GLOBAL...
ALTRIMENTI |
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Tre ore di discussione a viso aperto nella sede milanese della redazione di Jesus. Quattro ospiti di prestigio. Un tema appassionante: l’atteggiamento dei cristiani di fronte alla globalizzazione. In queste pagine, una sintesi del dibattito, coscienti che tanti nodi restano da affrontare
Gheddo:
«La domanda vera quando parliamo di globalizzazione, a mio giudizio,
deve essere: "Che cosa possiamo fare noi per i poveri?". Su
questo, tra noi cattolici, non c’è unità di analisi né
concordanza di soluzioni. La spaccatura tra Nord e Sud non è solo tra
ricchi e poveri, ma anche tra alfabetizzati e non alfabetizzati, tra
popoli che vivono in regimi democratici e popoli che vivono sotto
dittature o in democrazie non ancora mature, popoli che vivono in pace
e popoli che vivono in guerra. Nella Populorum
progressio, Paolo VI parla di questo, ma alcuni passaggi di tale
enciclica sono stati completamente dimenticati dal mondo cattolico. Si
ricorda la Populorum progressio solo
quando tratta dei commerci, degli scambi e degli aiuti internazionali,
mentre tutta la parte teologica, sulla Chiesa e lo sviluppo,
sull’opera dei missionari, sugli urti tra civiltà che si
incontrano, che vanno a velocità diverse e vivono in epoche storiche
diverse, non viene presa in considerazione...». ·
Jesus:
E sul tema del cristianesimo come fattore di sviluppo? Gheddo:
«Non è certo un’invenzione mia. Fior di studiosi – da Max Weber,
a Toynbee, da Dawson al cardinale Newman – attribuiscono il grado di
sviluppo alle radici culturali dei singoli popoli. E tra le radici
culturali più profonde c’è certamente l’identità religiosa. Il
mondo ebraico-cristiano ha generato la nostra civiltà occidentale,
che tutti i popoli ci invidiano. Questa considerazione mi ha attirato
un sacco di contestazioni: "Tu sei razzista, tu pensi che gli
altri siano inferiori". Niente affatto. Penso semplicemente che
la Parola di Dio – l’apparizione di Dio nella storia dell’umanità,
attraverso la Bibbia, e attraverso Gesù in particolare – non ha
efficacia solo nel senso spirituale della salvezza delle anime, ma ce
l’ha proprio nella storia dell’uomo, porta cioè con sé quei
princìpi – la dignità assoluta della persona umana,
l’uguaglianza tra tutti gli uomini, la solidarietà... – che poi
hanno generato il progresso, così come lo vediamo oggi. In
particolare, per ciò che riguarda il rapporto tra uomo e natura,
nella Bibbia si dice che essa è stata creata al servizio dell’uomo:
"Dominate la natura per preparare un mondo migliore, il regno di
Dio...". Da qui lo speciale rapporto tra uomo e progresso, tipico
delle civiltà cristiane. Questa coscienza del valore del
cristianesimo come motore di sviluppo non deve divenire però un
vanto. È, al contrario, una grande responsabilità. La Chiesa sul
tema dello sviluppo dice che "il dono più grande che noi
possiamo fare ai popoli è l’evangelizzazione". È
incontestabile il fatto che, introducendo il Vangelo in mezzo a un
popolo, a distanza di anni, esso cambia la mentalità, la cultura,
umanizza i suoi valori e il popolo comincia ad avere coscienza della
sua dignità». Monaco:
«Provo a rispondere alle due questioni iniziali. La prima è una
preoccupazione: e cioè che i cattolici che partecipano ai movimenti
no-global non siano "subalterni" ad altre visioni del mondo.
La seconda è un interrogativo, non nuovo: "Il cristianesimo è
alla radice dello sviluppo dell’Occidente?". Per quanto
riguarda la prima questione direi che, così espressa, è ineccepibile
la preoccupazione e la raccomandazione connessa, e cioè che non si
sposino inavvertitamente visioni della vita e del mondo incompatibili
con la propria ispirazione. Tuttavia aggiungerei due osservazioni. La
prima è che, in forza del principio di creazione e di incarnazione, e
anche del nesso inscindibile tra verità e carità, l’impegno per
l’umanizzazione del mondo è irrinunciabile per un cristiano, perché
appunto la salvezza cristiana non può prescindere dal suo profilo
storico-civile. Quindi che i cristiani partecipino a questi movimenti
che, in qualche modo, si interrogano sul modello di sviluppo e si
adoperano per il riscatto umano e sociale mi pare quasi d’obbligo.
