Cebete - Lezioni di Filosofia

News  |  Scrivi

Cebete  |  L'autore  |  Il progetto  |  Credits  |  Mappa del sito

http://web.tiscali.it/claufi

 

S.A. Kierkegaard

Sommario

1. La vita

2. Opere

3. L'esistenza come possibilità e la fede

4. La verità del singolo

5. Gli stadi nel cammino dell'esistenza

6. Il sentimento del possibile: l'angoscia

7. Disperazione e fede

8. L'istante e la storia: l'eterno nel tempo

9. Eredità kierkegaardiane

10. Schema riassuntivo

Søren Aabye Kierkegaard

(5 maggio 1813 - 11 ottobre 1855)

«Leva da un pensatore il paradosso e avrai un professore. Un professore ha a sua disposizione tutta la serie dei pensatori della Grecia, dal primo all'ultimo, come se stesse al di sopra di tutti. Grazie tante: ma è infinitamente inferiore».
(da S. Kierkegaard, Diario, 2456; X1 A 609)

«... la verità è l'incertezza oggettiva mantenuta nella procreazione della più appassionata interiorità, e questa è la verità più alta che ci sia per un esistente».
(da S. Kierkegaard, Postilla conclusiva non filosofica, Bologna 1962, vol. II, p. 15)

1. Vita

Nato a Copenhagen il 5 maggio 1813, studia alla facoltà di teologia e nel 1840 si laurea con la dissertazione Sul concetto di ironia, con particolare riferimento a Socrate. In seguito ascolta le lezioni di Schelling, ma poi torma a Copenhagen dove vive dell'eredità del padre.

La sua vita è segnata dalla fidanzata mai sposata Regina, dal giornale scandalistico Il corsaro e dal vescovo protestante Martensen. Testimonianze abbondanti si ritrovano nel monumentale Diario. Muore l'11 ottobre 1855.

La sua filosofia è segnata dalla colpa della sua famiglia (quale?), dal pungolo nella carne (come S. Paolo, ma di che si tratta?), dagli pseudonimi e dal rapporto poetico (ossia in lontananza) alle sue opere, che sono tutte delle possibilità d'esistenza.

 

2. Opere

Sul concetto di ironia (1841)

Aut-Aut (1843)

Timore e tremore (1843)

La ripetizione (1843)

Briciole di filosofia (1844)

Il concetto di angoscia (1844)

Stadi sul cammino della vita (1845)

Postilla conclusiva non scientifica (1846)

Il punto di vista della mia attività
 di scrittore (1846-47)

La malattia mortale (1849)

Discorsi religiosi (1855)

L'istante (1855)

U.D. 3

Unità didattica n. 3
Cfr. ...

L'esistenza come possibilità e la fede Torna all'inizio

Hegel è il filosofo della necessità. Il dover essere impera nella realtà come nel pensiero. Soren Kierkegaard invece, hegeliano e fortemente anti-hegeliano, è il filosofo della possibilità. L'esistenza umana è dominata dalla possibilità. Di questa Kant aveva messo in luce la positività (cosa posso conoscere? quale è l'ambito all'interno del quale la mia facoltà conoscitiva è infallibile?) il filosofo danese evidenzia anche la "possibilità che non..." che sta dietro ogni scelta, la minaccia del nulla che rende la vita piena di oscura problematicità.

Egli è il discepolo dell'angoscia che sente in sé le possibilità annientatrici e terribili che ogni alternativa dell'esistenza prospetta. L'esistenza è, infatti, costellata di decisioni e di scelte che nel delineare la personalità e la vita stessa del singolo lasciano sul terreno una quantità infinita di scelte non scelte, di possibilità scartate, di esistenze possibili cadute nel nulla. Il mantenere conservando era l'Aufhebung hegeliana; il motore della filosofia di Kierkegaard è invece l'angoscia di fronte al nulla in cui precipita ciò che non si può mantenere né conservare e che, purtroppo, è un insieme infinito a confronto con l'insieme delle cose che si conservano scegliendole (come l'insieme del non-A rispetto all'insieme dell'A).

Egli è la cavia dell'esperimento per l'esperienza. Egli - hegeliano fino alle midolla - vuole tutto e quindi... non ha scelto, non ha scartato, ha mantenuto tutto ma dal punto zero del "forse". Forse il pungolo nella carne di cui parla nel Diario, quell'imprescindibile presenza che gli impedisce di sposare Regina, forse è proprio l'incapacità di scegliere (c'è che ha avanzato l'ipotesi dell'epilessia).

Il centro della suo io è il non avere centro. Per questo egli presenta nelle sue opere solo possibilità fondamentali per l'esistenza, alternative, stadi, di fronte ai quali lui assume il contegno del contemplativo, del poeta che, di lontano, parla per pseudonimi.

L'unica ancora di salvezza che sottrae l'uomo alla disperazioni, in questa condizione di non scelta, di dispersione nel possibile, è la fede. Ma, come vedremo, questa è essenzialmente paradosso.

