L'intervento del Prof. Lino Prenna

(intervento tratto da una registrazione e non rivisto dall’autore)


 

Il tema di questa sera, così formulato, ha bisogno probabilmente di una chiarificazione, anche perché, pur essendo un tema di carattere storico, in realtà poi ci aiuta a capire alcune vicende di oggi e quindi interpelliamo la storia perché illumini anche il nostro presente. Di fatto l’argomento serve a delimitare quale è stata la posizione dei cattolici nei confronti della democrazia, vedere quale modello di democrazia il cattolicesimo democratico ha adottato, quindi indirettamente o esplicitamente vedere quale è oggi la posizione dei cattolici rispetto agli scenari politici del nostro paese.

Lo spunto per questa conversazione lo prendo da un articolo che ho pubblicato sulla rivista “Studium” già quasi un anno fa. Questo articolo mi era stato provocato, per così dire, da alcune pubblicazioni di studiosi e colleghi docenti universitari tra  i quali il Prof. Baldini e il Prof. Antiseri, i quali da un po’ di tempo sostengono che finalmente il cattolicesimo, e in particolare il cattolicesimo di Karol Wojtyla si è riconciliato con il liberalismo dopo una lunga stagione prevalentemente di carattere conflittuale. Dice esplicitamente Baldini in questo libro che ha come titolo “Il liberalismo, Dio e il mercato” che i rapporti tra il cattolicesimo e il liberalismo non sono stati mai così buoni come in questi ultimi anni. Ritiene tra l’altro questo autore che il rinnovato rapporto tra il liberalismo e il cattolicesimo, quindi tra l’economia di mercato e la moderna dottrina sociale della Chiesa, sia stato favorito particolarmente da Giovanni Paolo II soprattutto nelle sue ultime encicliche sociali cioè la “Sollicitudo rei socialis “ e la “Centesimus annus”. In conclusione questi autori non soltanto oggi sostengono che la dottrina sociale della Chiesa si sarebbe quasi convertita al liberalismo, al liberalismo politico ed economico e quindi alla democrazia liberale ed alla democrazia economica del libero mercato, ma rivisitano la storia e soprattutto il pensiero di alcuni autori tra i quali Rosmini e lo stesse Sturzo per proporli come anticipatori dell’economia di mercato, come pensatori liberali, come autori insomma propensi ad adottare e sostenere i principi del liberalismo. Questa è la problematica di oggi; il mio articolo tra l’altro è un po’ severo, tuttavia ironicamente e in qualche parte, per concludere che un’attenta lettura del pensiero sociale della Chiesa dice tutt’altra cosa. Però questa è la parte odierna che a noi preme precisare. Naturalmente questi autori riprendono una posizione soprattutto di Novak il quale riprendendo e parafrasando un’opera di Max Weber che aveva sostenuto che all’origine del capitalismo c’è lo spirito protestante, questi autori rivendicano anche al cattolicesimo la capacità di promuovere una economia capitalistica, come a dire che il capitalismo non è inconciliabile con il cattolicesimo. C’è tutta una corrente di pensiero che, ripeto, questi autori italiani sostanzialmente riprendono. Tra l’altro Novak in un suo testo arriva a definire Giovanni Paolo II come il Papa dell’iniziativa economica. Ora, a parte queste battute che però situano il discorso nel travaglio attuale della riflessione, noi ci poniamo alcune domande: che cosa è il liberalismo? E’ possibile sostenere la conciliazione tra cattolicesimo e liberalismo? E chi sono i cattolici liberali e chi sono i cattolici democratici? Questi sono gli interrogativi da chiarire.