Seconda osservazione, sempre sul primo quesito, è che questo impegno
per l’umanizzazione del mondo e per il riscatto dell’umanità è
per eccellenza il terreno della convergenza, non solo auspicabile ma
anche possibile, tra i cristiani e tutti gli uomini di buona volontà». ·
Jesus:
e il secondo punto? Monaco:
«Il cristianesimo ha certamente operato una cesura rispetto alle
culture cosmologiche precristiane, introducendo nella storia delle
civiltà questa enfasi sull’autonomia, sulla responsabilità, sul
protagonismo dell’uomo nei processi di trasformazione del mondo e,
dunque, nel "progresso". Dove stanno l’equivoco e
l’insidia? E dove si innestano delle improprie sovradeterminazioni
di questa considerazione di carattere storico-culturale che mi pare
oggettiva? Il primo è di far coincidere il cristianesimo con
l’Occidente: esso può perfettamente convivere con altre forme di
civilizzazione e sarebbe improprio, quasi una diminutio
per il cristianesimo, immaginare che possa convivere solo con la
forma di civilizzazione occidentale. Bisogna dunque distinguere
evangelizzazione e civilizzazione. Seconda osservazione: riconosco
ovviamente che dentro l’Occidente si danno valori positivi, anche
storicamente alimentati dal cristianesimo, però la forma concreta
della civiltà occidentale sotto vari profili fa problema, eccome,
alla coscienza cristiana. Infatti, proprio quei valori di dignità
della persona, di uguaglianza, di libertà, sono paradigmi del
cristianesimo che, proiettati sulla civiltà occidentale, ne rivelano
i suoi macroscopici limiti e insufficienze. Come non vedere che, sotto
molti profili, l’ethos dell’Occidente è lontano e persino in
contrasto con il cristianesimo?». Gheddo:
«Che il cristianesimo non possa identificarsi con l’Occidente lo
sappiamo benissimo. Tutte le volte che Giovanni Paolo II è andato in
Africa, per esempio, ha invitato le popolazioni a non imitare
l’Occidente. Il pensiero del Papa è molto chiaro in proposito: lo
sviluppo dell’uomo non deriva primariamente dal denaro o dalla
tecnica, ma dalla formazione delle coscienze. A Puebla, alla
Conferenza dei vescovi latino-americani del 1979, aveva detto:
"Il miglior servizio al fratello è l’evangelizzazione che lo
dispone a realizzarsi come figlio, lo libera dalle ingiustizie e lo
promuove integralmente". Questo non vuol dire andare solo ad
annunciare il Vangelo. Il Vangelo lo si porta anche condividendo,
aiutando, imparando, dialogando, ecc... Ma sempre "a causa del
Vangelo". A me pare che, nel mondo cattolico quando si parla di
questi temi, non si tocca quasi mai l’esperienza dei missionari,
l’evangelizzazione e l’influsso che il Vangelo ha sulle culture e
sullo sviluppo. Si parla sempre e solo di soldi, di aiuti, di
tecniche, di macchine, ecc. La contestazione che facevo al manifesto
sul G8 di Genova di "Sentinelle del Mattino" è proprio
questa: che si occupava solo di questioni materiali». Bartolomei:
«Sono d’accordo che non bisogna dimenticare l’evangelizzazione e
l’opera dei missionari. Per il resto, però, vedo le cose da un
altro punto di vista. Quando il Papa dice che non sono il denaro e la
tecnica che promuovono un popolo, sento che questo monito è prima di
tutto indirizzato a noi occidentali, che viviamo sotto l’idolatria
del denaro e della tecnica. Quindi è giusto dire "più
Vangelo!". Sì, ma "più Vangelo" per noi: siamo noi
popoli ricchi che dobbiamo essere evangelizzati prima di tutti. Per
questo motivo trovo sia molto rischioso dire, come sembra fare
talvolta padre Gheddo, "noi occidentali e cristiani", come
fossero la stessa cosa. Occorre tutelare il Vangelo, evitare di
schiacciarlo sotto le nostre realizzazioni, che sono in parte
realizzazioni imperfette del Vangelo e in parte crasso peccato, male e
basta. Quando diciamo "noi", dobbiamo ricordare che
"noi" siamo coloro che come scoria della nostra ricchezza,
produciamo la fame del Sud del mondo. E allora come possiamo essere
credibili quando diciamo: "Noi vi annunciamo il Vangelo".
Sono convinta che il Vangelo abbia una forza straordinaria, che muti
le coscienze, le faccia maturare. Però per onestà bisogna anche
guardare l’altra faccia della medaglia: che il cristianesimo appare
ai popoli del Sud del mondo come la religione dell’impero. È vero,
abbiamo prodotto uno sviluppo tecnologico enorme, che ha dato ai
nostri popoli un livello di vita mai raggiunto prima né altrove. Ma
la logica del mercato è tale che, perché ci possa essere il lusso
estremo del Nord, è necessaria la miseria e lo sfruttamento del Sud.
