Cebete - Lezioni di Filosofia

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la Fenomenologia

 

Sommario

1. La vita

2. Opere

3. Caratteri generali

4. Bibliografia

la Fenomenologia

- una panoramica -

1. Vita

...

2. Opere

...

U.D. 3

Unità didattica n. 3
Cfr. ...

Caratteri generaliTorna all'inizio

Gli sviluppi filosofici del pensiero del Novecento in direzione di un pensiero senza fondamento e di una filosofia della differenza hanno sullo sfondo la CRISI DELLA RAGIONE di fronte alla quale Husserl si pone come la “cattiva coscienza” dell’uomo che si assopisce, che si adagia e si lascia andare… Egli cioè ha rinunciato al sistema per seguire (assecondare) l’Erlebnis.

Dopo la morte della ragione nel sistema hegeliano si sente la necessità di ritrovare la ragione che ragione (che dà senso alla vita). Abbiamo infatti scoperto con certezza la miseria della filosofia effimera che non dura più della giornata. Caduti nella contraddizione esistenziale «noi non possiamo rinunciare alla fede nella possibilità della filosofia come compito» (Krisis).

«Noi siamo dunque – e come potremmo dimenticarlo – nel nostro filosofare funzionari dell’umanità». Responsabilità

Dopo la scoperta della dimensione esistenziale della filosofia, con Husserl si ha la scoperta della dimensione filosofica dell’esistenza.

Con Kierkegaard e Nietzsche la filosofia da sistema era tornato al singolo. Con Husserl la singolarità si apre di nuovo alla possibilità della verità e all’umanità. Si parla di VOCAZIONE.

La filosofia cioè non deve seguire l’esistenza ma l’esistenza deve dare un senso filosofico e vivere una vita personale in quanto io, abbandonare quindi la vita naturale e ingenua.

Ritorno alla theoresi e al thaumazein greco per rendere evidente la possibilità , la vera possibilità di una metafisica.

Filosofia = Lotta per il senso dell’umanità.

Riscoperta dell’universalità (ma non astratta, bensì nell’assunzione di un compito fondativi) – tipico è il suo voler sempre ricominciare daccapo.

Fondazione, giustificazione, chiarificazione… archeologia. Il filosofo è colui che comincia.

Filosofia è prima di tutto autoconoscenza (Selbstbestimmung) autocomprensione (Selbstverständigung) e autoresponsabilità (Selbstverantwortnung). SELBST.

Valenza oggettiva e soggettiva del filosofare sono inscindibili. L’auto- è la ricerca di una postazione-osservatorio adeguata, come uno specchio. La bidimensionalità del rapporto alla verità implica che si possa essere filosofi non per professione ma per vocazione (Beruf). Solo chi risponde all’appello delle idee vive in modo sensato.

La filosofia è un impegno etico per l’umanità.

La fenomenologia compie un processo di interiorizzazione, immanentizzazione dell’altro da sé (oggetto) nella coscienza (soggetto) mediante l’INTUIZIONE che è la sintesi in cui l’oggetto si dà spontaneamente al soggetto.

Si riduce al medesimo orizzonte ontologico tanto l’essere quanto la coscienza.

Si tratta quindi di uno studio essenziale della coscienza nel quale si deve essere guidati dalla cosa stessa, non dai pregiudizi filosofici. Sono le cose e i problemi a dare impulso alla filosofia, non le altre filosofie.

Ora, le cose e i problemi ci guidano se noi siamo in grado di andare al di là del dato fenomenico: la visione dell’essenza (Wesenschau) non è la costituzione di un Esserci ma l’essenziale percezione di una percezione! La coscienza di una coscienza.

La scienza sarà quindi il superamento del semplice atteggiamento naturalistico (vedo un oggetto) ma l’acquisizione di una nuova dimensione teoretica (sto vendendo!)… trascendentale.

 

Il mondo circostante già dato è una cosa, il mondo della vita antepredicativa e antecategoriale è la perdita del mondo stesso (epoché) ma anche il recupero dell’intenzionalità di una coscienza costitutrice di senso.

Il mondo è un orizzonte totale (di cui peraltro non si può avere una rappresentazione esauriente) a partire dal quale ogni essere può essere compreso.

La domanda metafisica non è più:

-          che cos’è l’essere dell’ente? Ma

-          che cos’è il mondo dove ogni essere è?

Nell’atteggiamento naturale il mondo è semplicemente il correlato dell’io, ma (come Cartesio) l’ethos della filosofia moderna non consiste nell’abbandonarsi ingenuamente all’impulso filosofico, ma vuole costituirsi come scienza mediante la riduzione al principio di tutti i principi: io sono (non il mondo è).

A differenza di Kant e dei neo-kantiani il mondo è l’ineliminabile altro dell’io trascendentale. L’io è vita che esperisce il mondo. Un io senza mondo non è comprensibile.

Il mondo della vita è quel precategoriale recuperato il quale si può vincere la scepsi in cui è crollata la filosofia.

La Lebenswelt costituisce quella riserva di senso che rende possibile ogni esperienza di significato.

Presa di coscienza della Lebenswelt = superamento dell’atteggiamento naturalistico attraverso la riduzione fenomenologia al precategoriale.