Il punto di partenza storico rispetto al quale noi verifichiamo le postazioni è la Rivoluzione Francese. Di fronte agli avvenimenti rivoluzionari che avevano rovesciato l’antico assetto politico e sociale la cultura cattolica conobbe profonde lacerazioni e divisioni. Quindi di fronte all’evento della Rivoluzione Francese da alcuni considerato provvidenziale, da altri considerato un’immane sciagura, il cattolicesimo, non solo italiano, ma europeo si dislocò in due posizioni fondamentali: da una parte gli intransigenti (quelli che storicamente  già sono stati chiamati così) e dall’altra parte invece i cattolici liberali. Chi erano gli intransigenti? Gli intransigenti respingevano le idee e i risultati di un processo che essi temevano come processo di laicizzazione dello stato e quindi di liberalizzazione della società. Alcuni di questi autori considerano con toni estremamente forti questa sciagura della Rivoluzione Francese. In Francia particolarmente sia l’intransigentismo che il cattolicesimo liberale ebbero la prima e maggiore organizzazione. Gli intransigenti condussero una lotta serrata agli errori del liberalismo e quindi si fecero sostenitori di una società organizzata gerarchicamente e basata sul fondamento della fede cattolica, contrapponendo la civiltà cattolica alla civiltà moderna. In realtà, se noi ben guardiamo, questo problema si chiarirà poi definitivamente come rapporto del cattolicesimo con la modernità di cui la democrazia è la forma politica. Quindi il tema è certamente il rapporto del cattolicesimo con la democrazia, ma soprattutto con la stagione della modernità che la Rivoluzione Francese aveva inaugurato. Di questa civiltà cattolica l’organizzazione medievale costituiva fondamentalmente ancora il modello. In Italia lo sviluppo del cattolicesimo intransigente fu sostenuto dai gesuiti della Civiltà Cattolica che nella sua  testata, nella sua denominazione e nella sua prima stagione adottò totalmente il modulo dell’intransigentismo. La rivista poi esortava i cattolici a costituire un vero e proprio programma di azione sociale a favore della causa papale. In forma associata il cattolicesimo intransigente voleva certamente esprimere tutto il disappunto della cattolicità italiana per il modo come era avvenuta l’unificazione d’Italia e per la questione romana che si era aperta; questa spinosa questione centrata sul fatto che l’unificazione aveva in qualche modo espropriato la Santa Sede, il papato non soltanto del suo potere temporale, ma anche di una serie di prerogative e soprattutto ne metteva in discussione il primato, quel primato che Vincenzo Gioberti, poi, aveva in qualche modo cercato di riproporre.

Il cattolicesimo liberale esprime invece l’altra anima del movimento cattolico. Nella denominazione quelli che poi furono chiamati cattolici liberali volevano appunto cercare di conciliare la tradizione e i principi cattolici con le nuove libertà venute dalla Rivoluzione Francese. Quindi l’idea di conciliare la fede e la religione con i valori di  libertà proclamati sulle barricate di Parigi. Anche il cattolicesimo liberale si sviluppò innanzi tutto in Francia. I fautori di questa posizione si erano interrogati circa la possibilità di accogliere la lezione rivoluzionaria almeno per i suoi aspetti di promozione delle libertà dell’uomo, dei diritti, e quindi in qualche modo per i suoi aspetti compatibili con la tradizione stessa del cattolicesimo che alla centralità dell’uomo ha comunque sempre fatto riferimento. Tuttavia questo movimento trovò una prima condanna da parte di Gregorio XVI con l’enciclica “Mirari vos“. Siamo nel 1832 al termine di quello che la storia chiama il periodo della Restaurazione che comunemente va dal 1815, cioè dal Congresso di Vienna,  al 1830; è il periodo in cui si cercò di riportare l’assetto politico dell’Europa ai profili prerivoluzionari, impresa naturalmente molto difficile. Come aveva detto Danton in uno dei suoi discorsi accesi “la fornace della Rivoluzione era ormai spenta e il fuoco non sarebbe stato più spento”. Al di là dell’enfasi di Danton i grandi princìpi della Rivoluzione Francese, libertà, uguaglianza e fraternità, sono alla base della democrazia e sono i princìpi rispetto ai quali i cattolici liberali ritenevano di doversi non solo confrontare ma possibilmente adottare. La condanna di Gregorio XVI non fu isolata; anzi, nel 1864 una enciclica di Pio IX, “Quanta cura”, che in genere va sotto la denominazione di Sillabo, nel quale appunto con 80 proposizioni Pio IX condannava tutte le libertà moderne. Era quindi la condanna del liberalismo in tutta la sua piena espressione. In queste 80 proposizioni naturalmente viene condannato il panteismo, il razionalismo, il naturalismo, l’indifferentismo, anche il socialismo, il comunismo, il liberalismo odierno. L’ultima proposizione era formulata così: “Romanus Pontifex potest ac debet cum progressu, cum liberalismo et cum recenti civilitate sese riconciliare et componere”. La frase in sostanza diceva: “Il Papa si deve conformare e comunque la Chiesa si deve riconciliare con il liberalismo e con la modernità”. Questa è l’ultima delle 80 proposizioni che marcava di una condanna implicita il liberalismo.

Occorre fare a questo punto una breve riflessione per cercare di capire che cosa è il liberalismo, e che cosa del liberalismo poteva costituire motivo di ambiguità o addirittura di errore per la dottrina cattolica, perché evidentemente i cattolici liberali che ritenevano di poter coniugare il cattolicesimo con il liberalismo si riferivano soltanto ad alcuni aspetti, non certamente a tutti. Ma allora il liberalismo che cos’era? Si trovano molte definizioni di liberalismo nei dizionari di politica o di filosofia della politica. Io lo definisco molto semplicemente la dottrina delle libertà individuali. Non basta parlare di una dottrina delle libertà, ma a mio modo di vedere va aggiunto l’aggettivo individuali e vedremo perché. E’ la dottrina delle libertà individuali nelle quali l’affermazione della individualità fino a sostenerne l’individualismo diventa il percorso poi naturale e obbligato. Nell’accezione polisemantica del termine fissiamo questo concetto della dottrina delle libertà individuali perché è non soltanto l’affermazione delle libertà, ma sono le libertà fondate su una concezione naturalistica dell’uomo. Uomo inteso come individuo, quindi l’individualismo stesso come principio dell’antropologia e dell’etica. C’è una filosofia che sostiene il liberalismo, che è certamente la filosofia dei lumi, l’illuminismo, ma è il naturalismo in tutta la sua tradizione e per quello che riguarda l’antropologia con l’individualismo, che caratterizza la concezione filosofica. Dal punto di vista politico, soprattutto dei rapporti tra Stato e Chiesa, il liberalismo sostiene il separatismo delle due istituzioni. Tocqueville che ha analizzato la democrazia americana nel suo famoso saggio “La democrazia in America” esalta gli Stati Uniti perché hanno saputo stabilire un rapporto tra Chiesa e stato separandoli. In tema di rapporto tra Stato e Chiesa la separazione, dice lo stesso Tocqueville, ha portato benefici risultati sia alla Chiesa che allo Stato. L’idea centrale del separatismo però, perché questo è quello che bisogna cercare di capire, è che l’ordine politico, civile e temporale e quello spirituale, religioso e soprannaturale sono non solo distinti, ma del tutto separati, sicchè procedono per due vie che non sono destinate ad incontrarsi, e soprattutto non devono avere alcuna reazione perché la società civile ha una natura collettiva (questo è il tema, poi naturalmente discutibile), mentre la religione è un rapporto del tutto individuale con Dio. Quindi non dovrebbero entrare mai in conflitto perché in realtà l’una cura gli individui, l’altra invece cura la comunità, la collettività. Di qui allora, il carattere individuale della religione è una conseguenza di quell’individualismo di cui parlavo e che porta poi a sostenere che la chiesa e lo Stato hanno leggi proprie, diverse, e quindi non ha senso che una proibisca quello che l’altro permette e viceversa. Certamente c’è in questa posizione l’intenzione di superare la possibile confusione o comunque la concezione del potere temporale come braccio secolare della Chiesa. Non c’è dubbio che sia qui anche l’origine di una ritrovata laicità, che tuttavia non può essere intesa come separazione, ma, come diranno successivamente autori a noi cari come Lazzati e altri, piuttosto come distinzione. Altro è la separazione, altro è la distinzione.