La sua ingiustizia, con gli occhi del Vangelo, è plateale. E chi dice
che questo sistema neo-capitalistico non può essere cambiato,
commette un vero peccato di idolatria. L’hanno fatto gli esseri
umani, Dio è solo uno, tutto il resto è mutabile e dobbiamo almeno
provare a cambiarlo». Zanotelli:
«Io parto da una premessa: il mio punto di vista non è imparziale,
anzi è molto di parte. L’esperienza di Nigrizia
e, ancora di più, quella di Korogocho mi hanno segnato
profondamente. Proprio partendo da questa premessa, vorrei dire che
noi missionari siamo parte integrante del mondo occidentale. E per
questo ci sono parecchie cose di cui dobbiamo chiedere scusa. Il Papa
l’ha già fatto, chiedendo più volte perdono. È un atteggiamento
di onestà, il fatto di lasciarsi interpellare dalla storia. Sono
convinto, quindi, che se in Occidente deve nascere una teologia
veramente inculturata, potrà essere soltanto una teologia della
penitenza. Non vedo altra possibilità. Per venire al movimento di
Genova – che io preferisco chiamare "la società civile che si
organizza" –, sono stato ben felice che i gruppi cattolici si
siano schierati, anche se differenziandosi da altri. È chiaro che non
possiamo essere subalterni ad altre visioni del mondo. Ma penso anche
che chi è sceso in piazza a Genova, in buona parte, provenga da un
impegno di ispirazione cristiana. Dietro questa mobilitazione, quindi,
c’è la percezione di moltissimi credenti che un cambiamento nelle
faccende del mondo sia urgente. Non mi è piaciuto lo slogan di
Genova: "Voi G8, noi sei miliardi". Non è vero! Se fossimo
onesti, dovremmo dire: "Noi ricchi un miliardo e 200 milioni, voi
poveri 4 miliardi e oltre". Questa è la divisione vera. Anche
chi contesta deve farsi carico del fatto che appartiene al mondo
occidentale, alla parte di mondo che vive molto bene. E dall’altra
parte c’è chi vive sulla soglia della povertà o addirittura in
vera miseria. Non è questione di nord e sud geografico. Il
vocabolario non rende bene la realtà. I poverissimi ci sono anche qui
da noi. A Korogocho bastava che mi spostassi di quattro chilometri e
arrivavo in un quartiere che sembrava il Paradiso terrestre. Dunque la
linea di demarcazione è trasversale. Ma sia chiaro che ci sono due
mondi: chi detiene tutte le ricchezze e opportunità, e chi invece non
detiene nulla. Noi parliamo di globalizzazione ma forse dovremmo, più
precisamente, parlare di questo mastodontico impero del denaro, cioè
di un complesso sistema economico e finanziario che permette al 20 per
cento del mondo di mangiarsi l’83 per cento delle risorse del
pianeta». ·
Jesus:
Che cosa ne pensa della questione del rapporto tra cristianesimo e
civiltà occidentale? Zanotelli:
«Bisogna guardare alla storia con un occhio meno schematico di quanto
non faccia padre Gheddo. Citava la civiltà greco-romana, certo. Ma in
Africa pure ci sono state grandissime civiltà. Quella Ashanti, per
esempio, sotto il profilo artistico non è certo inferiore a quella
greca. E che dire della civiltà egizia? Certe letture della storia un
po’ semplicistiche sono frutto di pregiudizi ideologici. L’Impero
romano ci ha lasciato in eredità il culto del diritto, ma era il
diritto solo dei cittadini romani: e Roma ai tempi di Augusto aveva un
milione di abitanti, di cui centomila cittadini romani e novecentomila
schiavi. Per l’Apocalisse, l’Impero di Roma è la grande bestia
che sfrutta e opprime, e che dovrà rendere conto di tutto il sangue
versato (cap. 18). E ancora, se ci cimentiamo con le teorie storiche,
perché non ricordare Giovanni Arrighi, lo storico inglese secondo cui
le radici del capitalismo occidentale, da cui deriva questa
globalizzazione, non stanno tanto, come si è spesso pensato, nel
calvinismo ma ben prima, nelle cattolicissime Repubbliche Marinare,
Venezia, Genova, ecc... Arrighi tra l’altro sostiene che furono i
banchieri genovesi a finanziare le avventure coloniali nel "Nuovo
mondo" dei reami di Spagna, dissanguati dalla terribile guerra
contro i mori e rei di avere espulso gli ebrei. E se questo è vero,
ciò pone ancora più problemi a noi cattolici: la
"conquista" delle Americhe con il relativo genocidio dei
popoli indigeni, la schiavitù... Innestare su tutto questo processo
il nome "cristiano" è estremamente grave. È un
accostamento che mi fa male. Anche io penso che il Vangelo sia
profondamente liberante, ma legare il Cristo all’Occidente è
pericolosissimo: si corre il rischio di legarlo a un peccato enorme. E
se Cristo è prigioniero dell’Occidente, allora i missionari,
qualunque missionario, finisce per essere imperialista». ·
Jesus:
Padre Gheddo diceva prima che finché non c’è unità
nell’analisi, non c’è possibilità di arrivare a conclusioni
comuni. L’impressione è che talvolta non si sia d’accordo neppure
sui dati di partenza. La domanda, allora, è questa: siamo tutti
d’accordo nel prendere come parametro di riferimento le statistiche
che vengono fornite dalle agenzie dell’Onu? Siamo d’accordo che
esiste circa un 20 per cento di mondo che consuma oltre l’80 per
cento delle risorse del pianeta? E siamo d’accordo sul fatto che la
forbice tra ricchi e poveri, negli ultimi decenni, si è andata
allargando? Padre
Gheddo:
«Non siamo per nulla d’accordo! Secondo la Banca mondiale, nel 1820
l’85% della popolazione mondiale viveva al di sotto della soglia di
