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Filosofia 1

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Unita' didattiche

 

1. Introduzione

2. Eroe, legge, cittadino

3. L'uomo nei Sofisti

4. L'uomo in Socrate

5. L'uomo in Platone

6. L'uomo e la musica

Moduli

MOD. 1 - l'UOMO gRECO E IL SUO AGIRE

mod. 2 - ...

mod. 3 - ...

Argomenti correlati

L'uomo medievale

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Modulo 1
L'uomo greco e il suo agire

Presentazione del modulo

Il modulo su L’uomo greco e il suo agire si prefigge di analizzare l’evoluzione del concetto di uomo e il suo agire nel contesto storico greco (VIII-IV sec.) per quel che riguarda la filosofia ma con agganci alla storia e alla letteratura, nonché alla scienza e all’arte del tempo. Il periodo storico è quello che unisce il sofista a Platone. Tale periodo viene presentato nella prima unità didattica in cui si evidenzia il passaggio dall’eroe all’oplita e al cittadino, come un’evoluzione della concezione di uomo all’interno del comune contesto greco. L’aspetto filosofico è maggiormente presente nelle tre unità didattiche sui Sofisti, su Socrate e su Platone nelle quali, una volta messa a fuoco la centralità della questione antropologica, si evidenzia l’evoluzione della costante finalità etica dell’agire dell’uomo (sia nella sua destinazione al Bene sia nella sua destinazione alla felicità): dai Sofisti (il bene e la felicità si raggiungono mediante l’utile), a Socrate (intellettualismo etico) a Platone (che opera l’ontologizzazione del Bene).

N.B. Alla stesura di questo modulo (peraltro ancora incompleto e provvisorio) hanno collaborato anche Alessandra Vespa (U.D. 2), Fabrizio Silvestri (U.D. 3) Antonella Veneziani (U.D. 4), Noemi Stivali (U.D. 5) e Maira Grazia Teodori (U.D. 6). A loro va il mio più sentito ringraziamento.

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Unità didattica introduttiva

Introduzione

Ulisse, Edipo, il sofista, il re filosofo, l’uomo del tempio e l’uomo dell’agorà hanno una natura comune che si può cogliere nella costante tensione all’agire che è connessa alla natura stessa dell’uomo.

Alcune riflessioni di carattere preliminare.

·         A differenza dell’uomo moderno-contemporaneo, caratterizzato da una profonda specificità, l’uomo greco appare uno nella sua globalità, polivalente ma omogeneo. Le figure del filosofo, del poeta, del letterato, dell’eroe, del politico, del credente e dello scienziato concorrono a delineare un unico individuo portatore dei valori universali della grecità. L’uomo greco è sostanzialmente l’intero. Movendo da questa constatazione notiamo come l’aspetto politico, l’aspetto pedagogico e l’aspetto conoscitivo vengono a coincidere, pur nelle dovute differenziazioni.

·         L’uomo greco è primariamente il cittadino. Non è pensabile, infatti, per il greco, un individuo isolato nella sua situazione personale. Al contrario, nella figura paradigmatica di Socrate, l’uomo si presenta rispettoso delle leggi della città al punto da non rifiutare la morte (cfr. Critone) e da uscire nella famosa affermazione del gallo dovuto ad Asclepio. L’appartenenza alla polis è imprescindibile per l’uomo greco al punto che, in senso spregiativo, sono “bollati” come idiòtes coloro che non partecipano alla vita pubblica. E, ancor di più: la virtù viene intesa unica nella sua valenza singola e politica, così come non si dà schizofrenia tra privato e pubblico.

·         L’intento pedagogico di ogni atto è per il greco fondamentale. Nelle sue varie forme ogni agire e ogni sapere tende alla formazione dell’individuo nella collettività. Tale paidèia si realizza primariamente nella comunicazione di un sapere intesa come conversione (epistrophè): non si tratta di ridare la vista ai ciechi, ma di volgere lo sguardo dell’educando verso la verità (ad es. il mondo delle idee per Platone).

·         A questo scopo concorre ogni ambito della cultura: lo stesso mythos viene a convergere con il logos nel comune intento pedagogico.

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Obiettivi
L’evoluzione del concetto di uomo e il suo agire nel contesto storico-politico greco.

Contenuti
Il capovolgimento dei valori etico politici nei secoli VIII-V e le trasformazioni istituzionali.

Strategia
Approccio ermeneutico; interpretazione dei testi e costruzione della mappa semantica.

