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the e-philosophy |
Filosofia 1 |
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Unita' didattiche |
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Modulo
1 Presentazione del moduloIl modulo su L’uomo greco e il suo agire si prefigge di analizzare l’evoluzione del concetto di uomo e il suo agire nel contesto storico greco (VIII-IV sec.) per quel che riguarda la filosofia ma con agganci alla storia e alla letteratura, nonché alla scienza e all’arte del tempo. Il periodo storico è quello che unisce il sofista a Platone. Tale periodo viene presentato nella prima unità didattica in cui si evidenzia il passaggio dall’eroe all’oplita e al cittadino, come un’evoluzione della concezione di uomo all’interno del comune contesto greco. L’aspetto filosofico è maggiormente presente nelle tre unità didattiche sui Sofisti, su Socrate e su Platone nelle quali, una volta messa a fuoco la centralità della questione antropologica, si evidenzia l’evoluzione della costante finalità etica dell’agire dell’uomo (sia nella sua destinazione al Bene sia nella sua destinazione alla felicità): dai Sofisti (il bene e la felicità si raggiungono mediante l’utile), a Socrate (intellettualismo etico) a Platone (che opera l’ontologizzazione del Bene). N.B. Alla stesura di questo modulo (peraltro ancora incompleto e provvisorio) hanno collaborato anche Alessandra Vespa (U.D. 2), Fabrizio Silvestri (U.D. 3) Antonella Veneziani (U.D. 4), Noemi Stivali (U.D. 5) e Maira Grazia Teodori (U.D. 6). A loro va il mio più sentito ringraziamento. * * * |
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Unità didattica introduttiva |
IntroduzioneUlisse,
Edipo, il sofista, il re filosofo, l’uomo del tempio e l’uomo
dell’agorà hanno una natura comune che si può cogliere nella costante
tensione all’agire che è connessa alla natura stessa dell’uomo. Alcune
riflessioni di carattere preliminare. ·
A differenza dell’uomo moderno-contemporaneo,
caratterizzato da una profonda specificità, l’uomo greco appare uno
nella sua globalità, polivalente ma omogeneo. Le figure del filosofo, del
poeta, del letterato, dell’eroe, del politico, del credente e dello
scienziato concorrono a delineare un unico individuo portatore dei valori
universali della grecità. L’uomo greco è sostanzialmente l’intero.
Movendo da questa constatazione notiamo come l’aspetto politico,
l’aspetto pedagogico e l’aspetto conoscitivo vengono a coincidere, pur
nelle dovute differenziazioni. ·
L’uomo greco è primariamente il cittadino. Non è
pensabile, infatti, per il greco, un individuo isolato nella sua
situazione personale. Al contrario, nella figura paradigmatica di Socrate,
l’uomo si presenta rispettoso delle leggi della città al punto da non
rifiutare la morte (cfr. Critone) e da uscire nella famosa
affermazione del gallo dovuto ad Asclepio. L’appartenenza alla polis
è imprescindibile per l’uomo greco al punto che, in senso spregiativo,
sono “bollati” come idiòtes coloro che non partecipano alla
vita pubblica. E, ancor di più: la virtù viene intesa unica nella sua
valenza singola e politica, così come non si dà schizofrenia tra privato
e pubblico. ·
L’intento pedagogico di ogni atto è per il greco
fondamentale. Nelle sue varie forme ogni agire e ogni sapere tende alla
formazione dell’individuo nella collettività. Tale paidèia si
realizza primariamente nella comunicazione di un sapere intesa come
conversione (epistrophè): non si tratta di ridare la vista ai
ciechi, ma di volgere lo sguardo dell’educando verso la verità (ad es.