La Lebenswelt è il presupposto inindagato del pensiero moderno. Ma l’indagine di tale mondo non può essere logico-deduttiva, poiché rinvia a una evidenza originaria del mondo “già dato”.

Ora, come è possibile recuperare una datiti originaria?

Una cosa è la cosa, una cosa è la coscienza della cosa, una cosa è il mondo come orizzonte della coscienza. Questo è il cammino che può portare alla nuova fondazione di un sapere universale.

 

La riduzione fenomenologia conduce al punto zero da cui poi parte l’atteggiamento fenomenologico che muove dall’evidenza. Essa è il darsi delle cose stesse alla vista spirituale, una sorta di coscienza primordiale in cui si coglie la cosa stessa. Evidenza e intenzionalità sono omogenei (e bidimensionali). Grazie alla riduzione, tutto ciò che è mondano è elevato alla soggettività pura, è trascendentalmente trasfigurato. Si guadagna così il solo mondo vero, il mondo dello spirito assoluto!

 

La questione fondamentale della fenomenologia è la ricerca del senso d’essere del mondo. E il principio fenomenologico  fondamentale è quello di intenzionalità.

Una volta operata la riduzione fenomenologica del mondo e delle cose, quel che rimane, il residuo fenomenologico, è la coscienza con la sua intenzionalità.

Ogni essente è relativo a una soggettività trascendentale intenzionale che però, in quanto tale, è in sé e per sé.

Sul piano della coscienza la soggettività e l’oggettività si incontrano nel DI: quello presente nell’intenzionalità: la coscienza-di. La soggettività dell’oggettivo è anche l’oggettività del soggettivo. Questa omogeneità del piano dell’essere con il piano della coscienza porta lentamente Husserl alla dissoluzione dell’essere nella coscienza. Del resto l’essere è il correlato della coscienza e come tale (dal momento che l’unica evidenza apodittica è il cogito) esso diviene ciò che NON può venire a manifestazione, ciò che NON può essere! L’ESSERE è NULLA se non nella coscienza, se non è costituito come SENSO per la COSCIENZA.

Non è che si nega l’essere, ma si parte dall’unico dato ritenuto originario e cioè la coscienza trascendentale come costituzione dell’oggettività.

 

La conoscenza di un oggetto è un incontro con la sua presenza di fronte a me. Ma percepire un oggetto non è esaurirne la totalità. La conoscenza del dato è sempre prospettica e quindi inadeguata all’oggetto. La verità come adeguazione è una utopia. Di conseguenza anche l’oggetto della mia coscienza non sarà mai completo ma sarà una serie di adombramenti (o fraintendimenti).

Ora la riduzione aveva condotto a un io trascendentale. È possibile una comunità di io fenomenologici? Si chiede Husserl.

Al tema dell’alterità Husserl ci giunge attraverso il proprio corpo. Esso è lo strumento della percezione (Leib) ma allo stesso tempo è una cosa tra le cose (Körper). Attraverso il medio del nostro corpo ci rendiamo infatti conto che il contesto relazionale del mondo non è formato dall’io e dagli altri, ma dall’io e dagli altri io nel mondo.

Se il recupero dell’io e del mondo avveniva mediante la perdita del mondo, o meglio del mondano. Lo stesso deve avvenire per l’alterità. In una prima istanza l’altro è un altro io per la mia coscienza: ossia sono me stesso come oggetto della mia coscienza. Ancora cioè non ho sperimentato, a questo livello, la radicalità dell’estraneità. Ogni io è una monade.

La parzialità della prospettiva sul mondo che io sono, legata alla coseità tra le cose del mio corpo apre alla coscienza del mondo come armonia di monadi: dall’io al noi.

Allora: se l’altro è un oggetto è una cosa. Allora l’altro può essere pensato come una co-presenza intenzionale nel mondo. Una sorta di relazione analogica di un altro io fenomenologico affianco al mio.

Ma l’altro viene al mondo solo quando entra nella mia percezione: è una modificazione del mio me stesso (il tutto mediante il corpo: come se io fossi al posto di quel corpo-cosa di fronte a me, dice Husserl).

In definitiva io posso comprendere l’altro solo in quanto si presenta o si rappresenta nel mio orizzonte percettivo e quindi coscienziale e i appaia a me nel mondo come un altro io fenomenologico. Ma in fondo, ancora una volta io dico cosa è l’altro per me, è al massimo una reduplicazione del mio io, una analogia relazionale o una relaziona analogica.

Comunità monodica.

È su questa nuova relazione originaria Io-Noi che Husserl invita a riflettere. Si era partiti da una autoconoscienza e si è giunti a un con-essere continuamente da approfondire (sempre fenomenologicamente).

Ecco tracciato un nuovo senso di marcia. Oltre la crisi della ragione. Fondato solo sulla certezza del cogito cartesiano.

In definitiva si può dire che la filosofia fenomenologica sia «una filosofia della prospettiva (e come tale de-assolutizzante) più che una prospettiva filosofica, che insegna come guardare la realtà, nella fede assoluta che l’eidos è lo stesso vista da angolature diverse» (E. Baccarini, p. 90)

U.D. 4

Unità didattica n. 4
Cfr. ...

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Emilio Baccarini, La fenomenologia. Filosofia come vocazione, Studium, Roma 1981.

Ultimo aggiornamento: giovedì 20 marzo 2003


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