa, significa affrontare in termini di contemporaneità questo
rapporto tra Chiesa e modernità. Noi sappiamo che la modernità
comincia col grande processo di industrializzazione e comincia con la
teorizzazione, la filosofia che c’è dietro al processo di
industrializzazione. Quali sono stati i nodi centrali di questo periodo?
Prima di tutto i diritti umani, poi il problema della democrazia e del
pluralismo, poi il problema dell’economia di mercato. Qui la Chiesa in
questi cento e più anni si è confrontata con questi che sono stati i
temi di fondo della modernizzazione, della modernità. Quale è stato il
rapporto con questa modernità? Dal periodo del Sillabo fino alla Rerum
Novarum c’è stato il rifiuto della modernità, c’è stato lo
scontro con la modernizzazione. Anche questo fa parte della dottrina
sociale della Chiesa; finchè comincia con Leone XIII, con la Rerum
Novarum, il guardare alla modernità non più con un atteggiamento
antitetico, come se la modernità fosse la negazione del Vangelo, ma in
modo simpatetico, vale a dire intravedere la modernità come non lontana
dal Regno di Dio, non aliena dalla salvezza. Se è vero che Dio si è
incarnato, che la salvezza è già in atto, è già presente, doveva
essere presente anche nel processo di industrializzazione, doveva essere
presente anche nella storia che è stata avviata dall’Illuminismo che
era il grande babau della Chiesa. E allora vediamo che dopo questo
problema, dopo questo processo di scontro, abbiamo un atteggiamento più
attento a considerare gli aspetti positivi della modernizzazione. E
abbiamo quindi piano piano una Chiesa che fa suoi i temi della
modernizzazione pur portando uno sguardo al limite anche critico,
antitetico, mutuato proprio dalla dottrina della rivelazione, mutuato
dalla lettura del Vangelo. Il Vangelo come quel logos che taglia il
sicomoro e lo fa diventare prelibato, lo fa diventare un frutto buono.
Quindi è venuto fuori questo tipo di evoluzione; in un primo momento
c’è stato lo scontro tra la Chiesa e la modernizzazione e dunque lo
scontro con i diritti umani, con la democrazia e con l’economia di
mercato. Perché c’è stato lo scontro con i diritti umani? Perché i
diritti umani erano individuati come frutto dell’Illuminismo, come una
scoperta dell’Illuminismo (che sorge in chiave antireligiosa,
anticattolica soprattutto), e quindi gli stessi diritti umani venivano
visti come un’elaborazione della ragione autonoma dalla fede e davano
questa accentuazione individualistica dell’uomo. I diritti umani
goduti nell’ambito strettamente singolare, individuale. Era più il
primato del singolo che il primato della comunità, della collettività.
Tutti i diritti umani vengono affermati come rivendicazioni di autonomie
soprattutto di fronte allo stato assoluto seicentesco settecentesco. Un
altro punto critico è stato la democrazia. La Chiesa passa dal rifiuto
del concetto di democrazia e della stessa esperienza della democrazia e
del pluralismo ad una accoglienza complessiva, fino a dire che il
cristianesimo si identifica (come fa la Centesimus Annus) soprattutto
con il metodo della democrazia. E’ una conversione se vogliamo
secolare, c’è voluto più di un secolo per avere questa conversione.