Il liberalismo se noi lo consideriamo anche in riferimento ad altri aspetti troviamo che è una dottrina che soprattutto diventa offensiva, nel senso letterale della parola, di una fede intesa come relazione con l’assoluto e di una religione di carattere soprannaturale, perché se la filosofia del liberalismo è naturalistica da una parte e individualistica dall’altra, si capisce che non c’è spazio per esperienze di carattere soprannaturale, detto molto semplicemente. Senza parlare ovviamente di quello che è il senso dell’insegnamento dogmatico della Chiesa e anche la dottrina relativa al ruolo del papato e della Chiesa e della società. Certamente, quindi, c’erano ragioni sufficienti per preoccuparsi. Naturalmente la condanna in toto di tutte queste dottrine liberali diventa una condanna definitiva, una condanna pesante, non ancora consapevole che all’interno del liberalismo alcune espressioni, soprattutto la rivendicazione delle libertà, potesse essere la premessa per una riconciliazione del cattolicesimo stesso con la democrazia. Comunque questa è la parte storica ed è dato di fatto per cui di fronte alle libertà moderne la Chiesa di Gregorio XVI prima e di Pio IX dopo, quindi per lunghi anni perché il pontificato di Pio IX fu un pontificato lunghissimo essendo arrivato fino al 1878 quando divenne papa Leone XIII, è una Chiesa sostanzialmente intransigente. Anche questa è un’affermazione che bisognerebbe analizzare dal punto di vista storico (il pontificato di Pio IX è stato per molti aspetti contraddittorio, è stato salutato come un papa liberale, poi invece ha avuto una serie di atteggiamenti e posizioni diverse. Basti considerare tutta la vicenda nei confronti di Rosmini che venuto Roma come inviato del governo piemontese fu bloccato, fermato benevolmente da Pio IX che voleva fare di lui il cardinale Segretario di Stato, in realtà poi nel 1848 non solo non divenne cardinale e Segretario di Stato, ma furono condannate due sue opere e cioè “Il progetto di costituzione secondo la giustizia sociale”, un’opera politica, e “Le cinque chiavi della Chiesa”). Questo per dire la contraddittorietà di un periodo che andrebbe analizzato molto attentamente. Il dato di fatto è che però il Sillabo del 1864 è un elenco di condanne delle dottrine moderne, il comunismo, il naturalismo, etc.etc.