povertà, e allora la popolazione mondiale si aggirava intorno ai 900
milioni di persone. Nel 1980 il 30% della popolazione mondiale (cioè
1 miliardo e 400 milioni di persone) era sotto il livello minimo. E
nel 2000 si è passati al 20% della popolazione mondiale (cioè 1
miliardo e 200 milioni). Quindi dal 1820 a oggi i poveri nel mondo
sono aumentati in termini assoluti, perché è aumentata la
popolazione mondiale. Ma non è vero che la povertà sia cresciuta in
termini relativi. Il numero dei poveri anzi è diminuito in termini
percentuali alla popolazione». Zanotelli:
«Circa un miliardo e mezzo di persone vive con meno di un dollaro al
giorno, mentre il 20 per cento ricco della popolazione mondiale
possiede e consuma l’83 per cento di tutte le risorse». Gheddo:
«Su questo non siamo d’accordo». Zanotelli:
«Sono dati della Banca Mondiale». Gheddo:
«No, non "possiede", ma "produce", che è ben
diverso. E per rispondere alla professoressa Bartolomei, non si può
affermare che "noi siamo la causa della loro povertà".
Storicamente non si può sostenere un’affermazione del genere. Come
mai solo il colonialismo occidentale – a differenza di altri – ha
innescato nei popoli quei valori, quei princìpi di dignità
dell’uomo, di libertà, di uguaglianza tra uomo e donna, ecc...? Il
colonialismo ha avuto tanti effetti positivi. Non si può dire il
contrario». Zanotelli:
«La conseguenza di quello che dici è: ricolonizziamo l’Africa e il
Sud del mondo. È questa la logica conclusione del tuo ragionamento». Gheddo:
«Io questo non l’ho mai detto. Dico solo che l’Occidente, il 20%
della popolazione mondiale, produce l’83% delle ricchezze. Se non
siamo d’accordo su questo...». Bartolomei:
«Ma con quali materie prime?». Gheddo: «A Vercelli produciamo 75 quintali di riso l’ettaro, la materia
prima è il sole, la terra e l’acqua. In Africa producono 4 quintali
di riso l’ettaro. Oggi le materie prime diventano sempre meno
importanti. Il problema radicale della povertà del Terzo mondo è la
mancanza di educazione e di produttività». Bartolomei:
«Se discutiamo dei meccanismi economici che governano il mondo,
occorre ragionarne in base ad analisi adeguate e specifiche, non basta
qualche esempio. Bisogna parlare dei modi di produzione ma anche di
quelli con cui vengono commercializzati i prodotti. Si prenda il caffè:
finisce per impoverire costantemente i Paesi produttori perché a
commercializzarlo sono le multinazionali. Noi paghiamo un etto di caffè
2.500 vecchie lire; il contadino che si spacca la schiena nella
piantagione ne prende solo 149. La materia prima sulla quale lucrano
le multinazionali produce soldi per gli uni e povertà per gli
altri...». Gheddo:
«Non nego che per alcuni Paesi del Sud del mondo sia vero quello che
lei dice, ma qui stiamo cercando di capire quale sia la radice
profonda del sottosviluppo, stiamo ragionando sul perché i poveri
sono tali e su come aiutarli. Certo, è verissimo che le
multinazionali, se non sono controllate... Ma occorre distinguere. In
Bangladesh, per esempio, dal 1995 – grazie al Wto, la tanto
vituperata Organizzazione mondiale del commercio, Wto – non si
devono pagare più tasse di importazione e di esportazione. E questo
sta producendo quella che l’arcivescovo di Dacca ha definito
"la più grande rivoluzione economico-sociale" della storia
di quel Paese. Una rivoluzione dagli effetti benefici. Il governo ha
stabilito, infatti, che nelle industrie delle confezioni dovessero
lavorare le donne. E oggi in quegli stabilimenti sono attualmente
impiegate un milione e mezzo di donne che non avevano mai lavorato
prima. E poi ci sono dei Paesi del Terzo mondo che hanno investito
molto nel campo dell’istruzione e in quello agricolo. L’India,
dopo la drammatica carestia del 1966, si impegnò nei settori della
formazione e migliorò la sua agricoltura. Ora l’India esporta cibo
in mezzo mondo. Altri, Sudan ed Etiopia per esempio, invece sono alla
fame. Come mai?». Monaco:
«Io torno sul tema del movimento no-global: sono dell’opinione che
padre Alex abbia ragione quando sostiene che alla radice di questo
variegato movimento ci sia un humus, un’istanza cristiana, più o
meno consapevole. E penso che, al di là delle nostre dispute molto
provinciali, emerga una comune sintonia di fondo. A Genova si è
riscontrata una sostanziale convergenza attorno al problema-chiave:
ridiscutere il nostro modello di sviluppo. Fa riflettere la
circostanza che alla testa di questo movimento si sia messo il
cardinale Dionigi Tettamanzi, che tutto è meno che un vescovo
irresponsabile. Dopo di che, non mi sorprende affatto che – anche in
campo cattolico – ci si divida sull’interpretazione del movimento
e anche su quali sviluppi suggerire. Ci si può dividere sulle chiavi
di lettura da adoperare, si possono utilizzare opzioni
teologico-culturali differenti». Gheddo:
«Sono d’accordo, ma dobbiamo cercare di rispondere alla domanda di
fondo: "Cosa possiamo fare per il Sud del mondo?". Se però
noi non siamo d’accordo sull’analisi del sottosviluppo, cioè sui
"perché" i poveri sono poveri, non riusciamo a dire cose
comuni neppure su che cosa possiamo o dobbiamo fare in seguito». Zanotelli:
«Scusami Piero, tu dici "sono d’accordo", ma dalle tue
parole si capisce che la tua tesi fondamentale non è minimamente
scalfita nelle sue granitiche certezze. Qual è la tua tesi di fondo?