Però di fatto, piano piano, è stato elaborato questo concetto che la
democrazia non è di per sé estranea alla fede cristiana, anzi. Se è
vero che noi difendiamo la persona, che il principio persona è un
valore fondamentale anche nella animazione della società, il miglior
modo per difendere la soggettività delle persone è quello che ogni
persona diventi soggetto della propria storia, della politica,
dell’economia. Ecco che quindi sulla democrazia si passa da un
giudizio negativo ad un giudizio altamente positivo. Questo passaggio al
giudizio positivo viene mutuato approfondendo il concetto stesso di
persona, il concetto di soggetto, inteso anche come figlio di Dio,
quindi in comunione fraterna, in un rapporto di solidarietà con tutti
gli altri fratelli. Il miglior modo quindi di vivere questo essere
persona in comunità diventa quindi l’esperienza, il metodo
democratico. L’altro elemento cardine su cui la dottrina sociale della
Chiesa si è dovuta misurare è stato il concetto di mercato, di
economia libera. Anche qui però un conto è come l’economia libera,
l’economia di mercato veniva propagandata, veniva prefissata dal
liberismo ottocentesco, un conto è come l’economia di mercato viene
successivamente elaborata fino ad arrivare alla Centesimus Annus dove
l’economia di mercato significa economia dell’impresa libera, della
responsabilità, dell’investimento etc., ma dentro un quadro di regole
giuridicamente forte, in modo che il mercato non serva in qualche modo
come una ruspa che passa sopra tutte quante le persone e ottunde tutte
le dignità, ma dentro questo quadro solido di riferimento giuridico
anche il mercato diventi un’esperienza positiva per tutte quante le
persone. Si può quindi vedere come la dottrina sociale della Chiesa si
è costituita attraverso questi passaggi di confronto con la storia, che
è poi una storia di modernizzazione produttiva, storia attorno alla
quale poi è nata anche la teorizzazione, l’ideologia dei vari
partiti. L’attualizzazione è stata un po’ l’anima del formarsi
della dottrina sociale della Chiesa. Quali sono le nuove problematiche,
i nuovi orizzonti che si prospettano a questa dottrina sociale della
Chiesa? Con cosa si deve confrontare oggi la comunità dei credenti, il
singolo cristiano che vuole veramente far sì che il Vangelo sia il
taglio, il logos che dà sapore al sicomoro? Con quali problemi si deve
confrontare? Se noi leggiamo anche il discorso, riportato sul n. 4 di
“Coscienza”, che ha fatto il Card. Ruini alla Assemblea dei Vescovi,
abbiamo un’indicazione molto chiara di quali sono i problemi, di quali
sono gli orizzonti entro cui si muove questo bisogno di attualizzazione.
Un altro testo fondamentale, molto bello anche, è quello di Giorgio
Campanini, che ho già citato, riportato al n. 9 e 10 di
“Aggiornamenti sociali”. Si vede che c’è una consonanza di idee,
anche se con impatti diversi, anche se è i discorsi partono dentro
contesti di uditori diversi. Però si vede che la sensibilità è comune
a tutti e due; la sensibilità è comune poi nell’ambito più vasto di
tutta quanta la Chiesa. Oggi quali sono i temi su cui investire dentro
un processo di attualizzazione? Campanini lo chiama la qualità della
democrazia, e anche il Card. Ruini parla di quello che è il
funzionamento della democrazia in Italia. E parla di come giustizia,
salute, famiglia e immigrazione siano i temi di fondo su cui investire
questa capacità di giudizio facendo riferimento ai princìpi della
fede, ma nello stesso tempo anche per elaborare nuovi comportamenti che
devono essere vissuti dalla società di domani. Il primo orizzonte entro
cui spaziare ed entro cui esercitare questa operazione critico -
profetica è la qualità della democrazia. Su questo poi torneremo. Il
secondo orizzonte entro cui spaziare è il controllo del processo della
globalizzazione. La globalizzazione è un fenomeno serio che va tenuto
presente. Il cristiano che vuole in qualche modo declinare il Vangelo in
termini di modernizzazione, in termini di modernità, e vuole quindi
attualizzare il Vangelo, non può non essere profondamente attento a
questo fenomeno della globalizzazione dei mercati. Il terzo problema è
il problema ecologico. La questione ecologica è un problema che tocca
marginalmente le nostre comunità, per lo meno c’è poca avvertenza,
ancora non è cresciuta una vera sensibilità ecologica dentro le nostre
comunità. Però sicuramente anche questo diventa un orizzonte con il
quale misurarsi e dal quale ricavare degli stimoli per la riflessione e
per la progettazione. Un quarto elemento, un quarto orizzonte in cui
investire questa capacità di attualizzazione è la regolamentazione e
il superamento delle ricorrenti esperienze di violenza e di terrore.
Queste sono le quattro emergenze di fronte alle quali siamo in stato non
di acquisizione di risposte, non nello stato di offerta di indicazioni
operative. non nello stato di acquisizione di elementi, ma nello stato
di offerta potremmo dire di indicazioni operative. Siamo anche noi,
nonostante i bei princìpi del Vangelo, nonostante questa attenta
riflessione di giudizio, siamo anche noi coloro che devono esplorare
delle indicazioni operative, dei progetti, dei programmi per il futuro.
Ecco quindi la capacità di attualizzazione. La dottrina sociale della
Chiesa crescerà nella misura in cui saremo capaci di fare questo tipo
di operazione, di investimento sul futuro. L’attualizzazione è allora
veramente il DNA, la vita più profonda, più nascosta della dottrina
sociale della Chiesa. Qui non è tanto il ripetere delle formule già
acquisite, già prestabilite e quindi un ricettario da consumarsi ad
ogni occasione. Si tratta piuttosto dell’atteggiamento mentale di
colui che ha dei parametri di riferimento, dei metri di riferimento, ma
anche degli orizzonti in cui investire una capacità progettuale. Ecco
perché il pluralismo diventa legittimo anche dentro l’esperienza
ecclesiale. Nonostante che ci riferiamo tutti agli stessi princìpi, nel
momento della progettualità, nel momento di investire su programmi
futuri, è logico che possiamo anche tentare più strade diverse.
Nessuno quindi si può appropriare da questo punto di vista del
messaggio della fede come della destra, della sinistra, del centro, ma
diventa un patrimonio da investire, da verificare e la verifica va fatta
proprio sul piano operativo. Potremmo dire alla fine che ha investito
meglio colui che ha dato una risposta migliore ai problemi della storia.
Quindi una verifica a posteriori, una volta che si è verificato il
risultato. Oggi ritorna in primo piano un orizzonte su cui realizzare
una capacità di attualizzazione. Oggi la democrazia rischia di essere
una specie di guscio vuoto dal momento che le istituzioni non sono
sostenute da due pilastri essenziali. E’ un discorso che è stato in
qualche modo adombrato anche dal discorso del Papa in Parlamento. La
partecipazione attiva dei cittadini è sempre più scemata. Per esempio,
nelle ultime elezioni degli organi collegiali che abbiamo fatto a
scuola, in alcune classi non si è presentato nessuno, in qualche classe
un genitore solo, in qualche classe due. Questa è una spia,
un’indicazione. Non so per esempio se il lavoro nelle circoscrizioni,
la presenza delle circoscrizioni abbia ancora partecipazione. Però mi
sembra che attualmente quello che si sta verificando è un disimpegno
dalla polis, un disimpegno rispetto all’impegno politico, per un
recupero della dimensione privata, del ciascuno salvi se stesso, della
riuscita della propria vita personale. In chiave, diciamo così, molto
egocentrica, sicuramente non in chiave sociale, in chiave di solidarietà,
in chiave di comunione con gli altri. Questa mancanza di partecipazione,
poi, porta a non credere più alla politica, fa giudicare l’esercizio
stesso della politica come un esercizio in cui è assente
quell’orizzonte che è il bene comune. Il bene comune diventa una
categoria fondamentale della dottrina sociale della Chiesa. Vedendo come
operano le due parti, l’opposizione e il governo,
e lo mette in risalto anche il Card. Ruini nel suo discorso,
sembra che più che essere proiettati verso la costruzione di un bene
comune, ciascuno è proiettato a ritagliarsi uno spazio di maggiore
visibilità, di maggiore rendita di posizione per la propria parte. E
questo alla lunga porta sfiducia nel dibattito politico. Perché se la
politica è soltanto un giocare a favore della propria parte e non è il
superamento verso un orizzonte di un bene per tutti, di un bene di
tutti, logicamente poi ci si sente rifiutati e si rifiuta la politica.
Tutto sommato si potrebbe dire che l’esperienza che il cittadino oggi
fa, è quella di sentire l’inutilità della sua politica. Oggi il
cittadino vorrebbe vedere che quando esprime un parere, questo parere
conta, questo parere abbia un risultato. Oggi la difficoltà è proprio
questa: che il cittadino possa vedere che il suo parere abbia in qualche
modo un effetto. Per cui parlare senza avere effetti, parlare senza
avere ricadute, diventa inutile, e quindi ecco il rifiuto della
politica. Però nello stesso tempo bisogna pur trovare i modelli, i modi
attraverso cui contare, per far sentire che l’opinione del cittadino
conta. Credo che tutti quanti noi sentiamo che la politica ormai è una
serie di decisioni che ci passano sopra la testa, ci vengono calate.
Questo rifiuto della politica è un avvertimento che la politica sta
diventando probabilmente un guscio vuoto perché ci pone il problema di
come alimentare la politica. La politica è sicuramente
quell’esercizio delle attività a favore del bene comune, a favore
della polis, che è contestuale in una visione cristiana al proprio bene
personale. Non si può pensare di costruire un bene individuale, un
progresso individuale e della propria famiglia, senza contestualmente
pensare che debba crescere il bene della comunità, il bene sociale. Il
concetto di solidarietà, di cui tante volte ci riempiamo la bocca, ci
porta a vedere proprio questa dimensione. Quella cioè di vedere che il
nostro bene individuale e familiare cresce soltanto nella misura in cui
si collega alla crescita del bene comune, come lo chiama la dottrina
sociale della Chiesa. Anche questa diventa un parametro di riferimento.
L’altro motivo per cui la democrazia attuale corre forti rischi è
dato dalla messa in crisi della libertà e del pluralismo di
informazione. Oggi ci sono tante fonti di informazione, però il
problema di fondo è questo: come controllare l’informazione? Se non
si ha la possibilità di controllare che quello che è detto è anche
vero, si apre un grosso problema. Noi siamo nella condizione di quelli
che bevono l’acqua che gli viene portata, ma non nella condizione di
coloro che possono controllare la purezza della sorgente, che
l’acquedotto sia salubre. Come facciamo? Non abbiamo gli strumenti.
Allora il problema che si apre alla dottrina sociale della Chiesa è
come alimentare la democrazia con forme di partecipazione che siano
vere, efficaci, non soltanto nel momento delle elezioni,
e anche come controllare che le informazioni siano vere e
controllare quindi la libertà dell’informazione. Questo è un
orizzonte che ci viene presentato e nel quale dobbiamo in qualche modo
lavorare. Un altro orizzonte che ci provoca è il tema del controllo
della globalizzazione. La globalizzazione costituisce dal punto di vista
ideale un pensiero positivo, ottimistico, perché dal punto di vista
delle attese globalizzazione significa ottimizzare le merci e gli
strumenti di produzione e quindi ottimizzare i costi. Questo però in
teoria. In teoria se noi produciamo là dove materie prime e manodopera
costano di meno ne viene un benessere per tutta quanta la comunità. Ma
questo dal punto di vista teorico, dal punto di vista ideale. Dal punto
di vista reale, invece, non si possono non constatare i limiti della
globalizzazione. Anche dietro alla contestazione dei new – global,
alla presentazione di una società diversa, c’è qualcosa a cui stare
attenti, perché non sono dei dissennati per principio. Potremmo in
qualche modo vagliare se il loro approccio alla globalizzazione è
ancora attuale, moderno, ma il fatto di contestare, il fatto che mettono
in risalto alcuni limiti fondamentali, non è detto che sia negativo.
Potrebbe essere negativa la proposta, la terapia contro la
globalizzazione. Però comunque la globalizzazione è un fenomeno che in
qualche modo deve aiutare a drizzare le orecchie, far capire che ci sono
dei limiti intrinseci a questo processo che vanno in qualche modo
superati. Quindi bisogna discuterlo questo problema. Soprattutto, che
significa il mercato? Se il mercato si intende come iper liberismo delle
merci così come proposto dall’ideologia iper liberale, questo diventa
veramente dannoso per
gruppi e popolazioni intere. I problemi dell’Africa da questo
punto di vista sono molto provocanti. Ecco perché la Centesimus Annus
chiede un’attenzione a questo processo di globalizzazione dei mercati
dicendo che deve vivere dentro un contesto giuridico preciso, attento a
quelli che sono i fini dei prodotti, dei beni di consumo prodotti
dall’economia. E gli scopi quali sono? Quelli di migliorare non la
vita di qualcuno o di qualche nazione, ma quelli di migliorare veramente
la vita planetaria, la vita di tutta quanta l’umanità. Ecco anche qui
una problematica che si apre e che ha bisogno di risposte, di soluzioni.
Ci sono quindi aspetti positivi, ma anche tanti punti che vanno
affrontati e superati. Il terzo momento, collegato sempre con la
globalizzazione, è un problema di cui si parla tanto, quello della
flessibilità. La flessibilità, dice Campanini, è una parola che va
bene dentro un’ipotesi di uomo iper individuale, cioè quell’uomo,
alla fine, che vive soltanto con se stesso. Ma che significa parlare di
flessibilità per un uomo che ha una famiglia? Non è che una persona ad
un certo momento può smobilitare quello che ha fatto per trent’anni,
cambiare città… questo significa disagi per tutta quanta la famiglia.