L'eroe, la legge, il cittadino

Durante la prima età arcaica, come testimonia Omero, l’idea di virtù (aretè) si ispirava a valori tipici dell’aristocrazia guerriera: la forza fisica, il coraggio, la capacità di battersi con il nemico. Ma già nel VII secolo con li poeta Esiodo si fa strada una morale diversa, che pone al centro la giustizia (dike), personificata e innalzata al ruolo di figlia di Zeus. Virtuoso è dunque chi agisce secondo giustizia, chi non lo fa è colpevole di hybris, una parola chiave nella mentalità greca: la si può tradurre coi termini “superbia”, “tracotanza”, “alterigia” e indica la violazione del limite che l’uomo dovrebbe sempre rispettare nelle sue azioni. In Omero l’unica forma di hybris che viene punita dalla vendetta divina è l’azione umana che offende un dio: ad esempio nell’Odissea le mille disavventure di Ulisse sono causate dalla vendetta di Poseidone, al quale l’eroe ha accecato il figlio Polifemo (per legittima difesa, oltretutto!).

Per Esiodo invece qualunque ingiustizia viene punita da Zeus, anche quella commessa dagli uomini verso altri uomini. Con la crescita della polis, da Solone in avanti, emerge un nuovo valore personificato nella figura di Eunomia (“la buona legge”) anch’essa figlia di Zeus. Il rispetto per la legge (nomos) diventa la nuova virtù civica: la legge dello stato è contrapposta al disordine e alla violenza individuale.

Vi è uno stretto legame fra l’affermarsi di questi nuovi valori e il modo di combattere che nasce con la fanteria politica. L’eroe omerico, che combatte da solo sul carro da guerra, cerca di conquistare per sé sul campo da battaglia gloria ed onore, senza troppo curarsi del destino dei suoi: Achille, il più forte dei guerrieri achei, quando viene offeso da Agamennone si ritira sotto la sua tenda e non partecipa più alla guerra contro Troia… L’oplita viceversa non trae onore dal distinguersi in imprese personali, ma dal rimanere disciplinatamente al suo posto, allineando, nella falange, il suo scudo a quello degli altri. Le norme di comportamento richieste dalla falange politica sono in fondo le stesse che regolano l’appartenenza alla polis che a partire dal VII secolo cominciò a sorgere concretizzando una civiltà del tutto originale.

Nella polis si realizzò un nuovo modo di governare, molto diverso da quello degli imperi orientali. Nei sistemi politici orientali esistevano, infatti, un re e dei sudditi; in quello greco invece esistevano dei cittadini che discutevano e risolvevano problemi di pubblico interesse. La nuova forma di governo venne chiamata dai greci democrazia.

L’evoluzione verso la democrazia fu graduale. Dopo l’invasione dorica la società s’incentrò a lungo intorno all’oikos, la casa del proprietario terriero. Poi (X-IX secolo) i signori nobili dell’oikoi si affiancarono al re fino a sostituirlo nel governo. Infine (VIII secolo) nacque la polis, come evoluzione di villaggi rurali. All’inizio erano ancora gli aristocratici a gestire il potere, in seguito le colonie diedero (VII secolo) impulso allo sviluppo di un’economia mercantile. Il primato dell’aristocrazia fu così insidiato (VI secolo) dal demos, il nuovo ceto urbano di artigiani e mercanti, che reclamava aperture nel diritto di cittadinanza e nella gestione del potere.

Le riforme timocratiche di Solone intaccano i privilegi degli aristocratici: fu instaurata una nuova divisione in quattro classi sociali basata sulla ricchezza e il grande progresso dell’ordinamento fu che il passaggio da una classe all’altra, essendo legato al reddito invece che alla nascita, divenne teoricamente possibile anche ai ceti meno abbienti. Questo segnò un avvicinamento alla democrazia. La tirannide di Pisistrato (561-531) assicurò ad Atene un periodo di tranquillità e benessere mentre la riforma costituzionale di Clistene (508-507) sostituì al precedente ordinamento censitario un nuovo ordinamento su base semplicemente territoriale che, spezzando privilegi e patrimoni delle grandi famiglie, fondò le premesse per un effettivo sviluppo della democrazia.

Con Pericle la costituzione di Clistene rimase in vigore ma vennero promosse alcune riforme che allargarono ulteriormente la partecipazione dei cittadini al governo della polis.

La prima di queste riforme fu l’indebolimento dell’Areopago, il consiglio dominato dall’aristocrazie che esercitava il controllo sulle leggi e giudicava i diritti di sangue. L’Areopago fu privato dei suoi poteri politici alcuni dei quali passarono al Consiglio dei Cinquecento (bulè), altri al tribunale popolare (eliea). In seguito tutte le cariche pubbliche furono rese accessibili ai cittadini meno abbienti, tranne l’Areopago, che fu comunque allargato ai piccoli proprietari.

La più ampia partecipazione alla vita pubblica cominciò a rendere insufficiente l’educazione tradizionale. Oltre che il cittadino-oplita bisognava formare il cittadino politico. Prendere parte alle decisioni pubbliche, nelle assemblee e nei tribunali, non consisteva solo nel votare, ma anche nell’esporre in modo efficace le proprie opinioni: ciò richiedeva capacità intellettuali e doti oratorie. Si stava inoltre diffondendo tra i giovani un acceso desiderio di far carriera con la politica: a queste nuove esigenze individuali risposero i Sofisti.

MAPPA CONCETTUALE

- L'eroe, la legge, il cittadino

BIBLIOGRAFIA

- OMERO, Iliade, I vv. 1-56, 101-246;
- OMERO,
Odissea, IX, vv. 170-504;
- TUCIDITE,
La guerra del Peloponneso, II, 36-41
.

COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI

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Obiettivi
Messa in crisi del modello gnoseologico e metafisico parmenideo (crisi gnoseologica, crisi metafisica, crisi etico-giuridica): la provocazione sofistica sta nel proporre un sapere debole, non fondato metafisicamente.

Contenuti
Carattere provocatorio della riflessione sofistica; la critica dei valori etico-politici della tradizione; svalutazione della conoscenza dei filosofi naturalisti.

Strategia
Approccio ermeneutico dei testi; costruzione di mappe semantiche.
Provocazione: parallelo tra l'arte di persuasione della retorica e l'arte di persuasione della pubblicità.

L'uomo nei sofisti 

Il termine sofista significa sapiente, il più sapiente di fronte ai problemi dell'uomo, il più esperto delle questioni riguardanti la società e la città. L'esperienza sofistica rappresenta una profonda innovazione della problematica filosofica nel V sec. Essa sposta l'interesse della ricerca dal cosmo all'uomo.  Inaugura un periodo che la storiografia ha chiamato "Umanesimo filosofico". L'importanza delle riflessioni di questi pensatori, non riducibili a soli maestri di retorica, può scorgersi dallo spazio riservato loro da Platone nei suoi dialoghi. Gli argomenti trattati infatti saranno oggetto di interesse dei filosofi successivi, i quali proporranno la loro originale soluzione teoreticamente più poderosa. Le ragioni del sorgere di questo nuovo orientamento vanno cercate da un lato, nelle difficoltà in cui si imbatterono i filosofi della natura nella ricerca dell'Arché fondativo, dall'altro, nelle problematiche socio-politiche prodotte dalla crisi dell'aristocrazia e dall'ascesa di una nuova classe sociale che rivendicava uno spazio politico che solo ora poteva essere garantito (le riformi politico-istituzionali di Clistene).

Il relativismo protagoreo e l'insegnabilità della virtù politica

«L'uomo è misura di tutte le cose» è la cifra del pensiero del filosofo; con essa volle esprimere l'inesistenza di un criterio di verità oggettivo. Di qualsiasi tesi è possibile sostenere la controtesi. É possibile quindi "far diventare forte l'argomento più debole" nella misura in cui si possiede l'abilità retorica che persuade l'interlocutore della nuova verità. In ogni modo il filosofo non giunse mai a sostenere tesi immorali e contrarie alla conservazione della città; il criterio dell'utile divenne, benché soggettivo, la misura delle azioni individuali. Protagora analogamente agli altri sofisti riteneva che la virtù non è una dote legata al rango sociale, ma sapere insegnabile e trasmissibile, in particolare la virtù politica necessaria al cittadino (lettura del Protagora platonico).

Gorgia di Leontini: la parola come seduzione e il pennsiero del nulla

Il sofista, confrontandosi con la speculazione di Parmenide, giunse a ribaltare l'Ontologia eleatica con le seguenti tesi:

a) nulla esiste;
b) se esistesse qualcosa non sarebbe pensabile;
c) se anche fosse pensabile non sarebbe esprimibile.

Con queste tesi viene enucleata la dottrina nichilista per la prima volta nella storia dell'Occidente. Viene negato il nesso tra essere e verità, tra linguaggio e verità, tra conoscenza e verità. La verità diviene il portato dell'argomentazione retorica che costruisce le condizioni di veridicità, di attendibilità, di utilità di ciò che si sostiene. Gorgia teorizzò la valenza estetica della parola e l'essenza della poesia come produzione di struggenti sentimenti, anticipando in questo modo le analisi aristoteliche sulla tragedia. Sebbene l'arte retorica, svincolata da qualsiasi criterio di verità, possa far compiere qualsiasi azione, anche scellerata, non può essere ritenuta responsabile di tali nefandezze, poiché è semplice strumento nelle mani degli uomini.

Sofisti politici: la forza come criterio di verità

Critica della tradizione e affermazione delle differenze di natura. Tra i sofisti politici vi è Callicle che assunse posizioni estreme all'interno del movimento con la tesi di fondo che "per natura è giusto che il forte domini sul debole" in tal modo il sofista si opponeva alle leggi della città valide per tutti i cittadini. L'aspetto naturalistico della fonte dell'autorità poneva le basi per un'involuzione politico-istituzionale della polis. Contro questo rischio si sollevò la critica efficace di Socrate e Platone. Essi combatterono con strumenti teoretici tali concezioni. 

Il principio dell'eguaglianza
cfr. Ippia di Elide e Antifonte il sofista

I filosofi contrappongono la legge (nomos) alla natura (physis). Benché la natura sia considerata al di sopra della legge positiva, giungono a conclusioni fortemente democratiche e critiche nei confronti della tradizione. La natura unisce mentre la legge divide, basti pensare alla legislazione che discrimina i diritti tra la popolazione, o il pregiudizio razziale della differenza tra barbari e greci.

Meriti della Sofistica

Ha compiuto una poderosa critica della tradizione greca attraverso il relativismo, il nichilismo e il naturalismo; ha individuato i limiti della ragione mostrandole contraddizioni a cui può giungere.

Limiti della Sofistica

E' stata incapace di imporsi come alternativa filosofica valida per la risoluzione dei problemi dell'uomo, dando posto alla speculazione filosofica di Socrate e Platone.

MAPPA CONCETTUALE

- I sofisti

BIBLIOGRAFIA

- PLATONE, Protagora, 320c-327c;
- PLATONE,
Teeteto, 166d-167d;
- PLATONE,
Gorgia, 455a-d; 455d-456a; 456a-c; 456c-457c;
- SESTO EMPIRICO,
Contro i matematici, VII, 65-87
.

COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI

 

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Obiettivi
La definizione del concetto di uomo nel filosofare socratico.

Contenuti
Socrate: il concetto di uomo come essenza; l’anima come psychè; la virtù, l’intellettualismo etico, il significato di libertà e felicità; il metodo dialogico come via che conduce al vero.

Strategia
Approccio ermeneutico, interpretazione critica del testo, costruzione di una mappa semantica, confronto tra l’oggettivismo di Socrate e il relativismo etico attuale.

L'uomo in Socrate

Con Socrate, la speculazione filosofica si concentra in maniera definitiva sull’uomo, portando avanti, in direzione diversa, le tematiche che i Sofisti avevano precedentemente trattato. Già con i loro discorsi, infatti, la riflessione filosofica si era spostata dal naturalismo alla questione antropologica, dal concetto di physis e della ricerca del principio (archè) al concetto di uomo. I filosofi naturalisti, secondo Socrate si erano spinti al punto che non era più possibile formulare una tesi sicura: monisti e pluralisti, pitagorici ed eleati, si erano contrapposti nel tentativo di dare una soluzione al problema dell’essere, approdando tanto al divenire eracliteo quanto alla staticità dell’essere parmenideo.

Socrate tratta la questione antropologica con tale profondità e lucidità da ritenersi sapiente in questo ambito, per nella sua generale affermazione di ignoranza: è la conoscenza umana che l’uomo ha nei confronti dell’uomo in quanto tale. Diversamente dall’atteggiamento sofistico che sottolineava (come del resto Socrate) il rapporto politico e sociale finalizzandolo all’affermazione di se stesso e al dominio sull’assemblea tramite le doti oratorie, Socrate ricerca e individua il significato dell’uomo riflettendo sulla sua natura, sull’essenza, su quel quid che rende tale e inconfondibile tale realtà, ancora all’interno di un contesto politico e sociale, attraverso l’oralità dialettica.

L’uomo, per Socrate, è essenzialmente caratterizzato dalla sua anima, la ragione, la psichè, che diviene il centro delle attività conoscitive e etiche. L’anima è la coscienza dell’uomo, la sua personalità, e il fine della sua esistenza dovrà essere allora la cura di se stesso: non del proprio corpo, ma della propria anima, perché il corpo è il “semplice” strumento di cui l’anima, che è il “soggetto”, si avvale. Il compito di chi educa, quindi, è quello di curare e rendere l’anima ordinata. Come si legge nell’Apologia: «Né altro in verità io faccio, con questo mio andare attorno se non persuadere voi, giovani e vecchi, che non del corpo dovete aver cura, né delle ricchezze più dell’anima, in modo che essa diventi ottima e virtuosissima».

Cambiando il concetto di uomo, cambia di conseguenza il concetto di aretè, di virtù. Tale concetto ha assunto accezioni differenti nei diversi contesti storico politici, anche se equivalente è il significato che il termine assume per il greco: la virtù è quell’attività o modo di essere che perfeziona la realtà a cui si riferisce facendola essere ciò che deve essere. Se l’uomo è essenzialmente la sua anima, e l’anima è la ragione, la virtù diviene la conoscenza, la scienza e di conseguenza il vizio sarà la mancanza di conoscenza, l’ignoranza.

Consequenziale al cambiamento del concetto di virtù è il cambiamento dei valori su cui si realizza l’esistenza umana: non è più la fama, il potere politico, la ricchezza, e neanche la bellezza e la vigoria fisica, ma la conoscenza. I valori tradizionali, sotto questa luce, non divengono disvalori, solo non valgono per se stessi, acquistando un significato qualitativo solo in relazione all’anima.

Da quest’assioma, dall’equivalenza cioè dell’anima con la ragione, ne consegue che l’azione etica dell’uomo dovrà essere in relazione all’ambito conoscitivo: ne scaturisce il paradosso socratico dell’intellettualismo etico. Il comportamento umano è sempre diretto alla ricerca del Bene, non sussiste la ricerca del male fine a se stesso, ma in questa ricerca, l’uomo senza una conoscenza adeguata può cadere in errore, credendo bene ciò che in verità non lo è. Il male diventa “involontario”, è un difetto di conoscenza, un errore di calcolo, è ignorare ciò che è veramente il bene, divenendo una forma di determinismo etico: se si conosce si opera il bene, se si ignora si opera il male. Manca in Socrate l’adesione volontaria all’agire morale e la sapienza diventa condizione necessaria e sufficiente per operare in maniera giusta. L’intellettualismo etico caratterizzerà, dopo Socrate, tutta la filosofia platonica, con un’evoluzione in Aristotele, terminando con la concezione cristiana dove sorge l’aspetto volontaristico e il senso del peccato.

L’anima che conosce e l’agire virtuoso dell’uomo determina la libertà e la felicità. La libertà è una sorta di autodominio, di enkrateia, è dominio di sé, dei propri impulsi, desideri, bisogni e passioni; è il dominio della ragione dell’uomo sulla sua animalità e tutto ciò che è legato al corpo. È veramente libero colui che non è schiavo delle passioni, che non patisce i suoi istinti, che non è vittima dei suoi desideri. È veramente libero chi riesce ad essere autonomo, come il saggio, che non ha bisogno di nulla se non della ragione, in una sorta di autarchia che lo avvicina a Dio. L’uomo virtuoso è così il nuovo eroe, colui che deve vincere le battaglie più difficili, i nemici che vivono nella sua interiorità.

Se l’uomo è virtuoso è anche libero e in ciò consiste l’autentica felicità, che non è la vita dedita ai piaceri, né la fortuna intesa come un demone che garantisce buona sorte e vita prospera. La felicità scaturisce quando l’anima è virtuosa e ordinata, e ciò rende possibile sopportare anche il male, il dolore, la malattia, il disordine del corpo, le disavventure della vita e, come nel caso della vita stessa di Socrate, la prigionia, le ingiurie, la morte stessa.

Quando l’uomo è virtuoso non può più patire nulla, la felicità è un premio intrinseco, che prescinde anche dall’idea di una vita futura dopo la morte o del nulla. Infine l’uomo diventa il vero artefice della sua felicità o infelicità che non dipende dalle circostanze, né dal contesto nel quale si vive, né dagli avvenimenti.

A questo punto, anche il rapporto con gli altri uomini cambia, in relazione al diverso concetto di virtù. L’uomo che dispone solo della sua ragione, di fronte al male e all’ingiustizia, può solo persuadere, cercare di confutare, ma non può usare violenza, né contro sé né contro altri, perché è empio chi risponde al male con il male. La fedeltà alle leggi diventa allora la giustizia.

La scoperta dell’essenza dell’uomo come psichè porta infine alla fondazione del metodo socratico come metodo etico ed educativo, che sottintende l’aspetto conoscitivo. Il metodo di Socrate è la dialettica intesa come dia-logica, comunicazione orale che ha come obiettivo il raggiungimento del vero. È essenziale il rapporto con gli altri, l’incontro con la gente, con chiunque abbia finalità etiche e conoscitive; il primo momento del metodo è la confutazione, quando si porta l’interlocutore a rendersi conto della fallacia delle sue tesi, e lo strumento è quella terribile arma dell’ironia e del non sapere attraverso la quale Socrate, con la maschera dell’ignoranza, sembra esaltare le tesi del suo interlocutore per dimostrare poi la loro paradossalità. A questo punto l’anima purificata può predisporsi a far luce in sé, a trovare nella propria interiorità la verità, che verrà «partorita» e tratta maieuticamente fuori. Il «conosci te stesso» diviene, a questo punto, la via che porta alla verità.

La vita stessa di Socrate è stata esempio di estrema coerenza con i valori: accettare la prigionia per essere fedeli alle leggi della città, pur nell’inconsistenza delle accuse che gli sono state mosse, accettare con serenità la morte, pur nella possibilità della fuga dal carcere, significa concretizzare la sua filosofia e viverla fino in fondo.

MAPPA CONCETTUALE

- Socrate

BIBLIOGRAFIA

- Platone, Apologia di Socrate.

COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI

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Obiettivi
Distinzione concettuale tra doxa, episteme, eikasia, pistis, dianoia e noesis.

Contenuti
Struttura della realtà; Teoria della conoscenza.

Strategia
Analisi sintattico-semantica ed analisi storico-critica del testo; elaborazione di una mappa semantica; strutturazione di schemi interpretativi del testo; rielaborazione all’ interno di una discussione collettiva, degli argomenti contenuti nei testi studiati e nella bibliografia indicata dall’insegnante.

L'uomo in Platone

Platone, come discepolo di Socrate, riconosce la grande importanza della problematica della conoscenza, per lo sviluppo della vita umana.  In molte opere affronta questo argomento.

Nel Menone, attraverso un esperimento maieutico, afferma che la conoscenza è “anamnesi” cioè una forma di “ricordo” di ciò che già esiste nella nostra anima.

Interrogando socraticamente uno schiavo ignaro di geometria, Platone riesce a fargli risolvere una complessa questione di geometria, implicante la conoscenza della teoria di Pitagora.

L’anamnesi spiega la possibilità della conoscenza.

Nel Fedone Platone dimostra che l’idea di oggetto circolare è qualcosa che trascende i nostri sensi (non esistono in natura oggetti perfettamente circolari), ma che si può immaginare. Ma è nella Repubblica, l’opera più comprensiva di Platone, quella in cui si esprime più compiutamente la sua filosofia.

Non è soltanto un’opera di politica, ma di pedagogia, di metafisica, di psicologia: poiché lo Stato fondato sulla giustizia sta al centro del pensiero platonico e fu l’ispirazione costante di tutta la vita di Platone.

Qui Platone parte dal principio che la conoscenza è proporzionale all’essere, per cui solo ciò che è massimamente essere è perfettamente conoscibile, il non - essere è assolutamente inconoscibile (Repubblica, Libro VI).

Ma, poiché esiste anche una realtà intermedia fra essere e non essere, cioè il sensibile, che è un misto di essere e non essere, allora Platone conclude che di quest’intermedio c’è appunto una conoscenza intermedia fra scienza ed ignoranza, la quale non è vera e propria conoscenza ed ha nome “opinione”, doxa.

Le forme del conoscere sono dunque due: la più bassa è la doxa, la più alta è l’episteme o scienza: la prima riguarda il sensibile, la seconda il soprasensibile.