U.D. 4

Unità didattica n. 4
Cfr. ...

La verità del singolo Torna all'inizio

La problematicità della possibilità è inconciliabile. La ragione hegeliana assorbe e dissolve l'uomo che è invece per Kierkegaard non è solo uno dei tanti individui, ma è il singolo.

La verità non è oggetto di pensiero, ma processo di appropriazione della vita e quindi riflessione soggettiva.

Il singolo è superiore alla specie. Il danese è "Quel singolo" (l'espressione che, unica, si trova sulla sua tomba nel cimitero di Copenhagen!) che è conscio, al contrario di Hegel, dell'infinita differenza qualitativa tra finito e infinito, non della risoluzione del finito nell'infinito, ma dell'abisso che separa il singolo dall'assoluto. 

U.D. 5

Unità didattica n. 5
Cfr. ...

Gli stadi nel cammino dell'esistenza Torna all'inizio

Opera fondamentale, splendida e irripetibile, Aut-Aut (in danese Enten-Eller, 1843) presenta due possibilità per l'esistenza, due stadi: lo stadio estetico e lo stadio etico. Sono due momenti inconciliabili, tra cui si estende un abisso insormontabile per ogni pensiero, ma non per la decisione.

Lo stadio estetico è la vita di chi esiste nell'attimo (carpe diem!), poeticamente, col senso finissimo dell'interessante in una continua ebbrezza dei sensi e dell'intelletto. L'esteta è colui che vive pienamente il momento in cui si trova, ne assapora le variopinte sfumature e coglie l'irripetibilità dell'attimo, della situazione. L'esteta, infatti, esclude la ripetizione perché vuole l'esperienza unica, non gode dello sfrenato piacere ma, al contrario, della limitazione e dell'intensità dell'appagamento che solo il senso della limitazione può concedere. È sempre immediato, rifugge ogni mediazione come ogni medietà. L'esteta è il don Giovanni di Mozart, ed è tratteggiato in modo unico nel Diario di un seduttore (terzo volume di Aut-Aut).

Ma l'esteta è un disperato, che lo sappia o no. È atterrito dalla noia; negandosi la ripetizione si priva di qualsiasi stabilità; è costantemente costretto a fuggire, come l'attimo. Nell'immediatezza in cui si disperde non ha certezze se non quella di non avere certezze, non ha speranza se non quella di non volerne avere alcuna: è disperato (in tedesco Disperazione è Ver-zweiflung, da Zweifeln = Dubbio, più il prefisso ver che rappresenta il compimento estremo: quindi iper-dubbio!). La condizione dell'esteta è la disperazione, ossia in non avere una condizione, e l'unico modo per uscire da questa non-condizione, da questa u-topia, è un salto: la decisione e la scelta.

La scelta esistenziale non è una scelta qualunque (anche se qualunque scelta può avere carattere esistenziale). È la scelta del proprio destino, è la scelta di se stessi. Tale scelta ha i caratteri della decisione, ossia della cesura che nell'affermare una possibilità esclude, recidendo, tutte le altre. La decisione e la scelta, nel momento di rivolgersi a se stesso, escono dall'immediatezza e divengono atto mediativo che fissa la propria validità eterna. Siamo usciti dallo stadio estetico e siamo entrati in quello etico.

Lo stadio etico è la scelta, l'affermazione di qualcosa (primariamente del se stesso) di stabile. È la continuità, la fedeltà, il valore, il dovere, la libertà. L'elemento estetico è quello per cui il singolo è quello che è (nell'attimo), l'elemento etico è quello per cui il singolo diviene ciò che è. È la forma, l'universale, il matrimonio, il lavoro... il mondo. Decisione per antonomasia è infatti il matrimonio. Immaginate un don Giovanni che si sposa, che mette la testa a posto!... «Sposati, sistemati, trovati una collocazione nel modo!» è questo il constante appello dell'assessore Guglielmo (l'etico, il marito, l'uomo impegnato nel sociale, il politico, l'uomo con i valori... ma attenzione si chiama Guglielmo, Wilhelm!!) al don Giovanni esteta-seduttore di Aut-Aut, «rimarrai senza speranza finché non ti assumi le tue responsabilità!».

Ma il mondo è una valle dolorosa. L'etico, integerrimo e integro, spesso si pente. Anzi di più: riconosce la sua colpevolezza in un mondo segnato dal male e dal peccato, si assume la responsabilità del male, si riconosce come peccatore: il finito non è l'infinito! (e Kierkegaard è protestante, anche se più volte ha pensato di convertirsi al cattolicesimo, alla fine ha deciso di... rimanere fedele alla sua situazione di protestante danese). L'etico, l'assessore Guglielmo, con le sue leggi, con i suoi valori si sente in scacco di fronte al male, al mondo, alla responsabilità. Il matrimonio non basta. Serve un ulteriore salto... il salto nel religioso.

