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la Fenomenologia |
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la Fenomenologia - una panoramica -
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U.D. 3
Unità didattica n. 3 |
Caratteri generali
Gli
sviluppi filosofici del pensiero del Novecento in direzione di un pensiero
senza fondamento e di una filosofia della differenza hanno sullo sfondo la
CRISI DELLA RAGIONE di fronte alla quale Husserl si
pone come la “cattiva coscienza” dell’uomo che si assopisce, che si adagia e si
lascia andare… Egli cioè ha rinunciato al sistema per
seguire (assecondare) l’Erlebnis.
Dopo la
morte della ragione nel sistema hegeliano si sente la necessità di ritrovare la
ragione che ragione (che dà senso alla vita). Abbiamo infatti scoperto con certezza la miseria della filosofia
effimera che non dura più della giornata. Caduti nella contraddizione
esistenziale «noi non possiamo rinunciare alla fede nella possibilità della
filosofia come compito» (Krisis).
«Noi siamo
dunque – e come potremmo dimenticarlo – nel nostro filosofare funzionari
dell’umanità». Responsabilità
Dopo la
scoperta della dimensione esistenziale della filosofia, con Husserl
si ha la scoperta della dimensione filosofica
dell’esistenza.
Con Kierkegaard e Nietzsche la
filosofia da sistema era tornato al singolo. Con Husserl la singolarità si apre di nuovo alla possibilità
della verità e all’umanità. Si parla di VOCAZIONE.
La
filosofia cioè non deve seguire l’esistenza ma
l’esistenza deve dare un senso filosofico e vivere una vita personale in quanto
io, abbandonare quindi la vita naturale e ingenua.
Ritorno
alla theoresi e al thaumazein
greco per rendere evidente la possibilità , la vera
possibilità di una metafisica.
Filosofia =
Lotta per il senso dell’umanità.
Riscoperta
dell’universalità (ma non astratta, bensì nell’assunzione di un compito
fondativi) – tipico è il suo voler sempre ricominciare daccapo.
Fondazione,
giustificazione, chiarificazione… archeologia. Il filosofo è colui
che comincia.
Filosofia è
prima di tutto autoconoscenza (Selbstbestimmung)
autocomprensione (Selbstverständigung)
e autoresponsabilità (Selbstverantwortnung).
SELBST.
Valenza
oggettiva e soggettiva del filosofare sono
inscindibili. L’auto- è la ricerca di una postazione-osservatorio adeguata,
come uno specchio. La bidimensionalità del rapporto
alla verità implica che si possa essere filosofi non per professione ma per
vocazione (Beruf).
Solo chi
risponde all’appello delle idee vive in modo sensato.
La filosofia è un impegno etico per l’umanità.
La
fenomenologia compie un processo di interiorizzazione,
immanentizzazione dell’altro da sé (oggetto) nella
coscienza (soggetto) mediante l’INTUIZIONE che è la sintesi in cui l’oggetto si
dà spontaneamente al soggetto.
Si riduce
al medesimo orizzonte ontologico tanto l’essere quanto la coscienza.
Si tratta
quindi di uno studio essenziale della coscienza nel quale si deve
essere guidati dalla cosa stessa, non dai pregiudizi filosofici. Sono le
cose e i problemi a dare impulso alla filosofia, non le altre filosofie.
Ora, le
cose e i problemi ci guidano se noi siamo in grado di andare al
di là del dato fenomenico: la visione dell’essenza (Wesenschau) non è la costituzione
di un Esserci ma l’essenziale percezione di una percezione! La coscienza di una
coscienza.
La scienza
sarà quindi il superamento del semplice atteggiamento naturalistico (vedo un
oggetto) ma l’acquisizione di una nuova dimensione teoretica (sto vendendo!)…
trascendentale.
Il mondo
circostante già dato è una cosa, il mondo della vita antepredicativa
e antecategoriale è la perdita del mondo stesso (epoché) ma anche il recupero dell’intenzionalità di una
coscienza costitutrice di
senso.
Il mondo è
un orizzonte totale (di cui peraltro non si può avere una rappresentazione
esauriente) a partire dal quale ogni essere può essere compreso.
La domanda
metafisica non è più: -
che cos’è l’essere dell’ente?
Ma -
che cos’è il mondo dove ogni essere è?
Nell’atteggiamento
naturale il mondo è semplicemente il correlato dell’io, ma (come Cartesio)
l’ethos della filosofia moderna non consiste nell’abbandonarsi ingenuamente
all’impulso filosofico, ma vuole costituirsi come scienza mediante la riduzione
al principio di tutti i principi: io sono (non il mondo è).
A
differenza di Kant e dei neo-kantiani il mondo è
l’ineliminabile altro dell’io trascendentale. L’io è vita che esperisce il
mondo. Un io senza mondo non è comprensibile.
Il mondo
della vita è quel precategoriale recuperato il quale
si può vincere la scepsi in cui è crollata la filosofia.
La Lebenswelt
costituisce quella riserva di senso che rende possibile ogni esperienza di
significato.
Presa di coscienza della Lebenswelt = superamento dell’atteggiamento naturalistico attraverso
la riduzione fenomenologia al precategoriale.
La Lebenswelt è il
presupposto inindagato del pensiero moderno. Ma
l’indagine di tale mondo non può essere logico-deduttiva, poiché rinvia a una evidenza originaria del mondo “già dato”.