il mondo delle idee per Platone). ·
A questo scopo concorre ogni ambito della cultura: lo stesso mythos
viene a convergere con il logos nel comune intento pedagogico. * * * |
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Obiettivi Contenuti Strategia |
L'eroe, la legge, il cittadinoDurante
la prima età arcaica, come testimonia Omero, l’idea di virtù (aretè)
si ispirava a valori tipici dell’aristocrazia guerriera: la forza fisica,
il coraggio, la capacità di battersi con il nemico. Ma già nel VII secolo
con li poeta Esiodo si fa strada una morale diversa, che pone al centro la
giustizia (dike), personificata e innalzata al ruolo di figlia di
Zeus. Virtuoso è dunque chi agisce secondo giustizia, chi non lo fa è
colpevole di hybris, una parola chiave nella mentalità greca: la si
può tradurre coi termini “superbia”, “tracotanza”, “alterigia”
e indica la violazione del limite che l’uomo dovrebbe sempre rispettare
nelle sue azioni. In Omero l’unica forma di hybris che viene punita
dalla vendetta divina è l’azione umana che offende un dio: ad esempio
nell’Odissea le mille disavventure di Ulisse sono causate dalla
vendetta di Poseidone, al quale l’eroe ha accecato il figlio Polifemo (per
legittima difesa, oltretutto!). Per
Esiodo invece qualunque ingiustizia viene punita da Zeus, anche quella
commessa dagli uomini verso altri uomini. Con la crescita della polis, da
Solone in avanti, emerge un nuovo valore personificato nella figura di
Eunomia (“la buona legge”) anch’essa figlia di Zeus. Il rispetto per
la legge (nomos) diventa la nuova virtù civica: la legge dello stato
è contrapposta al disordine e alla violenza individuale. Vi
è uno stretto legame fra l’affermarsi di questi nuovi valori e il modo di
combattere che nasce con la fanteria politica. L’eroe omerico, che
combatte da solo sul carro da guerra, cerca di conquistare per sé sul campo
da battaglia gloria ed onore, senza troppo curarsi del destino dei suoi:
Achille, il più forte dei guerrieri achei, quando viene offeso da
Agamennone si ritira sotto la sua tenda e non partecipa più alla guerra
contro Troia… L’oplita viceversa non trae onore dal distinguersi in
imprese personali, ma dal rimanere disciplinatamente al suo posto,
allineando, nella falange, il suo scudo a quello degli altri. Le norme di
comportamento richieste dalla falange politica sono in fondo le stesse che
regolano l’appartenenza alla polis che a partire dal VII secolo cominciò
a sorgere concretizzando una civiltà del tutto originale. Nella
polis si realizzò un nuovo modo di governare, molto diverso da quello degli
imperi orientali. Nei sistemi politici orientali esistevano, infatti, un re
e dei sudditi; in quello greco invece esistevano dei cittadini che
discutevano e risolvevano problemi di pubblico interesse. La nuova forma di
governo venne chiamata dai greci democrazia. L’evoluzione
verso la democrazia fu graduale. Dopo l’invasione dorica la società
s’incentrò a lungo intorno all’oikos, la casa del proprietario
terriero. Poi (X-IX secolo) i signori nobili dell’oikoi si
affiancarono al re fino a sostituirlo nel governo. Infine (VIII secolo)
nacque la polis, come evoluzione di villaggi rurali. All’inizio erano
ancora gli aristocratici a gestire il potere, in seguito le colonie diedero
(VII secolo) impulso allo sviluppo di un’economia mercantile. Il primato
dell’aristocrazia fu così insidiato (VI secolo) dal demos, il
nuovo ceto urbano di artigiani e mercanti, che reclamava aperture nel
diritto di cittadinanza e nella gestione del potere. Le
riforme timocratiche di Solone intaccano i privilegi degli aristocratici: fu
instaurata una nuova divisione in quattro classi sociali basata sulla
ricchezza e il grande progresso dell’ordinamento fu che il passaggio da