Lo stadio religioso (descritto impareggiabilmente in Timore e tremore, 1843) è frutto di un ulteriore salto, ma questa volta più "abissale" del precedente, perché non si tratta di fermare il turbine delle passioni (soprattutto intellettuali) dell'esteta nell'assunzione della responsabilità. Qui si tratta del salto nella fede in cui la decisione richiede la sospensione delle leggi del mondo e dei valori non più in nome dell'immediatezza del piacere estetico, bensì in nome di... Dio. Quale padre ucciderebbe il proprio figlio? Certo non un padre assessore! Non uccidere è un imperativo etico, non religioso. Ma Abramo? Abramo può uccidere il figlio. Anzi deve.

Il salto nel religioso è il salto nel paradosso del rapporto individuale, di solitudine, assoluto all'assoluto, a Dio. Abramo, osservante della legge, deve trasgredirla per volontà di Dio. Deve sospendere religiosamente l'etica. Lo stadio religioso è la sospensione religiosa dell'etica.

Ma come può l'uomo essere certo di essere l'eccezione giustificata di sospensione dell'etica? Ecco l'angoscia (che non è la disperazione). La fede è certezza angosciosa in un paradosso. Solo il cristianesimo ("quello del Nuovo Testamento non certo quello di oggi in Danimarca", dice Kierkegaard) coglie il senso dell'esistenza umana: il paradosso.

U.D. 6

Unità didattica n. 6
Cfr. ...

Il sentimento del possibile: l'angoscia Torna all'inizio

L'esistenza è possibilità, incertezza, dubbio (parliamo ora de Il concetto di angoscia, 1844, e de La malattia mortale, 1849). Questa possibilità di qualcosa che non si sa, il suo potere di nulla è quella ignoranza assoluta che genera in Abramo l'angoscia, l'angosciante possibilità di potere. Il possibile è l'avvenire, o il passato se on è passato del tutto (cioè la colpa): «ciò che fai, fallo in fretta»... ecco l'umanità di Cristo, angoscia per la possibilità. Nel possibile tutto è possibile, essa è infinita.

Per questo la colpa è infinita, anche se passata; il colpevole è infinitamente colpevole.

U.D. 7

Unità didattica n. 7
Cfr. ...

Disperazione e fedeTorna all'inizio

Se l'angoscia è la condizione in cui l'uomo è posto dal possibile che si riferisce al mondo, la disperazione è la condizione in cui l'uomo è posto dal possibile che si riferisce alla sua stessa interiorità, all'io.

L'io non è rapporto, ma ritorno su di sé del rapporto. L'io può volere come non voler essere se steso. Se vuole essere se stesso, poiché è finito e insufficiente a se stesso, non giungerà mai al riposo. Se non vuole essere se stesso cercherà di rompere il proprio rapporto con sé, che gli è costitutivo, urterà anche qui contro un'impossibilità fondamentale. Ecco la malattia mortale, la disperazione di colui che vive la morte dell'io! Di colui che è murato vivo nella sua situazione.

Ma in Dio tutto è possibile, e se la disperazione è peccato, la fede è l'eliminazione totale della disperazione. l'uomo pur orientandosi verso di sé e volendo esser se stesso, non si illude sull'autosufficienza dell'io, ma riconosce la sua dipendenza da Dio.

Ecco la fiducia in Dio che porta, però, oltre la ragione, nel paradosso, nello scandalo della ragione, nell'impensabile: la fede è il capovolgimento paradossale dell'esistenza.

U.D. 8

Unità didattica n. 8
Cfr. ...

L'istante e la storia: l'eterno nel tempoTorna all'inizio

La storia non è teofania (v. Hegel), il rapporto Dio-uomo non si realizza nella storia ma nell'istante: l'uomo non è nella verità (come voleva Socrate che quindi non era maestro ma solo maieuta). L'uomo è nella non-verità, nel peccato e il maestro è il salvatore, colui che fa nascere l'uomo nuovo capace di accogliere nell'istante la verità di Dio.

Ecco l'unica definizione di uomo: non-Dio, peccato. È la differenza assoluta.

L'istante è l'inserzione paradossale dell'eterno nel tempo, di Dio nella storia: la rivelazione non può accadere che nell'istante.

U.D. 9

Unità didattica n. 9
Cfr. ...

Eredità kierkegaardiane Torna all'inizio

Con il filosofo danese vengono messe in risalto alcune nozioni che prima non avevano valenza filosofica: possibilità, scelta, esistenza, impegno e singolo!

U.D. 10

Unità didattica n. 10
Cfr. ...

Schema riassuntivo 

Lezione I
- Kierkegaard contra Hegel,
- essere <> non essere,
- ironia,
- riflessione soggettiva.

Lezione II
- Possibilità,
- Scelta,
- Pseudonimi,
- Singolo.

Lezione III
- Stadi dell'esistenza.

Lezione IV
- Angoscia e disperazione,
- Fede e paradosso,
- Tempo ed eternità.

Ultimo aggiornamento: giovedì 20 marzo 2003


© Claudio Fiorillo, Roma 2000-2003. All rights reserved.
 
Per informazioni e contributi: