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Il presente modulo e' il primo del primo anno di studi in storia. Si tratta della introduzione all'uomo medievale cui seguiranno...

Struttura

U.D. 1 - Introduzione

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Modulo 1
L'uomo medievale

U.D. 1 - Introduzione

La storia umana (cfr. Marc Bloch e Lucine Febbre) è la storia dell’uomo e degli uomini. «L’uomo, misura della storia, sua unica misura. Più ancora, la sua ragione di essere» (Fevbre, 103).

L’uomo è una figura composita che racchiude in sé le contraddizioni di un mondo in continuo divenire e la realtà di un divenire che si realizza costantemente in un contesto di sostanziale e permanente identità. Per questo l’uomo medievale è monaco, cittadino, intellettuale, artista… Ognuna di queste figura cela una ulteriore natura composita. Ad esempio il monaco è diviso tra «Solitudine o apostolato, lavoro manuale e lavoro intellettuale, servizio di Dio nella preghiera e nelle funzioni liturgiche o servizio della Cristianità negli ordini militari dei monaci soldati» (Le Goff, 2). Tuttavia l’uomo del medioevo sa di avere un modello di monaco unico, un tipo particolare, un personaggio collettivo: l’uomo che si separa dalla massa per vivere un rapporto privilegiato con Dio, o is qui luget (come era chiamato al tempo), colui che piange i suoi peccati e la finitudine del mondo. Allo stesso modo, il cittadino è ciò che accomuna il mendicante ed il borghese: «Gli uni e gli altri non possono ignorarsi e s’integrano in un medesimo piccolo universo dalla popolazione densa che impone delle forme di socievolezza sconosciute al villaggio, un modo di vivere specifico, l’uso quotidiano del denaro e, per taluni, un’apertura obbligatoria sul mondo» (Le Goff, 2).

Nella eterogenea società del medioevo, è possibile comunque rinvenire un modello di uomo unico e universale. Tale modello è fornito dalla prospettiva religiosa. Non si dà infatti un tipo umano che escluda il riferimento al divino e, come recita il Salmo 13, «lo stolto disse in cuor suo: Dio non esiste» (Ps. 13, 1).

Creatura di Dio, l’uomo è chiamato ad essere dominatore della natura. È stato fatto «a immagine e somiglianza» di Dio. Ma allo stesso tempo è il portatore del peccato originale e, come tale, è stato condannato alla sofferenza (nel lavoro manuale per l’uomo, nel parto per la donna).

La cristianità medievale insisterà sull’immagine positiva di uomo immago Dei (che impone il nome a tutte le creature) e sull’immagine negativa di uomo peccatore. L’Alto Medioevo (sec. IV-X) prevarrà la visione negativa, nel Basso (sec. XI-XIII) la positiva.

Proprio intorno alla disequazione lavoro-maledizione e lavoro-affermazione si sviluppa l’antropologia medievale. La figura di Giobbe (cfr. Moralia in Job di Gregorio Magno [590-604]) ritorna con costanza nelle letture dei chierici come pure nell’iconografia Giobbe è rappresentato come lebbroso, relitto di uomo. Ma già Wiligelmo nelle sculture della facciata del Duomo di Modena (del 1106 circa) raffigura Adamo nel suo passaggio dal lavoro come castigo che schiaccia al lavoro creativo.

Il lavoro. La prescrizione della Chiesa del lavoro quale modo pratico della disciplina morale che conduce alla salvezza contribuisce anche allo sviluppo di quel nuovo modus vivendi che è la città romanica: «La nuova compagine sociale ha uno scopo: accrescere la propria forza, e quindi la sicurezza della propria libertà, producendo ricchezza. Ma non è più la potenza militare o la capacità di conquista (o soltanto di rapina) che assicura l’autonomia; è il lavoro, tanto più che la Chiesa stessa lo prescrive come modo pratico della disciplina morale che conduce alla salvezza spirituale. Non è più peccato, indebito amore per le cose terrene, cercare la ricchezza; la ricchezza, prodotta dal lavoro, produce altro lavoro e il lavoro salva. Va dunque cercata, ma non per sé, bensì come il compenso terreno che Dio concede, in attesa dell’eterno premio. Ed è una ricchezza che nasce tutta, o quasi, dall’opera dell’ingegno e della mente umana sulle materie della natura, create da Dio. L’artigiano che prende un pezzo di oro o anche di materia non preziosa, e spende un tempo della sua vita, un’esperienza ereditata o acquisita, a modellarla o intagliarla, ad associarla armonicamente ad altre materie, continua in un certo modo l’opera creativa di Dio; e poiché Dio stesso ha creato quella materia come perfettibile attraverso l’opera umana, e quindi quella materia ha in sé un principio spirituale, l’opera umana non deve cancellare o nascondere o avvilire la materia, ma interpretarla, sviluppare tutte le sue possibilità, le forze che porta in sé. Ecco la prima grande differenza tra la civiltà tecnologica romanica e la tecnologia bizantina. La città, come organismo produttivo, è il grande strumento operativo della comunità, quello con cui il lavoro degli individui si trasforma in un’opera concordata, collettiva…» (Argan, I p. 247)

L’iconografia. Dalla fine del Duecento l’iconografia diviene più realistica e la sofferenza è rappresentata solo [!] dalla figura del Cristo sofferente che sostituisce nelle icone Giobbe. È il Dio che appare: Ecce homo. L’uomo è raffigurato nelle persone dei papi, dell’imperatore… ed il libro più letto è Cur Deus homo di S. Anselmo d’Aosta.

Comunque l’uomo è costantemente visto in rapporto con Dio. Esso è quindi o homo viator (pellegrino o crociato non fa differenza) o penitente (san Luigi re di Francia o i flagellanti) (è del 1215 il IV Concilio Laterano che sancisce l’obbligo della confessione auricolare segreta almeno una volta l’anno).

Comunque l’uomo è un essere complesso. Sinolo di anima e corpo: ed il dogma della resurrezione della carne («il più strabiliante genere di dogma» dice Chesterton) rende benissimo la tensione antropologica. Si pensa in questo periodo che i corpi dei santi, in cui è già iniziata la resurrezione della carne, diffondano un «odore di santità» (cfr. F. Dostoevskij, Fratelli Karamazov, con lo scandalo dello starek Zosima che da morto… puzza!).

È di Giovanni di Salisbury il Policratus (1159) in cui il corpo umano è metafora della società (riprendendo l’apologo di Menenio Agrippa del 494 a.C.) e microcosmo.

Bibliografia
Gregorio Magno, Moralia in Job
Anselmo d’Aosta, Cur Deus homo
Giovanni di Salisbury, Policratus (1159)…
Lucien Fevbre, Combats pour l’historie, Paris 1953.
Giulio Carlo Argan, Storia dell’arte italiana, 3 voll., Sansoni, Firenze 1982.
Jacques Le Goff, L’uomo medievale (1987), Laterza, Roma-Bari 199913.

Ultimo aggiornamento: giovedì 20 marzo 2003


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