una classe all’altra, essendo legato al reddito invece che alla nascita,
divenne teoricamente possibile anche ai ceti meno abbienti. Questo segnò un
avvicinamento alla democrazia. La tirannide di Pisistrato (561-531) assicurò
ad Atene un periodo di tranquillità e benessere mentre la riforma
costituzionale di Clistene (508-507) sostituì al precedente ordinamento
censitario un nuovo ordinamento su base semplicemente territoriale che,
spezzando privilegi e patrimoni delle grandi famiglie, fondò le premesse
per un effettivo sviluppo della democrazia. Con
Pericle la costituzione di Clistene rimase in vigore ma vennero promosse
alcune riforme che allargarono ulteriormente la partecipazione dei cittadini
al governo della polis. La
prima di queste riforme fu l’indebolimento dell’Areopago, il consiglio
dominato dall’aristocrazie che esercitava il controllo sulle leggi e
giudicava i diritti di sangue. L’Areopago fu privato dei suoi poteri
politici alcuni dei quali passarono al Consiglio dei Cinquecento (bulè),
altri al tribunale popolare (eliea). In seguito tutte le cariche
pubbliche furono rese accessibili ai cittadini meno abbienti, tranne
l’Areopago, che fu comunque allargato ai piccoli proprietari. La
più ampia partecipazione alla vita pubblica cominciò a rendere
insufficiente l’educazione tradizionale. Oltre che il cittadino-oplita
bisognava formare il cittadino politico. Prendere parte alle decisioni
pubbliche, nelle assemblee e nei tribunali, non consisteva solo nel votare,
ma anche nell’esporre in modo efficace le proprie opinioni: ciò
richiedeva capacità intellettuali e doti oratorie. Si stava inoltre
diffondendo tra i giovani un acceso desiderio di far carriera con la
politica: a queste nuove esigenze individuali risposero i Sofisti. |
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MAPPA CONCETTUALE - L'eroe, la legge, il cittadino BIBLIOGRAFIA
- OMERO, Iliade, I
vv. 1-56, 101-246; COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI a) ...; b) .... * * * |
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Obiettivi Contenuti Strategia |
L'uomo nei sofistiIl
termine
sofista significa sapiente, il più sapiente di fronte ai problemi
dell'uomo, il più esperto delle questioni riguardanti la società e la città.
L'esperienza sofistica rappresenta una profonda innovazione della
problematica filosofica nel V sec. Essa sposta l'interesse della ricerca dal
cosmo all'uomo. Inaugura un
periodo che la storiografia ha chiamato "Umanesimo filosofico".
L'importanza delle riflessioni di questi pensatori, non riducibili a soli
maestri di retorica, può scorgersi dallo spazio riservato loro da Platone
nei suoi dialoghi. Gli argomenti trattati infatti saranno oggetto di
interesse dei filosofi successivi, i quali proporranno la loro originale
soluzione teoreticamente più poderosa. Le ragioni del sorgere di questo
nuovo orientamento vanno cercate da un lato, nelle difficoltà in cui si
imbatterono i filosofi della natura nella ricerca dell'Arché
fondativo, dall'altro, nelle problematiche socio-politiche prodotte dalla
crisi dell'aristocrazia e dall'ascesa di una nuova classe sociale che
rivendicava uno spazio politico che solo ora poteva essere garantito (le
riformi politico-istituzionali di Clistene). |
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Il relativismo protagoreo e l'insegnabilità della virtù politica |
«L'uomo
è misura di tutte le cose» è la cifra del pensiero del filosofo; con essa
volle esprimere l'inesistenza di un criterio di verità oggettivo. Di
qualsiasi tesi è possibile sostenere la controtesi. É possibile quindi
"far diventare forte l'argomento più debole" nella misura in cui
si possiede l'abilità retorica che persuade l'interlocutore della nuova
verità. In ogni modo il filosofo non giunse mai a sostenere tesi immorali e
contrarie alla conservazione della città; il criterio dell'utile divenne,
benché soggettivo, la misura delle azioni individuali. Protagora
analogamente agli altri sofisti riteneva che la virtù non è una dote
legata al rango sociale, ma sapere insegnabile e trasmissibile, in
particolare la virtù politica necessaria al cittadino (lettura del
Protagora platonico). |
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Gorgia di Leontini: la parola come seduzione e il pennsiero del nulla |
Il
sofista, confrontandosi con la speculazione di Parmenide, giunse a ribaltare
l'Ontologia eleatica con le seguenti tesi: a)
nulla esiste; Con
queste tesi viene enucleata la dottrina nichilista per la prima volta nella
storia dell'Occidente. Viene negato il nesso tra essere e verità, tra
linguaggio e verità, tra conoscenza e verità. La verità diviene il
portato dell'argomentazione retorica che costruisce le condizioni di
veridicità, di attendibilità, di utilità di ciò che si sostiene. Gorgia
teorizzò la valenza estetica della parola e l'essenza della poesia come
produzione di struggenti sentimenti, anticipando in questo modo le analisi
aristoteliche sulla tragedia. Sebbene l'arte retorica, svincolata da
qualsiasi criterio di verità, possa far compiere qualsiasi azione, anche
scellerata, non può essere ritenuta responsabile di tali nefandezze, poiché
è semplice strumento nelle mani degli uomini. |
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Sofisti politici: la forza come criterio di verità |
Critica della tradizione e affermazione delle differenze di natura. Tra i sofisti politici vi è Callicle che assunse posizioni estreme all'interno del movimento con la tesi di fondo che "per natura è giusto che il forte domini sul debole" in tal modo il sofista si opponeva alle leggi della città valide per tutti i cittadini. L'aspetto naturalistico della fonte dell'autorità poneva le basi per un'involuzione politico-istituzionale della polis. Contro questo rischio si sollevò la critica efficace di Socrate e Platone. Essi combatterono con strumenti teoretici tali concezioni. |
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Il
principio dell'eguaglianza |
I
filosofi contrappongono la legge (nomos) alla natura (physis).
Benché la natura sia considerata al di sopra della legge positiva, giungono
a conclusioni fortemente democratiche e critiche nei confronti della
tradizione. La natura unisce mentre la legge divide, basti pensare alla
legislazione che discrimina i diritti tra la popolazione, o il pregiudizio
razziale della differenza tra barbari e greci. |
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Meriti della Sofistica |
Ha
compiuto una poderosa critica della tradizione greca attraverso il
relativismo, il nichilismo e il naturalismo; ha individuato i limiti della
ragione mostrandole contraddizioni a cui può giungere. |
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Limiti della Sofistica |
E'
stata incapace di imporsi come alternativa filosofica valida per la
risoluzione dei problemi dell'uomo, dando posto alla speculazione filosofica
di Socrate e Platone. |
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MAPPA CONCETTUALE BIBLIOGRAFIA -
PLATONE, Protagora,
320c-327c; COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI
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Obiettivi Contenuti Strategia |
L'uomo in SocrateCon
Socrate, la speculazione filosofica si concentra in maniera definitiva
sull’uomo, portando avanti, in direzione diversa, le tematiche che i
Sofisti avevano precedentemente trattato. Già con i loro discorsi, infatti,
la riflessione filosofica si era spostata dal naturalismo alla questione
antropologica, dal concetto di physis e della ricerca del principio (archè)
al concetto di uomo. I filosofi naturalisti, secondo Socrate si erano spinti
al punto che non era più possibile formulare una tesi sicura: monisti e
pluralisti, pitagorici ed eleati, si erano contrapposti nel tentativo di
dare una soluzione al problema dell’essere, approdando tanto al divenire
eracliteo quanto alla staticità dell’essere parmenideo. Socrate
tratta la questione antropologica con tale profondità e lucidità da
ritenersi sapiente in questo ambito, per nella sua generale affermazione di
ignoranza: è la conoscenza umana che l’uomo ha nei confronti dell’uomo
in quanto tale. Diversamente dall’atteggiamento sofistico che sottolineava
(come del resto Socrate) il rapporto politico e sociale finalizzandolo
all’affermazione di se stesso e al dominio sull’assemblea tramite le
doti oratorie, Socrate ricerca e individua il significato dell’uomo
riflettendo sulla sua natura, sull’essenza, su quel quid che rende
tale e inconfondibile tale realtà, ancora all’interno di un contesto
politico e sociale, attraverso l’oralità dialettica. L’uomo,
per Socrate, è essenzialmente caratterizzato dalla sua anima, la ragione,
la psichè, che diviene il centro delle attività conoscitive e
etiche. L’anima è la coscienza dell’uomo, la sua personalità, e il
fine della sua esistenza dovrà essere allora la cura di se stesso: non del
proprio corpo, ma della propria anima, perché il corpo è il “semplice”
strumento di cui l’anima, che è il “soggetto”, si avvale. Il compito
di chi educa, quindi, è quello di curare e rendere l’anima ordinata. Come
si legge nell’Apologia: «Né altro in verità io faccio, con
questo mio andare attorno se non persuadere voi, giovani e vecchi, che non
del corpo dovete aver cura, né delle ricchezze più dell’anima, in modo
che essa diventi ottima e virtuosissima». Cambiando
il concetto di uomo, cambia di conseguenza il concetto di aretè, di
virtù. Tale concetto ha assunto accezioni differenti nei diversi contesti
storico politici, anche se equivalente è il significato che il termine
assume per il greco: la virtù è quell’attività o modo di essere che
perfeziona la realtà a cui si riferisce facendola essere ciò che deve
essere. Se l’uomo è essenzialmente la sua anima, e l’anima è la
ragione, la virtù diviene la conoscenza, la scienza e di conseguenza il
vizio sarà la mancanza di conoscenza, l’ignoranza. Consequenziale
al cambiamento del concetto di virtù è il cambiamento dei valori su cui si
realizza l’esistenza umana: non è più la fama, il potere politico, la
ricchezza, e neanche la bellezza e la vigoria fisica, ma la conoscenza. I
valori tradizionali, sotto questa luce, non divengono disvalori, solo non
valgono per se stessi, acquistando un significato qualitativo solo in
relazione all’anima. Da
quest’assioma, dall’equivalenza cioè dell’anima con la ragione, ne
consegue che l’azione etica dell’uomo dovrà essere in relazione
all’ambito conoscitivo: ne scaturisce il paradosso socratico
dell’intellettualismo etico. Il comportamento umano è sempre diretto alla
ricerca del Bene, non sussiste la ricerca del male fine a se stesso, ma in
questa ricerca, l’uomo senza una conoscenza adeguata può cadere in
errore, credendo bene ciò che in verità non lo è. Il male diventa
“involontario”, è un difetto di conoscenza, un errore di calcolo, è
ignorare ciò che è veramente il bene, divenendo una forma di determinismo
etico: se si conosce si opera il bene, se si ignora si opera il male. Manca
in Socrate l’adesione volontaria all’agire morale e la sapienza diventa
condizione necessaria e sufficiente per operare in maniera giusta.
L’intellettualismo etico caratterizzerà, dopo Socrate, tutta la filosofia
platonica, con un’evoluzione in Aristotele, terminando con la concezione
cristiana dove sorge l’aspetto volontaristico e il senso del peccato. L’anima
che conosce e l’agire virtuoso dell’uomo determina la libertà e la
felicità. La libertà è una sorta di autodominio, di enkrateia, è
dominio di sé, dei propri impulsi, desideri, bisogni e passioni; è il
dominio della ragione dell’uomo sulla sua animalità e tutto ciò che è
legato al corpo. È veramente libero colui che non è schiavo delle
passioni, che non patisce i suoi istinti, che non è vittima dei suoi
desideri. È veramente libero chi riesce ad essere autonomo, come il saggio,
che non ha bisogno di nulla se non della ragione, in una sorta di autarchia
che lo avvicina a Dio. L’uomo virtuoso è così il nuovo eroe, colui che
deve vincere le battaglie più difficili, i nemici che vivono nella sua
interiorità. Se
l’uomo è virtuoso è anche libero e in ciò consiste l’autentica
felicità, che non è la vita dedita ai piaceri, né la fortuna intesa come
un demone che garantisce buona sorte e vita prospera. La felicità
scaturisce quando l’anima è virtuosa e ordinata, e ciò rende possibile
sopportare anche il male, il dolore, la malattia, il disordine del corpo, le
disavventure della vita e, come nel caso della vita stessa di Socrate, la
prigionia, le ingiurie, la morte stessa. Quando
l’uomo è virtuoso non può più patire nulla, la felicità è un premio
intrinseco, che prescinde anche dall’idea di una vita futura dopo la morte
o del nulla. Infine l’uomo diventa il vero artefice della sua felicità o
infelicità che non dipende dalle circostanze, né dal contesto nel quale si
vive, né dagli avvenimenti. A
questo punto, anche il rapporto con gli altri uomini cambia, in relazione al
diverso concetto di virtù. L’uomo che dispone solo della sua ragione, di
fronte al male e all’ingiustizia, può solo persuadere, cercare di
confutare, ma non può usare violenza, né contro sé né contro altri,
perché è empio chi risponde al male con il male. La fedeltà alle leggi
diventa allora la giustizia. La
scoperta dell’essenza dell’uomo come psichè porta infine alla
fondazione del metodo socratico come metodo etico ed educativo, che
sottintende l’aspetto conoscitivo. Il metodo di Socrate è la dialettica
intesa come dia-logica, comunicazione orale che ha come obiettivo il
raggiungimento del vero. È essenziale il rapporto con gli altri,
l’incontro con la gente, con chiunque abbia finalità etiche e
conoscitive; il primo momento del metodo è la confutazione, quando si porta
l’interlocutore a rendersi conto della fallacia delle sue tesi, e lo
strumento è quella terribile arma dell’ironia e del non sapere attraverso
la quale Socrate, con la maschera dell’ignoranza, sembra esaltare le tesi
del suo interlocutore per dimostrare poi la loro paradossalità. A questo
punto l’anima purificata può predisporsi a far luce in sé, a trovare
nella propria interiorità la verità, che verrà «partorita» e tratta
maieuticamente fuori. Il «conosci te stesso» diviene, a questo punto, la
via che porta alla verità. La
vita stessa di Socrate è stata esempio di estrema coerenza con i valori:
accettare la prigionia per essere fedeli alle leggi della città, pur
nell’inconsistenza delle accuse che gli sono state mosse, accettare con
serenità la morte, pur nella possibilità della fuga dal carcere, significa
concretizzare la sua filosofia e viverla fino in fondo. |
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MAPPA CONCETTUALE - Socrate BIBLIOGRAFIA - Platone, Apologia di Socrate. COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI a) ...; b) .... * * * |
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Obiettivi Contenuti Strategia |
L'uomo in PlatonePlatone,
come discepolo di Socrate, riconosce la grande importanza della problematica
della conoscenza, per lo sviluppo della vita umana. In molte opere affronta questo argomento. Nel
Menone, attraverso un esperimento maieutico, afferma che la
conoscenza è “anamnesi” cioè una forma di “ricordo” di ciò che già
esiste nella nostra anima. Interrogando
socraticamente uno schiavo ignaro di geometria, Platone riesce a fargli
risolvere una complessa questione di geometria, implicante la conoscenza
della teoria di Pitagora. L’anamnesi
spiega la possibilità della conoscenza. Nel
Fedone Platone dimostra che l’idea di oggetto circolare è qualcosa
che trascende i nostri sensi (non esistono in natura oggetti perfettamente
circolari), ma che si può immaginare. Ma è nella Repubblica,
l’opera più comprensiva di Platone, quella in cui si esprime più
compiutamente la sua filosofia. Non
è soltanto un’opera di politica, ma di pedagogia, di metafisica, di
psicologia: poiché lo Stato fondato sulla giustizia sta al centro del
pensiero platonico e fu l’ispirazione costante di tutta la vita di
Platone. Qui
Platone parte dal principio che la conoscenza è proporzionale all’essere,
per cui solo ciò che è massimamente essere è perfettamente conoscibile,
il non - essere è assolutamente inconoscibile (Repubblica, Libro
VI). Ma,
poiché esiste anche una realtà intermedia fra essere e non essere, cioè
il sensibile, che è un misto di essere e non essere, allora Platone
conclude che di quest’intermedio c’è appunto una conoscenza intermedia
fra scienza ed ignoranza, la quale non è vera e propria conoscenza ed ha
nome “opinione”, doxa. Le
forme del conoscere sono dunque due: la più bassa è la doxa, la più
alta è l’episteme o scienza: la prima riguarda il sensibile, la
seconda il soprasensibile. Tuttavia
Platone specifica che tanto la doxa quanto l’episteme hanno
ciascuna come due gradi: *
la
doxa si divide in immaginazione (una forma di sensibilità
indistinta) ed in credenza (la conoscenza certa degli oggetti sensibili). *
la
scienza di divide in una forma di conoscenza mediana ed in pura
intellezione. Stante
il principio sopra illustrato, ciascun grado e forma di conoscenza si
riferisce ad un corrispettivo grado e ad una corrispettiva forma di realtà
e di essere. L’eikasia
e la pistis corrispondono ai due gradi del sensibile, la dianoia
e la noesis si riferiscono,invece, all’intellegibile. In
particolare la dianoia è la conoscenza delle realtà
matematico-geometriche e la noesis è la pura dialettica delle Idee. Nel
libro VII, introducendo il famoso “mito della caverna”, che oppone il
mondo dei sensi e dell’apparenza al mondo delle idee, Platone espone i
pensieri più profondi della sua filosofia e le sue riflessioni sulla
conoscenza. Nel
mito gli uomini sono prigionieri dell’ignoranza nella caverna e scorgono
solo immagini umbratili appena illuminate. Se
un prigioniero venisse liberato e condotto a guardare la luce del sole
percorrendo “la scarpata ripida e scoscesa” (Repubblica, 515e),
dovrebbe prima abituarsi a vedere di nuovo. Ma se tornasse indietro si consegnerebbe allo scherno dei prigionieri che vivono sempre intenti a discutere l’un l’altro delle loro visioni. |
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Se egli, poi, volesse addirittura liberarli e condurli alla luce, potrebbe persino rischiare la morte. Sempre in questo celebre mito della caverna, Platone-Socrate ha narrato un mutamento nello sguardo: un mutamento del piano di osservazione che ha fatto epoca: con questo mutamento si istituisce la figura del filosofo, non solo come entità individuale, ma in rapporto alla polis. E nella polis ciò che interessa è la giustizia. La sede della giustizia è il singolo (l’anima) ma anche la città. La corrispondenza fra anima e polis esaurisce per intero l’ambito di ciò che determina l’agire degli uomini. Anche nella Lettera VII, che può essere considerata il testamento politico-pedagogico del filosofo ed una vera autobiografia spirituale, Platone fa intendere che lo scopo più importante, il valore più prezioso della sua vita, non fu l’indagine teoretica e nemmeno la mistica ricerca di Dio o la contemplazione, ma l’azione per il miglioramento del genere umano. |
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Per approfondire |
Suggerimenti per approfondire il mito della caverna:
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MAPPA CONCETTUALE - Platone: la caverna e la linea BIBLIOGRAFIA -
Platone,
Repubblica, VI 509d-511e; COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI a) Con la Filosofia: -
S. Agostino e il tema del “Corpo come prigione”; b) Con la Letteratura Greca: - Letteratura greco-attica. * * * |
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Obiettivi Contenuti Strategia |
L'uomo greco e la musicaNella
Grecia antica la musica (tecnè mousichè) non ha la stessa funzione
delle altre arti, scultura, architettura, pittura, etc. Essa viene prodotta sempre
e solo unita alla danza (cioè ritmo) alla poesia (verso). Essa ha
funzioni pratiche, educative molto precise, tanto che il suo uso
sconsiderato può portare a conseguenze molto gravi per l’individuo. In più
la musica intesa solo come suono (phonè) non ha nessuna consistenza,
né alcun valore artistico secondo i greci antichi. Già nei primi teorici
si matura l’idea (che troverà conferma nella moderna musicoterapica e
nella moderna pedagogia) che la musica serva alla prevenzione (musica
igienica) e allo sviluppo delle qualità umane innate. L’utilizzo
della musica come elemento curativo di mali, sia fisici sia mentali, è
antichissimo e collegabile a teorie sulla materia, del mondo antico. In
molti miti il suono e il canto rappresentano la sostanza originaria del
mondo: nell’antica Grecia la storia di queste pratiche non rimane solo
nell’ambito mitologico o poetico, ma entra anche nel pensiero speculativo.
Ad Orfeo che ammansisce le belve col suono della lira, ad Affine, figlio di
Zeus, che sempre con la lira riesce a muovere le pietre edificando la città
di Tebe, all’oracolo di Delfi che calma le donne invasate con lunghe
nenie, si sostituisce, grazie alla elaborazione di Pitagora il concetto di
Armonia (collegamento) delle sfere e cioè egli identifica le distanze tra
le sfere celesti con gli intervalli della scala pitagorica, derivata dal
Monocordo (strumento di sua invenzione, nato dall’osservazione della
relazione tra porzione di corda vibrante e suono emesso, 1/2 ottava, 3/4
quarta, 2/3 quinta – tutti intervalli consonanti). Secondo
Porfirio, nella vita di Pitagora il grande matematico curava con ritmi e
canti mali fisici e mentali. Risale
a Platone e Aristotele la dottrina dell’ethos; procedendo di 5a
in 5a l’altezza di tutti i suoni derivati dal monocordo,
esclusi quelli consonanti, veniva a costituire la scala pitagorica.
In quanto espressione cosmica la musica fu tenuta in gran conto nella scuola
pitagorica (Archita, Didimo, Euclide, Platone, Filolao) sia sotto
l’aspetto pratico sia sotto quello teorico, essendo considerata la disciplina
più idonea a sviluppare l’equilibrio dell’anima. Platone
considera la musica radicalmente diversa dalle altre arti, in quanto la più
idonea a colmare le inquietudini interiori dell’uomo. È l’unica arte
che salva, tra le arti, e ad essa dedica molta attenzione nella Repubblica,
nelle Leggi e nel Simposio, sostenendo la fondamentale
funzione educativa della musica conforme alla tradizione, nell’ambito
della concezione etico-aristocratica dello Stato Platone
e Aristotele giungono ad affermare che i diversi tipi di musica possono
modificare in senso negativo o positivo il carattere dei giovani. Ad ogni «Armonia»
era attribuito un proprio ethos cioè un carattere o sentimento: -
Armonia dorica = virile Per
la teoria musicale greca, il sistema base dei modi è il Tetracordo =
successione di quattro suoni congiunti. |
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Aristotele
espone nella sua Politica la teoria della catarsi: mentre Platone
scarta alcune armonie troppo eccitanti, o troppo molli, preferendo quella
dorica e quella frigia, Aristotele sostiene l’utilità di tutti i tipi di
musica, anche di quelli che turbano gli animi, poiché le passioni violente
che esse determinano hanno effetto catartico cioè purificano dalle
passioni. |
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BIBLIOGRAFIA -
...; COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI a) ...; b) .... * * * |
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Ultimo aggiornamento: sabato 22 marzo 2003 |
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