Il pontificato di Leone XIII apre certamente la Chiesa a delle posizioni più attente. Potremmo dire che l’atteggiamento difensivo che aveva caratterizzato la politica di Pio IX in qualche modo viene superato, anche qui, però con certi ritorni, certe contraddizioni. Basti dire che ancora durante il pontificato di Leone XIII Rosmini fu ancora condannato. Tuttavia Leone XIII è il grande papa della dottrina sociale della Chiesa e nel 1891 consegna alla cattolicità quella grande enciclica, “Rerum novarum”, che apre tutto un percorso significativo di attenzione della Chiesa alla questione sociale, ma anche pone la Chiesa per la prima volta apertamente a difesa dei lavoratori e dei più deboli. Per capire la problematica che comunque i cattolici, non solo italiani anche se adesso ci occupiamo dell’Italia, vivevano nella seconda metà dell’Ottocento e poi agli inizi del Novecento, bisogna fare riferimento al divieto che ai cattolici stessi era stato dato di occuparsi di politica. Ricordo a tal proposito che nel marzo del 1871 (siamo all’indomani dell’unità d’Italia, quindi con una cattolicità che, ancora ferita dalla Breccia di Porta Pia, non aveva ancora metabolizzato il processo di unificazione dell’Italia e che anzi l’aveva visto come un processo non soltanto anticlericale ma contro la Santa Sede) alla domanda se nelle circostanze attuali ed in vista di tutto ciò che si sta consumando in Italia a danno della Chiesa sia conveniente ricorrere alle elezioni politiche, la penitenzieria apostolica rispose con la famosa espressione:”Non expedire”. Cioè, non essere conveniente. Questo pronunciamento, che nel 1871 era solo una valutazione di non convenienza, nel 1874 divenne un monito ancora più forte e nel 1880 il Santo Uffizio interpretò il “non expedit” come vero e proprio divieto. Quindi siamo in una situazione in cui i cattolici sono diffidati dall’occuparsi di politica. Quale era il senso di questo discorso? Detto molto semplicemente, che non era possibile collaborare con uno Stato che era nato contro la Chiesa. Tuttavia movimenti di persone e dottrine andavano sviluppandosi, sicchè il movimento politico dei cattolici, sia pure in forme diverse (attraverso l’Opera dei Congressi e altre organizzazioni specifiche), va configurandosi progressivamente. Nel 1901 Leone XIII pubblica un’enciclica “Graves de communi re”, sulla democrazia cristiana. Che cosa spinge il Papa a questo? In realtà all’interno dell’Opera dei Congressi, che aveva molte anime, si stava sviluppando sotto la denominazione Democrazia Cristiana che poi farà capo a Romolo Murri, una posizione di cattolici sensibili alle libertà democratiche (diremmo quindi la corrente progressista dell’Opera dei Congressi). Sotto la denominazione stessa di Democrazia Cristiana agivano dei giovani guidati da questo prete partigiano, Romolo Murri, la cui vicenda è peraltro significativa perché Romolo Murri sarà sospeso a divinis, sarà scomunicato nell’anno stesso in cui viene eletto alla Camera dei Deputati. Morirà poi nel 1944 dopo essersi riconciliato con la Chiesa. E’ una figura molto interessante, fondatore della FUCI tra l’altro, figura che andrebbe ripresa perché è all’origine del cattolicesimo democratico. La corrente aperta dell’Opera dei Congressi aveva già dato a questa espressione “Democrazia cristiana” una valenza politica. Per capire questo bisogna ricordare che agli inizi del ‘900 come alla fine dell’800 il termine stesso democrazia, proprio per le ragioni che abbiamo detto, aveva difficoltà di circolazione negli ambienti cattolici, perché la democrazia, lo accennavo prima, non è nata sull’albero del Cristianesimo, sostanzialmente era un soggetto estraneo alla tradizione cristiana. Però questo gruppo di giovani intravedono nel modello della democrazia moderna, quindi di una modernità politica, non soltanto la possibilità di uno sviluppo sociale, ma anche di affermazione dei princìpi cattolici. Leone XIII comunque in questa enciclica afferma intanto la necessità di adottare una chiara terminologia per distinguere l’azione sociale dei cattolici da quella di altre organizzazioni. Allora, scartate alcune denominazioni come per esempio “socialismo cristiano” o “azione popolare cristiana” che riteneva cariche di ambiguità, Leone XIII analizza e propone l’espressione “democrazia cristiana” che contrappone alla “democrazia sociale” dei socialisti. Però il punto della questione è: qual è l’accezione che Leone XIII dà a questa denominazione?  Secondo il Papa è innanzitutto necessario distinguere la “democrazia cristiana” dalla “democrazia sociale”, perché la distinzione tra i due tipi di democrazia è radicale in quanto i socialisti, non avendo alcuna considerazione per l’ordine soprannaturale, dice il Papa cercano esclusivamente i beni corporali e terreni. Al contrario la “democrazia cristiana”, per ciò stesso che si dice cristiana, ha necessariamente per sua base i principi della Chiesa. Però la democrazia cristiana, secondo l’accezione che il Papa ne dava, va assunta con significato sociale e non politico, ecco il punto. Dice testualmente: “non sia lecito dare un senso politico alla democrazia cristiana, perché sebbene la parola democrazia chi guardi alla etimologia e all’uso dei filosofi serve ad indicare una forma di governo popolare, tuttavia nel caso nostro smesso ogni senso politico non deve significare se non una benefica azione cristiana a favore del popolo”. “Actio benefica ad populum”. Il Papa sostiene queste ragioni e dice che la democrazia cristiana non deve essere altro che una sorta di previdenza popolare, però vedete anche come intanto il termine popolare si inserisce nello stesso vocabolario. Per il Papa, comunque, ripeto, era un’azione che doveva limitarsi all’attività sociale e non poteva assumere nessuna forma politica. L’enciclica intendeva comporre le due posizioni che allora si andavano precisando nel movimento cattolico italiano: da una parte i democratico cristiani, gli innovatori, dall’altra parte invece le correnti legate al vecchio intransigentismo. Di fatto la posizione del Papa finì per scontentare gli uni e gli altri, perché gli intransigenti non accettavano che si chiamasse democrazia cristiana, gli innovatori non accettavano che si limitasse al solo aspetto sociale senza che avesse una connotazione politica. Comunque ritennero che fosse già un risultato e proprio sulla base di questo Romolo Murri dà vita nel novembre del 1905 alla Lega Democratica Nazionale, la cui finalità, espressa nell’art. 2 dello Statuto, era di “raccogliere forze giovanili e proletarie allo scopo di agire concordemente con lo studio, l’opera personale, la propaganda, l’azione politica per l’orientamento in senso democratico dell’attività pubblica dei cattolici”. Naturalmente questa posizione non poteva essere condivisa e quindi i guai per Romolo Murri, che era già sospettato, aumentarono.

