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G. Bruno |
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Giordano Bruno (Nola, 1548 - Roma, 17 febbraio 1600)
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U.D. 3
Unità didattica n. 3 |
Lucida analisi del doppio limite (ontologico e gnoseologico) in cui si muove l'uomo e del processo di affinamento (indiamento) che trasforma un evento accidentale in una esperienza della verità suprema. Dal Cantico dei cantici: "sub umbra eius quem desideraveram sedi". Esprime il doppio motivo dell'ombra quale limite costitutivo dell'uomo e, allo stesso tempo, quale luogo di una esperienza privilegiata. Si parte dall'Ecclesiaste: " omnia
vanitas ". Prigioniero nell'orizzonte della vanitas l'uomo non può accedere
senza mediazioni al "campum veritatis" né accostarsi direttamente alla luce divina: la forma più alta di
felicità consiste nel sedersi all'ombra, "sub umbra veri bonique". Non è l'ombra materiale ma
metafisica. Non è grazia ma sforzo, "adeptio", conquista, "appulsus", tensione.
Tensione che dall'ombra naturale proietta l'uomo oltre, verso l'ombra ideale che è la traccia del vero e
del bene assoluti custoditi nella mente (deus in rebus... mens in rebus). Tensione ad abitare il mondo intelligibile. È quindi una possibilità impossibile, quella di stabilire un rapporto con l'assoluto. In questa tensione si svolge il "fato" del singolo: soggetto all'opacità della materia e proteso oltre l'orizzonte corporeo verso il primo e vero bene. Esiste un'ombra della luce e un'ombra delle tenebre. L'esistenza si definisce pertanto all'interno di un movimento perenne, in cui continuamente l'ombra della luce divina attraversa - e riscatta - le ombre di tenebra e di morte prodotte dalla materia (cfr. Guerric d'Igny, Sermons, Parigi 1970-73, pp. 398-416). "IEROGLIFICO DEL FORTE ASPIRARE", dell'infinito aspirare. Vi è una notevole frattura tra l'amore volgare finito e l'amore-eroico-furore infinito. « Perché l'amore mentre sarà finito appagato e fisso a certa misura, non sarà circa le specie della divina bellezza, ma altra formata; ma, mentre verrà sempre oltre ed oltre aspirando, potrassi dire che versa circa l'infinito ». (Eroici, Ed. BUR, p. 118). Scaturita dalla tensione verso la luce divina, la condizione di somma
felicità rimanda all'impeto di un desiderio mai del tutto appagato. Proprio l'infinità del desiderio è il
punto di contatto tra l'individuo finito e lo splendore infinito del sommo bene e della infinita
beltade. Permane la disequazione tra essere assoluto ed essere comunicato. « Come volete voi - chiede Severino - che la immobilità, la sussistenza, la entità, la verità sia compresa da quello che è sempre altro e altro, e sempre fa ed è fatto altrimenti? Che verità, che ritratto può star dipinto ed impresso dove le pupille de gli occhi se dispergono in acqui, l'acqui in vapore [...] senza fine discorrendo il suggetto del senso e cognizione per la ruota delle mutazioni in infinito? » (Eroici, Ed. BUR, p. 350). Ora tra il De umbris (1582) e
gli Eroici (1585) cambia: Anche il sapiente si riposa, ma né la "beatitudine asinina" né la condizione stazionaria e quieta del sapiente offrono accesso alla verità suprema. |
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U.D. 4
Unità didattica n. 4 |
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U.D. 5
Unità didattica n. 5 |
Karl Jaspers su "Fede & Sapere" « La fede è diversa dal sapere. Giordano Bruno credeva, Galilei sapeva. Considerati dall'esterno, si trovano entrambi nella stessa situazione. Un tribunale d'inquisizione esigeva, sotto pena di morte, la ritrattazione. Bruno era pronto a ritrattare qualcuna delle sue proposizioni, me non quelle che giudicava essenziali; per questo subì la morte dei martiri. Galilei ritrattò la dottrina della rotazione della terra intorno al sole, e si inventò quell'aneddoto significativo che riferisce di quella sua espressione: "Eppur si muove". Qui sta la differenza: c'è una verità che, ritrattata, muore; e c'è una verità che nessuna ritrattazione è in grado di estinguere. I due accusati si comportano conformemente al tipo di verità da loro rispettivamente rappresentata. La verità dalla quali io traggo la mia esistenza vive solo se io mi identifico con essa; storica nel suo apparire, non possiede una validità universale pari alla sua enunciazione oggettiva, ma è incondizionata. La verità che io posso dimostrare, può sussistere anche senza di me, essa è universalmente valida, non è storica, non dipende dal tempo, ma non è neppure incondizionata, perché dipende dalle premesse e dai metodi della conoscenza in connessione ai fini. Voler morire per qualcosa di esatto e di dimostrare è fuori luogo. Al contrario, il pensatore che crede di aver penetrato il fondamento delle cose non può ritrattare le sue proposizioni, senza con ciò attentare alla verità stessa, questo è il suo segreto. Nessuna evidenza universale accolta può pretendere che colui che la sostiene si sacrifichi per essa. Se però ciò avviene, come avvenne con Giordano Bruno, non per l'impulso di un chimerico entusiasmo, né per una ostinazione momentanea, ma dopo una lunga e combattuta vittoria riportata su di sé, allora ci troviamo di fronte al carattere proprio della fede autentica, che consiste nella certezza della verità che non si lascia dimostrare, come invece accade per la conoscenza scientifica che riguarda le cose finite. « Il caso di Bruno, però, non è ricorrente, perché la filosofia, di solito, non si raccoglie in enunciati che hanno la forma della professione di fede, ma in un organismo di pensieri che penetrano una vita nella sua totalità. Se in un certo senso Socrate, Boezio, Bruno sono, per così dire, dei santi nella storia della filosofia, ciò non significa assolutamente che sono tra i più grandi filosofi. Essi sono solo delle figura da considerarsi con rispetto quali testimoni di una fede filosofica, e, come tali, meritevoli di essere posti sullo stesso piano dei martiri ». (K. JASPERS, La fede filosofica, Marietti, Torino 1973, pp. 57-58). |
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Ultimo aggiornamento: martedì 11 marzo 2003 |
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