Ora, come è possibile recuperare una datiti originaria?
Una cosa è
la cosa, una cosa è la coscienza della cosa, una cosa è il mondo come orizzonte
della coscienza. Questo è il cammino che può portare alla nuova fondazione di
un sapere universale.
La
riduzione fenomenologia conduce al punto zero da cui poi parte
l’atteggiamento fenomenologico che muove
dall’evidenza. Essa è il darsi delle cose stesse alla vista spirituale, una
sorta di coscienza primordiale in cui si coglie la cosa stessa. Evidenza e
intenzionalità sono omogenei (e bidimensionali).
Grazie alla riduzione, tutto ciò che è mondano è elevato alla soggettività
pura, è trascendentalmente trasfigurato. Si guadagna
così il solo mondo vero, il mondo dello spirito assoluto!
La
questione fondamentale della fenomenologia è la ricerca del senso d’essere del
mondo. E il principio fenomenologico fondamentale è quello di intenzionalità.
Una volta
operata la riduzione fenomenologica del mondo e delle
cose, quel che rimane, il residuo fenomenologico,
è la coscienza con la sua intenzionalità.
Ogni
essente è relativo a una soggettività trascendentale
intenzionale che però, in quanto tale, è in sé e per sé.
Sul piano
della coscienza la soggettività e l’oggettività si incontrano
nel DI: quello presente nell’intenzionalità: la coscienza-di. La soggettività
dell’oggettivo è anche l’oggettività del soggettivo. Questa omogeneità del
piano dell’essere con il piano della coscienza porta
lentamente Husserl alla dissoluzione dell’essere
nella coscienza. Del resto l’essere è il correlato della coscienza e come tale
(dal momento che l’unica evidenza apodittica è il cogito)
esso diviene ciò che NON può venire a manifestazione, ciò che NON può essere!
L’ESSERE è NULLA se non nella coscienza, se non è costituito come SENSO per la
COSCIENZA.
Non è che
si nega l’essere, ma si parte dall’unico dato ritenuto originario e cioè la coscienza trascendentale come costituzione
dell’oggettività.
La
conoscenza di un oggetto è un incontro con la sua presenza di fronte a me. Ma
percepire un oggetto non è esaurirne la totalità. La conoscenza del dato è
sempre prospettica e quindi inadeguata all’oggetto. La verità come adeguazione
è una utopia. Di conseguenza anche l’oggetto della mia
coscienza non sarà mai completo ma sarà una serie di adombramenti
(o fraintendimenti).
Ora la
riduzione aveva condotto a un io trascendentale. È
possibile una comunità di io fenomenologici?
Si chiede Husserl.
Al tema
dell’alterità Husserl ci
giunge attraverso il proprio corpo. Esso è lo strumento della percezione (Leib) ma allo
stesso tempo è una cosa tra le cose (Körper). Attraverso il medio del nostro corpo ci rendiamo infatti conto che il contesto relazionale del mondo
non è formato dall’io e dagli altri, ma dall’io e dagli altri io nel mondo.
Se il recupero dell’io e del mondo avveniva mediante la perdita del
mondo, o meglio del mondano. Lo stesso deve avvenire per l’alterità.
In una prima istanza l’altro è un altro io per la mia
coscienza: ossia sono me stesso come oggetto della mia coscienza. Ancora cioè non ho sperimentato, a questo livello, la radicalità
dell’estraneità. Ogni io è una monade.
La
parzialità della prospettiva sul mondo che io sono, legata alla coseità tra le cose del mio corpo apre alla coscienza del
mondo come armonia di monadi: dall’io al noi.
Allora: se
l’altro è un oggetto è una cosa. Allora l’altro può essere
pensato come una co-presenza intenzionale nel
mondo. Una sorta di relazione analogica di un altro io fenomenologico
affianco al mio.
Ma l’altro viene al mondo solo quando entra nella mia percezione: è una
modificazione del mio me stesso (il tutto mediante il corpo: come se io fossi
al posto di quel corpo-cosa di fronte a me, dice Husserl).
In
definitiva io posso comprendere l’altro solo in quanto
si presenta o si rappresenta nel mio orizzonte percettivo e quindi coscienziale e i appaia a me nel mondo come un altro io fenomenologico. Ma in fondo, ancora una volta io dico cosa
è l’altro per me, è al massimo una reduplicazione del mio io, una analogia relazionale o una relaziona analogica.
Comunità
monodica.
È su questa
nuova relazione originaria Io-Noi che Husserl invita a riflettere. Si era partiti da una
autoconoscienza e si è giunti a un con-essere continuamente da approfondire (sempre fenomenologicamente).
Ecco
tracciato un nuovo senso di marcia. Oltre la crisi della ragione. Fondato solo
sulla certezza del cogito cartesiano.
In definitiva
si può dire che la filosofia fenomenologica sia «una
filosofia della prospettiva (e come tale de-assolutizzante)
più che una prospettiva filosofica, che insegna come guardare la realtà, nella
fede assoluta che l’eidos è lo stesso vista da
angolature diverse» (E. Baccarini, p. 90) |
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U.D. 4
Unità didattica n. 4 |
Bibliografia
Emilio
Baccarini,
La fenomenologia. Filosofia come
vocazione, Studium, Roma 1981. |
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Ultimo aggiornamento: giovedì 20 marzo 2003 |
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