Tuttavia Platone specifica che tanto la doxa quanto l’episteme hanno ciascuna come due gradi:

*      la doxa si divide in immaginazione (una forma di sensibilità indistinta) ed in credenza (la conoscenza certa degli oggetti sensibili).

*      la scienza di divide in una forma di conoscenza mediana ed in pura intellezione.

Stante il principio sopra illustrato, ciascun grado e forma di conoscenza si riferisce ad un corrispettivo grado e ad una corrispettiva forma di realtà e di essere.

L’eikasia e la pistis corrispondono ai due gradi del sensibile, la dianoia e la noesis si riferiscono,invece, all’intellegibile. In particolare la dianoia è la conoscenza delle realtà matematico-geometriche e la noesis è la pura dialettica delle Idee.

 

Nel libro VII, introducendo il famoso “mito della caverna”, che oppone il mondo dei sensi e dell’apparenza al mondo delle idee, Platone espone i pensieri più profondi della sua filosofia e le sue riflessioni sulla conoscenza.

Nel mito gli uomini sono prigionieri dell’ignoranza nella caverna e scorgono solo immagini umbratili appena illuminate.

Se un prigioniero venisse liberato e condotto a guardare la luce del sole percorrendo “la scarpata ripida e scoscesa” (Repubblica, 515e), dovrebbe prima abituarsi a vedere di nuovo.

Ma se tornasse indietro si consegnerebbe allo scherno dei prigionieri che vivono sempre intenti a discutere l’un l’altro delle loro visioni.

Rappresentazione del mito della caverna e della metafora della linea

Se egli, poi, volesse addirittura liberarli e condurli alla luce, potrebbe persino rischiare la morte.

Sempre in questo celebre mito della caverna, Platone-Socrate ha narrato un mutamento nello sguardo: un mutamento del piano di osservazione che ha fatto epoca: con questo mutamento si istituisce la figura del filosofo, non solo come entità individuale, ma in rapporto alla polis. E nella polis ciò che interessa è la giustizia. La sede della giustizia è il singolo (l’anima) ma anche la città. La corrispondenza fra anima e polis esaurisce per intero l’ambito di ciò che determina l’agire degli uomini.

Anche nella Lettera VII, che può essere considerata il testamento politico-pedagogico del filosofo ed una vera autobiografia spirituale, Platone fa intendere che lo scopo più importante, il valore più prezioso della sua vita, non fu l’indagine teoretica e nemmeno la mistica ricerca di Dio o la contemplazione, ma l’azione per il miglioramento del genere umano.

Per approfondire

Suggerimenti per approfondire il mito della caverna:

  • Immagine della caverna, può essere considerata evocazione del grembo materno? (Kolakowsky in Presenza del Mito).

  • Le immagini umbratili sono come il nostro cinema ed i media? (Kahlenberger in Platone, Repubblica).

  • Il “ virtuale” e le ombre platoniche. Commenta.

  • Le ombre possono intendersi come immagini oniriche? (Nietzsche in Opere complete).

  • Le idee metafisiche di Platone possono aver ispirato il sistema copernicano per il fatto che la venerazione platonica della luce del sole che «avrebbe dovuto occupare il centro a motivo della sua nobiltà», come afferma Popper nella Demarcazione tra Scienza e Metafisica in Congetture e Confutazioni?

  • Il mito preistorico di Tiresia che, dopo aver visto Pallade Atena al bagno, da quella fu accecato, per quali aspetti ha come erede il filosofo che torna nella caverna dopo aver visto lo splendore accecante del Sole? (Hunger, Lessico di mitologia greco-romana).

  • Quali significati e valenze religiose, politiche, economiche, filosofiche, linguistiche, tecnologiche conosci del termine che indica nel “ Mito della Caverna ” la liberazione dei ceppi, il volgersi dal sensibile all’intellegibile, ovvero la parola CON-VERSIONE?

  • Definisci i termini: doxa, episteme, eikasia, pistis, dianoia, noesis.

  • Commentare il brano di Platone, tratto dal VI Libro della Repubblica (484 a) «i filosofi sono coloro che sono capaci di affermare ciò che è sempre immutabile, identico a se stesso».

  • Il ritorno nella caverna del filosofo-politico è un esporsi ad un “rischio”. Illustra come Platone abbia teorizzato la fine di Socrate, sottolineando il parallelismo caverna-città (ovvero polis) ed anima - città nel contesto storico del pensiero greco del V secolo a.C.