L’esperienza della Lega Democratica non fu rilevante dal punto di vista politico ed elettorale, ma assume un significato storico perché rappresenta il primo punto di incontro della tradizione democratico cristiana con quella di derivazione cattolico liberale. Mi fermo su questo, perché questo secondo me è il punto nodale dove si configura il cattolicesimo democratico e dove quindi l’accezione di cattolicesimo liberale, quella dell’800, sostanzialmente vuol dire l’attenzione dei cattolici alle nuove libertà venute dalla Rivoluzione Francese e quindi l’accettazione della democrazia come opportunità e non più come minaccia per la religione. Il cattolicesimo democratico fondamentalmente è questo: è l’incontro tra i principi del cattolicesimo e la forma politica della modernità che è la democrazia. Questo dal punto di vista storico ci permette di dire che il contributo di Romolo Murri è stato determinante per questa saldatura. Comunque la Lega Democratica ebbe una breve stagione, però riuscì certamente ad elaborare anche una sua posizione, non soltanto uno Statuto. Certo, viaggiava in direzione opposta rispetto a quella indicata dall’autorità ecclesiastica, perché mentre l’autorità ecclesiastica avviava i cattolici all’accordo con le correnti moderate del liberalismo, i giovani della Lega puntavano su una presenza dei cattolici nel mondo proletario e ad un accordo con le forze politiche che lo rappresentavano, rivendicando in questo il principio dell’autonomia politica dei cattolici nei confronti dell’autorità religiosa. Tutto questo poi fu sancito da un’esplicita sconfessione del movimento con l’enciclica “Tieni l’animo” di Pio X del 28 luglio del 1906. E’ allora che don Romolo fu sospeso a divinis. Comunque la Lega dichiarò l’obbedienza (per quello che potè) della gioventù al Pontefice, ma di fatto continuò il suo cammino, (…) affermando che nella società la fede deve agire attraverso al coscienza dei credenti. Non c’è altro modo di azione della religione se non attraverso la coscienza dei credenti, la quale è responsabile poi delle azioni che i cattolici compiono nella vita sociale come in quella politica. E quindi esprime la convinzione che la logica di sviluppo della società democratica non può rappresentare un pericolo per il cattolicesimo (ecco allora qui il nodo del cattolicesimo democratico) , ma solo sospingerlo verso quella che è la sua sfera d’azione, che è una sfera superiore e intangibile dalla quale illumina le coscienze e le associa senza partecipare direttamente alle vicende ed ai pericoli della lotta di classe e al fluttuare tempestoso delle maggioranze parlamentari.