È che solo il Vangelo ha queste spinte profetiche. Eppure tu stesso
hai parlato dell’India, che non è cristiana né tanto meno
cattolica. Tu hai notato lì alcune spinte positive. Bene. Io penso
che tutte le civiltà umane abbiano offerto grandi spinte allo
sviluppo complessivo dell’umanità. Se si afferma che l’unico
motore dello sviluppo è l’universo filosofico-religioso del
cristianesimo, automaticamente si giudicano negativamente tutte le
altre culture e tutte le altre religioni. Ma così facendo, si arriva
allo scontro (ad esempio, tra islam e cristianesimo), si arriva alle
crociate, si giustifica il colonialismo: queste sono le necessarie e
inevitabili conseguenze di quella premessa. Talvolta ti contraddici da
solo. Affermi, ad esempio, che anche nel buddhismo e nell’induismo
hai riscontrato "forze profetiche" capaci di aiutare
l’uomo a migliorare. Poi, però, indulgi sui loro limiti, quasi
questi ultimi cancellassero tutto quanto di buono tu stesso avevi
prima segnalato. Limiti, errori, difetti e peccati ne abbiamo avuti a
bizzeffe pure noi: cosa dovremmo dire di quei cristiani che, negli
Stati Uniti, per 400 anni hanno tranquillamente ridotto in schiavitù
altri fratelli e sorelle differenti solo per colore della pelle,
negandone tutti i diritti? E questo è successo fino a pochi decenni
fa!». ·
Jesus:
Padre Gheddo poneva una domanda centrale: che cosa possiamo fare? Zanotelli:
«È una domanda che non mi piace. Cosa possiamo fare noi per i
poveri? Ma chi siamo noi? Per prima cosa dovremmo cominciare a mettere
in discussione noi stessi. Qui sembra, invece, che quasi quasi
facciamo l’elemosina ai poveri. Invece è una questione di
giustizia. È giunto il momento di affrancarci dal dilemma
"elemosina sì/elemosina no", per puntare a una spartizione
più equa dei beni di questo mondo. L’umanità ha tra le mani
potenzialità mai avute prima per poter stare tutti meglio sul
pianeta, se solo lo volessimo realmente. Bisogna però cambiare
radicalmente rotta. Se il 20% del mondo continuasse a vivere come vive
ora e se l’altro 80% riuscisse d’un tratto a vivere con i medesimi
standard della parte ricca e sviluppata della Terra, avremmo bisogno
di quattro pianeti per tirare avanti». ·
Jesus:
E quindi? Zanotelli:
«Non ci sono altre vie d’uscita: il mondo deve essere rimesso in
discussione. Sono convinto che abbiamo la tecnologia e il know-how per
far fare a tutti passi avanti. A un patto, però: ridimensionare le
pretese della parte opulenta (e fin qui sorda) del pianeta. Padre
Gheddo, tu dici che si fa solo denuncia. Ma no, non è vero. La società
civile che si sta organizzando in Italia e nel mondo va ben oltre le
sterili denunce. Abbiamo proposto un sacco di iniziative concrete che
– per quanto mi riguarda – gettano profonde radici nella mia fede
e, partendo da un giudizio pesante sul sistema così com’è oggi, mi
portano a dire che altre strade sono possibili. Un solo esempio: per
quanto riguarda il commercio mondiale, dovremmo tornare a un sistema
più lineare, dal produttore al consumatore. Basterebbe semplificare
il lungo ed esoso giro delle intermediazioni. Insomma, dobbiamo
avviare una riflessione globale. Non posso accettare l’Occidente e
il progresso così com’è concepito oggi, perché è un mondo di
peccato. E dire che il cristianesimo è l’unico motore dello
sviluppo, affermare che siamo arrivati a questo livello di benessere
perché siamo cristiani e sostenere che le altre civiltà non generano
sviluppo, non solo significa dire cose storicamente non vere, ma
significa anche negare le istanze profetiche presenti nelle altre
esperienze religiose. Credo che il Signore abbia messo dentro il cuore
di ogni uomo, e dentro ogni cultura, un’identica voglia di vivere e
di progredire». ·
Jesus:
Anche sui dati statistici, comunque, pare che non ci sia accordo.