MAPPA CONCETTUALE

- Platone: la caverna e la linea

BIBLIOGRAFIA

- Platone, Repubblica, VI 509d-511e;
- Platone, Repubblica, VII 514a-517a;
- Platone
, Lettera VII.

COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI

a) Con la Filosofia:

- S. Agostino e il tema del “Corpo come prigione”;
- S. Tommaso e il tema del “Dualismo corpo/anima”;
- Descartes e il tema della “Unità sostanziale di anima e corpo”.

b) Con la Letteratura Greca:

- Letteratura greco-attica.

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Obiettivi
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Contenuti
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L'uomo greco e la musica

Nella Grecia antica la musica (tecnè mousichè) non ha la stessa funzione delle altre arti, scultura, architettura, pittura, etc. Essa viene prodotta sempre e solo unita alla danza (cioè ritmo) alla poesia (verso). Essa ha funzioni pratiche, educative molto precise, tanto che il suo uso sconsiderato può portare a conseguenze molto gravi per l’individuo. In più la musica intesa solo come suono (phonè) non ha nessuna consistenza, né alcun valore artistico secondo i greci antichi. Già nei primi teorici si matura l’idea (che troverà conferma nella moderna musicoterapica e nella moderna pedagogia) che la musica serva alla prevenzione (musica igienica) e allo sviluppo delle qualità umane innate.

L’utilizzo della musica come elemento curativo di mali, sia fisici sia mentali, è antichissimo e collegabile a teorie sulla materia, del mondo antico. In molti miti il suono e il canto rappresentano la sostanza originaria del mondo: nell’antica Grecia la storia di queste pratiche non rimane solo nell’ambito mitologico o poetico, ma entra anche nel pensiero speculativo. Ad Orfeo che ammansisce le belve col suono della lira, ad Affine, figlio di Zeus, che sempre con la lira riesce a muovere le pietre edificando la città di Tebe, all’oracolo di Delfi che calma le donne invasate con lunghe nenie, si sostituisce, grazie alla elaborazione di Pitagora il concetto di Armonia (collegamento) delle sfere e cioè egli identifica le distanze tra le sfere celesti con gli intervalli della scala pitagorica, derivata dal Monocordo (strumento di sua invenzione, nato dall’osservazione della relazione tra porzione di corda vibrante e suono emesso, 1/2 ottava, 3/4 quarta, 2/3 quinta – tutti intervalli consonanti). Secondo Porfirio, nella vita di Pitagora il grande matematico curava con ritmi e canti mali fisici e mentali.

Risale a Platone e Aristotele la dottrina dell’ethos; procedendo di 5a in 5a l’altezza di tutti i suoni derivati dal monocordo, esclusi quelli consonanti, veniva a costituire la scala pitagorica. In quanto espressione cosmica la musica fu tenuta in gran conto nella scuola pitagorica (Archita, Didimo, Euclide, Platone, Filolao) sia sotto l’aspetto pratico sia sotto quello teorico, essendo considerata la disciplina più idonea a sviluppare l’equilibrio dell’anima.

Platone considera la musica radicalmente diversa dalle altre arti, in quanto la più idonea a colmare le inquietudini interiori dell’uomo. È l’unica arte che salva, tra le arti, e ad essa dedica molta attenzione nella Repubblica, nelle Leggi e nel Simposio, sostenendo la fondamentale funzione educativa della musica conforme alla tradizione, nell’ambito della concezione etico-aristocratica dello Stato

Platone e Aristotele giungono ad affermare che i diversi tipi di musica possono modificare in senso negativo o positivo il carattere dei giovani. Ad ogni «Armonia» era attribuito un proprio ethos cioè un carattere o sentimento:

- Armonia dorica = virile
- Armonia frigia = spontanea

- Armonia lidia = languida

- Armonia misolidia = lamentosa

Per la teoria musicale greca, il sistema base dei modi è il Tetracordo = successione di quattro suoni congiunti.

Aristotele espone nella sua Politica la teoria della catarsi: mentre Platone scarta alcune armonie troppo eccitanti, o troppo molli, preferendo quella dorica e quella frigia, Aristotele sostiene l’utilità di tutti i tipi di musica, anche di quelli che turbano gli animi, poiché le passioni violente che esse determinano hanno effetto catartico cioè purificano dalle passioni.

BIBLIOGRAFIA

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COLLEGAMENTI DISCIPLINARI E INTERDISCIPLINARI

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Ultimo aggiornamento: sabato 22 marzo 2003


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