Quindi il contributo più significativo della Lega, diremmo noi, è proprio quello di aver dato un fondamento religioso all’autonomia politica dei credenti e alla sua responsabile partecipazione alla vita politica. Quindi anche in questa seconda fase i temi trattati riguardano proprio il rapporto tra cattolicesimo e democrazia e l’autonomia dei cattolici nello svolgimento della vita politica, certo attraverso l’affermazione di una responsabilità autonoma che poi si chiamerà laicità, che è il grande principio del cattolicesimo democratico. Fu merito di don Luigi Sturzo dare comunque un contenuto politico al concetto cristiano di democrazia con l’”Appello a tutti gli uomini liberi e forti” del gennaio del 1919 che di fatto fondava il Partito Popolare Italiano, erede di questa tradizione del cattolicesimo democratico e quindi in qualche modo don Sturzo traduceva sul versante politico il pensiero sociale della Chiesa, ne faceva una traduzione politica, evitando l’identificazione tra religione e politica, assumendo la religione come fondamento, certo, ma sostenendone la distinzione. Del resto il tratto programmatico del Partito Popolare è che non è un’organizzazione cattolica, non è un partito cattolico, cioè non è un partito che prende la religione come mezzo ed elemento di distinzione, di differenziazione dagli altri partiti. Il partito cattolico, diceva don Sturzo, è, rigorosamente parlando, un assurdo, poiché partito indica una parte, una porzione, mentre cattolico vuol dire universale. Quindi il Partito Popolare non assume la religione come bandiera. Dice ancora don Sturzo in un discorso a Verona di qualche mese dopo, nel marzo 1919: “Il Partito Popolare è stato promosso da coloro che vissero l’Azione Cattolica, ma è nato come un partito non cattolico, aconfessionale, come un partito a forte contenuto democratico e che si ispira alla idealità cristiana, ma che non prende la religione come elemento di differenziazione”. Le citazioni potrebbero continuare per dire chiaramente qual è il senso di questa scelta e qual è il profilo del partito appena nato. Certo l’intenzione programmatica più significativa del cattolicesimo democratico, che intanto trovava nel pensiero di Sturzo e degli altri popolari la sua migliore espressione, era quella di trasformare lo Stato in effettivo stato democratico. Questo potrebbe essere, come dire, in sintesi, il programma del cattolicesimo democratico. Trasformare lo Stato in effettivo stato democratico attraverso un’azione politica cristianamente ispirata, ma distinta dall’azione cattolica. Azione politica distinta dall’azione cattolica: tema che riprenderà ampiamente Lazzati in uno dei suoi interventi. Così fattore di aggregazione politica allora non è la fede religiosa, ma è il programma, un progetto di azione nella vita politica. Il cattolicesimo democratico si caratterizza dunque, si definisce, accoglie in questa prima sistematica formulazione (il Partito Popolare rappresenta la prima sistematica elaborazione del cattolicesimo democratico) la lezione di don Romolo Murri, ma confluisce in qualche modo il cristianesimo sociale più vicino al pensiero di Toniolo; esistono insomma dei filoni che nell’800 si erano costruiti e soprattutto, come accennavo prima, confluisce nel Partito Popolare la prima stagione del cattolicesimo democratico che io dico appunto essere costituita dal cattolicesimo liberale. In effetti, il cattolicesimo liberale è la prima stagione del cattolicesimo democratico, è in continuità con il cattolicesimo democratico; quei cattolici che ritennero di cogliere la lezione della Rivoluzione Francese, almeno per la parte migliore che potesse rappresentare, sono stati certo i primi cattolici democratici.

L’esperienza successiva del movimento cattolico credo sia nota alla maggior parte: l’esilio di Sturzo, il periodo fascista, la ricostituzione del Partito Popolare, però sotto la denominazione Democrazia Cristiana, tutta la problematica che questa denominazione portava con sé, e le vicende successive; la Democrazia Cristiana già come partito interclassista, quindi con forze molto diverse, all’interno della quale certo il cattolicesimo democratico è una componente. Qui un’analisi che sarebbe interessante fare è chiedersi se tutta la Democrazia Cristiana si potesse identificare con la tradizione del cattolicesimo democratico. Di fatto però è giunta fino ai nostri giorni questa duplice anima del movimento politico dei cattolici: quella che rimane conservatrice e che quindi già è stata definita clerico moderata, e l’altra invece, progressista, riformista, appunto cattolico democratica. Era così il movimento politico dei cattolici in passato, evidentemente lo è ancora oggi. La domanda se sia possibile rimettere insieme le due anime è uno degli interrogativi.