Non è che il lavoro può essere cambiato così dall’oggi al domani
perché i mercati lo richiedono. Quindi questa flessibilità si deve
misurare anche con le ricadute che ha sull’uomo sociale, sull’uomo
in famiglia, sull’uomo in gruppo. La flessibilità esigerebbe,
postulerebbe un tipo di uomo che come un atomo lo sposti di qua e di là,
in una città o in un’altra città, in un mercato o in un altro
mercato, perché tanto non ha rapporti, non ha relazioni. Dove lo metto
produce e sta bene. Questa però è un’ipotesi altamente astratta di
flessibilità. Quindi la flessibilità va coniugata con l’inserimento
dell’uomo dentro un contesto di relazioni umane che non può essere
mortificato ed avvilito dalla flessibilità. Si apre dunque tutta una
tematica di tipo sociale, economico, esperienziale, che è
importantissima. Un altro elemento di enorme importanza è il problema
ecologico. Noi siamo in qualche modo eredi di una dottrina che professa
sì il dominio della terra, ma accanto alla responsabilità verso la
terra. I due princìpi del dominio e della responsabilità bisogna che
impariamo a declinarli insieme. Il creato ci è stato dato anche perché
fosse custodito, non soltanto perché fosse sfruttato. E’ vero che noi
con tutto il processo di industrializzazione abbiamo soprattutto
accentuato e sfruttato il criterio del dominio, il principio del dominio
della Terra. Oggi i problemi ecologici ci insegnano che è venuto il
tempo di misurarci con quello della responsabilità; non più del
dominio, ma della sollecitudine verso la madre Terra. Occorre quindi
integrare il problema ecologico con la nostra prospettiva umana,
politica. Sicuramente noi abbiamo nella dottrina sociale della Chiesa
degli spunti che ci orientano in questa direzione, però hanno bisogno
di essere ancora elaborati e diventare soprattutto progetto di vita,
programma politico, programma sindacale, programma sociale. L’ultimo
problema è il problema della guerra e dei rapporti con il terrorismo.
Anche questo è un tema di grande attualità. Qui noi non siamo più
forniti di categorie adatte a fronteggiare questa situazione. Perché?
Faccio una breve storia. Nei primi tre secoli del Cristianesimo il
rapporto con la violenza e con la guerra è stato quello del rifiuto
assoluto: mi faccio uccidere, ma non rispondo.
Questo è stato il criterio dominante nei primi tre secoli del
Cristianesimo. Dal terzo secolo fino alla prima guerra mondiale è stata
giustificata la cosiddetta “guerra giusta”: quand’è che la guerra
è “giusta”? Quando c’è un aggressore che minaccia la mia entità
fisica oppure la mia entità culturale, la mia entità sociale. La
“guerra giusta” in un secondo periodo non fu solo guerra di difesa,
ma anche guerra di offesa diventava giusta: quando significava espandere
la propria cultura, la propria religione anche in altre terre e quindi
in nome di questa espansione veniva giustificata una guerra di
aggressione. C’è stata una lunga stagione che ha condotto la
categoria della “guerra giusta”. Venuto l’ultimo periodo è
saltato anche questo criterio; dal Concilio Vaticano II in poi è
saltato anche il parametro della “guerra giusta”. L’unica
giustificazione era il criterio della “legittima difesa”. Ma anche
il criterio della “legittima difesa” postula uno scenario militare,
uno scenario bellico, che oggi non è più attuale. Era lo scenario in
cui un esercito aggredisce un altro esercito, una nazione aggredisce
un’altra nazione. Oggi con il terrorismo oppure con i genocidi
interni, tale criterio non vale più. Lo abbiamo passato con il Kosovo,
laddove etnie della stessa nazione si uccidevano reciprocamente. E’
venuta allora fuori l’ipotesi della “ingerenza umanitaria”, che
non è né “guerra giusta”, né “legittima difesa”. E’ stato
quindi in qualche modo elaborato questo principio che tuttavia ha avuto
molti oppositori, anche sul piano politico. Poi “ingerenza
umanitaria” dove? Nel Medio Oriente sì e in Kosovo no, oppure
viceversa? Certo, ha suscitato diversi problemi. Oggi, comunque il
problema del terrorismo mette fuori gioco anche l’”ingerenza
umanitaria”. Anche il Papa in Parlamento ha detto: non facciamoci
rigurgitare da questo bisogno dello scontro. Certo, è un’avvertenza;
c’è un limite, spera che lo stesso Saddam si renda conto del processo
negativo che innesca. Ma è un’avvertenza in cui dice: non lasciatevi
a priori aspirare, rigurgitare da un processo di scontro, anche se una
soluzione va comunque trovata.
Le
categorie di cui siamo storicamente dotati sono quindi in qualche modo
diventate obsolete, vecchie. Come le ammodernizziamo? Come le
attualizziamo? Il compito del cristiano, di colui che crede nella
profondità della sapienza del Vangelo, nella forza costruttiva della
Rivelazione, si esprime proprio nella attualizzazione costante in cui la
comunità nel suo insieme, i teologi, i politici, ma in qualche modo
ogni fedele è chiamato a investire la propria attività, le proprie
risorse. L’attualizzazione è dunque parte vitale, essenza stessa
della dottrina sociale della Chiesa.
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