Secondo Padre Gheddo la forbice tra ricchi e poveri in questi ultimi
20-30 anni si è ristretta, mentre per Zanotelli si è allargata. Gheddo:
«Ci sono dei popoli che continuano a rimanere ai margini del
progresso, ma il grosso della popolazione mondiale migliora, eccome.
Migliorano interi Paesi poveri. Lo dice la Banca Mondiale». Zanotelli:
«No, la forbice si allarga sempre di più tra chi sta molto bene e
chi sta così così». Monaco:
«Una piccola osservazione, se permettete. La Banca Mondiale ha dei
parametri soltanto economici. Mentre l’Undp, l’agenzia dell’Onu
che si occupa proprio dello sviluppo socio-economico della popolazione
mondiale, tiene in conto anche altri parametri come, ad esempio,
l’accesso all’acqua potabile, il numero dei medici o delle
scuole... E questi rapporti documentano come la forbice si stia
allargando». Gheddo:
«Io ho detto che, nel suo complesso, la popolazione mondiale ha
migliorato le condizioni di vita e che i poveri, in termini assoluti,
sono diminuiti. Se poi voi andate a prendere alcuni Paesi non
globalizzati, allora quel che dite è vero». Zanotelli:
«Padre Piero, spiegami allora il perché della crisi economica
dell’America latina di questi giorni. In Argentina, è crollato
tutto. L’Uruguay e l’Ecuador sono a terra...». Gheddo:
«Il caso dell’Argentina non lo conosco bene. Ma la Banca Mondiale
dice che, dal 1990 al 1999, nell’Asia orientale e nel Pacifico il
numero assoluto dei poveri è diminuito, passando dal 27,6% al 14,4%;
mentre, invece, queste stesse statistiche affermano che in Africa, nei
Paesi sub-sahariani, dal 1990 al 1999 i poveri sono aumentati dal
47,7% al 48,4%. Di nuovo: bisogna domandarsi il perché. La risposta
che, dopo molte analisi, ho dato è che il sottosviluppo poggia
sull’analfabetismo, cioè sulla mancanza di un’istruzione diffusa,
sul fatalismo, su governi corrotti, sulle dittature militari...
Ammettiamo anche che l’Occidente giochi una sporca partita in alcuni
Paesi. Ma gli altri? Nessun Paese dell’Africa è migliorato!». ·
Jesus:
Al di là dell’interpretazione dei dati, non pensate che noi,
cristiani del Nord del mondo, dovremmo recitare un mea culpa per il
modo in cui funziona questo mondo occidentale? Gheddo:
«In termini generali sono d’accordissimo. Il Papa chiede perdono,
chiediamo tutti perdono, perché conosciamo benissimo le colpe
storiche dell’Occidente: schiavismo, colonialismo di rapina... Tra
le colpe storiche io annovero però anche quella di aver concesso la
rapida indipendenza a nazioni e a popoli che non erano ancora
preparati». Zanotelli:
«Ma che diritto avevamo noi di andare ad occupare l’Africa? Quale
diritto avevamo noi italiani di andare ad occupare l’Etiopia, che
non ci aveva fatto proprio nulla? Parlo da cristiano: che diritto?
Penso che, oggi, l’Africa sia il più importante e trascurato
"polmone antropologico" del mondo. Lo è a livello culturale
e religioso, oltreché ambientale. Dovremmo tutelarla. Invece, la
stiamo distruggendo...». Gheddo:
«Però non puoi dare una lettura "esterna" dell’Africa.
Quando mai poniamo l’accento sul tema "educazione"? Quello
che mi ha scandalizzato del G8 – accomuno in questo giudizio sia gli
Otto Grandi sia i no-global – è che si è parlato quasi
esclusivamente di soldi. Nessuno ha protestato perché non ci sono
abbastanza scuole! Nessuno protesta perché la nostra televisione e i
nostri giornali dedicano poco spazio all’educazione della nostra
gente circa i problemi che stiamo dibattendo in questa tavola rotonda.
Per il resto, sono d’accordo: dobbiamo cambiare il nostro modello di
sviluppo». Bartolomei:
«Forse dobbiamo chiederci: come occidentali abbiamo una responsabilità
particolare? Sicuramente ce l’abbiamo, se non per le colpe – che
io ritengo esserci, ed essere gravissime – certo almeno riguardo
alle possibilità che abbiamo di cambiare il corso delle cose. In
altre parole, dobbiamo stare attenti ai peccati di omissione. Dobbiamo
riportare il giudizio del Vangelo: c’è una ingiustizia terribile
che grida vendetta al cospetto di Dio. Possiamo essere in disaccordo
sull’analisi dei meccanismi che la producono e dei rimedi, ma se non
ripartiamo da qui, allora non facciamo risuonare la parola del Vangelo
al momento giusto». Gheddo:
«Sono d’accordissimo. Lo dice anche il Papa. Diamo un giudizio del
tutto negativo di come il mondo occidentale vive questo sviluppo.