Ritorno però a quello che è stato lo spunto di partenza per dire che oggi la denominazione di cattolici liberali non coincide più con quella dell’800: questo è molto importante. Per cui persone che oggi si definiscono cattolici liberali pensano ad un cattolicesimo riconciliato con il liberalismo inteso non soltanto come democrazia politica, ma anche come democrazia economica. La democrazia economica coincide con il capitalismo, quindi i cattolici liberali di oggi, coloro che si definiscono tali, sono coloro che ritengono il capitalismo il sistema economico migliore, rispetto al quale il cristianesimo non soltanto non è incompatibile, ma diventa perfino promotore di ricchezza e quindi promotore di libertà. Naturalmente qui le valutazioni divergono. La mia convinzione, ma non soltanto mia, è che per le ragioni che abbiamo detto a proposito del profilo vero del liberalismo, l’economia di mercato, considerata nella sua assolutezza, costituisce una minaccia per i sistemi sociali e democratici perché tende a fare della società un mercato. Certamente se può essere condivisa l’economia di mercato, non può essere invece condivisa la società di mercato, ma giacchè il passaggio dall’una all’altra purtroppo è uno slittamento facile, come poi noi vediamo (la mercantilizzazione di tutto, degli stessi rapporti personali), naturalmente un argine alla concezione del mercato, al modo di intendere il mercato è necessario costituirlo. Perché quella dottrina delle libertà individuali che poi è il liberalismo, pur nata dalla Rivoluzione Francese, non ha sufficiente considerazione per gli altri due termini della rivoluzione stessa, e cioè l’uguaglianza e la fratellanza o fraternità. Quel liberalismo che si è sviluppato e che poi è confluito nella destra liberale storica, quindi il liberalismo conservatore, ha esaltato la libertà a scapito dell’uguaglianza, e quindi mettendo certamente in difficoltà il profilo completo di democrazia quale a noi potrebbe invece interessare. Il cattolicesimo democratico certamente assume la lezione di libertà che viene dal liberalismo, ma la integra con il riferimento all’uguaglianza; anzi, quello che spesso viene detto è che è l’uguaglianza la condizione di esercizio delle libertà, che una enunciazione delle libertà senza  condizioni di uguaglianza diventa retorica, e diventa una retorica non soltanto inutile, ma fastidiosa e perfino gravemente lesiva delle vere libertà. Per poter esercitare la libertà è necessario che le condizioni siano di pari opportunità; quindi l’uguaglianza è alla radice della libertà. Un recupero dell’uguaglianza vuol dire quindi il superamento di una concezione individualistica, naturalistica, il superamento di una concezione strettamente capitalistica dell’economia e quindi l’accesso ad una economia solidale, ad una società delle uguaglianze e non soltanto delle libertà. E’ qui naturalmente che la divaricazione con il liberalismo diventa notevole e quindi ci riporta al punto dal quale sono partito e che vi ripropongo perché è anche un’occasione per leggere l’attuale situazione politica e anche per capire come si evolve la terminologia stessa. Il cattolicesimo liberale oggi, ripeto, non è più il cattolicesimo dell’800, ma è appunto il cattolicesimo che si è saldato con la destra liberale, la destra economica, la destra del profitto e quindi la destra della mercantilizzazione della società oltre che della politica. Quindi le strade divergono e divergono radicalmente perché sono due modelli di società: non a caso le due coalizioni secondo me esprimono esattamente due modelli di società.

Concludo questa mia esposizione ritornando alla convinzione che il magistero sociale della Chiesa non è compatibile, nonostante le affermazioni degli autori che ho citato all’inizio, con i princìpi del liberalismo inteso come individualismo, naturalismo e capitalismo (perché la versione economica del liberalismo è il liberismo: quando appunto si parla di liberismo si intende la versione economica del liberalismo, ma che è appunto il capitalismo). Anche perché le encicliche “Sollicitudo rei socialis” e la stessa “Centesimus annus” spostano la ragione stessa fondativa dell’interesse per la questione sociale. Dirò in sintesi che in genere il pensiero sociale della Chiesa si attesta su una rivendicazione non tanto delle libertà, o non soltanto delle libertà, ma soprattutto della giustizia sociale, che è un tema estraneo alla concezione liberista. Ed è la giustizia sociale che interessa particolarmente dalla “Rerum novarum” in poi. Senza dire ovviamente che circa l’antropologia il pensiero sociale della Chiesa rivendica la centralità dell’uomo come persona e non come individuo. Basterà ricordare la distinzione che Maritain già proponeva tra individuo e persona per dire che l’individuo è un’entità chiusa in sé, e quindi conclusa, autosufficiente, dalla quale poi nasce una condizione di isolamento attraverso l’individualismo, mentre la persona è il principio di relazione, quindi è soggetto di relazione sociale, è il principio da cui si costruisce la società stessa che lo stesso Maritain, poi gli autori del personalismo italiano come Luigi Stefanini, ritenevano all’origine della società. La distinzione, qui vorrei dire la contrapposizione, tra il pensiero sociale della Chiesa e il liberalismo, e allora tra cattolicesimo democratico e liberalismo, è la stessa che c’è tra persona e individuo. Tanto dista la persona dall’individuo, quanto dista il pensiero sociale della Chiesa dal liberalismo e soprattutto dalla sua forma economica che è il liberismo.  

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