Sarebbe ridicolo sostenere altre tesi. Però dobbiamo saper
discernere: nel nostro modello di sviluppo, che sappiamo emendabile,
ci sono cose estremamente positive: i diritti dell’uomo e della
donna, la democrazia...». Zanotelli:
«Ma quando tu scrivi, e l’hai fatto proprio su Jesus,
che il segreto dello sviluppo è l’educazione e la maturazione delle
culture non adatte al progresso moderno, tu intendi una cosa ben
precisa. Abbracci incondizionatamente un modello, il nostro, e svaluti
tutto il resto. Può darsi invece che un’altra cultura possa
insegnarci delle cose e sia apprezzabile tanto quanto la nostra». Gheddo:
«Le culture mutano, evolvono. Il Vangelo ha umanizzato la cultura
occidentale. Le culture dell’Africa, dell’Asia, del Giappone, sono
umanizzate dal Vangelo. Siamo d’accordo su questo?». Bartolomei:
«In un certo senso sì; in un altro, no. Il cristianesimo, in
particolare di tradizione cattolica, per esempio, ha a lungo
osteggiato la modernità, sconfessandola e condannandola, forte di
pronunciamenti ufficiali del Magistero. Adesso, quando ci conviene,
diciamo che i valori della modernità sono i nostri. Non è solo una
inesattezza storica. È scorretto, anche se in buona fede, perché
sottende l’affermazione che ogni cosa buona viene da
"noi", da noi come soggetto politico-storico-culturale, che
si arroga il diritto di identificarsi col Vangelo. Lo Spirito soffia
dove vuole, la profezia è anche straniera, il Vangelo agisce anche in
e attraverso chi non è cristiano. Dobbiamo smascherare ogni anche
larvata pretesa egemonica e riconoscere che l’altro può essere
portatore di valori e che le Chiese spesso sono state indotte a
riscoprire le implicazioni storiche del Vangelo che pure annunciavano
da chi era loro estraneo e opposto». Gheddo:
«Sì certo, Pio IX ha scritto Il
Sillabo, condannando la modernità, però...». Bartolomei:
«Non è soltanto Il Sillabo.
A lungo sono stati negati i diritti fondamentali dell’uomo come la
libertà di coscienza, la libertà religiosa, l’uguaglianza. A lungo
la Chiesa è stata sorda dinanzi alle rivendicazioni del movimento
operaio. Per circa un secolo, tutti i diritti moderni o quasi sono
stati vissuti in opposizione al cristianesimo. Badate: non contro il
Vangelo, ma contro i cristiani, intesi come istituzioni ecclesiastiche». Gheddo:
«È vero che i cristiani non hanno capito tante cose, però spiegami
come mai tutti questi movimenti – dalla democrazia ai diritti
dell’uomo, dal sindacato alla lotta per l’affermazione di una
maggiore giustizia sociale – sono nati nell’Occidente cristiano e
non, per esempio, nel mondo buddhista?». Bartolomei:
«Non c’è dubbio che il Vangelo ha prodotto frutti. Ma bisogna fare
delle distinzioni. In Occidente ci sono state molte altre condizioni,
altre spinte. Per esempio, la civiltà romana – che ha avuto un
grande fattore propulsivo in termini di progresso tecnicoscientifico
– non era certo una civiltà evangelizzata. Anzi per molti aspetti
era decisamente anti-evangelica! Anche questa, però, è un’eredità
dell’Occidente, con tutte le sue ricchezze e le sue ombre tragiche.
È estremamente difficile dire in modo apodittico e univoco: "È
stato il Vangelo a produrre questo"». Monaco:
«Io tornerei alla domanda. Serve una conversione, abbiamo detto.
Decliniamola in tre direzioni. La prima, quella della coscienza e dei
comportamenti: dovremmo cambiare modelli di vita. Poi, quella delle
culture: bisognerebbe che ogni civiltà abbandonasse la pretesa di
autosufficienza, e questo comporterebbe un maggior dialogo tra le
culture e le civiltà, pur nella consapevolezza che ciò non deve
degenerare nel sincretismo. Infine, terza direzione, l’àmbito delle
strutture, che è quello della politica. Penso che la politica come
azione tesa a plasmare le strutture della convivenza, anche su base
internazionale, debba adoperarsi per un ordine economico e politico
che diventi davvero multipolare. Ecco perché è tanto più
sorprendente – e da respingere – la dottrina della guerra
preventiva e unilaterale: è in contrasto con la lezione dell’11
settembre, che ci dice che dobbiamo metterci dietro le spalle non solo
il mondo bipolare – quello dell’equilibrio del terrore – ma
anche il mondo della pretesa unilaterale che poi, una volta, si
sarebbe detto imperialista. Se la prospettiva è questa, dobbiamo
riformare, ma anche valorizzare, tutte le organizzazioni
internazionali, a cominciare dall’Onu fino a quella più recente
della Corte Penale Internazionale. Questo è il profilo buono della
globalizzazione, dei diritti e della democrazia. E poi l’Unione
europea, che ha tanti limiti, tante contraddizioni, ma che è comunque
la risposta nel mondo più avanzata dal punto di vista politico e di
governo alle sfide della globalizzazione. Non dobbiamo disprezzare
questo esperimento. È una stupidaggine l’anti-europeismo della
Lega, malcelato anche all’interno di Alleanza Nazionale. Certo, non
deve essere l’Europa-fortezza, né l’Europa della tecnocrazia,
dev’essere un’Europa politica. Insomma, occorre valorizzare le
istituzioni sovranazionali e segnatamente l’Unione europea per
rispondere per via politica alla sfida della globalizzazione». Zanotelli:
«È importante questo ritorno di tanti giovani al "noi"
della politica. Concordo con quanto dice Monaco sull’Europa.
Rischiamo anche noi di diventare "fortezza", basta vedere
quello che avviene con gli immigrati. Non so cos’è avvenuto in
Italia in questi ultimi 15 anni, ma quando sono rientrato da Korogocho
e ho visto la legge Bossi-Fini mi sono vergognato di essere cristiano
e di essere italiano. Noi, una volta, mandavamo gli antropologi a fare
studi sulle società "primitive". Penso sia giunto il
momento di chiedere agli antropologi africani di venire da noi a
studiare la "tribù" bianca italiana, per spiegarci cosa sta
avvenendo geneticamente e antropologicamente in questo Paese e
raccontarci come abbiamo fatto ad arrivare a una legge come la
Bossi-Fini». Gheddo:
«Siamo sempre al livello della passione per l’uomo che si esprime
soltanto con un incitamento a cambiare rotta. Sì, ma come?». Zanotelli:
«La società civile organizzata ha avanzato delle proposte. Ma tu le
contesti, padre Gheddo». Gheddo:
«Quelle proposte non partono dall’uomo. Per carità, sono
d’accordo nell’eliminare il debito estero, nel non vendere le
armi... Ma ci si deve anche rendere conto della situazione locale. Per
esempio, in Rwanda il genocidio è stato perpetrato con i bastoni e i
machete. Come si vede, non basta dire "non vendiamo armi".
Dobbiamo orientare meglio la nostra buona volontà di aiutare i poveri». Bartolomei:
«Sono d’accordo con Monaco a proposito dell’importanza
dell’azione "costruttiva" della politica. L’unico modo
per contrastare i poteri senza volto è rinforzare le organizzazioni
politiche sovranazionali, in modo che abbiano potere reale e che siano
espressione di un controllo democratico. Tuttavia sono convinta che
questa azione politica costruttiva non sia sufficiente. O meglio:
penso che anche la critica sia estremamente costruttiva, soprattutto
nell’aprire gli occhi alla gente, cioè quando diventa comunicazione
e controinformazione. E poi, padre Gheddo, c’è un punto in cui lei
è in contraddizione con sé stesso. Accusa i no-global di
preoccuparsi soltanto di questioni finanziarie e di "non pensare
all’uomo", in particolare alla sua educazione e formazione. Ma
poi, quando "si occupa" dell’uomo, parla (e come non
farlo) di cose per cui si richiedono interventi economici». Gheddo:
«Qual è l’obiezione?». Bartolomei: «L’obiezione è che l’educazione prevede scuole, investimenti,
finanziamenti. Anche la "non alfabetizzazione" è stata una
strategia. Faccio un caso che riguarda il nostro mondo occidentale:
per tantissimi anni, l’impedimento alle donne di accedere alla
cultura è stato voluto, in Italia e altrove. Le donne non erano di
un’altra razza, non venivano da un altro pianeta, e tuttavia erano
una parte dell’umanità che in quel momento doveva essere mantenuta
in una condizione di subordinazione. E come si otteneva questo? Non
facendole studiare. L’alfabetizzazione degli oppressi è un elemento
di sviluppo addirittura rivoluzionario. Si pensi a don Milani e a
Paulo Freire. Lo stesso discorso vale per il Terzo mondo e, ad
esempio, per le strutture sanitarie che citavi prima. Dunque tu per
primo mostri quanto è profonda la spiritualità dell’economia e
della finanza. Il "date loro da mangiare" non è
materialismo. Come cristiani, certamente abbiamo a cuore l’annuncio
del Vangelo, ma tutto il resto possiamo e dobbiamo farlo insieme a
coloro che si battono per una maggiore giustizia. Il problema della
mia identità di cristiana viene dopo. Il mio annuncio cristiano sarà
credibile dopo che avrò lottato insieme a tutti per una causa giusta:
"Dai loro frutti li riconoscerete"». Vittoria
Prisciandaro |